Ambasciata d`Italia a Mosca Rassegna della stampa russa
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Ambasciata d’Italia a Mosca Rassegna della stampa russa - Titoli 9 ottobre 2013 Rossiyskaya Gazeta http://www.rg.ru/ Pagina 8 – Cambiamenti sul fronte iraniano? – Articolo editoriale di Fiodor Lukianov sui tentativi di dialogo tra Iran e Stati Uniti e sul ruolo della Russia, le cui relazioni con Teheran, pur essendo caratterizzate da reciproca cautela, non sono da molto tempo mai sfociate in aperti conflitti. L’evento più intrigante della settimana è stato il disgelo tra Washington e Teheran. Il nuovo Presidente Hassan Rohani è un uomo solido e moderato, che evita quei comportamenti provocatori che invece caratterizzavano il suo predecessore. E sebbene il potere effettivo in Iran sia nelle mani del leader supremo Ali Khamenei, il carattere e il grado di flessibilità della politica estera sono determinati dalle caratteristiche personali del Presidente. I primi mesi di Rohani ne hanno dato conferma: questi gesti di pace da parte di Teheran non si vedono, forse, dagli inizi del 2000. Dichiarazioni positive sono giunte da Washington. Barack Obama è pronto a tentare per l’ennesima volta di cambiare i rapporti con Teheran, cosa a cui mirava ancora quattro anni e mezzo fa. Allora il risultato era stato negativo; adesso è comparsa una chance, sebbene siano in pochi a farsi illusioni. L’Iran non modifica la sua linea politica ma si serve della nuova situazione per mettere in atto delle manovre. Lo sviluppo della trama siriana gioca a favore: senza l’Iran giungere alla stabilità in quel paese è impossibile. Il terreno per la felissibilità è limitato per Obama. L’Iran suscita negli Stati Uniti una profonda sfiducia: gli ultimi 30 anni non si cancellano. C’è poi il fattore Israele, per gli Stati Uniti non è tanto di politica estera, quanto interna. Gli affari interni attualmente dominano le agende dell’amministrazione, tanto che la Casa Bianca non vuole rimediarsi nemici influenti tra quelli che simpatizzano per Israele. E la probabilità di un avvicinamento è più alta che in precedenza. Innanzitutto per quanto sta accadendo in Medio Oriente nel suo insieme. Alla fine degli anni ’70 proprio gli avvenimenti iraniani portarono a un brusco cambiamento della sfera di interessi americani nella regione. Il rovesciamento dello scià Mohamad Reza Pahlavi e l’accessione dei rivoluzionari islamisti shiiti ha trasformato l’Iran da valido alleato americano a feroce nemico. Da quel momento Washington ha dovuto scommettere sugli avversari geopolitici e religiosi di Teheran: le monarchie sunnite del Golfo Persico e, per un periodo, anche sull’Iraq di Saddam Hussein. Gli americani hanno praticamente perso i contatti e le influenze nel mondo shiita, cosa che li ha agitati per lungo tempo. Il campanello d’allarme dell’11 settembre 2011, quando è risultato che 15 dei 19 terroristi erano originari dell’Arabia Saudita, ha portato sconcerto e la “primavera araba” ha confuso le carte in tavola. Il mondo sunnita medio orientale si muove verso una direzione chiara: l’islamizzazione e il radicalismo. Quando e per quanto gli islamisti prenderanno e deterranno il controllo sulla regione sono questioni complicate. L’esperienza egiziana mostra che il percorso della rivoluzione può rivelarsi tortuoso. Ma a prescindere da concrete svolte nell’intreccio, è evidente che non bisogna aspettare l’immutabilità e la prevedibilità di questa parte del mondo negli anni a venire oppure nei prossimi decenni. Il rapporto nei confronti dell’Occidente non sta volgendo al positivo. La rivalità tra i diversi rami dell’islam sta divenendo uno dei fattori determinanti e gli shiiti non sono disposti a restare fermi in difesa. L’assenza dei contatti con essi limita il campo di manovra per gli Stati Uniti. Il noto commentatore George Friedman, che si occupa di narrativa geopolitica ma spesso rileva anche tendenze veritiere, qualche anno fa scrisse nel suo libro sul mondo del XX secolo che per gli Stati Uniti non c’è un’alternativa al riesame delle relazioni con l’Iran. Solo stipulando un patto con Teheran, secondo lui, Washington costruirà un piano d’appoggio stabile in Medio Oriente. E sebbene gli iraniani siano un popolo orgoglioso e ambizioso, l’intesa con essi deve essere reale e possibilmente equa: forzare l’Iran alla resa non funziona. In qualità di esempio Friedman cita l’inversione diplomatica compiuta agli inizi degli anni ’70 da Henry Kissinger e Richard Nixon in direzione della Cina. L’instaurazione di rapporti con Pechino è stato un fatto importante che ha contribuito alla vittoria dell’America nella “guerra fredda”. Qualsiasi analogia, certamente, zoppica. John Kerry, con tutto il dovuto rispetto, non è Kissinger, Barack Obama e neppure Nixon, che era considerato tanto corretto e reazionario da potersi concedere un patto con il “diavolo”, senza timore di accuse di debolezza e spregiudicatezza. Anche la dirigenza iraniana possiede molte differenze qualitative rispetto all’epoca maoista cinese. Tuttavia nella politica di oggi tutto è letteralmente possibile: l’incredibile diventa di volta in volta evidente. I rapporti tra Russia e Iran non sono mai stati pacifici: esiste una reciproca diffidenza sebbene recentemente essa non sia sfociata in conflitti diretti. E Mosca è rimasta dalla parte di Teheran nei momenti più difficili, sfruttando le proprie capacità pur di evitare scenari estremi. Un ipotetico disgelo tra gli Stati Uniti e l’Iran priva la Russia del suo status particolare: il mercato iraniano, attualmente bloccato dall’embargo occidentale, si apre alla concorrenza. Tuttavia non si riuscirà a lungo a godere dell’isolamento dell’Iran per gli interessi commerciali: le sanzioni internazionali sono d’intralcio e la Russia non è pronta a scontrarsi apertamente con gli Stati Uniti e con l’Europa per il commercio con Teheran. In ogni modo l’Iran rimane uno dei principali giocatori indipendenti in Medio Oriente e nelle regioni adiacenti. Per questo motivo per Mosca risulta vantaggiosa l’uscita dell’Iran dalla “prigionia” ma solo a condizione che Mosca intensifichi con il paese relazioni multilaterali, avvalendosi dell’esperienza di collaborazione a condizioni più svantaggiose. Autore: Fiodor Lukianov Taglio: alto Traduzione: Camilla Bisesti Vedomosti http://www.vedomosti.ru/ Pagina 1/6 – Il vicolo cieco dei visti Articolo editoriale sulle dichiarazioni del Presidente Putin che si è espresso contro l’introduzione dei visti per i cittadini della CSI. Il tema antimigratorio è utile in politica interna, soprattutto in periodo elettorale, ma può diventare un problema per la politica estera del Paese Ieri Vladimir Putin si è espresso contro l’introduzione dei visti per i cittadini della CSI, in particolare dell’Asia Centrale. “L’introduzione del regime dei visti nell’ambito della CSI significherà che allontaniamo da noi le ex repubbliche dell’Unione Sovietica. Non dobbiamo allontanarle, bensì avvicinarle” ha dichiarato il Presidente in Indonesia, al forum della Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica. L’intervento di Putin è un ulteriore argomento (probabilmente decisivo) nelle discussioni sul ruolo dell’immigrazione nell’economia nazionale e negli strumenti di controllo di questa. A inizio 2013 Putin aveva proposto a partire dal 2015 di permettere ai cittadini dei Paesi della CSI di entrare in Russia solo presentando il passaporto estero. Molti rappresentanti della classe dirigente avevano chiesto di introdurre visti di ingresso e di lavoro per i cittadini della CSI. In particolare il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin all’incontro del Club Valdai aveva proposto di introdurre visti per i Paesi “problematici”, lasciando l’attuale regime solo per gli Stati-membri dell’Unione Doganale. Il governatore della regione di Mosca Andrey Vorobyev alla vigilia delle elezioni aveva promesso di creare una parvenza di confini interni, che avrebbero potuto trattenere gli illegali. Il Presidente della Duma di Stato Sergey Naryshkin, al contrario, ha proposto in questi giorni di introdurre per gli abitanti del Tagikistan un permesso triennale di lavoro in Russia. Tutto ciò viene bloccato dalle parole di Putin sul fatto che i visti sono dannosi. Essi sono dannosi nella politica estera, mentre in quella interna si tratta di una richiesta popolare. Prima delle recenti elezioni le autorità avevano stimolato umori antimigratori per creare un’immagine negativa dello straniero. Le battute preelettorali dei candidati rivolte ai lavoratori stranieri avevano incentivato la crescita della xenofobia: il 69% delle persone intervistate dal centro Levada ritiene che nella propria regione ci siano troppi stranieri, l’84% interviene a favore dell’introduzione dei visti con i paesi della CSI. In tal modo la politica interna contraddice in modo evidente quella estera. La retorica interna è contraria a quella della politica estera. Il Cremlino ambisce a creare un’unione funzionante delle ex repubbliche sovietiche, ad organizzare un nuovo blocco economico e politico, in grado di tener testa all’espansione della Cina e all’influenza di altri attori nella regione (Europa, USA, Iran e Turchia). Gli interessi dell’integrazione richiedono di mantenere il regime attuale (o, più precisamente, il disordine) di libero attraversamento delle frontiere. Secondo gli esperti, l’introduzione dei visti per i cittadini dei paesi della CSI e l’interruzione dell’immigrazione lavorativa di massa dall’Asia Centrale, è capace di minare la stabilità sociale in molti paesi della CSI, in particolare in Tagikistan e Kirghizistan, dove i trasferimenti degli immigrati in patria costituiscono circa metà del PIL. Si ritiene che l’introduzione dei visti al confine con la Russia stimolerà l’afflusso verso l’Asia Centrale di investimenti cinesi, accelererà la crescita di imprese con capitale straniero, rafforzerà l’influenza di Pechino nella regione e indebolirà le posizioni di Mosca. È possibile. Ma al contempo all’interno del paese le autorità alimentano direttamente la xenofobia, facendo dell’introduzione dei visti uno strumento estremamente popolare. Autore: redazione Taglio: medio alto Traduzione: Alice Bravin Kommersant http://www.kommersant.ru/ Pagina 4 – L’opposizione tolta dalla piazza e portata ai seggi elettorali Dopo le elezioni dell’8 settembre la nuova posizione delle autorità russe rispetto all’opposizione si è fatta più evidente. Tesi principale è diventato il principio formulato innanzitutto dal blocco politico del Cremlino: l’opposizione antisistema deve diventare di sistema, abbandonare le piazze e partecipare alle elezioni I risultati delle ultime elezioni sono stati riconosciuti positivi non perché “Russia Unita” ha mostrato una crescita dei voti nei centri amministrativi prima in fallimento, ma perché una parte dei leader della piazza Bolotnaya ha partecipato alla campagna elettorale. Ad esempio Aleksey Navalny ha contribuito alla legittimità dell’elezione a Sindaco di Mosca di Sergey Sobyanin, ma ha costretto a innervosire le elite federali, dato che il numero dei voti ottenuti è stato più elevato di quanto ci si aspettasse. Alle elezioni del Sindaco di Ekaterinburg ha riportato una vittoria su “Russia Unita” il candidato dell’opposizione Evgeny Roizman. Alla Duma di Yaroslav è stato eletto il leader di PRP-Parnas Boris Nemtsov. Ha partecipato alle elezioni a governatore della regione di Mosca l’ex deputato della Duma di Stato Gennady Gudkov. Sullo sfondo delle vittorie dei candidati di “Russia Unita” questo non è molto. Eppure negli anni zero alle elezioni il quadro era completamente diverso. Gli esponenti più intransigenti dell’opposizione venivano estromessi dalle elezioni ancora nella fase di registrazione a causa di piccolissime mancanze nella documentazione raccolta. Nella regione di Sverdlovsk dalle elezioni per l’assemblea legislativa nel 2011 è stato escluso Leonid Volkov, capo del quartier generale di Navalny alle elezioni a sindaco di Mosca. L’ideologo della politica degli anni zero, l’allora primo vice capo dell’amministrazione del presidente Vladislav Surkov, dopo le manifestazioni di massa del 2011 concluse che per mantenere il sistema è necessario cambiare i rapporti con l’opposizione. In uno dei suoi ultimi briefing per i giornalisti in questo ruolo disse che il “sistema è risultato troppo chiuso, esso deve essere disinnescato”. Probabilmente nell’onda emotiva alla fine del 2011 Surkov definì le persone raccolte alla piazza Bolotnaya “le persone migliori”. E anche se nell’ultimo periodo questa retorica è stata riconosciuta errata, il Cremlino ha effettivamente cominciato a “disinnescare il sistema”. Questo compito era stato affidato non a Vladislav Surkov, bensì a Vyacheslav Volodin, che lo ha sostituito al Cremlino. Proprio a lui vengono associati gli ultimi cambiamenti politici: la partecipazione alle elezioni dell’opposizione antisistema, l’aumento dei partiti che partecipano alle elezioni, la scelta di membri del Consiglio della Federazione e di Governatori (…), la proposta di incrementare il numero di circoscrizioni uninominali rispetto alle liste di partito, la collaborazione di “Russia Unita” con i rappresentanti dell’opposizione eletti al potere, il giorno unico delle elezioni a settembre, eccetera. Al blocco politico del Cremlino confermano che la nuova linea non riguarda soltanto personali proposte politiche di qualcuno, ma una strategia statale. Intervenendo davanti a “Russia Unita” alla vigilia del XIV congresso del partito, Vyacheslav Volodin ha fatto direttamente riferimento all’idea che tutti i cambiamenti politici dell’ultimo periodo, compresi i rapporti con l’opposizione, derivano dai programmi preelettorali di Vladimir Putin e rappresentano un suo orientamento. Volodin ha invitato i suoi ex compagni di partito ad imparare a formare coalizioni laddove è andata persa la maggioranza. (…) A metà settembre Vladimir Putin nell’ambito dell’incontro del Club Valdai ha risposto alle domande dei partecipanti agli incontri della piazza Bolotnaya Ksenia Sobchak, Vladimir Ryzhkov, Ilya Ponomarev e altri. L’opposizione ha intrapreso il tentativo di cominciare il dialogo con Vladimir Putin sull’amnistia per i protagonisti del cosiddetto caso Bolotnaya, tema che unisce tutti i leader dell’opposizione. Secondo Boris Nemtsov, “non c’è stato dialogo, ma l’unica importante domanda che doveva risuonare e per la quale valeva la pena andare, è stata posta da Volodya Ryzhkov: quando verranno liberati i carcerati della piazza Bolotnaya?”. Vladimir Putin non ha escluso l’amnistia per i protagonisti del caso Bolotnaya, ricordando che devono concludersi i procedimenti giuridici. Chiaramente l’amnistia può anche non esserci. Le autorità fanno capire che coloro che si oppongono alla polizia e puntano ad azioni di forza verranno duramente puniti. (…) Eppure la reazione di Vladimir Putin lascia all’opposizione la speranza di una risoluzione positiva della questione, quindi la rende più malleabile. Nonostante la strategia appaia confermata, suoi singoli frammenti vengono ancora discussi. Coda delle discussioni è stata la proposta del portavoce del Consiglio della Federazione Valentina Matvienko di introdurre la colonna “contro tutti”: essa colpisce innanzitutto i candidati dell’opposizione. L’iniziativa contraddice l’idea comune di legittimità della protesta. Si è espresso a favore della colonna “contro tutti” anche il presidente di Russia Unita, Dmitry Medvedev. (…) Gli esponenti di “Russia Unita” sono preoccupati dalla concorrenza con l’opposizione nei parlamenti regionali e municipali. Nella pensione della regione di Mosca “Bor” il segretario del dipartimento regionale di Kostroma di “Russia Unita” Aleksey Sitnikov ha proposto di pensare a come limitare il diritto dell’iniziativa legislativa e permettere a livello delle regioni di introdurre progetti di legge da parte di un gruppo fino a 5 persone. Egli ha motivato la proposta con il fatto che gli oppositori anche se poco numerosi talvolta rovinano l’ordine del giorno con progetti populisti. Così ad esempio Boris Nemtsov ha già introdotto al parlamento di Yaroslav un progetto di legge sulla censura politica nei mass media e ha proposto un sistema di premi per i giornalisti di Yaroslav. Eppure a quanto pare le autorità sono preoccupate più non da come semplificare la vita a “Russia Unita”, quanto a come circoscrivere gli umori di protesta. (…) Quanto sia possibile realizzare la strategia sarà chiaro durante la preparazione per la giornata unica delle elezioni nel 2014. Il momento più importante sono le elezioni alla Duma di Mosca, ma non solo: ad esempio la partecipazione alle elezioni a sindaco di Novosibirsk, dove grande è la quota dei cosiddetti cittadini stizziti, è stata dichiarata da uno dei partecipanti agli incontri della piazza Bolotnaya, Ilya Ponomarev. “Non possiamo impedire all’opposizione di andare alle elezioni. Certamente se riuscirà a formulare tutti i documenti, vi prenderà parte. A noi guarda tutto il Paese. Le elezioni a Mosca devono essere esemplari” ha detto a Kommersant il capo della frazione Russia Unita alla Doma di Mosca Andrey Metelsky. Per quanto riguarda i leader dell’opposizione, a questi spetta determinare, se convenga concentrare i propri sforzi sulle elezioni per gli organi esecutivi del potere, che dal punto di vista finanziario dipendono troppo dalla verticale, o se concentrarsi sull’attività parlamentare (…). E infine se cambiare il proprio rapporto nei confronti dell’attività di piazza. Autore: Irina Nagornykh Taglio: medio Traduzione: Alice Bravin Kommersant http://www.kommersant.ru/ Pagina 9 – Gazprom ha concesso uno sconto esemplare – Ostchem Holding di Dmitry Firtash avrà il gas scontato per l’Ucraina invece di Naftogaz Ucraina Sommario: Come ipotizzato da Kommersant, Ostchem Holding di Dmitry Firtash sta riconquistando e rafforzando le proprie posizioni nei rapporti del gas tra Russia e Ucraina. Kommersant ha appreso che è stata proprio questa società, non la statale “Naftogaz Ucraina”, ad aggiudicarsi lo sconto da Gazprom, concordato con le autorità russe: si tratta del 35% per il gas da pompare nei depositi sotterranei in vista della stagione invernale; così il monopolio perde circa $700 milioni di entrate. Ieri, nel corso del vertice APEC in Indonesia, il presidente Vladimir Putin ha dichiarato che Gazprom ha concesso, d’accordo con le autorità russe, uno sconto per il gas da pompare nei depositi sotterranei (DSG) di $260 per mille metri cubi. Gazprom non ha voluto commentare le informazioni del presidente, però le fonti di Kommersant nel settore hanno riferito che è stata Ostchem Holding di Dmitry Firtash ad aggiudicarsi lo sconto per l’acquisto di circa 5 miliardi di metri cubi di gas. Il livello delle riserve nei DSG ucraini arriverà dunque a 19 miliardi di metri cubi; in precedenza, Gazprom lo ha definito il minimo necessario per assicurare il transito ininterrotto di gas in Europa in inverno. L’immagazzinamento di gas nei DSG rientra negli impegni di “Naftogaz Ucraina” per l’accordo di transito con Gazprom, ma la società non ha mezzi per acquistarlo. Una fonte nel Ministero ucraino dell’Energia ha spiegato a Kommersant che “Naftogaz” ha già accumulato nei DSG più di 11 miliardi di metri cubi di gas, utilizzando per farlo $1 miliardo dato in estate alla società da Gazprom come anticipo per il transito fino all’inizio del 2015. Inoltre, estrattori ucraini indipendenti e Ostchem ne hanno pompato altri 1,5 miliardi metri cubi ciascuno. L’ultima diventa un importatore di gas russo in Ucraina confrontabile a “Naftogaz”. In gennaio-settembre, stando ai dati del servizio doganale statale ucraino, “Naftogaz” ha acquistato da Gazprom 11,4 miliardi di metri cubi, Ostchem ne ha acquistati 6,8 miliardi. Il nuovo contratto permetterà alla società di Dmitry Firtash di sorpassare “Naftogaz”. Fino all’ultima guerra di gas russo-ucraina, nell’inverno 2009, il signor Firtash fu un partner chiave di Gazprom per la vendita di gas all’Ucraina. All’imprenditore apparteneva il 45% nel trader Rosukrenergo che eseguiva le forniture. Nel corso della sistemazione del conflitto, lo schema con la partecipazione di un intermediario fu dimostrativamente liquidato. Già nel 2011 però Dmitry Firtash fece il suo ritorno a questo mercato. Ha iniziato dalle forniture di gas alle proprie imprese chimiche in Ucraina, ma già nel 2013 ha parzialmente sostituito “Naftogaz”, alle prese con problemi finanziari. Nessuno al mercato fu stupito da questo andamento delle cose, a suscitare domande erano piuttosto i prezzi abbastanza elevati di acquisto di gas che Otschem accettava: erano paragonabili ai prezzi per “Naftogaz”, contestati attivamente dalle autorità ucraine. Ora però tutte le cose sono tornate ai loro posti. Prossimamente sarà soltanto Ostchem ad acquistare gas per i DSG, dicono le fonti di Kommersant, il prezzo per esso ammonterà a $260 per mille metri cubi, mentre il prezzo annuale medio del gas russo per l’Ucraina, stando a quanto si aspetta, sarà a livello di $400 per mille metri cubi. Uno degli interlocutori di Kommersant ha precisato che Gazprom venderà a Ostchem 5 miliardi di metri cubi supplementari della quota dell’anno prossimo (8 miliardi di metri cubi) a condizione che questi saranno pompati nei DSG. Secondo lui, $260 per mille metri cubi è l’attuale prezzo di gas per Ostchem, poiché “questi sono volumi supplementari in più al contratto principale con “Naftogaz”. Group DF, la casa madre di Ostchem, non commenta la situazione. Gli analisti interrogati da Kommersant ritengono che la differenza di prezzo equivalga a dire, per Gazprom, una perdita di circa $700 milioni di ricavo. “È più dell’1% di EBITDA della società che noi ci aspettiamo per la fine dell’anno”, - dice Aleksey Kokin di “Uralsib Capital”. “Sono perdite abbastanza rilevanti per Gazprom, a mio avviso, è una concessione politica all’Ucraina”, aggiunge Serghey Vakhrameyev di “Ankorinvest”. Il capo di East European Gas Analysis, Mikhail Korchemkin, però, non è d’accordo che si tratta di una concessione: “Semplicemente l’Ucraina perderà meno soldi. Per Gazprom, l’affare rimane molto vantaggioso, perché il monopolio, anziché pagare per lo stoccaggio di gas, percepisce utili. Nel periodo di fioritura di Rosukrenergo, Gazprom assicurava a Dmitry Firtash entrate giornaliere di $1 milione”. Anche Ostchem ci guadagna, aggiunge l’esperto, poiché, avute le materie prime a basso costo, alla fine della stagione di riscaldamento la società può venderlo con profitti al mercato interno oppure fornirlo alle proprie imprese, ferme da settembre a causa del calo prezzi per i concimi azotati e delle spese elevate per il gas. Secondo Mikhail Korchemkin, in questo caso “il presidente russo sta utilizzando Firtash per dimostrare i vantaggi che l’Ucraina potrebbe ottenere nel caso dell’adesione all’Unione Doganale”. Autore: Y. Barsukov Taglio: alto Traduzione: Lev Kats Nezavisimaya Gazeta http://www.ng.ru/ Pagina 1/7 – Naftogas minacciata dalla bancarotta – Gazprom potrebbe approfittare degli intrighi degli oligarchi ucraini Gazprom ha diminuito di una volta e mezza il prezzo per il gas che l’Ucraina compra per pomparlo nei depositi sotterranei per le forniture ininterrotte dei consumatori europei in inverno. A Kiev ritengono che ciò sia servito poiché “Naftogaz” non può accumulare le riserve necessarie: a causa del prezzo elevato e anche perché la società nazionale sta rischiando la bancarotta per i pagamenti mancati dei consumatori e dei trader. Il motivo principale della crisi a Kiev, secondo alcuni, è la lotta tra gli oligarchi ucraini per il controllo dei flussi finanziari nel settore energetico. E Gazprom potrebbe approfittare delle conseguenze delle guerre dietro le quinte. Il presidente Vladimir Putin ieri in conferenza stampa ha detto: “Dieci giorni fa le nostre banche – non senza il mio benestare, naturalmente – hanno formalizzato un nuovo prestito a favore dell’Ucraina – 750 milioni di dollari”. “Gazprom invece, sempre con il benestare delle autorità russe, ha accettato di aiutare l’Ucraina a pompare il gas necessario nei depositi con uno sconto: 260 dollari per mille metri cubi”, - ha detto Putin. Il prezzo a cui l’Ucraina acquista il gas russo quest’anno è ammontato, in media, a 400 dollari complessivi dello sconto di 100 dollari per ogni mille metri cubi. L’esperto per le questioni energetiche Valentin Zemlyansky ha spiegato a NG che la decisione di abbassare il prezzo potrebbe essere legato al fatto che “Naftogaz” non aveva semplicemente i mezzi per acquistare le riserve da deposito sufficienti per il transito ininterrotto in Europa. “Aiutando “Naftogaz“ a pompare il gas, Gazprom in questo caso ha aiutato sé stesso a realizzare i contratti con i partner europei”, - ha detto l’esperto. Precisando però che la situazione della società ucraina preoccupa. La settimana scorsa i media ucraine hanno riferito che “Naftogaz” si era rivolto alla Procura Generale con la richiesta di aiuto nella restituzione del debito per la somma di 4,5 milioni di grivnie (più di 500 milioni di dollari). Il monopolio statale è impegnato dall’anno scorso in processi senza successo contro due strutture commerciali che avevano preso il gas per venderlo ma non lo hanno pagato: “GazUcraina-Kommers” e “GazUcraina-Trading”. L’influente quotidiano ucraino “Lo specchio della settimana” ha associato in modo univoco, nella propria pubblicazione, i debitori al nome di Serghey Kurchenko – il più giovane della nuova ondata dei ricchi ucraini, annoverato nella stampa tra le file della “famiglia” del presidente. “A Kurchenko (nel 2012) era stato dato gas dal valore di miliardi di grivnie senza problemi particolari”, - ha riferito il quotidiano. I nomi delle strutture debitrici rassomigliano davvero all’ex nome della società di trading di Serghey Kurchenko “GazUcraina-2009”, ribattezzata in Società di combustibili ed energia Esteuropea (SCEEE). In quest’ultima ai giornalisti ucraini hanno detto ufficialmente che i debitori di “Naftogaz” non avevano né hanno a che fare con il gruppo SCEEE né con il suo fondatore Serghey Kurchenko. Gli esperti ritengono che la situazione in cui due aziende totalmente nuove e sconosciute a tutti hanno ottenuto dal monopolio di Stato del gas da vendere sulla parola d’onore sia esclusa. Il direttore dei programmi energetici del Centro “Nomos” Mikhail Gonchar in un commento a NG ha assicurato che si tratti dei rapporti tra gli oligarchi dell’entourage di Viktor Yanukovich: “Prima questi rapporti furono di competizione e partenariato, ora sono passati nella fase di competizione accanita”. Ha spiegato a NG che dopo l’avvento al potere, nel 2010, della squadra di Yanukovich, a gestire “Naftogaz” sono persone vicine all’imprenditore Dmitry Firtash: “E una situazione stabile della società è negli interessi di Firtash. Ma la situazione ha iniziato a cambiare già da più di un anno”. Secondo Gonchar, al contempo anche la “famiglia” ha rafforzato le proprie posizioni: trattasi della generazione giovane di oligarchi ucraini che compongono un altro gruppo vicino al presidente. Kurchenko ha rinsaldato le posizione nell’energia mentre un altro esponente del gruppo, Serghey Arbuzov, nel dicembre scorso fu nominato primo vice premier. Mikhail Gonchar ha rilevato un altro aspetto: la società di Firtash, Ostchem Holding, fornisce in Ucraina gas russo, di fatto aiutando “Naftogas” ad adempiere agli impegni contrattuali di fronte a Gazprom. SCEEE di Serghey Kurchenko invece, così come DTEK di Rinat Akhmetov, ha avuto il diritto di eseguire contratti con il trader tedesco RWE Supply&Trading per le forniture reversibili di gas che suscitano sospetti e irritazione nella parte russa. In una certa fase, dice l’esperto, è iniziata la lotta per le sfere d’influenza e i flussi finanziari: “I giovani hanno capito in fretta che la riorganizzazione annunciata di “Naftogaz” apre la strada non solo al controllo sul sistema di trasporti di gas (STG) ma anche agli asset notevoli nel settore delle estrazioni. La sola “Ucrgazdobycha” dà 15 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Ci sono anche altri asset che fanno gola. La linea adottata fu quella di affondare “Naftogaz” in debiti”. […] Autore: T. Ivzhenko Taglio: alto Traduzione: Lev Kats