Giornale del 15/11

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Giornale del 15/11
www.andropos.eu
Notiziario
IL PARLARE SENTENZIOSO E GNOMICO
DELLE PERSONE DI UN TEMPO CHE FU
DI ALBERTO MIRABELLA
http://rosemaryok.skyrock.com/
Sommario:
* Vaccino antinfluenz.
* Diversamente abili
* Esopo
* Mafalda di Savoia
* Peppa
* Proverbi e …
* Parole difficili
* Ovidio:Ars amandi
* Come ragionano …
* Vero o falso
* Consigli utili
* Piatti Tipici campani
* Pontecagnano
* I lirici greci
* Leviora
* Mitologia: Acheronte
* Angolo della poesia
Giornale n.ro 20
del 15/11/08
Mia suocera Carmela, verace napoletana, apparteneva
a quella generazione a cavallo tra il 1910 e il 1915 che,
pur non avendo ricevuto un’ istruzione che andase al di
là della scuola elementare, possedeva una saggezza
che derivava dalla viva esperienza di vita vissuta intensamente e non senza difficoltà. Soprattutto se si pensa
agli anni della seconda guerra mondiale e alla carenza alimentare
tipica del periodo bellico e postbellico. Il suo parlare era colorito e
ricco di espressioni proverbiali e modi di dire napoletani; tra l’altro
le sue origini erano proprio di Napoli, quartiere San Carlo Arena.
Non so proprio come facesse ad azzeccare secondo le diverse
circostanze tristi o liete i motti più disparati, che rendevano il suo
dire molto efficace e di facile presa sull’ascoltatore.
Voglio qui riportare alcuni di questi modi di dire che lasciano
trasparire una saggezza popolare partenopea attraverso le aspresioni più tipiche che riguardano realtà poliedriche. Ma la cosa più
sorprendente mi capitò pochi giorni dopo la sua dipartita, avvenuta a fine agosto 2005, perché trovandomi a mangiare fuori casa,
sul tavolo (cosa tipica di quel ristorante) vi era la seguente aspresione:
’A VOCCA É NU BELLU STRUMENTO PE L'OMME
che starebbe a significare che un individuo a parole può dire
quello che gli sembra opportuno e utile per lui, ma non per questo
può credere di convincere o prendere in giro il prossimo. Sarebbe un modo di chi parla retoricamente, intendendo per retorica
non “ l’ars bene dicendi civilibus quaestionibus ad persuadendum
bona iusta”(1) di un tempo et, ma il
PARLÀ’ A SCHIOVERE
Parlare a vanvera, quasi a pioggia battente. Detto di chi, non
avendo nulla di serio e costruttivo da comunicare, dà libero sfogo
alla lingua e a mo' di pioggia inonda il prossimo di vuote parole
senza significato e/o costrutto, a ruota libera ed intoppotunamente. Al che mi dissi: ecco come una persona sopravvive alla
sua scomparsa tramite la sua colorita ed indimenticabile modalità
espressiva. Ma tra i motti più coloriti e forti c’era il seguente:
SCIORTA E …ZZO ’NCULO BIATO CHI L’AVE
Il cui significato ovviamente era questo: felice chi ha un colpo
inaspettato di fortuna. Che si dice anche in altra forma: TIENE ’O
MAZZO SCASSATO oppure TIENE ’O CULO RUTTO
1
Il termine “sciorta” sta ad indicare la fortuna. Il proverbio speculare invece è il seguente:
’A SCIORTA D’ ’O PIECURO
La sorte dell’agnello, che nasce con le corna e muore ucciso. Riferito, evidentemente a
persone particolarmente sfortunate. Per parlare poi di chi è sfortunato si diceva:
’A SCIORTA ’E CAZZETTA: IETTE A PPISCIÀ E SE NE CARETTE
Che sfortuna che nell’andare a mingere se ne cadde . Ecco poi il riferimento genetico ai
disturbi patologici :
JETTECHE E PPAZZE VENENO ’E RAZZE
Tisi e pazzia sono ereditarie. Come si vede, c’è sempre un proverbio giusto per ogni situazione,
a volte ne diciamo uno piuttosto che un altro o addirittura ne diciamo più di uno ma con
lo stesso riferimento. Un altro motto che ancora mi risuona nelle orecchie era il seguente:
DALLE E DALLE PURE ’O CUCUZZIELLO ADDEVENTA TALLO
Dai e dai finchè la zucchina diventa foglia. Si veda in merito la commedia di Raffaele
Viviani: Festa di Piedigrotta, Sagra popolare in due atti (2) - Napoli 1919, in cui leggiamo i
seguenti versi:
Dice o pato(3): «E dalle e dalle(4 ) e
‘o cucuzziello addeventa tallo(5) ».
Pure a mamma, arapenno(6) e braccia
dice:« Scuorno(7) pe’ chesta faccia!».
Qualora poi poteva verificarsi un avvenimento poco piacevole la stessa cosa la si
augurava ad una persona antipatica o che aveva arrecato un’offesa:
CHE T’AGGIA DICERE: NO COMM’A MME MA CCHIÙ PEPERE ’E ME
Ti deve accadere qualcosa peggiore della mia. Comica e con un velo di rimpianto
l’espressione:
QUANNO ’E FIGLI FOTTONO ’E PATE SO’ FFUTTUTI
quando i figli fottono, i padri sono fottuti…Il senso è: allorché i figli hanno raggiunto la
maturità sessuale i genitori sono al declino.
(continua)
_____________
Tocco semantico:
VOCCA:dall’acc.latino bucca(m), con evoluzione iniziale di labiale b>v. Modi di dire:
vòcca ‘e curàlle, vòcch’e zùcchere, vòcca traditòre, vòcca ‘nfàme, vòcca ‘ncantatòra.
STRUMENT:dall’acc. latino (in)strumentu(m), con aferesi iniziale.
SCHIOVERE: da piovere, con s privativa ed evoluzione di labiale in gruppo gutturale.
SCIORTA:dall’acc, latino sorte(m) con evoluz. di s in sc palatale.
CAZZO: dal gr. (α)
α)κ
τιο(
α)κάτιο
τιο(ν), (albero),con aferesi iniziale, katio, ed evoluzione di dentale
in doppia z. Derivati: ‘ncazzàte, scazzàte, ‘ncazzamiente, ncazzùse. Composti: scassa
cazze, magnacàzze, rompicàzze.
MAZZO: dall’acc. Lat. matia(m), traslato in matio e poi mazzo,per evoluzione di dentale in doppia z. Dericati: scassamàzz.
JÈTTECHE: dal greco εχτικóσ
εχτικ σ, cioè abituale, riferito alla febbre.
CUCUZZIELLO: diminutivo da cocozza; accusativo dal tardo latino cucutia(m).
FOTTERE : dal lat. futūere, con ependesi di vocale e radd.consonantico. Derivati:
futtute, futtimiénte, sfuttute (con s privativa)
PATE: dal latino pater, con ependesi finale, padre. Composti: pàteme, pàtete.
PÈPERE: dal perf. Lat. di pāreo, pēperi, nel senso di doloroso(come i dolori del parto).
2
SCUORNO: vergogna, di chi ha sbagliato ed è stato scoperto, come scornato; etimologicamente dal latino cornu-us preceduto da “s” privativa. Derivati e composti
: scurnàte, scurnacchiàte, scurnùse, scurnamiénto.
Tocco etnoantropologico:
I proverbi ed i detti, tramandati da una memoria collettiva, rappresentano la filosofia di
una terra che tra guerre, terremoti, eruzioni ed epidemie, ha affinato le armi della
tenacia e dello spirito di conservazione, prendendo dalla propria fisicità quella forza
necessaria ad alimentare lo spirito di sopportazione, quello che porta ad esclamare:”Tira a campà!”. In tale ottica, i termini di rutte, scassàte, sono visti in chiave
trasfigurata, nel senso di faciltà funzionale, di libertà operativa, senza ostacoli o
impedimenti. Allo stesso modo, il sesso maschile diviene sinonimo piacere, inteso
come evasione dalla realtà, dove la sorte (sciorta) è avara e lo stesso godimento si
paga con i dolori del parto. È visto tutto al femminile, perché le donne avevano
l’occasione e lo spirito di commentare nei cortili con altre comari. Anche i sentimenti
approdano nella fisicità, che segue le sorti alterne della vita, intervenendo là dove
occorre evidenziare un successo, o un insuccesso, una disgrazia, una scomparsa, la
fine di un sogno, o una speranza delusa:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
scuòrne pe’ chésta fàcce
màzzè scassàte
cùlu rùtte
‘a vòcca è nù bellu strumènto
‘e pate so futtùte
‘o cane mozzeche ‘o stracciate
‘ncòpp‘o cuòtte ll’acqua vullùte
‘o sventuràte ‘àve ‘e càvece ‘ncùle pure assettàte
Puòzz’avé ‘a scòrta da malafemmena
L’efficacia del dialetto, che rappresenta la vera eredità delle nostre radici greco-latine,
fa il resto: pìzzeche ‘e vase nu’ fanne pertòse – ‘e figlie so’ piézze ‘e core – nisciùna
fémmena ‘a tène d’òro –
Note
1 Trad. it.: La retorica è l’arte di parlare bene nelle dispute civili per persuadere gli altri alle cose
buone e giuste . Cfr. DE RHETORICA ET DIALECTICA, di Isidoro s Hispalensis (~ 560 - 636),
archiepiscopus, sanctus, doctor Ecclesiae.
2 R. VIVIANI, Il Teatro, Guida, Napoli 1988
3 Pato, padre
4 Dalle e dalle, dagli e ridagli
5 ‘o cucuzziello addeventa tallo, lo zucchino diventa germoglio
6 arapenno, aprendo
7 scuorno, vergogna
3
I DIVERSAMENTE ABILI
_x ÑtÜÉÄx áÉÇÉ Ät Ñ|∞ ÑÉàxÇàx
wÜÉzt wxÄ zxÇxÜx uÅtÇÉ ;^|ÑÄ|Çz<
Quel grande attore che fu Tino Scotti reclamizzava un noto confetto lassativo col motto :”Basta la parola”.
Nel nostro pittoresco paese si crede da sempre di cambiare la
realtà cambiando le parole.
Così, ad esempio, gli spazzini son diventati operatori ecologici, i
sacrestani operatori liturgici, i bidelli collaboratori scolastici, i carcerati reclusi, le
cameriere colf, i pederasti diversi; i paesi che muoiono di fame son definiti paesi
in via di sviluppo e gli studenti invece di venir bocciati sono non ammessi alla
classe successiva.
Sulla Gazzetta Ufficiale di alcuni anni fa venne bandito dall’Amministrazione delle Poste un concorso per operatori d’esercizio, alias fattorini!
Ma il nominalismo si è accanito maggiormente là dove la sorte è stata più
crudele: sui minorati fisici e psichici.
Si incominciò col chiamare non vedenti i ciechi ed non udenti i sordi, si
continuò col definire tutti i disabili, quale che fosse la minorazione, portatori di
handicap ( specie di sherpa nostrani), quindi persone in situazione di handicap
ed, infine, diversamente abili.
La litote, si sa, come l’eufemismo, è la vaselina del pensiero: anche chi
scrive ne fa uso e si dichiara diversamente giovane!
A quando i contadini saranno chiamati scultori della terra ed i calzolai
chirurghi della locomozione?
Gli infermieri, da parte loro, son detti da parecchio paramedici.
Ho letto di un contadino siciliano che trovandosi in ospedale davanti ad
una persona in camice bianco esclamò:” Chiddu para medicu, ma nun è ”.
exÇtàÉ a|vÉwxÅÉ
CONFETTO FALQUI?
BASTA LA PAROLA!
4
LA DONNA NELLA LETTERATURA
LA PEPPA
Un sogno pericoloso
LA HISTORIA […]Parecchi anni or sono, laggiù lungo il Simeto, davano la caccia a un
brigante, certo Gramigna, se non erro, un nome maledetto come l'erba che lo porta, il quale da
un capo all'altro della provincia s'era lasciato dietro il terrore della sua fama. Carabinieri,
soldati, e militi a cavallo, lo inseguivano da due mesi, senza esser riesciti a mettergli le unghie
addosso: era solo, ma valeva per dieci, e la mala pianta minacciava di moltiplicarsi. Per giunta
si approssimava il tempo della messe, tutta la raccolta dell'annata in man di Dio, ché i
proprietarii non s'arrischiavano a uscir dal paese pel timor di Gramigna; sicché le lagnanze
erano generali.
Il prefetto fece chiamare tutti quei signori della questura, dei carabinieri, dei compagni d'armi, e
subito in moto pattuglie,squadriglie, vedette per ogni fossato, e dietro ogni muricciolo: se lo
cacciavano dinanzi come una mala bestia per tutta una provincia, di giorno, di notte, a piedi, a
cavallo, col telegrafo. Gramigna sgusciava loro di mano, o rispondeva a schioppettate, se gli
camminavano un po' troppo sulle calcagna. Nelle campagne, nei villaggi, per le fattorie, sotto
le frasche delle osterie, nei luoghi di ritrovo, non si parlava d'altro che di lui, di Gramigna, di
quella caccia accanita, di quella fuga disperata. I cavalli dei carabinieri cascavano stanchi
morti; i compagni d'armi si buttavano rifiniti per terra, in tutte le stalle; le pattuglie dormivano
all'impiedi; egli solo, Gramigna, non era stanco mai, non dormiva mai, combatteva sempre,
s'arrampi-cava sui precipizi, strisciava fra le messi, correva carponi nel folto dei fichidindia,
sgattaiolava come un lupo nel letto asciutto dei torrenti. Per duecento miglia all'intorno,
correva la leggenda delle sue gesta, del suo coraggio, della sua forza, di quella lotta disperata,
lui solo contro mille, stanco, affamato, arso dalla sete, nella pianura immensa, arsa, sotto il
sole di giugno. Peppa, una delle più belle ragazze di Licodia, doveva sposare in quel tempo
compare Finu «candela di sego» che aveva terre al sole e una mula baia in stalla, ed era un
giovanotto grande e bello come il sole, che portava lo stendardo di Santa Margherita come
fosse un pilastro, senza piegare le reni. La madre di Peppa piangeva dalla contentezza per la
gran fortuna toccata alla figliuola, e passava il tempo a voltare e rivoltare nel baule il corredo
della sposa, «tutto di roba bianca a quattro» come quella di una regina, e orecchini che le
arrivavano alle spalle, e anelli d'oro per le dieci dita delle mani: dell‘ oro ne aveva quanto ne
poteva avere Santa Margherita, e dovevano sposarsi giu-sto per Santa Margherita, che
cadeva in giugno,dopo la mietitura del fieno.«Candela di sego» nel tornare ogni sera dalla
campagna,lasciava la mula all'uscio della Peppa, e veniva a dirle che i seminati erano un
incanto,se Gramigna non vi appiccava il fuoco,e il graticcio di contro al letto non sarebbe
bastato a contenere tutto il grano della raccolta, che gli pareva mill'anni di condursi la sposa in
casa, in groppa alla mula baia. Ma Peppa un bel giorno gli disse:
- La vostra mula lasciatela stare, perché non voglio maritarmi -.
Figurati il putiferio! La vecchia si strappava i capelli, «Candela di sego» era rimasto a bocca
aperta. Che è, che non è, Peppa s'era scaldata la testa per Gramigna, senza conoscerlo
neppure. Quello sì, ch'era un uomo! - Che ne sai? -Dove l'hai visto? - Nulla. Peppa non rispondeva
neppure, colla testa bassa, la faccia dura, senza pietà per la mamma che faceva come una pazza,coi
capelli grigi al vento, e pareva una strega.
- Ah! quel demonio è venuto sin qui a stregarmi la mia figliuola! –
Le comari che avevano invidiato a Peppa il seminato prosperoso, la mula baia,e il bel
giovanotto che portava lo stendardo di Santa Margherita senza piegar le reni, andavano
dicendo ogni sorta di brutte storie, che Gramigna veniva a trovare la ragazza di notte in
cucina, e che glielo avevano visto nascosto sotto il letto.
5
La povera madre teneva accesa una lampada alle anime del purgatorio, e persino il curato era andato in casa di Peppa, toccarle il cuore colla stola, onde
scacciare quel diavolo di Gramigna che ne aveva preso possesso. Però ella
seguitava a dire che non lo conosceva neanche di vista quel cristiano; ma inveice pensava sempre a lui; lo vedeva in sogno, la notte, e alla mattina si levava
colle labbra arse, assetata anche essa, come lui. Allora la vecchia la chiuse in
casa, perché non sentisse più parlare di Gramigna, e tappò tutte le fessure
dell'uscio con immagini di santi. Peppa ascoltava quello che dicevano nella strada, dietro le
immagini benedette, e si faceva pallida e rossa, come se il diavolo le soffiasse tutto l'inferno
nella faccia. Finalmente si sentì che avevano scovato Gramigna nei fichidindia di Palagonia.
- Ha fatto due ore di fuoco! - dicevano; - c'è un carabiniere morto, e più di tre compagni d'armi
feriti. Ma gli hanno tirato addosso tal gragnuola di fucilate che stavolta hanno trovato un lago di
sangue dove egli era stato -.
Una notte Peppa si fece la croce dinanzi al capezzale della vecchia e fuggì dalla finestra.
Gramigna era proprio nei fichidindia di Palagonia - non avevano potuto scovarlo in quel
forteto da conigli – lacero, insanguinato, pallido per due giorni di fame,arso dalla febbre, e colla
carabina spianata.
Come la vide venire, risoluta, in mezzo alle macchie fitte, nel fosco chiarore dell'alba, ci pensò
un momento, se dovesse lasciar partire il colpo.
- Che vuoi? - le chiese. - Che vieni a far qui? Ella non rispose, guardandolo fisso.
- Vattene! - diss'egli, - vattene, finché t'aiuta Cristo! - Adesso non posso più tornare a casa, rispose lei; - la strada è tutta piena di soldati. -Cosa m'importa? Vattene! –
E la prese di mira colla carabina. Come essa non si moveva, Gramigna, sbalordito, le andò
coi pugni addosso:
- Dunque?... Sei pazza?... O sei qualche spia?
- No, - diss'ella, - no!
- Bene, va a prendermi un fiasco d‘ acqua, laggiù nel torrente, quand'è così -.
Peppa andò senza dir nulla, e quando Gramigna udì le fucilate si mise a sghignazzare, e
disse fra sé:
- Queste erano per me -. Ma poco dopo vide ritornare la ragazza col fiasco in mano, lacera e
insanguinata. Egli le si buttò addosso, assetato, e poich'ebbe bevuto da mancargli il fiato, le
disse infine: - Vuoi venire con me? - Sì,- accennò ella col capo avidamente, - sì -.
E lo seguì per valli e monti, affamata, seminuda, correndo spesso a cercargli un fiasco d'acqua
o un tozzo di pane a rischio della vita. Se tornava colle mani vuote, in mezzo alle fucilate, il
suo amante, divorato dalla fame e dalla sete, la batteva.
Una notte c'era la luna,e si udivano latrare i cani, lontano, nella pia-nura. Gramigna balzò in
piedi a un tratto, e le disse:
- Tu resta qui, o t'ammazzo com'è vero Dio! –
Lei addossata alla rupe, in fondo al burrone, lui invece a correre tra i fichidindia. Però gli altri,
più furbi, gli venivano incontro giusto da quella parte.
- Ferma! ferma! –
E le schioppettate fioccarono. Peppa, che tremava solo per lui, se lo vide tornare ferito, che
si strascinava appena, e si buttava carponi per ricaricare la carabina.
- È finita! - disse lui.- Ora mi prendono -e aveva la schiuma alla bocca,gli occhi lucenti come
quelli del lupo. Appena cadde sui rami secchi come un fascio di legna, i compagni d'armi gli
furono addosso tutti in una volta.Il giorno dopo lo strascinarono per le vie del villaggio, su di
un carro, tutto lacero e sanguinoso. La gente gli si accalcava intorno per vederlo; e la sua
amante, anche lei, ammanettata, come una ladra, lei che ci aveva dell'oro quanto Santa
Margherita! La povera madre di Peppa dovette vendere «tutta la roba bianca» del corredo, e
gli orecchini d'oro, e gli anelli per le dieci dita , onde pagare gli avvocati di sua figlia , e
tirarsela di nuovo in casa, povera, malata, svergognata, e col figlio di Gramigna in collo.
6
In paese nessuno la vide più mai. Stava rincantucciata nella cucina come una bestia feroce,
e ne uscì soltanto allorché la sua vecchia fu morta di stenti, e si dovette vendere la casa.
Allora, di notte, se ne andò via dal paese, lasciando il figliuolo ai trovatelli, senza voltarsi
indietro neppure,e se ne venne alla città dove le avevano detto ch'era in carcere Gramigna.
Gironzava intorno a quel gran fabbricato tetro, guardando le infer-riate, cercando dove potesse
esser lui, cogli sbirri alle calcagna, in-sultata e scacciata ad ogni passo. Finalmente seppe
che il suo amante non era più lì, l'avevano condotto via,di là del mare,ammanettato e colla
sporta al collo. Che poteva fare? Rimase dov'era, a buscarsi il pane rendendo qualche servizio ai soldati, ai carcerieri, come facesse parte ella stessa di quel gran fabbricato tetro e
silenzioso.Verso i carabinieri poi,che le avevano preso Gramigna nel folto dei fichidindia,
sentiva una specie di tenerezza rispettosa, come l'ammirazione bruta della forza,ed era
sempre per la caserma, spazzando i cameroni e lustrando gli stivali,tanto che la chiamavano
«lo strofinacciolo della caserma». Soltanto quando partivano per qualche spedizione rischiosa,
e li vedeva caricare le armi,diventava pallida e pensava a Gramigna.
[Giovanni Verga]
Riduzione in versi,della celebre novella del Verga
“ l’Amante di Gramigna” , di Franco Pastore.(*)
PROLOGO
E scalpitava lì,
sul suol dell’aia,
di compar Finu
la sua mula baia.
Iddio colorava
l’aria bruna,
coi tenui raggi
della bianca luna
Rifiutava la Peppa
oro e vigna,
scegliendo, per amor,
il rio Gramigna.
Ed una notte,
di quel caldo giugno,
corse tra i fichidindia
dietro al sogno.
Senza pensar lontano,
né all’onore,
tra nudi sassi
ricercò l’amore,
il fiato le mancava
tra corsa e passi
come una bestia
ne seguì l’odore
Guardando il cielo
tra la costa e il tiglio,
per amore del padre,
si staccò dal figlio.
Divenne del bandito
la compagna,
lacera e nuda
su per la montagna.
Finì così,
lasciandosi campare,
vivendo solamente
col sognare,
Di notte lo scaldava
col suo amore,
di giorno lo seguiva
con terrore.
EPILOGO
Ma un dì, lungo il Simeto,
come lupa,
fu presa la selvaggia,
e restò cupa.
Finirono le gesta
del Gramigna
La Peppa, triste,
ritornò alla vigna.
senza il suo cuore
perso in una notte
lì nel burrone,
tra le cave grotte.
______
*) Da “Un unico grande sogno”
di F.Pastore – 2006
PREMERE IL BOTTONE PER IL
VIDEOMUSICALE DEI VERSI
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7
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DAGLI APPUNTI DI DORA: DETTI ANTICHI E MODI DI DIRE
Dora Sirica
ARTCUREL
Antonio della
Rocca
IMPULSEART
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POETILANDIA
http://www.poetilandia.it/
La città dei
nuovi autori
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- ‘A gallina se spenna quann’è morta, l’òmmo,invece, se spenna quanno è vivo.
- Chi è curnuto e vo’ sta buòne, piglia ‘o munno cùmme vène.
- Dicette pullecenella: quanne siénte ‘o fiéte ‘e cutògne, a fujì
nunn’è briògna.
- ‘A fémmena è cumme ‘a vrasera, s’ausa sule ‘a sera. Essa è
comm’a campana: si nunn’a tuculje nu’ sona.
TRADUZIONE:
Luomo, è utile da vivo, solo le galline, da morte, pos- sono essere
mangiate.In ogni caso, non è conveniente arroventasi; la vita conviene
prenderla come viene.Anche la donna, alla fine, ha più considerazione
quando ti riscalda, a patto che venga ben stimolata
ASPETTI SEMANTICI, IMPLICANZE GRECO LATINE:
Spenna:
(verbo transitivo, da spennà: togliere le penne) dal latino sine-Pinna;
sine si è ridotta in “s” privativa e pinnam (piuma) ha implicato anche
pennam (ala). Il risultato è: ridotto senza penne: cioè spennato se
riferito ad uccello, ma col significato di impoverito, rapinato delle sue
sostanze, che ha perso i capelli, malridotto econo-micamente se usato
in senso metaforico. Derivati: spennacchiate,spennàte.
Ommo:
(nap. Òmm, sostantivo maschile) uomo. Etimologia: dal nominativo
latino homo con raddoppio (come in cammìsa). Usato anche in
modalità alterata: omminìcchio (uomo che vale poco), ommenòne (sia
nel senso di uomo grosso, che di grande uomo, uomo di valore). Modi
di dire: ‘a schifèzze ‘e l’uommene – ‘omme quèquere, quacquaraquà –
òmme ‘e mmèrd – ‘a chiàvica ‘e ll’uòmmene – ‘omme e ddùi sorde – ‘o
cazz’e l’uòmmene – òmme senza pall.
Curnùto:
(aggettivo e sostantivo; portatore di corna) dal latino cornutus - a um. In Varrone ed in Plinio, troviamo cornuta- ae (sost. femm.), col
significato di bestia cornuta ed anche una specie di pesce. A volte è
usato anche col significato di dritto, il cattivo della situazione, il
malvagio. Modi di dire: piècoro curnute – cchiù còrne ‘e nu camion ‘e
marùzze – fai piglià scuòrne ‘a ‘nu vòie – tiène e ccòrne a turcigliòne.
In poesia: ‘Nce stanne cchiù curnùte ncòpp’a terra,
ca stelle ‘nciéle e sante ‘mparavìse;
curnute cuntiénte e chìlle ca so’in guerra,
curnùte puveriélle e chìlle senza cammìse.
Senza cuntà tutt’è curnùte ‘e còre
senz’accurtènza e pure senz’onore,
ca vèvene ‘o sanghe e tanta gènte
e ncòpp’’o munne, so’ ll’èvera malamènte. (andropos)
8
SITO DEGLI
AUTORI
EMERGENTI
Prof. B. Bruno di
Cava de' Tirreni
___________
http://balbruno.alt
ervista.org/index80.html
ALTRA MUSA
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http://www.altramusa.com/
REKSTORY
http://www.rekstory.com/public/search/q/franco pastore/c/
http://www.partecipiamo.it
Munno:
mondo (sost. Maschile) da mundus latino, con ependesi centrale e raddoppio di consonante. Modi di dire: munne jèra munne jè - munne ‘e
‘na vòta.
Pullecenella:
Pulcinella, maschera napoletana, inventata ufficialmente dall’attore
Silvio Fiorillo, nella seconda metà del Cinquecento. Le origini di
Pulcinella sono però molto più antiche: esse risalgono al IV secolo e
forse ricalcano“Maccus”, personaggio delle Atellane che si esprimeva
in un dialetto campano, l’osco (le Fabulae Atellanae sono nate nel IV
secolo nell'antica Atella, una città osca e poi romana a sud di Capua).
Maccus, infatti, rappresentava una tipologia di servo dal naso lungo e
la faccia bitorzoluta, ventre prominente, che indossava una camicia
larga e bianca e il volto era coperto da mezza maschera.. Altri fanno
risalire la maschera a Kikirrus, una maschera teriomorfa (il nome ci
riporta al verso del gallo). Quest'ultima maschera ricorda più da
vicino la maschera di Pulcinella; infatti, Pulcinella, etimologicamente
si rifà a Pullicinu(m), che in tardo latino si evolve in pollicenu(m),
infatti, il naso della mashera ricorda il becco di un pulcino.
Metaforicamente:nel senso di pagliaccio, poco serio,senza personalità.
Pulcinella in poesia:
P
A
RT
CIIP
AM
MO
PA
TE
E
PIIA
O..IIT
T
AR
EC
Polecenella è triste
lo dice d’ogne lato
ma quello fa l’insisto
pe n’essere accoppato.
IITTA
AM
MB
BU
UR
RA
AN
NO
OVVA
A
ErmannoPastore
voce e tammorre
Nuccia Paolillo
voce e ballo
Cristiana Cesarano
voce e ballo
Michele Barbato e
Giovanni del Sorbo
chitarre
A. Benincasa
Bassoa custico
Pasquale
Benincasa
percussioni
Enrico Battaglia
mandolino e violino.
Pulicenella è furbo
e chesto non se pegne;
ma pe n’avè disturbo
chillo fa marcangegna.
Polecenella è smocco
credono pe sta terra;
ma chillo fa lo locco
pe non ghire a la guerra.
(“Diz.napol. –toscano,
D’Ambra, 1873”)
Fiéte:
(sost.
e v.) puzza; dal lat. foeto(r); sinon.: puzz, loffa, addora.
Briògna nap. Vriògna
(sost.fem.con labiale iniz.var.) vergogna.Etim.Alterazione dell’italiano vergogna, per epentesi iniziale e trasformazione di “g” in “i”.
L’origine comune è la radice latina verecondia(m), con passaggio
di nd in nnj divenuto gn.
Vrasèra:
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RR
RA
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femminile di vrasiére, braciere, da brace, in arc. vrasa, con
suffisso “iere” (al maschile) e “èra” (al femminile).
Tuculje:
come tuculare, tucculare, tuccare, tuculiare, col significato di scuotere,
con garbo.Tutti dalla radice greca τύπτω(tupto): colpire, percuotere, battere, scuotere. Derivati: tuccata, tuculiàta, tuculata.
9
COME RAGIONANO LE DONNE
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l’arte
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Sono millenni che l’uomo, nella sua presunzione tipica del maschio, non si è mai
posto il problema di analizzare l’universo femminile, il modo di vedere le cose
dell’altro sesso. Un dato è certo, nonostante per secoli la donna non abbia avuto voce
in capitolo, nonostante le abbiano negato un’anima, considerandola al pari delle
bestie, nonostante sia stata violentata, maltrattata e sfruttata per il piacere dell’uomo,
ella è rimasta al suo posto, lottando con i denti e non solo con quelli (voglio dire anche
con le unghie) per la conquista di una sua dignità e di un suo spazio vitale. Non
abbiamo mai compreso che il suo è un universo a parte, molteplice e misterioso, ricco
di implicanze psicologiche inimmaginabili ed in questa rubrica, tra il serio ed il faceto,
cercheremo di evidenziarne alcuni aspetti. Forse, potrebbe servire a migliorare il rapporto tra i due sessi…
Quel che appare
Per l’uomo tre sono le cose importanti: Battersi, bere (o gioco, o calcio) e far l’amore.
Per la donna; battersi, realizzarsi e divertirsi, facendo l’amore.
L’uomo scapolo è un pavone, fidanzato è un leone, ammogliato è un
asino.
La donna signorina è come il miele, fidanzata diventa principessa,
sposata è una strega, che chiamano signora.
L’uomo si ferma alla apparenze, la donna arriva fino alle brache (anonimo).
Cosa pensano le donne degli uomini:
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- Gli uomini non sono mai buoni giudici delle qualità che le donne
trovano in un altro uomo.
- L’ uomo bello è gradevole allo sguardo, l’ uomo saggio e buono è
sempre bello (Saffo)
- E’ considerato perbene quell’uomo che ricorda il compleanno di una
signora, ma dimentica la sua data di nascita.
- L’uomo geloso è sempre quello che ha più corna.
- Gli uomini sono creature dotate di due piedi, due gambe ed otto mani. (Jayne Mansfield).
-Se Dio ha creato tutti gli uomini uguali, di chi fidarsi? (Joan Collins).
- Esistono solo due categorie di uomini: i morti ed i letali (H.Rowland)
- Col fuoco si prova l’ oro, con l’ oro la donna, con la donna l’ uomo.
(Saffo)
- Se “tota mulier est in utero, homo totus in pēne est.(anonimo)
- Dio fece il maschio,poi disse che poteva fare di meglio e fece la donna. (Adela Rogers St.John).
- L’ uomo nasce allo stato selvaggio, ma viene addomesticato quando
diventa marito. (anonimo del 700)
- Una donna impiega 20 anni per fare di suo figlio un uomo, occorrono
venti minuti ad un’altra donna per farne uno sciocco, (Helen Rowland)
Riflessioni e commenti:
- Quando deve morire la moglie, è meglio che stia bene il marito. (saggezza dell’agro sarnese-nocerino)
- Povera casa, dove la gallina canta ed il gallo tace!. (prov. Inglese)
10
L’ARS AMANDI
“L’ARTE DI FAR L’AMORE”
PUBLIO OVIDIO NASONE
Publius Ovidius Naso nacque a Sulmona, il 20 marzo del 43 a.C.. Nel suo
tentativo di moralizzazione dei costumi, Augusto cercò di distruggere l’ Ars
amatoria di Ovidio,ma questa sopravvisse. Il disinteresse e l’ignoranza dei
nostri giorni considerano i classici come nozionismo sterile, tuttavia” l’arte di amare”
del No-stro è ancora un bestseller. Ovidio ebbe il coraggio di porre, tra tanti poemi
didascalici, il suo, che scienti-ficamente introduce all’arte del corteggiamento e
dell’amore. In tre libri di distici finis-simi, di melodiosa lettura per chi ancora ama il
latino, Ovidio traccia una mappa attenta e completa dei luoghi, degli atteggiamenti,
degli approcci e delle parole che un uomo (libro II) ed una donna (libro III) devono
utilizzare per far breccia nel cuore dell’essere amato. Nulla è lasciato al caso: con
introspezione, egli analizza il comportamento umano, ricercandone quel quid, che
rende sempre attraente qualcuno e sempre repellente qual-cun altro. L’amore non ha
cose impossibili:prima tuae menti veniat fiducia,cunctas posse capi:capies, tu modo
tende plagas.
Liber secundus
“nulla gloria petenda est sui peccati: non ci si deve gloriare del peccato”
(Traductio ad sensum di parti scelte, a cura di Franco Pastore)
349/414 - Quando non potrà più fare a meno di te, allora potrai darti una tregua, perché la tua
assenza la farà stare in ansia ed allra che varrà il seme gettato: Fillide bruciò d’amore, quando
Demofoonte(1 ) dette la vela al vento; e così fece penelope per l’assenza del furbo Ulisse e
Laodamìa (2) per la lontananza del nipote. Ma bada che le assenze siano brevi, altrimenti la
pena s’allenta, l’assente svanisce ed un altro subentra. Fi l’assenza di Menelao (3) a spingere
Elena nel letto dell’ospite. Lasciare l’ospite con tua moglie, è come affidare timide colombe ad
uno sparviero…che colpa ha Elena se ha paura di dormire da sola e si avvale della galanteria
di Paride? Colpa di Menelao che si è allontanato. Ciò non significa che l’uomo deve vivere
nella preoccupazione della vendetta della moglie e rifiutare altri contatti d’amore. Giove me ne
guardi! Divertitevi pure tenendo la colpa nascosta, perché nulla gloria petenda est sui peccati
(non ci si deve gloriare del peccato commesso). Allora, non dare appuntamento a più donne
nello stesso luogo, sappi scrivere messaggi che non fanna capire nulla. Non suscitare l’ira
della tua donna, o ti ripagherà con la stessa moneta. Finchè ad Agamennone bastò
Clitennestra (4) soltanto, anch’ella fu casta, ma quando seppe che nel suo letto erano
entrate:Criseide (5), Briseide (6) e la medesima figlia di Priamo, Cassandra, allora, la figlia di
Tindaro diede ad Egisto il suo letto e la sua anima, facendo in tal modo vendetta. Nelle
scappatelle, sii naturale, ne meno o più gentile del solito, sarebbe un chiaro segno di
colpevolezza. Sed ne parceri tuo latere: tuttavia non risparmiare le reni, devi dimostrare a letto
che non hai già gustato i piaceri di Venere. (continua)
----------------1) La principessa trace Filide, si suicidò quando Demofoonte si imbarcò per far ritorno in patria.
2) Laodamia sposò Protesilao, che perse la vita nella guerra di Troia.
3) Elana, in assenza di Menelao, lo tradì con Paride e fuggì con lui a Troia.
4) Egisto fu l’amante di Clitennestra, moglie di Menelao, che lo uccise al suo ritorno da Troia.
5) Criseide, figlia del sacerdote di Apollo Crise. Il padre chiese al dio vendetta e fu la morte tra i greci.
6) Briseide, schiava d’Achille, per lei l’eroe si ritirò dalla lotta ed i greci conobbero la sconfitta.
11
Salerno, una provincia da scoprire
Pontecagnano Faiano è saldata al quartiere di Fuorni ed alla
zona industriale del capoluogo, ad est della periferia di Salerno.
Faiano dista circa 4 km da Pontecagnano e sorge in collina, sulla
strada verso Montecorvino Pugliano ed a ridosso dei Monti Picentini.
L'area urbana di Pontecagnano si sviluppa lungo la Strada Statale 18
ed è ormai contigua con la frazione di S.Antonio. La cittadina dista dal
centro di Salerno 8 km, da Bellizzi 5 e da Battipaglia 9. Il confine
occidentale è segnato dal fiume Picentino, mentre quello orientale dal
fiume Tusciano. Lungo la fascia litoranea, si estende Magazzeno, frazione conosciuta anche come Lido di Pontecagnano.
Il territorio dell'odierno comune di Pontecagnano Faiano vanta
una frequentazione che risale all'età del rame (3500-2300 a.C.). Gli
scavi archeologici hanno documentato l'esistenza di due santuari,
una porzione del centro abitato (oggi visitabile presso il Parco
Archeo-logico) e due necropoli che complessivamente hanno restituito circa 9000 sepolture databili in una cronologia che va dal 3500
a.C. fino all'alto medioevo. In fase preistorica il sito fu abitato dalle
popolazioni della cultura del Gaudo tipiche della campania dell'età
del rame. Tra il IX e l'VIII secolo a.C. emergono tratti della cultura
Villanoviana, che sfociano nel successivo periodo Etrusco, a cui
risalgono le iscrizioni oggi conservate al Museo Archeologico di
Pontecagnano insieme a numerosi altri reperti. Nel IV secolo a.C. il
centro viene a contatto diretto con alcune popolazioni limitrofe
(Sanniti e Lucani) e le tracce archeologiche restituiscono le influenze che le nuove culture hanno esercitato nella società urbana. Per
il periodo romano sappiamo grazie alle fonti di Plinio il Vecchio e
Strabone che i romani edificarono sul sito della città etruscocampana, nel 268 a.C. Picentia per accogliere una parte della tribù
italica dei Picentini deportata dalle Marche.
Picentia insorgerà due volte contro Roma, al tempo di Annibale
schierandosi dalla parte di quest'ultimo, fatto che porterà i romani a
fondare una nuova colonia, Salerno per controllare il territorio e
durante la Guerra Sociale quando viene distrutta (89 d.C.). Notizie
che tro-vano conferme nei reperti archeologici.L'autonomia amministrativa perduta e la dispersione degli abitanti, riducono l'antico
centro a frequentazioni modeste attestate dopo la caduta dell'Impero Romano.
Oggi, Pontecagnano è sede di un Aeroporto, grazie allo sforzo
sostenuto dalla Camera di Commercio di Salerno, che ha avuto il
merito di creare il Consorzio Aeroporto Salerno-Pontecagnano
coinvol-gendo enti locali, associazioni di categoria e sodalizi ed
assicurando, nel contempo, un rilevante finanziamento per il rilancio dell'attività aeronautica civile. A ciò si è aggiunta la disponibilità
della Regione Campania, che aveva già provveduto ad approvare
nella passata legislatura gli stanziamenti necessari all' attuazione
dei programmi di ammodernamento del vecchio aeroporto militare,
iniziando dalla pavimentazione della pista.
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12
I LIRICI GRECI
A cura di Franco Pastore
PREMESSA
Prima dell’ età della tragedia e dopo la stagione epica, intorno al
VII sec. A.C., la Grecia conosce il fiorire di un altro genere
letterario: la lirica. Essa ha immediatezza espressiva ed è ricca
di metafore ed analogie, che vengono espresse attraverso un
periodare breve ed incisivo, che arriva direttamente al cuore.
Dalle colonie ioniche dell’Asia minore, alla penisola greca, i versi
cantati o recitati vengono accompagnati dalla lira, che ne
evidenzia i toni. Si ha così:
• La lirica elegiaca
• La lirica giambica
• La lirica melica monodica
• La lirica melica corale
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(con temi amorosi, conviviali e politici)
ANACREONTE
Anacreonte (Ἀνακρέων) nacque a Teo, in Asia minore, nel 570 a.C. –
Combatté contro l'invasione persiana, dovendo tuttavia abbandonare la
patria a seguito della sconfitta. Visse alla corte di Policrate di Samo,
dove incontrò Ibico e Simonide, dei Pisistratidi ad Atene e degli Aleuadi in Tessaglia. Una leggenda narra che sia morto, per un acino d'uva.
La sua opera, ordinata dai filologi alessandrini, consta di 5 o 6 libri (di
cui ci rimangono 160 frammenti) di Scolii, in dialetto ionico, ma eolici
di contenuto, che trattano temi conviviali e d'amore. La sua ispirazione
non è profonda come quella di Saffo ed Alceo, ma è caratterizzata da
un sentimentalismo leggero e superficiale. Morì intorno al 480. Segue
la traductio ad sensum di due suoi frammenti.
AMO
IO PIANGO
Sguardo fanciullo di vergine,
io ti bramo.
Ma tu non ascolti:
non sai che
dell’animo mio
tieni le briglie.
Di nuovo,
con un maglio grande,
come un fabbro,
mi colpì EROS
ed un torrente gelido
m’immerse.
Oramai canute sono
le mie tempie
e bianco è il capo.
L’amabile giovinezza non è più
e vecchi sono i denti.
nella paura del Tartaro,
per l’esiguità del tempo
che mi resta da vivere
io piango: penosa è la discesa
nell’antro terribile di Ade.
Per chi è andato,
è destino non ritornare indietro.
A.L.I.A.S.
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Battipaglia (Sa)
13
DALLA MITOLOGIA GRECO-LATINA
ACHERONTE
MITOLOGIA, DAL GRECO MITHOS E LOGOS ( DISCORSO SUL MITO )
NARRA DEGLI ANTICHI DEI E MITI DEL MONDO ANTICO .
Acheronte ( in greco Ἂχέρων, -οντος, in latino Ăchĕrōn, -ontis ) è il
fiume sotterraneo che le anime devono attraversare per giungere nel
regno dei morti:l’Ade. Suoi affluenti erano il Piriflegetonte ed il Cocito,
al quale, più tardi fu aggiunto aggiunto il Lete. Le anime venivano traghettate da Caronte, se fornite d’obolo, altrimenti, dovevano attraversarlo a nuoto. Stagnante come una palude, nel mito ha assunto le
caratteristiche del fiume omonimo che scorre nell’Epiro, il quale,
dopo un lungo viaggio all’aperto, si getta sotto terra. Secondo un’antica tradizione,
l’Acheronte era figlio di Gea, la terra, punito a scorrere sotto terra, per aver dissetato i
Giganti, durante la guerra contro gli dei dell’Olimpo.
Riferimenti letterari:
1)Platone nel dialogo Fedone afferma che l'Acheronte è il secondo fiume più grande del
mondo, superato solamente dall'Oceano: sostiene che l'Acheronte scorra in senso inverso e
dall'Oceano vada verso la terra.
2)Il termine Acheronte è stato talvolta usato come sineddoche per intendere l'Ade nella sua
interezza.
3)Virgilio parla dell'Acheronte insieme agli altri fiumi infernali all'interno della sua descrizione
dell'Oltretomba, collocata nel libro VI dell'Eneide.
4) Dante, nel canto III dell’Inferno fa del fiume Acheronte il confine dell'Inferno, per chi arriva
dall'anti-Inferno.
LE PAROLE DIFFICILI E…
QUELLE FAMIGERATE
BICICLARE: usare la bicicletta con scopi ecologici (1991)
BICIMANIFESTAZIONE:manifestazione ciclistica (1989)
BINDIAMO: per “sosteniamo Rosy Bindi” (1993). Derivati: bindismo,rosabindiano.
BIODIVERSITA’: diversità biologica tra organismi della stessa specie (1992)
BIRIGNIAÒSO: affetto da birignao, che parla in fretta, come miagolio di gatto (Albertazzi-94).
BISCIONE: industria televisiva di S.Berlusconi. Acronimo per biscio-fascio-leghista (1994)
BISCIOPOLI: la centrale della Fininvest, ovvero Mediaset. (Lo Piccolo 1995).
CARNOGRAFIA: rappresentazione cruda ed oscena di cadaveri nei telegiornali e cinema (95).
CATTIVISTA: seguace del cattivismo. (G.Ferrara, 1995).
CELODURO: parte maschile in erezione. Derivati: celodurismo, celodurista (D.Maraini 1993)
CELOMOLLE: parte non in erezione. Derivati: celomollismo (94), celomollista (1994).
CIBERNAUTA: chi crea e sperimenta la realtà virtuale (1995).
ISTERIANO: isterismo italiano (1997).
MARUMBA: matusa rimbambito (1993)
14
PIATTI TIPICI DELLA CAMPANIA
A cura di Rosa Maria Pastore
Cenni storici - Abitata dagli Ausoni (Aurunci) e dagli Opici, verso l'VIII sec. a.C., fu invasa, sulle coste dai Greci, che
fondarono la città di Cuma e Partenope ( rifondata poi come Neapolis tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C) . Ma nel VI sec.,
le zone interne della regione furono occupate dagli Etruschi, che diedero vita ad una lega di dodici città con a capo Capua. Nella
seconda metà del V sec. a.C., iniziò l'invasione dei Sanniti, che conquistarono Capua (nel 440 circa) e Cuma (425 circa). Gli
invasori imposero il loro dominio e la loro lingua, diventando così un solo popolo: gli Osci. Quando una seconda ondata scese
dalle montagne per invadere la Campania, Capua si rivolse a Roma per essere difesa (343 a.C.). Iniziarono allora le guerre
sannitiche (343-290 a.C.), il cui esito fu l'occupazione romana di tutta la regione, sia interna che costiera, con la fondazione di
numerose colonie. Con la discesa di Annibale, a nulla valse organizzarsi contro Roma, durante la seconda guerra punica, la
regione subì un profondo processo di romanizzazione, e solo Napoli e Pompei conservarono le loro radici elleniche. Dopo aver
fatto parte, con il Lazio, della prima regione d'Italia, la Campania divenne sotto Diocleziano una provincia a sé, mantenendo la sua
unità anche sotto gli Ostrogoti e i Bizantini. Con l'occupazione longobarda di Benevento (570 circa), la regione fu divisa tra il
ducato di Benevento, comprendente Capua e Salerno e Napoli e la regione costiera centrale. Amalfi, invece, arricchitasi coi traffici
marittimi, riuscì nei sec. IX-XI a divenire un fiorente ducato indipendente. Dopo la definitiva conquista di Napoli, da parte dei
Normanni, nel 1139, la Campania, nei sec. XII e XIII, fu compresa nel regno di Sicilia, divenendo prima un possedimento degli
Angioini e poi degli Aragonesi. Dal 1503 al 1707, fu dominio della Spagna e, subito dopo, degli Austriaci (dal 1707 al 1734). sotto.
Con l'avvento al trono di Napoli di Carlo VII di Borbone (1734), si ha il regno di Napoli e Sicilia, e poi del Regno delle Due Sicilie.
Con l’unità d'Italia (1860), inizia-rono per Napoli enormi problemi economici e politici, che raggiunsero il culmine nel 1884, quando
una grave epidemia di colera decimò la popolazione. Nella Seconda Guerra Mondiale, gli Alleati effettuarono un sanguinoso
sbarco a Salerno (9 settembre 1943) e presero Napoli, quando ormai la città era stata già evacuata dai Tedeschi.
Questa fusione di radici culturali, di usi e costumi di popoli diversi, ha avuto una influenza benefica sulla bellezza delle donne
campane e sull’arte culinaria, che può contare sia sulle ricchezze di un mare pescoso, che sulle coltivazioni di frutta, ortaggi, delle
pianure. A ciò si aggiungono i magnifici prodotti del latte, i fichi e le olive del Cilento,gli agrumi della costiera amalfitana,i funghi ed
i formaggi dell’alta valle del Cervati, i prodotti bufalini della valle del Sele ed i salumi del piagginese.
PRANZIAMO NEL CASERTANO
Caserta è una città di circa 80.000 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia della Campania. Sorge
nell'entroterra campano meglio specificata nella piana del Volturno ed è celebre in tutto il mondo per la
maestosa Reggia costruita nel Settecento dall'architetto Luigi Vanvitelli.Il comune comprende il
capoluogo e numerose frazioni, tra cui San Leucio, famosa per la seta e per il già Real Belvedere, ed
il borgo medioevale di Casertavecchia.
Un Primo piatto:
TORTIGLIONI ALLA NORMANNA
Ingredienti e preparazione:
In una casseruola far cuocere per 15 minuti circa un polipo verace di circa 300 g con 2
cucchiai di olio d’oliva, uno spicchio d’aglio tritato, 150 g di pomodorini a pezzetti,
prezzemolo, sale e pepe. Quando il polipo risulterà tenero, tagliarlo a pezzetti e
lasciarlo nel suo sugo. In abbondante acqua, giustamente salata, lessare 300 g di
tortiglioni, scolarli al dente, condirli col polipo e tutto il suo sugo e con 200 g di ricotta
precedentemente stemperata e ridotta a crema. Servire ben caldo con una spolveratina di prezzemolo tritato.
15
Un secondo piatto:
GAMBERONI GRATINATI
Ingredienti e preparazione:
. In una teglia soffriggere 2 spicchi d’aglio in 200 g di olio d’oliva, unire un kg di
gamberoni sgusciati, 100 g di olive nere snocciolate ed il prezzemolo tritato; salare e
lasciar cuocere per pochi minuti. Dividere equamente i gamberoni tra quattro tegamini
in creta da forno, ricoprire con la salsa e con pangrattato e gratinare in forno a calore
medio (180° C) per una decina di minuti. Servire i tegamini guarniti con crostini di pane
e prezzemolo fresco tritato.
Un contorno:
POMODORI IN TORTIERA
Ingredienti
e preparazione:
Si tagliano i pomodori S. Marzano (500 g) in due per il lungo e si sistemano nella
tortiera, mettendo su di essi un po’ di pane grattugiato, le olive di Gaeta snocciolate
(50 g), qualche cappero (30 g), pezzetti di alici salate, un po’ di sale e un po’ di pepe.
Irrorare con un filo di olio e mettere nel forno ben caldo (200°C) finché siano cotti (1520 minuti).
Un dolce:
TORTA DI UVA E MELE
Ingredienti e preparazione:
Sbucciare 2 grosse mele, tagliarle a fettine sottili e metterle in una terrina con 3
cucchiai di zucchero e 2 cucchiai di brandy. Lasciar macerare per 1 ora, rigirandole
ogni tanto. Preparare una crema con 3 tuorli d’uovo, tre cucchiai di zucchero, tre
cucchiai di farina, ¾ di latte e una buccia di limone. Imburrare una teglia, formare uno
strato con le fette di mela e, sopra a queste, disporre i chicchi di uva lavati e bene
asciugati, in modo da formare uno strato unico. Ricoprire il tutto con la crema e
passare in forno caldo, fino a che la superficie sia leggermente dorata.
Un buon vino campano:
GALLUCCIO BIANCO/RISERVA DOC
Prodotto in diversi comuni della provincia di Caserta, il Galluccio bianco riserva ha un
grado alcolico di 12%. Il colore è paglierino più o meno intenso, mentre il profumo è
delicato, fruttato, caratteristico. Dal sapore secco, fresco e armonico, ben si
accompagna ad antipasti e secondi di pesce.
_____________
La cucina della Campania “I nostri chef” – Il Mattino
Gastronomia salernitana di A. Talarco, ed. Salernum
Cucina dalla A alla Z di L. Carnacina, Fabbri Editori
Le mille e una… ricetta – S. Fraia Editore
Mille ricette - Garzanti
L’antica cucina della Campania
16
Vero o Falso
L’UVA HA PROPRIETA’ DISINTOSSOCANTI
A cura di Rosa Maria Pastore
Fin dai tempi più remoti l’uva è stata considerata uno dei frutti più ricchi di valore
nutritivo.Gli zuccheri contenuti nell’uva, nella misura del 14-30% seconda delle varietà, sono facilmente assimilabili dall’organismo umano e danno a questo frutto un
valore energetico eccezionale. Un chilo di uva fornisce infatti dalle 700 alle 800
calorie, circa il doppio di quanto ne fornisce l’altra frutta.
L’uva contiene le vitamine B e C, e i sali minerali di potassio, calcio, fosforo.
Sono presenti anche i tre elementi indispensabili per la formazione della emoglobina
del sangue: ferro, rame e manganese. Il succo, proprio perché ricco di sali minerali e
specialmente di potassio, è fortemente diuretico, mentre la cellulosa della buccia
stimola l’intestino facendo dell’uva un efficace lassativo.
L’uva è sconsigliata solamente ai diabetici, per il suo alto contenuto di zuccheri
e ai sofferenti d’intestino, a causa della sua buccia ricca di cellulosa. Tuttavia il succo
spremuto dall’uva può essere sorbito senza danno, in quantità moderata, anche dalle
persone più delicate.
L’uva è invece raccomandata agli sportivi per il valore energetico degli zuccheri
immediatamente assimilabili, ai cardiaci, a chi soffre di ipertensione arteriosa e d’arteriosclerosi, ai bambini, ai convalescenti, alle donne in attesa di un bambino. Entrerà
con larghezza nella dieta delle persone soggette a disturbi renali, perché l’uva
costituisce un lavaggio efficace delle vie urinarie, aumentando la diuresi e facilitando
l’eliminazione di sostanze tossiche per l’organismo.
L’uva, come abbiamo visto, è anche preziosa per combattere la stitichezza;
inoltre, con il suo gradevole sapore dolce acidulo, attiva le funzioni digestive e aumenta l’appetito. Il succo di uva decongestiona il fegato e la vescica biliare, e, attivando le
loro secrezioni, reca un reale beneficio agli epatici.
Si può dare del succo d’uva anche ai bambini a cominciare dall’età di quattro o cinque
mesi, nella dose di due o tre cucchiaini al giorno.
L’uva che consumiamo deve sempre essere fresca, se possibile appena colta ,
matura e ben lavata, chicco per chicco. Se si hanno stomaco ed intestino perfettamente sani, si mangeranno anche le bucce, eliminando solo i semi (vinaccioli).
LA CURA DELL’UVA
L’uso dell’uva a scopo curativo risale a epoche antiche, infatti ne troviamo
addirittura accenni nelle opere di Plinio e di Cornelio. Un tempo era in uso fare una
cura dell’uva ogni anno, a scopo disintossicante. Gli Asburgo soprattutto venivano in
Alto Adige, tra Merano e Bolzano, per nutrirsi metodicamente di uva, secondo le
prescrizioni mediche. Questa cura oggi è quasi sconosciuta, preferendo ai rimedi
naturali, medicine e farmaci, ignorando che l’uva integra l’alimentazione e, opportunamente somministrata, è ottima anche come cura dimagrante oltreché depurativa. La
cura dell’uva non guarisce malattie, può solo concedere un po’ di riposo al fegato e ai
reni, migliorare il funzionamento dell’intestino e il tono della carnagione.
17
LE DIVERSE VARIETA’
L’uva offre numerosissime, oggi però si va sempre più orientando verso poche,
ma scelte varietà, distribuite in varie epoche di maturazione, così da poterne rifornire
il mercato per circa sei mesi l’anno.
Vi sono uve destinate alla vinificazione, che in Italia, come quasi in tutti i paesi
vinicoli, costituiscono la parte di gran lunga prevalente, altre destinate invece al
consumo diretto,come frutto fresco, comunemente dette uve da tavola. Vi sono però
anche delle qualità che sono indicate sia come uve da tavola che da vino.
Le più importanti varietà a maturazione precoce sono:
la perla di Csaba, varietà d’origine ungherese, dai grappoli non molto vistosi, di colore
giallo tendente al dorato, d’un gradevole gusto, dal profumo di dolce moscato;
la primus, dai grappoli medi, giallo dorati, con un sapore aromatico particolare, che
ricorda il moscato;
il tipo chasselas, una delle uve da tavola ppiù note e diffuse da molto tempo un po’ in
tutti i paesi, anche sotto vari nomi;
la panse precoce, dal sapore semplice e poco aromatico.
Tra le uve di media maturazione troviamo:
la regina, magnifica uva dai grappoli e acini grandi, di colore giallo dorato, croccanti e
carnosi, dal sapore semplice;
la varietà Italia, assomiglia all’uva regina, ma si distingue da questa per l’aroma
leggermente moscato; in Italia viene coltivata soprattutto nelle Puglie.
Tra le uve tardive ricordiamo:
l’ohanez, notissima varietà spagnola, conosciuta in tutto il mondo come uva d’Almeria
perché da questa provincia della Spagna meridionale viene esportata in barili.
Come uve destinate all’essiccazione oltre allo zibibbo, vi sono le sultanine,
rossa e nera e le passoline, o uva di Corinto.
CONSIGLI UTILI
ANIMALI
Ai pesciolini rossi tenuti in vaso
non si deve mai dare da mangiare
briciole di pane: fanno inacidire
l’acqua e facilmente provocano la
morte dei pesciolini.
MEDICINA CASALINGA
Per le contusioni, impacchi di
prezzemolo pestato e cotto per
cinque minuti in aceto (gr 20 di
prezzemolo in 20 gr di aceto).
GUARDAROBA
Per pulire a fondo i capi di lana pesante
spazzolateli con una spazzola a setole
rigide, inumidita in acqua fredda e
ammoniaca (2 cucchiai per litro d’acqua).
Quando sono asciutti ripassateli a secco.
CASA
Per rispettare la risorsa idrica, occorre evitare gli sprechi, come?
• Chiudere i rubinetti mentre si lava: un
rubinetto ha una portata di oltre 10 litri
al minuto.
• Fare la doccia invece che il bagno
permette un risparmio di oltre il 75%.
• Controllare eventuali perdite verificando che i rubinetti non gocciolino o
lo sciacquone del w.c. non perda.
• Usare la lavatrice, la lavastoviglie a
pieno carico
• Lavare piatti e verdure riempiendo un
contenitore usando l’acqua corrente solo per il risciacquo
18
LA DONNA NELLA STORIA
Mafalda di Savoia
L’angelo di Bukenwald
Il 23 mattina, è chiamata al comando tedesco, per l'arrivo di una chiamata telefonica del marito da Kassel in Germania.E' un tranello. Subito arrestata, è messa su
un aereo, la sua prima destinazione è Monaco, poi Berlino, infine viene deportata al lager di Buchenwald, dove è rinchiusa nella baracca n.15, sotto il falso nome di frau von
Weber, con una anziana coppia, che si occupava di lei. Per andare al comando tedesco, si era vestita, pensando che si trattasse di un impegno di pochi minuti, con un
modesto vestito nero. Con quello fu arrestata, ed è molto probabile che quel vestitino
nero l'abbia accompagnata per tutta la terribile esperienza del lager, fino alla morte.
Mafalda e' ospitata in una baracca ai margini dei campo, una baracca destinata
a prigionieri di riguardo: ospita, fra gli altri, un ex deputato social-democratico tedesco e sua moglie. Il regime è, comunque, durissimo: vitto insufficiente, freddo invernale intenso e vestiti estivi, divieto di rivelare la propria identità e,per scherno, i nazisti
la chiamano Frau Abeba. La principessa è delicata e deperisce rapidamente.
Malgrado i divieti nazisti, la notizia si diffonde fra i prigionieri italiani del campo: la
figlia del Re si trova a Buchenwald. Alcuni Italiani cercano di aiutarla. Si sa che mangiava pochissimo e che quando poteva quel poco che le arrivava in più lo offriva a
chi aveva più bisogno di lei.
Nell'agosto del '44, gli anglo-americani bombardarono il lager e la baracca in cui
era la principessa fu distrutta. Gli occupanti si erano rifugiati nella trincea che circondava la baracca ma ciò non fu sufficiente a salvare la principessa da una esplosione che le produsse bruciature e contusioni varie, Mafalda ha il braccio sinistro maciullato. Fu trasportata distesa su una scala. Ad un certo punto, nel traversare così il
lager, riconosce due prigionieri italiani dalla ' I ' cucita sulla schiena. Fa loro segno di
avvicinarsi e chiede di essere ricordata,dopo la sua morte, non come una principessa,
ma come di una loro sorella. Ricoverata nell'infermeria del campo, senza cure Mafalda
peggiora. Insorge la cancrena e si decide di amputare il braccio. Dopo quattro giorni
di tormenti, per le piaghe infette, fu sottoposta ad una operazione lunghissima e di
sconcertante durata. Ancora addormentata,Mafalda viene riportata nel postribolo e quivi lasciata senza altre cure. Al mattino era morta dissanguata. Il dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, ritiene che la principessa sia stata operata volutamente in ritardo e con quella procedura,per provocarne la morte. Quel sistema di
eliminazione era già stato applicato, a Buchenwald, su altre perso-nalità, delle quali
volevano sbarazzarsi.
19
Il 28 agosto 1944, Il suo corpo, completamente denudato, venne gettato sul mucchio dei cadaveri del bombardamento, per essere cremato. Padre Tyl, il prete boemo
del campo, riesce ad ottenere, che il corpo venga sottratto alla cremazione, per essere
sepolto, in una bara di legno, in una fossa con su scritto “ 262 eine enberkanntefraue "
(262 - donna sconosciuta). Finita la guerra, un gruppo di marinai di Gaeta, ex
prigionieri di Buchenwald, identificano la tomba e consegnano i resti di Mafalda alla
famiglia. Oggi, la principessa, riposa ora nel piccolo cimitero degli Assia, nel castello
di Kronberg in Taunus ( Francoforte sul Meno).
ODE ALLA MEMORIA
(mea carmina)
PROLOGO
Nella
serenità festosa,
d’un reame antico,
custodivi
i sogni,
della giovinezza.
Il sorriso
Soave
sul tuo viso
apriva il giorno,
con rara gentilezza.
Poi, ti fu dato
il seme di Maurizio
e ti trovasti
al centro d’un ciclone,
eri vicina
senza alcuna via di salvezza.
L’antica nobiltà
non fu d’aiuto
Fosti ghermita come un fiore
in boccia,
negli occhi,
un velo grigio
di tristezza.
In un momento solo,
quanti destini!
EPILOGO
Ti strapparono
al pianto dei bambini
i barbari vestiti di grandezza.
Ma, tra le ombre
di gente martoriata,
distrutta nel corpo e nella fede,
portasti con la luce
la fierezza.
Tu fosti un angelo,
nel lager senza pace,
un raggio di speranza,
vittima senza ragione
della stoltezza.
Il nome tuo
veniva sussurrato,
come quello di Cristo
martoriato,
ma, dentro,
risuonava con dolcezza
Se fossi tuo figlio,
scriverei il tuo nome
sulle stelle,
sognando
ogni notte. . .
…una carezza.
[Da “SIDERA HISTORIAE” di Franco Pastore]
20
GIOCANDO CON I CLASSICI:
Esopo visse nel VI secol a.C.,
nell'epoca di Creso e Pisistrato. Le sue opere ebbero una
grandissima influenza sulla
cultura occidentale: le sue favole sono tutt'oggi estremamente popolari e note. Della sua vita si
conosce pochissimo, secondo la tradizione, Esopo giunse in Grecia come schiavo
di un certo Xanthus, dell'isola di Samo.
Le favole di Esopo si possono descrivere
come archetipiche; la stessa definizione
corrente di "favola" è basata principalmente sulla favola esopica.
IL TOPO DI CITTA’ ED IL SUO
CUGINO DI CAMPAGNA
Trad. dal greco - Un giorno, un topo di città andò a
trovare il cugino di campagna, un tipo dai modi semplici
ma affettuosi, che per pranzo gli preparò lardo, fagioli, pane
e formaggio. Il topo di città storse il naso e disse:- Non capisco come tu possa sopportare questo cibo e questa vita grama.. Vieni con me in città e ne scoprirai i vantaggi-. Così i
due topi si misero in viaggio e arrivarono a notte fonda. In
sala da pranzo trovarono i resti di un banchetto e si misero
a divorare quanto c'era di buono, finché udirono dei latrati.Non spaventarti - disse il topo di città - sono soltanto i cani di
casa-.D’improvviso, si spalancò la porta ed entrarono due
enormi mastini.I due topi ebbero appena il tempo di
scappare. -Addio cugino- disse il topo di campagna, meglio il
lardo in pace che le prelibatezze in tal modo.
Libera riduzione della favola in napoletano
ddii FFrraannccoo PPaassttoorree
Un topo di città
jétte in campagna,
per fare visita
ad un certo suo cugino,
‘nu poco rustico,
ma bravo contadino.
‘O surecìlle fu assai cuntento
‘e ce mettètte annànze
‘a grazia ‘e Dio:
pane ‘e fasùle, larde ’e furmagge,
ma ‘o topo di città
nunn‘avétte ‘o curàgge ‘e mangià.
- I’ nu’ capisco, disse,
come tu possa sopportare
codesto cibo e questa vita grama,
vieni con me in città,
dove c’è vita, con la qualità !Giunsero nel palazzo,
a notte fonda,
ma vi trovaron ogni ben dio :
dolci, prelibatezze, cibi squisiti
d’una goduria e d’una qualità
Che ti facevano dire:
“ ‘E chi se mòve ’a ccà. “
Ma pròprio quànne
cuminciàjne a strafucà,
duie sfaccìmm’e cane,
accussì gruòsse,
‘e secutàjne fòre,
‘ndà ‘na fòsse.
-Non ti curar di loro,
caro cugino,
son solo due cagnetti un po’ vivaci,
fare del movimento dopo il pasto
aggiunge alla vita
un certo gustoIl topo di campagna gli rispose:
-‘A facc’è chitemmuòrte ‘j ch’ paura
M’agge cacàte sòtte, arèt’ò mùre!
E fare i vermi senza ave’ mangnàto,
ti sembra ‘nu vivere pregiato?
Cugino mio, ritorno ai miei fagioli,
’e lascio a te i pregi cittadini,
i dolci, ‘e marmellàte e i due mastini.
Tu, godili fin che puoi,
godi da pazzo,ma a me, ti prego,
nu’ me rompe ‘a tazze!.
__________
F. Pastore: “FEDRO ED ESOPO in napoletano” (una libera
traduzione in vernacolo delle favole latine e greche)
RECITATA DALL’AUTORE
http://www.andropos.it/Il%20topo%20di%20città%20e%20il%20cugino%20di%20campagna.html
21
ANGOLO DELLA RIFLESSIONE STORICA
“ Il 4 Novembre, una data storica per l'Italia. Ottantotto anni orsono, si completava con la
fine della Prima Guerra Mondiale, il ciclo delle campagne nazionali per l'Unità d'Italia. Un
cammino lungo, durato settant'anni, dalla Prima Guerra d'Indipendenza in avanti. Un percorso
difficile, intrapreso con il concorso convinto della popolazione di tutte le regioni d'Italia, mosse
dal desiderio di mettere sotto un'unica Bandiera le sorti della penisola.” (dal web)
Ora, facciamo una ipotesi assurda: un viaggio a ritroso, con la macchina del tempo, fino
al 1914:
Il continente è diviso in due schieramenti opposti: in uno di questi si trovavano la Francia la
Gran Bretagna e la Russia, nell’altro, figurano la Germania, l’Austria e l’Italia.
L’irredentista serbo Gavrilo Prinzip uccide in un attentato l’Arciduca Francesco Ferdinan-do
e l’Austria pone condizioni durissime alla Serbia, che le accetta tutte, tranne una: sostengono
che spetti a lo ro arrestare il colpevole e lo fanno. Ma all’Austria non basta, occore una
punizione esemplare, più “invasiva” e aggredìsce la Serbia. Dietro quella decisione c’è da una
parte, la fragilità dell’Impero austro-ungarico, che cercava di rinsaldare, con una guerra, un
potere in declino, e dall’altra il forte desiderio di umiliare la Francia,vecchia nemica del Reich,
modificando l’equilibrio europeo. La Francia e la Russia sono alleate della Serbia,ergo si
delinea una guerra franco-tedesca a occidente e una guerra austro-russa ad oriente.
Che c’entra l’Italia, e quale è la sua posizione?
L’Italia, alleata dell’Austria, non ha nessuna voglia di combattere al suo fianco. Del resto, i
termini dell’alleanza sono ben chiari: sarebbe costretta ad intervenire solo nel caso che la
guerra avesse un carattere difensivo, ma siccome è l’Austria il paese aggressore, l’Italia ha,
dunque, buone ragioni per uno status di non belligeranza, ragioni che si centuplicano quando
Francesco Ferdinando si impegna a restituire Trento e Trieste, alla fine della guerra, qualora
l’Italia si fosse astenuta dall’intervenire. La neutralità è dunque la condizione naturale per
l’Italia, e Giolitti, il Primo Ministro, fa del suo meglio per difendere questa posizione, appoggiato
dai socialisti e dai cattolici, i quali non vogliono che il paese venga coinvolto in una guerra
dura, sanguinosa ed inutile. Tuttavia, gli interventisti-nazionalisti accusano il Giolitti di cotardìa
e riescono ad imporre al Parlamento il capovolgimento delle alleanze, con la motivazione che
poi avrebbero partecipato alle trattative di pace ed inoltre avrebbero conquistato il rispetto
delle altre nazioni europee. Nonostante la forte opposizione e le apocalittiche previsioni del
Turati, l’Italia, Il giorno 4 maggio denuncia la sua uscita dalla Triplice alleanza ed il giorno 12
della stesso mese, il governo Salandra da le dimissioni. Sotto la pressione della piazza, il
parlamento (a maggioranza neutralista) otto giorni dopo, dà i pieni poteri al presidente del
Consiglio Salandra, con 407 voti favorevoli e 74 contrari. Il 24 maggio 1915, l'Italia dichiara
guerra all' Impero Austro-Ungarico.
Risultato?
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Prima battaglia dell'Isonzo: 23 giugno - 7 luglio 1915
Seconda battaglia dell'Isonzo: 18 luglio - 3 agosto 1915
Terza battaglia dell'Isonzo: 18 ottobre - 3 novembre 1915
Quarta battaglia dell'Isonzo: 10 novembre - 2 dicembre 1915 (60.000 morti e 150.000 feriti)
Settima battaglia dell'Isonzo: 14 settembre - 16 settembre 1916
Ottava battaglia dell'Isonzo: 1º novembre 1916
Nona battaglia dell'Isonzo: 4 novembre 1916 (37.000 morti e 88.000 feriti)
Disfatta di Caporetto e crollo del fronte italiano sull’Isonzo 29 ottobre– (morti 11.000, feriti
19.000, prigionieri 300.000, 400mila furono gli sbandati )
• Fine della guerra, su 5.615.000 soldati italiani: morti e dispersi 1.250.000, feriti 947.000.
Parva favilla gran flamma seconda! In questa immane tragedia, solo i morti hanno guadagnato il rispetto ed il perenne ricordo del loro martirio. Nunc tempus lacrimarum est!
Andropos
22
THE
TEMPLARS
Il processo
__________________
Un
meraviglioso
ed artistico
fumetto di
Paolo Liguori
Edito da
Andropos in the
world
QUARANTA
PAGINE
DI STORIA,
DI
AVVENIMENTI
TRAVOLGENTI,
SAPIENTEMENTE
ARRICCHITI
DI PATHOS
E DI MISTERO.
PER PRENOTARE
UNA COPIA:
[email protected]
DE RELIGIŌNE : (DOTTRINE, TRADIZIONI, SEMANTICA)
ACHEROPITE: è il nome dato ad alcune icòne che, secondo la
tradizione orientale, non sono state dipinte da mano d’uomo, come
quella con il celebre volto di Cristo (mandylion) conservata a
Costantinopoli. Il termine viene dal greco: ′akeiropoietós (non fatto da
mano).
ACQUARIANI: eretici del secondo secolo d.C., i quali usavano
l’acqua invece del vino, nella celebrazione eucaristica (come gli
encratiti, i marcioniti ed i severiani) .
ADONAI: voce ebraica che significa mio Signore. Il termine lo
troviamo nel l’Antico Testamento, per designare Jhavé. In greco lo
troviamo tradotto in Κψριοσ ( kyrios) che corrisponde al latino Dominus.
ADELOFAGI: setta di i cristiani del III sec. che rifiutano di mangiare in
presenza di altri. Etimol.
Dal greco adelòs phagéis (ُαδελóσ ϕαγέισ), mangiatori di nascosto.
ALLELUIA: dall’ebraico hillel + jah (dim. di Jahvé) sia lode a Jahvé;
acclamazione liturgica.
Vesuvioweb.com
Le genti e le terre che abbraccia il Vesuvio: cultura, arte, ricerche
di sapore antropologico, sulla vasta area tra il vulcano ed il mare.
Archeologia vesuviana * mailto:[email protected]
PREMIO NAZIONALE DI POESIA ROMANESCA
"Quanto sei bella Roma" organizzato dal "CENTRO INCONTRI
CULTURALI" con il patrocinio del Comune di Civitavecchia
Per informazioni: [email protected]
L’Associazione culturale Il Camaleonte di Chieri
LILIANA LUCKI
bandisce “Inedito 2009 - Premio Letterario Città di Chieri e
Colline di Torino”. Il Premio si pone l’obbiettivo di scoprire e valorizzare i
nuovi autori del panorama nazionale attraverso sezioni dedicate alla
narrativa, alla poesia, al teatro e alla musica. [email protected]
LILIANA
LUCKI
BOTTEGA EDITORIALE srl
S erv izi e di toriali , co mu ni cazio ne e gio rnalis mo
87030 Rende (Cs) - [email protected]
ARTISTA
ARGENTINA
http://www.lilianalucki.blogspot.com/
"BARCELLONA DANCE AWARD 2009"
IL GUSTO
DELLA VITA
di
Franco Pastore
Ed.Palladio 2006
durante le VACANZE di PASQUA in
Catalunya - Spagna dal 9 al 13 aprile 2009.
Concorso è aperto a tutte le Scuole di Danza ed
Istituti, prevede diverse sezioni e Premi Speciali,
così come il prospetto di cui sopra.
Il
b arc elo naw ar dan ce200 @tis cali .it
23
LEVIORA
cxÜ áÉÜÜ|wxÜx uÇ ÑÉËvÉÇ yÜõ fvtÑu´vv{|É
Tantu tiempo fa, in una parrocchietta de lu Ciliento, don Dionigi, lu preveto, sempliciotto ed
alquanto impacciato nell’articolare il discorso, non riusciva a soddisfare i fedeli suoi nella
predicatio. Allora, chiese aiuto all’amico don Calogero Malupìlo:
- Aiutame fratello, cumme aràpro la vocca, ridono pure li pidòcchi de li miei parroc-chiani…- Statti sicuro, che da domani, prima sbrigherò la prereca mia e poi correrò ad aiutarti.Fu così che, il giorno dopo, don Calogero, dopo la prereca sua, corse da don Dionigi. Salìto, di
nascosto, sul pulpito, si accovacciò sul pavimento. Dopo l’Eucarestia, don Dionigi lo raggiunse
e coprendolo con l’ampia veste talare, si preparò a profferire la parola di Dio, così come
avrebbe suggerito, dal basso,il suo amico.
- Fratelli e sorelle, sia lodato Gesù Cristo!- disse Calogero.
- Fratelli e sorelle, sia lodato Gesù Cristo!- ripeté Dionigi.
- Oggi siamo riuniti nella casa del Signore per celebrare la nascita del Bambino Gesù…suggerì ancora il prete;
- Oggi siamo qui riuniti nella casa del Signore per celebrare la nascita del bambino Gesù…ripeté Dionigi…
- Il Bambino era in una mangiatoia, riscaldato dal bue e l’asinello…allora la Madonna disse a
Giuseppe:…- continuò Calogerò
- Gesù era in una mangiatoia, riscaldato dal bue e l’asinello…allora La Madonna
disse a
Giuseppe:…- ripeté Dionigi.
A questo punto, ill povetto, per lo sforzo immane di ascoltare e riferire fedelmente quanto
l’amico suggeriva, ebbe una contrazione a li muscoli della panza, che gli produsse una
tremenda loffata, che fece dire a don Calogero: - Mi manca lu sciato per lu fetòre, si nunn’esco
da sta capanna, moro cumm’a ‘nu sòricio ‘zurfàto!Credendo che quelle parole facessero parte della predica, Dionigi ripetè;- Allora la Madonna
disse a Giuseppe: Mi manca lu sciato per lu fetòre, si nunn’esco da sta capanna, moro
cumm’a ‘nu sòricio ‘nzurfato!Tutti i fedeli si guardarono meravigliati, quando ad un tratto videro don Calogero che, precipitandosi giù dal pulpito e corse verso l’uscita della Chiesa gridando:
- Aria,aria…fùttiti tu e la prèreca…è pèggiu de lu sciatu de lu demònio, GUARDIAMO UN PO’ DENTRO I NOSTRI NOMI:
AIDA: dall’egizio “eiti”, cioè protetta dal dio. Resa celebre dal Verdi,con l’opera omonima.
ALBERTO: accorciativo di Adalbeno, di nobile stirpe.
ALESSANDRO: αλεξ
ُαλε + ُάνδροι, protettore degli uomini. Nome molto usato nell’antichità:
αλε
- due re dell’Epiro
- tre re di Macedonia
- due re di Siria
- un imperatore romano
- tre re di Scozia
- tre imperatori di Russia
- otto papi
- quaranta santi
Alessio deriva da Alessandro, cioè è la prima parte del nome: ‘αλε
αλεξ,
αλε il protettore.
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