Nino Contiliano - Tiziana COLUSSO

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Nino Contiliano - Tiziana COLUSSO
Marsala 21 sett. 2007
Gentile Tiziana ,
mi sono permesso di chiedere Il tuo Il sanscrito del Corpo (Fermenti, controsensi /
album 19, Roma 2007) all’amico Velio Carratoni , e ora dopo una lettura più che
attenta, e di parte appassionata, mi permetto di scriverti due parole d’acchito ma
non avventate. Timorose sì . E poiché ho visto, con piacere, il nome di una
pensatrice (Hannah Arendt), e fine donna, che ha arricchito la mia zucca , chiamo
la stessa per farmi perdonare delle mie eventuali avventatezze che ti dovessero
suonare distoniche. Parlare dei poeti, infatti, dice l’Arendt, è quasi sempre
“ingrato” e ”superfluo “; specie se a parlare non sono né critici né storici della
letteratura. “Ma poiché la voce dei poeti riguarda tutti noi… gli esperti in materia
dovranno pure accettare che anche qualcuno di noi dica la sua ”.
Eccoti allora qualche mio scorcio mentale. Sono pensieri veloci. Lo spessore
della poesia e del pensiero di questo tuo lavoro non mi permette altro (mi
mancano ben altre capacità di analisi e di affondo), almeno per ora , e queste
note di striscio spero, comunque, possano dirti quanto mi sento a casa mia nel tuo
dire poetico e di pensiero, il cui tracciato e intreccio è non meno immagine di
quanto sia concetto (G. Della Volpe) e percetto (G. Deleuze). Un linguaggio
poetico che spacca e lacera i tessuti anchilosati del senso comune e
dell’interiorità liricizzante (molto strisciante di qu esti tempi) di certo balsamico e/o
insipido e ripetitivo verseggiare e fa vedere di CHE sangue “grondi” (il Foscolo,
originalmente e creativamente ripescato, di “ né mai le sacre sponde / dove ogni
corpo fanciulletto giace / in onde di quiete placentare /…/ “ - vacuum mandàla ,
p. 9 – è più che eloquente) la potenza spinoziana del tuo poiein presso Il sanscrito
del corpo e/o il corpo (quasi un chiasmo) nei dintorni e dentro la cultura e la
filosofia del pensiero e della visione di marca non occidentalizzante. Un corpo
che richiama la materialità vivente e gioiosa, non meno pericolosa per la stupidità
corrente quanto incisiva per la sua valenza etico-politica di crisi e attacco (“corpo
libero”, p. 21; “virus circus, p. 37) che mi intreccia il vacuum del Kalachakra con
quello dell’immaginario lucreziano, della fisica quantica, del tao (F.Capra ; Veda)
e dei “sistemi dinamici complessi” con il loro apparato poeta-matematico.
“Frattale, biforcazione, big-bang” ed l’ altro lessico del continuum discreto del
tempo e della materia del “vuoto quantico”, e non solo del sanscrito samsara e
karma, mi dicono che l’astrazione logico-matematica e quella poetica, nei tuoi
versi, non si fanno ombra. Anzi! si illuminano e si completano a vicenda con la
potenza del linguaggio poetico che se la ride del “paradiso dell’ ignoranza”, la
“trascendenza”, o della la chiusura coscienziale; è come un attrattore caotico e
“frattale”, piegando E. Lorenz e B. Mandelbrot, che consente di “vedere l’infinito”
del vacuum-vuoto-quantico nel suo articolarsi di divenire “polimero del
diavolo”/poesia. Una potenza che, per dirla ancora con Deleuze, fa del tuo
dire/scrivere poesia una “una lingua minore”, una lingua a suo modo delirante e
deviante che mette in scacco la lingua maggioritaria del dominio , mentre
contestualmente rielabora quella letterale-materiale (G. Della Volpe) e coniuga
informazione e “plasticità” nel ritmo del tempo esponenziale della poesia poesia,
e della sua “aseità” semantica. Una poetare ch e si fa senso di avanguardia e
impegno oltre le categorie del vecchio éngagement; è l’impegno della “poetica
1
del diverso” di Éduard Glissant o della parola letteraria-poetica di per sé politica
(linguaggio e ideologia direbbero F. Rossi-Landi, E. Sanguineti, F. Muzzioli e M.
Lunetta).
Ma, forse, perché sopperisca alle mie manchevolezze e parlare de Il sanscrito
del corpo con più aderenza e adeguatezza di idee e prassi chiare e distinte, posso
farmi aiutare da Lotman e Kolmogorov. Ci provo.
2
Come osserva Lotman, ed è il caso, mi sembra, della scrittura e della carica
poetica di Il sanscrito del corpo, intrufolarvisi è come un incidere, un indagare e
affondare in “ogni fatto ‘individuale’ e circo-stante con un ‘quasi quasi’ che è più
del solo artistico-poetico; è il complicarsi della struttura di base mediante una
struttura aggiunta che complessifica l’intrec cio stesso. Il testo nasce come
intersecazione di almeno due sistemi, ciascuno dei quali nel contesto ha un
particolare significato. Quanto più regolarmente s'intersecano in un dato punto
strutturale, tanta maggiore quantità di significati otterrà quest'el emento, e più
individuale, non sistematico esso apparirà. Il non sistematico nella vita si riflette
nell’arte come polisistematico.” 1
La ricorsività degli elementi e delle intersecazioni anziché ripetere l'identità
trasforma la stessa in un moltiplicatore di somiglianze approssimate e di differenze
infinite.
Lotman, esaminando le strutture semiotiche, dice che “la complessità di una
struttura artistica dipende in modo direttamente proporzionale dalla complessità
dell’informazione trasmessa. [...]. Il lingu aggio poetico si presenta come una
struttura di gran complessità. [...]. E se il volume d’informazione contenuto nel
linguaggio poetico e nel linguaggio comune fosse uguale, il linguaggio artistico
perderebbe il diritto di esistere e, indiscutibilmente, mo rirebbe. La questione si
pone però diversamente: la complessa struttura artistica, creata col materiale
della lingua, permette di trasmettere un volume d'informazione che sarebbe
assolutamente impossibile trasmettere con i mezzi della struttura linguistica
normale. Deriva da ciò che la data informazione (il contenuto) non può esistere,
né essere trasmessa fuori della struttura data. [...]. In tal modo, la metodologia
dell’esame del ‘contenuto ideologico’ separato, e delle ‘particolarità artistiche
pure separate’, tanto pervicacemente in uso nella pratica scolastica, si fonda
sull’incomprensione delle basi dell’arte ed è nociva, in quanto induce nel lettore di
massa una falsa rappresentazione della letteratura come di un mezzo per
esportare in modo più lungo e abbellito gli stessi pensieri che si possono esprimere
in modo breve e semplice.”2
Occorre, quindi, stabilire solo delle coordinate di riferimento e delle condivisioni
possibili utilizzando tutte le condizioni di senso disponibili, comprese le credenze e
le chiavi di trasmissione e lettura, per vedere la poesia come un mondo complesso
dove la ragione e l’immaginazione, il previsto e il caso sono l’uno la ragione
dell’altro e viceversa.
Ciò che fa di uno scritto un testo di poesia, infatti, dice A. N. Kolmogorov
(accademico sovietico e studioso dei fenomeni della turbolenza e dei flussi
caotici), è la polisemia, ossia la plasticità della “lingua creola”, che se sopraffatta
dall’informazione non genera poeticità. “[...] la creazione poetica è possibile solo
finché la quantità d'informazione utilizzata per le limitazioni (ß) non supera ß <h 2,, la
plasticità del testo. In una lingua con ß ≥ h 2 la creazione poetica è impossibile”.3
Se il tasso d'informazione non supera “h 2”, ossia la plasticità del testo, allora la
creazione poetica è possibile, perché proprio “ h 2” è la fonte della poesia e della
sua complessità non lineare, diversamente c’è entropia.
1
Jurij M. Lotman, La struttura del testo poetico, Mursia, Milano, 1976, p.93.
Ivi, pp. 16,17.
3
Ivi, p. 35.
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3
Un testo di poesia è come un sistema di alta complessità, il cui tempo e il cui
ritmo esplode e implode, si ripiega e si stende in maniera così retificata e
aggomitolata che è impossibile trattarlo con modelli semplici e procedure chiuse.
Il modello di lettura, interpretazione e re -interpretazione, è piuttosto paragonabile,
sempre, ad un’ulteriore metafora linguisti ca più che ad un vero e proprio sistema
di codifica e decodifica.
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