Il trauma - Acp Italia
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 Il trauma Zannini Michela Il concetto di “trauma” si può definire cardine nella evoluzione del pensiero psicologico. Attorno ad esso si sono costruite le fondamenta della psicoanalisi ed è oggi divenuto centrale nell'ambito delle ricerche sullo stress e nei percorsi applicativi della psicologia. Il presente lavoro tenta di illustrare come il “trauma” sia stato elaborato in maniera differente dalle diverse posizioni teoriche e come esse si sono orientate nella sua valutazione e nelle modalità di intervento in funzione proprio di questi significati attribuiti. Gli eventi traumatici sono stati classificati in modo diverso a seconda della loro gravità e si sono costruiti degli indici di riferimento in base ai quali interpretare tali episodi. Si è cercato altresì di fornire una chiave di lettura del fenomeno all'interno di un'epistemologia rogersiana, concentrandosi nello specifico sul significato del trauma per la strutturazione del Sé. La parte finale raccoglie invece delle indicazioni metodologiche sull'intervento con soggetti profughi di guerra e in particolare con i bambini. Si tratta soprattutto di materiale prodotto in occasione dei conflitti nei paesi dell'ex-Yugoslavia. Gli interventi da parte delle Organizzazioni italiane hanno infatti consentito di riconoscere allo psicologo una professionalità specifica inseribile all'interno di questi contesti . Nel presente lavoro non si fa alcun riferimento al PTSD (Post Traumatic Stress Desorder), così come viene descritto oggi all'interno del DSM-IV. Si è trattato di una scelta motivata dalla consapevolezza che la valutazione di tale disturbo meriti un’ampia esposizione che non poteva trovare spazio in questo contesto. IL VIAGGIO Oggi partiamo. Lasceremo il nostro villaggio. Non so che cosa sarà di noi. Non so se torneremo. E se torneremo, non so se ci sarà ancora il mio villaggio. 1 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 Ho passeggiato a lungo nei campi, guardando attentamente tutti gli alberi, i meli, i pruni, che conoscevo a memoria. Sono andato anche a visitare le vacche e le pecore. E mi è venuto da parlare a tutte le cose che avrei perso, per salutarle. Sembrava che le bestie mi capissero: le mucche muggivano, le pecore belavano quando parlavo… Mi è venuto anche da scusarmi con loro perché me ne andavo e altre persone le avrebbero badate. Forse ero diventato matto, ma mi sembrava naturale salutare prima di partire. Ho anche visitato il mio posto preferito, vicino al ruscello, e mi sono fermato ad ascoltare il rumore dell'acqua che scorre. Quel rumore costante mi ha dato speranza: qualcosa durerà, qualcosa resterà di questo paese. Anche il canto degli uccelli mi ha dato speranza. Questi piccoli animali semplici scappano in fretta e poi ritornano. C'è una grande forza nella loro piccolezza. Così sono tornato la sera, dopo aver girato in lungo e in largo per i dintorni. Mia mamma mi ha sgridato furiosamente, ma io le ho spiegato che dovevo salutare tutto. Abbiamo mangiato in fretta, due bocconi. Poi mia mamma ha messo tutti i nostri averi in due borse e siamo partiti di corsa verso il bosco, dove ci attendevano i nostri compaesani. Mia mamma aveva ragione a sgridarmi: eravamo nel bosco da pochi minuti, quando abbiamo sentito un'esplosione fortissima. Mentre correvamo ho gettato un'occhiata indietro: la nostra casa stava bruciando. Allora ho capito che gli uccelli sarebbero tornati, io no. Racconto di un bambino testimone della guerra in Bosnia (Canevaro, Berlini, Camasta, 1998). Il concetto di trauma in psicologia I traumi sono stati oggetto negli ultimi decenni di numerosi studi medici, psichiatrici, psicologici tanto che si parla oggi di “psicotraumatologia”, intendendo con questo termine lo studio dei fattori e dei processi antecedenti concomitanti o conseguenti un trauma psicologico (Everly, Lating, 1995). Nei paragrafi seguenti si procederà col delineare lo sviluppo del concetto di trauma tralasciando l'aspetto più prettamente di pertinenza psichiatrica o medica e concentrandosi piuttosto sull'analisi che del fenomeno è stata fatta dalla psicologia a partire da S. Freud. Nelle sue prime teorizzazioni Freud (1895) giunse a spiegare i disturbi nevrotici attribuendone un origine di tipo post-traumatico. Secondo la “teoria della seduzione”, durante l'infanzia e lo sviluppo dell'individuo si verificano una serie di episodi stressanti che segnano la crescita dell'Io. Tali episodi sono traducibili come seduzioni iniziali all'apparato sessuale che produrrebbero un'esperienza traumatica; l'immaturità dell'apparato, infatti, non consente di gestire l'eccitazione e i fattori emotivi che l'accompagnano. Ne consegue una rimozione di tale esperienza, delle emozioni e dei ricordi ad essa collegati che genera uno stato di ansia. Ogni qualvolta il materiale represso tenta di emergere, si manifesta altresì una sintomatologia correlata che conduce la persona al trattamento. 2 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 Nel 1897 Freud modificò la sua teoria della seduzione affermando come l'eventuale episodio traumatico costituiva una comorbilità della nevrosi; ossia, escludendo l'ipotesi che il trauma dovesse essere per forza un evento reale, il soggetto poteva giungere al trattamento anche a seguito di fantasie legate alle pulsioni libidiche e ai conflitti derivati dall'allontanamento e dalla perdita dell'attaccamento da parte delle figure genitoriali. Il passaggio fu dunque da una teoria centrata sulla seduzione e di tipo post-traumatico, ad una teoria sulle pulsioni-istinti edipici basata più che sul verificarsi di eventi esterni, sul ruolo delle fantasie e sui meccanismi di difesa intrapsichici. Le ricerche e gli sviluppi teorici successivi lo condussero nel 1917 a riconoscere che esistono tuttavia eventi di portata tale da determinare nevrosi di tipo traumatico per le quali la minaccia non è percepita più come interna, bensì esterna sotto forma di annichilimento o ingiurie fisiche. Nel suo scritto del 1920 Al di là del principio del piacere, Freud osservò che alcuni pazienti che avevano subito shock durante la loro esperienza di guerra rievocavano nei loro sogni la stessa situazione traumatica la quale era tutto tranne che un'esperienza soddisfacente o piacevole. Questi sogni contraddicevano chiaramente il principio del piacere (il sogno infatti era stato fino a quel momento interpretato come il tentativo da parte dell'apparato psichico di soddisfare un istinto piacevole) e costringevano a ridare importanza all'evidente realtà. Egli spiegò questo fenomeno come un tardivo tentativo dell'Io di dominare una situazione che originariamente lo aveva sopraffatto con una stimolazione massiva. Tale processo difensivo attivato da parte della struttura consisteva nel reinterpretare l'esperienza all'interno dell'economia psichica del soggetto. Il contributo di Freud nello studio del trauma è ben sintetizzato nel seguente enunciato: «Freud ha postulato due ampi effetti del trauma sull'individuo: il primo comprende la fissazione del trauma con tentativi di ricordare o ripetere il trauma e il secondo comprende una reazione di difesa di rimozione, nel quale si cerca di non ricordare né ripetere il trauma» (Brett, Ostroff, 1985, in Sgarro 1997). Di fronte ad un unico evento traumatico è possibile prevedere due tipi di reazione; una di rielaborazione dell'evento per ricomprenderlo nell'esperienza psichica del soggetto, una seconda che agisce per eliminarlo definitivamente. Gli eventi bellici che segnarono i primi decenni del Novecento contribuirono notevolmente a raccogliere interessi attorno al fenomeno traumatico. Il trauma è stato visto ora come un'eccitazione che sovrasta le normali funzioni dell'Io, ora come un cambiamento nello stato di equilibrio delle persone o una riduzione delle capacità di difesa e di copying dell'Io; altre volte come elemento che va ad assommarsi ad altri eventi di tipo traumatico. Kardiner (1941) ad esempio nell'elaborare il tema delle nevrosi traumatiche di guerra, riconobbe in particolare l'importanza da parte dell'Io di dominare il trauma per ristabilire l'equilibrio perturbato dai massicci stimoli esterni che ne infrangono la sua barriera. Col termine “traumatofobia” egli descrisse il tentativo da parte dell'Io terrorizzato di sfuggire o evitare ulteriori esperienze traumatiche; i sintomi 3 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 della nevrosi traumatica sarebbero per la maggior parte reazioni di evitamento. Nel 1947 insieme a Spiegel individuò nelle nevrosi traumatiche due fasi: una acuta detta “fisioneurosi” in cui l'organismo reprime e inibisce quegli aspetti del funzionamento psicologico e fisico che permettono l'orientamento, il contatto e la manipolazione dell'ambiente. In questa fase prevalgono gli aspetti reattivi del sistema autonomo (stato di confusione agitata o stuporosa, ansia...). Nella seconda fase, di fronte alla indebolita capacità di adattarsi, la personalità si riorganizza nel tentativo di compensare le sue debolezze (turbe mnestiche, astenia fisica...) (Sgarro, 1997). Il finire degli eventi bellici condusse ad una nuova serie di studi sul trauma e in particolare la psichiatria cominciò ad interessarsi ad esso e alla sua descrizione. I vari manuali diagnostici che si sono succeduti nel corso del tempo hanno di volta in volta modificata la definizione e trattazione del trauma. M. Khan, nel suo lavoro sul Trauma cumulativo (1964), tentò di coniugare le teorie di Freud con quelle nel frattempo elaborate dalla psicologia dell'Io e dai teorici delle relazioni oggettuali, sottolineando il ruolo dell'ambiente e della madre nel produrre conseguenti manovre difensive dirette a far fronte alle difficoltà che il bambino incontra nell'evoluzione del proprio sé. In particolare Kahn ebbe il merito di sottolineare come anche una serie di piccoli eventi cumulandosi possono avere un effetto patogeno sulla strutturazione dell'Io (in Bonfigli, 1997). Sul tema si sono espresse anche altre teorie oltre quella psicodinamica, ponendo l'accento su diversi aspetti psicologici. Il trauma, secondo un approccio fenomenologico, si costituisce come un evento che mette in discussione i costrutti dell'individuo, ossia gli enunciati in base ai quali il soggetto giunge a dare visione ed interpretazione alla realtà in cui vive (Weltanschaung). Il trauma può essere assimilato ad un tassello che l'individuo non riesce ad incastrare nel puzzle del suo percorso di vita e che viceversa induce una totale modificazione alla sua immagine del mondo. In seguito al trauma la realtà appare caotica, malevola ed insicura contrapponendosi ad un primario desiderio di sicurezza e di piacere legato alla soddisfazione di bisogni di conservazione e di autorealizzazione (Maslow). L'episodio traumatico va infatti ad inficiare soprattutto il senso di sicurezza che si esprime nella capacità di poter fare previsioni su di sé e sul mondo che ci circonda. Si tratta quindi di rivedere il significato dell'esperienza e reinterpretarla. È ben evidente in questo tipo di approccio come il vissuto del trauma sia strettamente collegato al tipo di funzionamento cognitivo del soggetto. Il suo senso di autoefficacia, il locus of control (ossia la consapevolezza di essere o meno influenti sul corso degli eventi), i processi di attribuzione, sono concetti fondamentali nell'analisi del trauma da un punto di vista cognitivo. Il costruttivismo, sottolineando come tutte le percezioni ed il pensiero umano siano una costruzione piuttosto che un riflesso diretto della realtà (Gill, 1994; Hoffman, 1983, in Bonfigli, 1997), giunge ad ipotizzare come 4 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 sulla base di questo reciproco modellamento fra interno ed esterno, l'individuo legge differentemente gli episodi traumatici in cui incorre. Ricerche più recenti, di carattere trans-culturale, ci mettono ben in guardia nel definire un episodio traumatico in termini assoluti. Se è vero che le persone reagiscono al trauma sulla base del significato che viene attribuito e poiché questo significato è in gran parte di origine sociale, lo studio del fenomeno traumatico non può prescindere dall'esame che di quell'evento ne ha dato il gruppo di appartenenza. Ben diverso è stato ad esempio il significato della guerra da parte dei reduci del Vietnam, che al loro ritorno non hanno trovato accoglienza, da quello dei reduci delle isole Falklands, accolti per aver condotto a termine nel modo migliore il loro compito (Kleber, Figley, Gerson, 1995). La cultura occidentale nell'analisi dei fenomeni traumatici si esprime attraverso chiavi di letture che esaltano l'individualismo come gli è proprio fare. Viceversa in società ad esempio ove prevale la dimensione del sociale, del gruppo, lo stesso fenomeno assume chiavi di interpretazione completamente diverse. Ecco allora che il trauma non può assumere un significato assoluto bensì relativo. L'essere rapita e costretta alla prostituzione, può essere letto in termini individuali rispetto al significato che l'evento ha per il soggetto, ma questo significato sarà ben diverso se il contesto sociale reagisce rifiutando il reinserimento della persona alla luce di quanto le è successo. Così all'interno di un evento traumatico come una guerra, può assumere il carattere primario il trauma del rimanere vedova, o ritrovarsi profuga, o essere vittima di abuso... Questo cambiamento di prospettiva diventa fondamentale per definire anche le conseguenze che un determinato evento può avere sul soggetto e per prevederne l'impatto emotivo. Il passaggio ad un'osservazione oltre che degli aspetti individuali anche sociali e culturali conseguenti al trauma, ha consentito di esaminare come una logica della “vittimologia”, e una logica della “sopravvivenza” assunti dalle persone vittime di un trauma generino in esse impatti diversi (idem). Le vittime di aventi traumatici sono considerate oggi assolutamente bisognose di un intervento psicologico. La dimensione sociale lo vive come un impegno doveroso e fondamentale nei confronti di queste persone; esse da parte loro se lo aspettano e si pongono in atteggiamento di attesa rispetto ad un insieme di attenzioni e provvedimenti adeguati a quanto hanno vissuto. Nella logica della sopravvivenza viceversa non vi è spazio né tempo per il giudizio sulle sofferenze individuali; dopo una guerra occorre ricostruire, risollevare la società, il gruppo e questi nuovi pensieri devono prendere il posto di quelli legati agli episodi traumatici vissuti durante il conflitto. Vale la pena quindi riflettere ancora una volta su quanto il giudizio sociale sia determinante del manifestarsi stesso della patologia, e conseguentemente valutare anche il tipo di trattamento da intraprendere. Presentiamo infine una sintesi elaborata da Bonfiglio sull'analisi degli eventi traumatici. Egli suddivide tali episodi in 3 categorie: 1. La prima categoria si riferisce a quegli eventi che sono vissuti come traumatici in virtù dell'immaturità del soggetto. Un bambino ad esempio, 5 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 per la dipendenza psicologica e fisica che lo caratterizza, non possiede gli strumenti per far fronte a relazioni pericolose. 2. Diversa è la situazione in cui il soggetto è coinvolto in eventi che sono traumatici di per sé perché angosciosi o dolorosi, ma per i quali l'entità degli effetti traumatici è modulata dalla presenza o meno dell'aiuto e della condivisione con le figure di accudimento («Non sono gli eventi, anche se suscitano affetti (dolore, ansia, paura, gioia… ad essere traumatici, bensì l'incapacità dell'adulto a condividere lo stato affettivo del bambino in tali momenti»). (Storolow e Atwood, 1992, in Bonfigli, 1995). 3. L'ultima categoria comprende invece quegli eventi naturali (terremoti, naufragi…) o quegli accadimenti di vita (stupri, sequestri, rapine…) che possiedono la caratteristica comune della grave messa in crisi e della perdita di qualunque capacità di autonomia e autodeterminazione del soggetto (Bonfiglio, 1997). Sarà di questi eventi specifici cui ci riferiremo nel presente lavoro. Caratteristiche dell’evento traumatico Il trauma è un evento che si costituisce come un attacco contro la persona e la sua sopravvivenza. Irrompe in modo violento nell'organizzazione psichica del soggetto superando le sue possibilità di difesa. Esso si riferisce ad un evento di stress estremo cui l'individuo non riesce a far fronte e per questo va considerato nella sua unicità. Uno stesso evento potrebbe risultare traumatico per un individuo ma non per un altro; quindi, il trauma è definibile in quanto tale solo dai sopravvissuti a quello specifico evento. Si può dire che nell'esperienza del trauma il soggetto percepisce il timore della morte, dell'annichilimento, della mutilazione e l'esperienza cognitiva, fisica ed emozionale di essere sopraffatto ed inaiutabile. Occorre pertanto studiare il trauma sotto diversi punti di vista ed esaminarlo nella sua componente clinica, individuale, ma altresì inserito in una dimensione sociale. In termini storici l'accento è stato posto inizialmente proprio sulla sintomatologia conseguente al trauma; ossia a come si manifestava nell'individuo il trauma e a come l'individuo reagiva ad esso. Successivamente sono stati presi in esame anche i fattori che possono costituire un rischio per il manifestarsi di alcune forme di patologia conseguente all'evento traumatico ed infine sono state tracciate alcune indicazioni in termini di prevenzione ed intervento. La lettura dell'evento traumatico deve comprendere diversi livelli: FATTORI ANTECEDENTI • storia individuale – età, sesso – sviluppo dell'individuo – caratteristiche della personalità – modalità di coping – stile di difesa 6 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 – fattori di rischio comportamentale – fattori di rischio psichiatrico • storia familiare FATTORI CONCOMITANTI • fattori ambientali traumatici • fattori interpersonali traumatici • fattori biologici traumatici FATTORI CONSEGUENTI • risposte psicologiche al trauma • sequele del sistema nervoso centrale • sequela patofisologiche • sequele psicofisiologiche • sequele comportamentali • pattern familiari • pattern sociologici Lo studio dei fenomeni traumatici ha avuto, come già si accennava, un notevole impulso dal verificarsi degli eventi bellici e dallo studio dei reduci combattenti. Le ricerche si sono allargate fino ad includere altre esperienze ad essa collegate: i campi di concentramento, le condizioni di vita civile associate ai periodi di guerra, i profughi, gli abusi, le torture... Una delle maggiori aree di interesse e di ricerca oggi è legata ai fenomeni criminali violenti: abusi sessuali, assalti fisici, rapine. Tali fenomeni sono divenuti oramai abituali all'interno di molti tipi di società e costituiscono purtroppo un'esperienza comune per gli individui. Le ricerche condotte in questi anni soprattutto negli Stati Uniti hanno rilevato come circa 70% degli individui adulti abbia fatto esperienza di un evento traumatico nel corso della sua vita (Norris, 1992). Ulteriori indagini sono poi state rivolte allo studio dei fenomeni catastrofici come disastri naturali o tecnologici. Il modello COR (Conservation of Resources) (Freedy e Hobfoll, 1995) ha tentato di fornire una lettura del trauma considerandolo come evento portatore di stress. Esso viene interpretato innanzitutto come l'esperienza per eccellenza che produce un vissuto di perdita. Secondo questo modello infatti l'esperienza della perdita, e non tanto quella del cambiamento come proposto da Holmes e Rahe nel 1967, determinerebbe uno stato di stress tale da indurre tutta quella sintomatologia che è tipica del disturbo. L'esperienza di perdita che il trauma produce è rapida, estesa (nel senso che sono molte le risorse ad essere perdute) e profonda. Essa riguarda tanto l'ambito oggettuale, che personale, degli affetti. L'individuo si sente privato delle risorse su cui poteva fino a quel momento contare e vive questa perdita con un vissuto di eccesso, trabordante da cui si sviluppa nel tempo un'incapacità a rispondere per investire/reinvestire. 7 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 Indici di gravità del trauma Nel valutare l'impatto di un evento traumatico sullo psichismo di un soggetto, occorre prendere in considerazione se la persona: • ha subito una minaccia diretta o indiretta di morte; • si è vista infliggere ferite o lesioni; • ha assistito alla minaccia di morte o all'inflizione di ferite o di morte a familiari o altre persone. Un altro aspetto che va senz'altro considerato e che abbiamo fatto rientrare all'interno della categoria dei fattori antecedenti il trauma, è l'età del soggetto traumatizzato. Uno stesso evento verrà vissuto in maniera diversa da un bambino e da un adulto, ma anche da bambino a bambino: alcune ricerche suggeriscono che, per specifici traumi, i bambini più piccoli (tra i 5 e i 10 anni) siano meno vulnerabili dei ragazzi un po' più grandi (oltre gli 11) (Sgarro, 1997, p. 60). Inoltre si potranno considerare: • la sorpresa dell'avvenimento • la vicinanza • la durata • l'ampiezza della violenza • il grado di brutalità • l'uso di armi. Tipologie di trauma Gli studiosi distinguono la componente soggettiva da quella oggettiva dell'esperienza traumatica. Nell’esperienza soggettiva è la percezione individuale di questo sentimento di sopraffazione ed esaurimento a costituire il trauma. Potrebbero non verificarsi ingiurie di tipo fisico e sentirsi il soggetto parimenti traumatizzato, travolto, sopraffatto da quest'evento oggettivo. L'oggettività si riferisce invece all'innegabilità che l'episodio accaduto possa definirsi traumatico. Una seconda distinzione riguarda l'ipotesi che si tratti di singoli episodi traumatici o piuttosto di episodi ripetuti. Un evento singolo come un terremoto, un uragano, un allagamento, costituiscono sicuramente fattori capaci di determinare un vissuto traumatico, così come rapine, omicidi. Ma sfortunatamente esistono anche traumi che si ripetono nel corso del tempo come spesso è per gli episodi di abuso. Questo è un fattore importante da considerare; la modalità di reagire al trauma risentirà di questa caratteristica, ad esempio per quanto riguarda la possibilità di elaborare e ricordare l'evento. La consapevolezza che l'episodio possa ripetersi innescherà facilmente delle difese rispetto alla rievocazione e al racconto dello stesso. Ancora, è fondamentale distinguere fra traumi di origine “naturale” o “umana”. Stress prolungati inflitti da persone sono spesso più duri da sopportare dei disastri naturali. Molte persone che ricorrono ad un 8 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 trattamento di salute mentale sono state vittime di traumi inflitti da altri individui. E se questo episodio si verifica deliberatamente nel contesto di una relazione in cui il soggetto è dipendente, la gravità del problema aumenta. Esistono diversi esempi di traumi inflitti da uomini ad altri uomini: violenze legate a guerre o di origine politica; violazione dei diritti umani (torture, rapimenti), violenze domestiche, abusi sessuali. I disturbi maggiori sono correlati con la presenza di una minaccia, con la durata e la forza del trauma, con il senso di impotenza vissuto durante l'abuso. È bene però non dimenticare che è fonte di stress anche solo assistere alla violenza perpetrata su qualcun altro, soprattutto qualora vi sia un legame stretto con la persona. In maniera riassuntiva si può concludere che gli effetti psicologici di un trauma saranno maggiori nel caso in cui: • l'evento sia stato prodotto da altri esseri umani; • l'episodio sia ripetuto, imprevedibile e sadico; • intercorra durante l'infanzia; • venga perpetrato da un altro significativo. Alla luce di questo possiamo comunque affermare che vittime possono esserlo tutte le persone indipendentemente dal sesso, dall'età, dalla razza, dalla classe… Per quanto riguarda la sintomatologia presentata, l'intrusione del passato nella vita presente è il problema principale col quale si confronta l'individuo sopravvissuto al trauma. Questa intrusione si presenta sotto forma di memorie invasive flashback, incubi e una sopraffazione emozionale che segnala la presenza di una strategia per far fronte agli eventi pur di tipo maladattivo. Le vittime sopravvissute a traumi ripetuti avvenuti nell'infanzia facilmente continuano ad utilizzare le stesse strategie protettive attivate in occasione del trauma (ipervigilanza, dissociazione, evitamento…) anche successivamente per far fronte ad altri eventi difficili determinando una incapacità di crescere anche nelle modalità difensive. È bene comunque non dimenticarsi che, per quanto invasivo sia il sintomo, esso costituisce sempre e comunque un modo di difendersi per il soggetto da un male che sarebbe per lui peggiore e disfunzionale al suo adattamento. Il trauma all’interno della teoria della personalità di Rogers La teoria della personalità di Rogers non si confronta in maniera diretta con il concetto di trauma. Le considerazioni che seguono sono peraltro intuizioni sulla suddetta alla luce della letteratura prodotta (Rogers, 1951, 1965, trad. it.) Secondo la teoria di Rogers l'adattamento psicologico dell'individuo e il suo funzionamento adeguato, dipendono dal tipo di relazioni che intraprende fin dalla nascita con gli “altri significativi” (in particolare i genitori e chi si occupa del suo accudimento). Una relazione in grado di fornire un sentimento di accettazione incondizionata delle esperienze 9 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 emozionali del bambino, sarebbe la più funzionale nei termini di un sano sviluppo psicologico. Sempre secondo questa teoria, esiste in ogni individuo la capacità di muoversi in una direzione di sviluppo, conservazione e realizzazione delle sue potenzialità. Tale forza viene definita tendenza attualizzante e costituisce il motore dell'esistenza del soggetto, visto come libero di riconoscere ed elaborare le proprie esperienze. Ogni individuo oltre che libero è anche agente di scelte, ossia capace di muoversi prendendo decisioni in prima persona nel suo ambiente, nonché responsabile per tali scelte di fronte agli altri uomini. Le sue esperienze, intese come tutto quanto avviene nell'immediato dell'organismo, possono accedere alla coscienza attraverso un meccanismo definito di simbolizzazione che nello sviluppo struttura il Sé del soggetto, inteso come insieme delle caratteristiche, attributi, valori che assegna a se stesso e agli altri. Tale struttura tende a mantenersi coerente nel suo interno e ad agire quindi come filtro rispetto a tutte le esperienze che risultino con essa incongruenti. Ora, è facile dedurre come il trauma costituisca un'esperienza devastante per l'individuo. Si tratta di una forte minaccia anzitutto alla sua sopravvivenza; minaccia che, quando non è diretta alla sua persona, lo diventa indirettamente attraverso la probabile perdita degli “altri significativi”. Tale esperienza incide nella soddisfazione tanto dei bisogni strettamente legati all'accudimento, quanto di quelli di autorealizzazione. Il sé costruito dall'individuo viene improvvisamente destabilizzato da questo evento e in un attimo cancella il vissuto di sicurezza fino allora eventualmente provato in un ambiente sano. L'individuo non si potrà più sentire agente di scelte libero e responsabile, in quanto il corso degli eventi gli impedisce di essere artefice di questo destino. Se poi il trauma viene inflitto dagli stessi “altri significativi”, allora anche la fiducia nel loro amore e accettazione viene inquinata dall'esperienza diretta che la contraddice. Il desiderio di sentirsi amato e degno dell'amore di queste altre persone è però innato e alla continua ricerca di un soddisfacimento; la sua disconferma, perciò, origina un massiccio intervento difensivo. È facile dunque comprendere come sia necessario per l'individuo intervenire immediatamente per limitare i danni di un simile evento rispetto alla costruzione e al mantenimento del concetto di sé. Quale sarà la strategia adottata? Una negazione totale dell'esperienza che non viene nemmeno riconosciuta, o piuttosto una distorsione della stessa? Un soggetto già di per sé mal funzionante, ossia rigido, difeso risponderà all'episodio aumentando il suo grado di rigidità, il significato assoluto dell'evento, spiegandoselo forse attraverso teorie generali lontane del reale delle sue esperienze. La teoria spiega inoltre come uno stato di incongruenza fra Sé ed esperienza reale, vissuta, genera ansia e senso di minaccia; diventa assai facile presumere che nel soggetto esista un livello intenso di queste componenti e si generi un distacco profondo fra i pensieri, diretti per lo più ad arginare l'incongruenza, e le emozioni che danno invece voce all'esperienza. 10 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 Il lavoro sul trauma in guerra Gran parte degli appunti che seguono sono stati raccolti nel corso di un convegno indetto dall'Ordine Nazionale degli Psicologi nel maggio 1999 in occasione della guerra in Kosovo. Gli interventi sono stati centrati sull'esperienza del trauma nel bambino e nell'adulto e in particolare sull'esperienza dell'essere profugo. Con i rifugiati Il trauma vissuto dal rifugiato non è un evento isolato, bensì una situazione prolungata che assomma tutta una serie di esperienze traumatiche. Tale esperienza è pertanto suddivisibile in più fasi: 1. l'aumento della repressione politica vissuta in patria; 2. l'aumento dell'esperienza traumatica con vissuti di terrore, fuga, combattimento… legata all'evolvere degli eventi bellici; 3. l'esilio; 4. il rientro in patria. Si è deciso di tralasciare le prime due fasi e di concentrarsi piuttosto sulla terza e sulla descrizione dei vissuti che porta con sé l'esilio. In particolare, si può sottolineare come questo tipo di esperienza si accompagna ad una percezione di sradicamento legata al dovere lasciare con la forza la propria casa, la famiglia, i propri beni, arrendendosi ad un nuovo ambiente per un periodo indefinito (Kleber, Figley, Gerson, 1995). L'esilio è un processo che va ad incidere innanzitutto sull'identità del soggetto. Il profugo in patria era una persona con un'identità ricca, differenziata, costruita su di un ruolo socialmente riconosciuto. L'esilio cancella questa identità, assimilandola a quella della massa. Egli non vive più una dimensione individuale, bensì una dimensione collettiva, di mescolamento e assimilazione al gruppo. La perdita del ruolo e la cancellazione di questa identità va di pari passo con l'assunzione del nuovo status. Tuttavia, all'interno di questa categoria non si è riconosciuti come persone, ma come masse di persone, provenienti da altrove e non appartenenti a quel contesto e che prima o poi lo lasceranno. È importante all'interno di questa massa distinguere anche fra chi è arrivato per primo, con ancora delle speranze nell'intenzione del mondo di ascoltarlo e di operare in suo aiuto, da chi invece arriva per secondo, in genere più silenzioso, senza più voglia di raccontare, incredulo sulla capacità dell'altro di capirlo e pessimista sulla possibilità di risolvere la situazione. Si tratta di persone che fino all'ultimo hanno combattuto e che sono stati testimoni del disastro finale prodotto dalla guerra. Lo stress che vive il profugo non è solo quello del pericolo di vita incorso, ma anche quello legato al pensiero di dover ritornare e ridisegnare da capo la propria vita affrontando grossi cambiamenti. È il pensiero di non sapere dove sono andati i parenti, di non riuscire a ricostituire il nucleo familiare, di non riuscire a riappropriarsi delle proprie cose andate perdute per sempre perché distrutte o perché prese in possesso da qualcun altro di nemico. 11 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 È possibile distinguere nel vissuto del profugo una condizione di • stress fisico, legato alla situazione di costrizione fisica vissuta all'interno del campo, al mantenimento della salute in condizioni igieniche precarie, al dover stare in forma per riuscire ad affrontare il futuro nel miglior modo possibile... • stress psicologico, strettamente connesso a quelli che si dicevano essere il sistema dei valori, delle motivazioni, degli atteggiamenti verso la vita; alla capacità dell'individuo di tollerare l'ambiguità, l'incertezza, di crearsi un nuovo ruolo, di rinunciare a quello vecchio accettando l'aiuto e l'asilo che viene offerto; al sistema di attribuzione di cause individuato dal soggetto come esplicative di quanto sta vivendo. All'interno della teoria di Rogers questo stato di stress coincide con una forte minaccia al Sé che si trova a dover ridiscutere la sua strutturazione. La perdita di fiducia nell'altro, che è diventato nemico, si scontra con la necessità di doverla riporre immediatamente su altre figure che possano garantire la sopravvivenza. Viene meno la condizione di scelta libera e responsabile da parte dell'individuo e si fortifica uno stato di dipendenza forzosa in un altro che è per lo più sconosciuto. Per quanto riguarda l'intervento in situazioni di questo tipo, è assai importante che i profughi recuperino un vissuto di padronanza della loro vita. Già un sistema informativo che fornisca notizie sulla situazione del posto da loro lasciato in patria risulta essere fondamentale; così come metterli al corrente dei loro diritti nonché doveri posseduti. Vanno incoraggiati ad intraprendere nuove attività o a partecipare a quelle già organizzate ritagliandosi un ruolo all'interno dell'economia del campo, ad esempio. Tutto questo consentirà loro di allontanare il ricordo delle esperienze traumatiche e allo stesso tempo di rievocarlo in situazioni protette dalla presenza di personale esperto. Ancora, risulta importante enfatizzare la temporaneità dell'esilio riformulando idee e progetti per il futuro, nonché favorendo l'incontro e il ricongiungimento con la famiglia e i parenti in un unico posto. Con i bambini I traumi in età evolutiva ed adolescenziale sono senz'altro i più gravi, in quanto comportano il rischio che da essi si sviluppino altre patologie (di tipo alimentare ad esempio, o dell'umore, del comportamento) compromettendo lo sviluppo della personalità dell'individuo. Il lavoro condotto in questo ambito ha mostrato come una delle caratteristiche che assume l'atteggiamento dell'adulto nei confronti delle sofferenze psicologiche provate dai bambini in caso di trauma è senz'altro quella di una sottostima della stessa. Il piano della fantasia e quello della realtà, spesso sovrapposti nell'immaginario infantile, determinano frequentemente una sottovalutazione, un minor credito dato alle testimonianze dei bambini. Il trauma è un attacco contro i sensi legato al sistema dei sensi. Una tipica reazione di difesa per la sopravvivenza consiste nel congelamento delle emozioni. È facile incontrare bambini che non piangono, le cui emozioni sono 12 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 state distaccate dai pensieri. Ma talvolta basta un rumore, un odore, per riappropriarsi di ricordi tenuti accuratamente lontani. Il trauma infantile si caratterizza per: • una ripetitiva memoria percettiva: i bambini rievocano l'evento, sentono odori o rumori legati all'evento, riassumono posizioni esperienze tattili… soprattutto nei bambini molto piccoli, allorché le capacità di verbalizzazioni sono ancora minime, la rievocazione avverrà per lo più con modalità non verbali. • comportamenti ripetitivi: anch'essi tipici dei bambini al di sotto dei 12 mesi con una memoria verbale dell'evento pressoché nulla (essi sono però inconsapevoli di attivare questi comportamenti come risposta alla situazione di trauma originaria) • paure trauma-specifiche legate all'evento, o in generale nelle situazioni di buio, alla presenza di sconosciuti, allo stare soli o con altri bambini… • cambiamento di atteggiamento verso persone specifiche, verso la vita o il futuro. Riconoscono una forte vulnerabilità agli esseri umani, specialmente a se stessi. Come è già stato detto, si sono individuati 2 tipi di disturbi: 1. prodotti da singoli eventi; 2. prodotti da eventi lunghi o da ripetute esposizioni al trauma. La sintomatologia presente nei due casi è diversa e, in particolare nel secondo caso, troviamo una prevalenza dei disturbi dell'umore (quali rabbia, tristezza o addirittura assenza di emozioni) con un grosso senso di anticipazione dell'evento traumatico. Il bambino non è in grado di guarire da solo le conseguenze del trauma, ha bisogno di qualcuno che lo aiuti, che lo induca al racconto e alla elaborazione dell'episodio; viceversa, spesso l'adulto si dimostra incapace di ascoltare il bambino, anzi lo spinge a dimenticare il trauma quando loro stessi ne sono stati vittima. La repressione è probabilmente il più grande ostacolo alla guarigione, in quanto induce uno stato di cronicità. Un trauma nell'infanzia può produrre deficit consistenti in diverse aree: • capacità ad autocalmarsi, autotranquilizzarsi; • visione del mondo come un luogo sicuro; • fiducia nell'altro; • capacità di organizzare il pensiero per prendere decisioni e determinare nella vita adulta disturbi specifichi consistenti in agitazione, paranoia, psicosi... I vissuti principali che i bambini si trovano ad esperire durante una guerra sono quelli della perdita e del tradimento. Nelle aree di guerra è difficile che un bambino non abbia perduto almeno un familiare. Talvolta si tratta di una perdita “fisica” temporanea, in seguito ad una fuga di massa ad esempio. L'esperienza insegna che diventa fondamentale in questi casi operare per un ricongiungimento con il nucleo che sia il più rapido possibile. Nel momento in cui si riesce a realizzare un ricongiungimento familiare occorre fare molta attenzione; la casa in cui il nucleo si riunisce è talvolta il luogo stesso in cui è stato vissuto il trauma e facilmente il ritorno può significare una riapertura del trauma stesso. La riunificazione è altresì perdita di un luogo sicuro rappresentato dal campo 13 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 profughi che lo aveva accolto fino a quel momento e quindi anche l'allontanamento da questo luogo sicuro va preparato con cura. Altre volte invece la perdita della persona cara è definitiva; il bambino è solo. Il lavoro si compie in queste occasioni sul concetto di identità andata perduta contemporaneamente alla perdita dei familiari; sul recupero dei ricordi talvolta traumatici che possono trovare spazio nell'espressione creativa del disegno o della drammatizzazione. Non sempre si tratta di ricordi reali; talvolta il bambino si appropria dei ricordi altrui nel tentativo di ricostruirsi una storia. Il tradimento è un altro vissuto tipico dei bambini in guerra. Viene meno la fiducia nella figura genitoriale che non è più in grado di proteggere, nutrire, progettare il loro futuro. Si incrina pericolosamente il ruolo dell'autorità; il bambino vive un senso di abbandono e di necessità a curarsi da sé. Le credenze di base legate a questa fiducia incondizionata nella figura adulta crollano e frequentemente si assiste all'allontanamento stesso dei bambini dal nucleo famigliare per aggregarsi al gruppo dei pari o dei militari. Vista in un ottica rogersiana, è possibile pensare quanto questa perdita di fiducia possa incidere nella costruzione del concetto di Sé del bambino; i valori, le credenze, i costrutti interiorizzati nella relazione con i suoi “altri significativi” fino a quel momento vengono repentinamente messi in discussione e probabilmente sostituiti rigidamente con altri antitetici. È importante a questo punto dare una spiegazione al bambino di quello che sta succedendo, proponendogli delle figure adulte che possano in qualche modo continuare a rappresentare i vecchi modelli che possedeva prima della guerra. Sarà fondamentale che l'adulto riacquisti la fiducia dei bambini creando un'atmosfera di apertura e di spiegazione circa quello che sta succedendo ai fini di trasmettere senso di rassicurazione, capacità di prevedere e rinormalizzare la quotidianità. Ma sarà altresì importante che l'adulto assuma un ruolo di ascolto ed accoglienza per il senso di smarrimento vissuto dal bambino in una tale circostanza. Ancora una volta la qualità dell'attaccamento risulta fondamentale per superare più o meno indenni il verificarsi di un episodio traumatico e intervenire sul legame di attaccamento è decisivo per un buon esito di questo lavoro. L'intervento non dovrà essere per forza e sempre rivolto ad una rivisitazione del trauma; l'uso del disegno, della drammatizzazione, della poesia, possono essere finalizzate anche semplicemente alla ludicità del momento. Il gioco diventa comunque un momento importante per poter rappresentare in maniera simbolica la dimensione del conflitto; attraverso il gioco si può fingere di fare la guerra ma anche la pace; ci si può incontrare, scontrare e anche ritrovare. 14 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2001 Bibliografia BONFIGLIO B. 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