Prima di addentrarci nell`applicazione della metodologia di calcolo
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Prima di addentrarci nell`applicazione della metodologia di calcolo
1. LA LOGICA DEL RENDICONTO FINANZIARIO Prima di addentrarci nell’applicazione della metodologia di calcolo, occorre sgombrare il campo da un equivoco: il rendiconto finanziario non serve a verificare la liquidità complessivamente generata o assorbita da un’entità. Questa è immediatamente identificabile raffrontando il saldo delle disponibilità liquide in due esercizi consecutivi. Così, ad esempio, se al 31 dicembre dell’anno n il valore complessivo delle disponibilità (in sintesi cassa e banca) è di € 1.000 e al 31 dicembre dell’anno n-1 ammonta a € 700, significa che la variazione del cosiddetto «saldo di cassa» è pari a € 300. Questa misura esprime il valore della liquidità generata nell’arco temporale di riferimento. A cosa serve allora il rendiconto finanziario se questa quantità è così facilmente identificabile? Serve a capire e a spiegare il perché è avvenuta questa variazione; o, ancora meglio, serve a comprendere il contributo che ciascuna area della gestione ha fornito ad alimentare i flussi finanziari. La gestione è infatti composta da una serie di attività fra loro combinate. Ciascuna attività è riferibile ad una precisa area gestionale in funzione della connessione che essa ha rispetto alle dinamiche aziendali. In estrema sintesi, è possibile identificare tre aree: operativa, finanziaria e straordinaria. Per semplicità si può ritenere che quella accessoria, generalmente nulla o residuale, possa essere ricompressa in quella operativa o, se rilevante, considerata a parte come surplus asset, come meglio spiegato nel prosieguo. A ciascuna di queste aree sono associabili flussi finanziari legati alla creazione o all’assorbimento di liquidità. Sapere, ad esempio, che una riduzione di liquidità è legata all’investimento effettuato per l’acquisizione di un immobile oppure ad una riduzione dei tempi medi di incasso dai clienti può essere utile per acquisire consapevolezza sulle politiche gestionali ed eventualmente correggere per il futuro i corsi di azione. In tal senso il rendiconto finanziario rappresenta un importante strumento di analisi per accertare non soltanto la dinamica dei flussi, ma anche per comprendere le ragioni che stanno dietro a ciascun movimento. In altre parole, rispetto al puro e semplice effetto, cioè la variazione del saldo di cassa, esso permette di inquadrarne anche le cause, vale a dire le modalità con cui si è pervenuti a tale variazione. Come detto in precedenza non esiste un unico modello di rendiconto finanziario, ma nel tempo se ne sono formati di vari, in funzione della logica di riferimento. Ciascuno di essi, pur focalizzando l’attenzione su una dimensione in luogo di un'altra (ad esempio sulle dinamiche del capitale circolante), conduce comunque allo stesso risultato. In particolare, esistono due metodologie: una diretta ed una indiretta. La prima consiste nel correggere i ricavi e i costi operativi per depurarli della competenza economica. In buona sostanza, i ricavi sono rettificati della variazione fra fine ed inizio esercizio dei crediti verso clienti; i costi, dal canto loro, dall’ammontare della variazione dei debiti ad essi relativi, eliminando quelli che non hanno natura monetaria (ammortamenti, accantonamenti, svalutazioni) e così via. La metodologia indiretta, ed è quella qui utilizzata, consiste nel verificare in quale misura ciascuna delle aree della gestione contribuisca all’andamento dei flussi finanziari. 2. IL FREE CASH FLOW OPERATIVO (FCFO) Il flusso di cassa - o free cash flow - operativo (FCFO) misura la liquidità generata o assorbita dalla gestione a livello operativo. Il flusso di cassa, lo ricordiamo rappresenta il trait d’union fra la dimensione economica e quella patrimoniale, dal momento che permette di stabilire una relazione tra il risultato economico e le risorse impiegate per il suo conseguimento. Richiamando anche in questo caso la parte sull’analisi dei dati di bilancio, occorre fare riferimento principalmente a due grandezze: il COIN, che rappresenta il capitale investito nella gestione operativa, e l’EBIT (earning before interests and taxes) che misura il margine operativo netto. Il free cash flow operativo si origina dal confronto fra il risultato economico e la variazione dello stock in due periodi consecutivi. Per dirla meglio, l’Ebit misura la capacità dell’impresa di autofinanziarsi e il free cash flow operativo il valore che si ottiene correggendo tale autofinanziamento con l’effetto esercitato dalla variazione della gestione circolante e strutturale. Lo schema di calcolo è il seguente: Tavola 2 - Il free cash flow operativo = + + = ± = + = FREE CASH FLOW OPERATIVO Ebit Imposte sul risultato operativo Nopat Ammortamenti Svalutazioni, accantonamenti ed altri costi non monetari Autofinanziamento netto Variazione del Capitale circolante netto commerciali (CCNc) Variazione dei fondi Flusso di cassa operativo corrente (FCOC) Investimenti riferibili all'area operativa Disinvestimenti riferibili all'area operativa Free cash flow operativo Analizziamo separatamente ciascun risultato intermedio. A) Il Nopat L’EBIT è calcolato sottraendo al valore della produzione tutti i costi operativi. Fra essi figurano anche le imposte di esercizio, che, tuttavia, nello schema civilistico di bilancio, sono collocate nella «parte bassa» del conto economico. Ai fini del calcolo in questione l’incidenza della variabile fiscale deve essere considerata, poiché costituisce un’uscita finanziaria operativa al pari delle altre. Al riguardo è bene considerare che la voce di bilancio risente dell’effetto di tutti i componenti economici e proprio per questa ragione è necessario identificare il costo delle imposte sull’EBIT, così da pervenire al NOPAT (net operative profit after taxes). Il procedimento, evidentemente, non deve avvenire avendo riguardo della normativa fiscale; non è necessario, in altre parole rideterminare il carico fiscale applicando le disposizioni del Testo unico sulle imposte sul reddito (TUIR), ma identificando un’aliquota media. Tale calcolo può avvenire in due modi. Una prima soluzione può consistere nel calcolare l’incidenza media degli oneri fiscali storici (nei due-tre esercizi precedenti) rapportando la voce «imposte di esercizio» e «utile ante imposte». In tal modo si potrebbe avere una misura che contempla un onere effettivo, anche se, in termini pratici, tale misura potrebbe essere abbastanza elevata. Non è infatti raro che la tassazione così rilevata superi una percentuale del 50%, che potrebbe penalizzare eccessivamente il flusso di cassa. Una soluzione alternativa, spesso largamente utilizzata, consiste nell’applicare l’aliquota teorica di riferimento, pari alla sommatoria di IRES e IRAP. Il calcolo è parzialmente distorsivo in quanto l’IRAP non si applica a tutte le voci di costo del conto economico, ma fornisce comunque una misura sintetica di riferimento. Si deve aggiungere che è pratica frequente che le imprese redigano il business plan utilizzando proprio un coefficiente così costruito; in tal caso la scelta di questa misura risponderebbe anche alla logica utilizzata nel documento da cui i dati numerici sono tratti. Il valutatore dovrebbe tenere conto di eventuali manovre fiscali che nel futuro potrebbero comportare modificazioni di qualche natura, anche se occorre che le aliquote siano puntualmente giustificate. B) L’autofinanziamento netto Il flusso di cassa, per sua natura, registra tutte le entrate e le uscite legate alla gestione. In virtù dell’applicazione del principio di competenza economica, tuttavia, non a fronte di tutti i costi si manifestano uscite. Tali costi sono giustappunto detti «non monetari» e sono rappresentati da ammortamenti, accantonamenti e svalutazioni. Si tratta di valori la cui manifestazione finanziaria si è verificata nel passato o deve ancora realizzarsi. Non comportando dunque uscite di cassa, tali valori devono essere eliminati, attraverso una semplice somma, in quanto non hanno alcuna incidenza nella dinamica della liquidità. C) Il flusso di cassa operativo corrente Al fine di determinare il flusso di cassa operativo corrente è necessario determinare la variazione del capitale circolante netto commerciale (CCNc) e l’utilizzo dei fondi. Il CCNc sintetizza il ruolo svolto dalla gestione circolante sulla dinamica della liquidità. Tale voce ricomprende quelle grandezze che sono caratteristiche del ciclo operativo di breve periodo: crediti operativi, rimanenze e debiti operativi (sono dunque esclusi quelli accesi a titolo di finanziamento). Se tutte le operazioni avvenissero senza dilazione e se non esistesse la necessità di mantenere scorte, l’EBIT coinciderebbe, senza considerare i fondi, con il flusso di cassa operativo corrente. Nella realtà, tuttavia, le cose funzionano diversamente. La dinamica finanziaria subisce uno sfasamento rispetto a quella economica: vale a dire, non vi è contemporaneità fra costo e uscita e fra ricavo e entrata. La variazione del CCNc indica appunto l’entità di tale sfasamento e in che modo essa influisca sull’EBIT, cioè sulla capacità di autofinanziamento. Chiariamo il concetto con un esempio. Il credito verso clienti in termini finanziari comporta una riduzione della liquidità: invece di un flusso in entrata immediato, si avrà un flusso differito (il quale incorpora oltretutto un certo grado di rischio). Questo significa che, fra i ricavi, esiste una quota, corrispondente a quel credito, per la quale si è avuta solo manifestazione economica ma non ancora finanziaria. Si tratta dunque di correggere quel ricavo nella misura in cui esso non ha contribuito a produrre liquidità. Ragionamento analogo può avvenire per i debiti verso fornitori. Il costo, ad esempio per materie prime, contiene una quota per la quale non vi è stata ancora l’uscita di cassa. Ne consegue che questo sfasamento corregge l’informazione che si ha a livello economico. Poiché in un’accezione dinamica ciò che rileva non è il dato puntuale, bensì l’evolversi del flusso, si spiega perché dall’Ebit sia sottratto non il valore puntuale a quella data delle poste legate al ciclo operativo di breve periodo, ma la sua variazione rispetto all’esercizio amministrativo precedente. Così facendo è possibile accertare se nell’arco di tempo considerato vi sia stato un incremento o un decremento di liquidità. Ad esempio, un aumento dei crediti e delle rimanenze testimonia una riduzione di liquidità; al contrario, un aumento dei debiti significa maggiore liquidità trattenuta in azienda. Si può dunque affermare che un’espansione del CCNc assorbe l’autofinanziamento misurato dall’Ebit, mentre una riduzione lo incrementa. Alla luce di queste considerazioni si capisce come la gestione del ciclo operativo a breve risulti strategicamente fondamentale. In termini generali, una variazione negativa del CCNc deve essere sommata all’Ebit in quanto testimonia un aumento di liquidità; una variazione positiva del CCNc, invece, deve essere sottratta dall’Ebit, poiché indica che la liquidità si è ridotta. Differente è la questione dei fondi. Essi, per loro natura, si alimentano con quote di costo per passività potenziali, che possono essere incerte «nel se» (ovvero se si manifesteranno o meno, come ad esempio i fondi rischi) o «nel quando» (certamente si manifesteranno, ma non è dato sapere il momento temporale, come ad esempio nel caso del fondo per il trattamento di fine rapporto). Ciò che pertiene a questa fase non è il modo con cui il fondo si alimenta. In applicazione del principio della competenza economica si tratta infatti di un accantonamento e, come tale, è oggetto di rettifica nella sezione precedente. Piuttosto rileva la parte del fondo che è stata utilizzata, in quanto testimonia che il costo accantonato nel fondo ha perso il carattere di potenzialità ed è diventato reale; così facendo, si trasforma in un’uscita finanziaria. Ad esempio, questo è il caso di un dipendente che lascia la società e che ha diritto alla liquidazione del fondo per il trattamento di fine rapporto. Tale quantità misura un’uscita reale e come tale deve essere sottratta all’Ebit. Analoghe considerazione possono essere svolte per gli altri fondi. In termini generali si può affermare che se la variazione è inferiore all’accantonamento effettuato, questo è indice del fatto che vi è stato un utilizzo, il quale deve essere sottratto. In definitiva, determinando la variazione del capitale circolante netto commerciale e sottraendo l’utilizzo dei fondi è possibile trasformare l’autofinanziamento netto in flusso di cassa operativo corrente. D) Il free cash flow operativo In ultima analisi, per determinare il free cash flow operativo occorre considerare l’effetto degli investimenti e dei disinvestimenti relativi all’area strutturale. A fianco del ciclo gestionale coesiste infatti la struttura operativa, che comprende le attività cosiddette di lungo periodo, destinate cioè a permanere per più lungo tempo nella compagine aziendale. L’acquisizione di assets comporta in termini generali una riduzione di liquidità, che varia a seconda del modo con cui essa viene finanziata. Se l’importo è corrisposto avvalendosi in via esclusiva attraverso capitale proprio, si ha una riduzione del flusso di cassa per un pari importo. Se invece si ricorre a capitale di terzi, si ha prima un’entrata di liquidità corrispondente al valore del bene e successivamente un’uscita di pari entità per il pagamento. L’effetto dell’operazione, in termini finanziari, è pertanto nullo; in tal caso rilevano soltanto le uscite legate alla restituzione del debito e alla corresponsione degli oneri finanziari. La cessione di assets comporta, come ovvio, un aumento della liquidità. A questo riguardo, come in precedenza accennato, non è necessario tenere separati i flussi di cassa dovuti all’emergere di un eventuale plusvalore, in quanto, in un’ottica finanziaria, essi rientrano comunque nella gestione operativa. Si supera cioè l’impostazione civilistica, che tratta li stessi come valori straordinari dell’esercizio. È bene ricordare che non costituiscono variazioni di liquidità gli ammortamenti (dei quali si è già discusso in precedenza), ma neanche eventuali rivalutazioni o conferimenti. Le prime, sono meramente funzionali a riadeguare il costo storico rispetto a valori di mercato (siano esse monetarie o economiche); i secondi, invece, comportano, quale contropartita, un aumento di capitale. Un incremento contabile delle immobilizzazioni attraverso entrambe le operazioni non ha effetto sulla liquidità; solamente al momento della cessione l’eventuale plusvalore trova concretezza e si trasforma in flusso finanziario. In definitiva, una volta apportate le variazioni inerenti all’incremento e al decremento di attività strutturali, si perviene al free cash flow operativo. Se esso ha saldo positivo, significa che l’impresa è in grado di creare liquidità a livello di gestione operativa e che è dunque in grado di far fronte ad ulteriori uscite legate ad operazioni che riguardano altre aree gestionali. Se il saldo è invece negativo, si palesa un fabbisogno finanziario, che attesta l’incapacità di svolgere la gestione in condizioni di equilibrio. Solitamente, le aziende in fase di start up presentano, nella prima fase, un FCFO negativo, in quanto è necessario del tempo per consolidare il ciclo operativo e strutturale e metterli in condizione di sfruttare a pieno le potenzialità. Tale condizione non deve però permanere per troppo tempo e in un lasso ragionevole è necessario, per la stessa sopravvivenza, che i flussi si spostino sull’area positiva. Sono ancora abbastanza recenti gli esempi di società alle quali, al momento della quotazione sul nuovo mercato, è stata riconosciuta una capacità di generare flussi di cassa positivi che in realtà non si sono mai manifestati. Per le realtà già attive, il valutatore, nel recepire le indicazioni fornite dall’organo di governo, non deve prescindere da una verifica delle condizioni inerenti alla dinamica dei flussi di cassa operativi passati. Ad esempio, in presenza di flussi storici negativi, è difficile ipotizzare significativi miglioramenti se non attraverso investimenti che comunque nel breve-medio periodo comportano una riduzione di liquidità. Incrementi dei livelli di liquidità troppo eccessivi in assenza di fatti o mutamenti che li giustifichino sotto qualche forma sono da interpretarsi come un segnale anomalo. È evidente che basta ipotizzare una diversa gestione dei clienti e delle scorte, una dismissione di assets particolarmente vantaggiosa, la stipula di più convenienti accordi con i fornitori per migliorare anche sensibilmente i flussi di cassa prospettici, pure a parità di condizioni (medesimo fatturato e stessa struttura dei costi). Tuttavia occorre chiedersi come mai tali interventi non siano già stati realizzati e accertare quali provvedimenti l’organo di governo intende adottare per renderli concreti. 3. IL FREE CASH FLOW TO EQUITY (FCFE) In questa seconda sezione del rendiconto, si trovano le variazioni di liquidità legate alla gestione finanziaria, ovvero l’insieme di operazioni attinenti ai mezzi propri e alle fonti di terzi compiute dall’organo di governo. In questa sezione sono accolti sia gli oneri e i proventi finanziari che le variazioni dei debiti e del capitale sociale. In estrema sintesi il prospetto è il seguente: Tavola 3 - Il free cash flow to equity + + + = FREE CASH FLOW TO EQUITY Free cash flow operativo Interessi passivi e altri oneri finanziari Pagamento dividendi Proventi finanziari Negoziazione nuovi debiti Rimborso debiti in scadenza Aumenti di capitale sociale a pagamento Rimborsi di capitale sociale Free cash flow to equity (FCFE) In questa sede non si rendono necessarie particolari osservazioni, se non puntualizzare che le variazioni devono avere come oggetto una transazione che movimenta denaro. Così, ad esempio, un aumento di capitale per effetto di una fusione per incorporazione o di un conferimento, non rileva ai fini dell’analisi, in quanto si sostanzia un’operazione che non interessa la liquidità. Allo stesso modo, un prestito obbligazionario convertibile che a scadenza viene esercitato non dà luogo ad incremento di flussi di cassa solo al momento di accensione del debito e non a quello della conversione. Sono considerate invece variazioni positive di liquidità la negoziazione di nuovi debiti e gli aumenti di capitale sociale a pagamento. Mentre questa seconda fattispecie non comporta ulteriori movimenti di cassa, l’eventuale incremento di passività finanziarie comporta, quale conseguenza, un decremento di liquidità per la corresponsione di interessi passivi e la restituzione del prestito. La tempistica varia evidentemente in funzione del tipo di debito negoziato, a seconda che sia di lunga o breve durata. Di contro, i rimborsi di capitale sociale (ipotesi alquanto circoscritta nella realtà) rappresentano riduzioni di liquidità. I proventi finanziari presentano mediamente un peso abbastanza modesto, a meno che non si sia in presenza di una holding finanziaria. In questo caso, tuttavia, c’è da chiedersi se lo schema proposto mantenga significatività o se piuttosto si debba considerare unitariamente gestione operativa e finanziaria, atteso che esse sono di fatto coincidenti. Anche nel caso di valutazione di istituti di credito o di società finanziarie in genere, occorre adattare il prospetto al tipo di attività svolta, partendo dal presupposto che la gestione finanziaria rappresenti il core business delle attività. Il valutatore, nell’esaminare il calcolo del FCFE deve verificare il grado di coerenza del livello di indebitamento rispetto agli investimenti programmati. Come detto in precedenza, è abbastanza comune, da parte dell’organo di governo preposto alla redazione di flussi futuri, ipotizzare miglioramenti, anche consistenti, relativi al periodo futuro. Il controllo della coerenza consiste nell’accertare che la crescita sia supportata da investimenti adeguati, che necessitano evidentemente di adeguata copertura finanziaria. Il valutatore deve altresì esaminare che vi siano consistenti probabilità che un eventuale aumento di capitale programmato sia effettuato. Trattandosi di una decisione assunta dall’assemblea dei soci, per quanto riferita ad evento futuro, dovrebbe essere supportata con documentazione adeguata (verbali del C.d.A., ecc.). Il valutatore, infine, ha il dovere di accertare che il costo dei debiti finanziari sia mediamente congruo rispetto a quello in essere o negoziato con gli istituti. In ipotesi di ristrutturazione di società di una certa dimensione (ed in particolare in fattispecie di turnaround), non è raro che sia stipulata con gli istituti finanziatori una convenzione che disciplina particolari forme di accesso e di gestione del credito. In tal caso, una verifica delle linee contenute dell’accordo, ad esempio attraverso il calcolo del return on debt (ROD) può essere una cartina di tornasole circa la coerenza delle premesse metodologiche con cui la proiezione è stata effettuata. 7. ESEMPLIFICAZIONE Si considerino i seguenti stati patrimoniali ed economici consecutivi e già classificati secondo un criterio funzionale. Gli anni 2006 e 2007 rappresentano gli esercizi storici, mentre quelli dal 2008 al 2001 gli esercizi prospettici (la «E» significa giustappunto expected, attesi). Si ipotizzi che la valutazione sia effettuata all’inizio dell’anno 2008. Crediti verso clienti Rimanenze Altre attività a breve Debiti verso fornitori Altre passività a breve Capitale circolante netto Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni materiali Fondo TFR Altri fondi Immobilizzo netto Capitale operativo investito netto Debiti verso banche Disponibilità liquide Posizione finanziaria netta Capitale sociale Riserve Utile (perdita) di periodo Patrimonio netto Totale fonti 2005 1.845 2.993 435 -1.671 -259 3.343 1.532 438 -179 -79 1.712 5.055 3.785 -904 2.881 1.238 508 428 2.174 5.055 2006 2.285 3.596 1.839 -3.186 -1.007 3.527 1.910 2.064 -168 0 3.806 7.333 5.585 -475 5.110 1.238 936 49 2.223 7.333 2007 2.816 4.380 1.618 -3.034 -620 5.160 1.832 2.512 -276 -165 3.903 9.063 6.914 -253 6.661 1.238 985 179 2.402 9.063 2008E 4.374 3.670 3.271 -1.552 -3.774 5.989 2.397 4.508 -369 -2.789 3.747 9.736 7.287 -193 7.094 1.238 1.164 240 2.642 9.736 2009E 3.669 3.996 1.828 -2.495 -1.412 5.586 1.318 6.011 -402 -2.358 4.569 10.155 7.072 -467 6.605 1.238 1.404 908 3.550 10.155 2010E 4.880 3.604 1.828 -3.469 -1.412 5.431 1.058 6.088 -543 -1.760 4.843 10.274 7.396 -1.839 5.557 1.238 2.312 1.167 4.717 10.274 2011E 5.315 3.495 1.828 -3.745 -1.412 5.481 798 6.511 -688 -1.162 5.459 10.940 7.340 -2.853 4.487 1.238 3.479 1.736 6.453 10.940 Ricavi delle vendite Altri ricavi e proventi Valore della produzione Costi per materie prime Costi oer servizi Costi per il godimento beni di terzi Costi commerciali Costi generali Valore aggiunto Costo del lavoro Ebitda Ammortamenti e accantonamenti Ebit Oneri finanziari Risultato ordinario Proventi (oneri) straordinari Risultato ante imposte Imposte di esercizio Utile (perdita) di esercizio 2005 5.368 1.055 6.423 -3.329 -145 -124 -575 -788 1.462 -845 617 -387 230 -358 -128 1.013 885 -458 427 2006 6.918 505 7.423 -3.619 -205 -64 -560 -939 2.036 -960 1.076 -525 551 -405 146 4 150 -101 49 2007 9.088 950 10.038 -4.626 -553 -54 -492 -1.525 2.788 -1.737 1.051 -577 474 -522 -48 409 361 -183 178 2008E 11.148 281 11.429 -5.079 -524 -9 -583 -1.351 3.883 -2.293 1.590 -640 950 -722 228 300 528 -288 240 2009E 13.643 889 14.532 -5.577 -1.156 -24 -751 -1.592 5.432 -2.414 3.018 -636 2.382 -583 1.799 2010E 18.522 889 19.411 -8.105 -1.517 -24 -958 -1.882 6.925 -2.828 4.097 -982 3.115 -597 2.518 2011E 19.942 889 20.831 -8.409 -1.638 -24 -1.042 -1.963 7.755 -2.893 4.862 -796 4.066 -526 3.540 1.799 -891 908 2.518 -1.351 1.167 3.540 -1.804 1.736 La prima fase consiste nel determinare il FCFO. Si consideri un’incidenza fiscale, nel periodo prospettico, pari a quella virtuale; attualmente, considerando l’IRES al 32% e l’IRAP al 4,25%, essa ammonta al 36,25%. Per semplicità si ipotizza che non vi sia un utilizzo dei fondi. Lo schema di calcolo è il seguente: FREE CASH FLOW OPERATIVO Ebit Imposte sul risultato operativo Nopat Ammortamenti e accantonamenti Autofinanziamento netto Variazione CCNc Variazione fondo TFR Variazione altri fondi Flusso di cassa operativo corrente Variazione imm.ni immateriali Variaizone imm.ni materiali Free cash flow operativo 2006 551 -371 180 525 705 -184 -11 -79 431 -378 -2.151 -2.098 2007 474 -240 234 577 811 -1.633 108 165 -549 78 -1.025 -1.496 2008E 950 344 1.294 640 1.934 -829 93 2.624 3.822 -565 -2.636 621 2009E 2.382 863 3.245 636 3.881 403 33 -431 3.886 1.079 -2.139 2.826 2010E 3.115 1129 4.244 982 5.226 155 141 -598 4.924 260 -1.059 4.125 2011E 4.066 1474 5.540 796 6.336 -50 145 -598 5.833 260 -1.219 4.874 Si ricordi che dalla variazione delle immobilizzazioni materiali occorre sottrarre l’ammortamento annuo. Il passaggio successivo consta nella determinazione del FCFE in base al seguente prospetto. FREE CASH FLOW TO EQUITY Free cash flow operativo Oneri finanziari Variazione Debiti finanziari Free cash flow to equity 2006 -2.098 -358 1.800 -656 2007 -1.496 -405 1.329 -572 2008E 621 -522 373 472 2009E 2.826 -722 -215 1.889 2010E 4.125 -583 324 3.866 2011E 4.874 -597 -56 4.221