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Odio l’estate
di Chiara Maurizio
“Odio l’estate”. Il refrain della canzone del 1960 di Bruno Martino, che mi arriva
sulla spiaggia dalla radio del vicino di ombrellone, mi fa fare un tuffo nel passato.
Alla soglia dei sessant’anni torno bambina. Com’erano belli gli anni ’60, più lenti, sì,
ma più suggestivi. E con canzoni bellissime. Come questa: “Odio l’estate, che ha dato
il suo profumo ad ogni fiore, l’estate che ha creato il nostro amore, per farmi poi
morire di dolore. Odio l’estate.” Parla proprio di me, di un amore che doveva essere
eterno e che è finito improvvisamente, senza una spiegazione. Forse sono pazza,
perché mi riviene in mente la divertente parodia fatta in tv da quel genio folle di Lelio
Luttazzi: “Le statue, che sono solo amate dai piccioni, io gli darei l’assalto coi
picconi, per farle in mille pezzi o forse più. Odio le statue.” Sulla riva, dei bambini
hanno rovesciato per gioco una tartaruga che dimena disperata le zampette all’aria.
Se resta per troppo tempo rovesciata sul carapace, la tartaruga muore. Dopo la
parodia di Lelio Luttazzi, Bruno Martino rieditò la canzone intitolandola
semplicemente “Estate”. È una delle più belle canzoni mai scritte sull’estate. La
versione femminile mi rispecchia in questo momento della mia vita, fatta di piena
solitudine. Ci sono dentro i sentimenti assoluti dell’amore. L’estate è una stagione di
pelle, con poche derive della mente, se non fosse per la pazzia dello star soli e della
malinconia che a volte insorgono con impeto imprevedibile, come spruzzi improvvisi
delle onde che si infrangono sugli scogli. Sulla spiaggia i bambini, incoscienti come
devono essere alla loro età, scattano tutti insieme per andare a giocare a pallone,
lasciando la povera tartaruga al suo triste destino. La rimetto dritta sulle zampette e
lei, senza neanche degnarmi di uno sguardo, si precipita nel mare. La seguo,
incuriosita, stranamente attratta, per una nuotata forse senza ritorno. Mentre la
canzone di Bruno Martino scandisce le ultime parole: “Odio l’estate, odio l’estate…”