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SENTENZE IN SANITÀ – CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA
CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA - Sezione Lavoro - sentenza 7 maggio 2010
SENZA ESPLICITA AUTORIZZAZIONE NON C’È DIRITTO ALLO STRAORDINARIO
Nell'ambito del rapporto di lavoro alle dipendenze di una azienda sanitaria locale, compete al lavoratore
il diritto al compenso del lavoro straordinario espletato, per come disciplinato del c.c.n.l. di categoria,
solo in presenza di preventiva autorizzazione del dirigente responsabile ali'espletamento dello straordinario, restando escluso che possa qualificarsi quale autorizzazione in sanatoria la certificazione da parte
della amministrazione circa lo straordinario già espletato dal dipendente.
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA - SEZIONE LAVORO
La Corte d'Appello di Bologna, sezione lavoro, composta dai signori Magistrati
DOTT. Giuseppe MOLINARO
Presidente
DOTT. Giovanni BENASSI
Consigliere rel.
DOTT. Maria G. D'AMICO
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 1043 del Ruolo Generale Lavoro dell'anno 2006, posta in decisione all'udienza collegiale del 18 febbraio 2010, promossa da:
XX, rappresentata e difesa per mandato a margine del ricorso in appello, dagli avvocati Umberto Fratta e Lorenzo Turazza, presso il cui studio in Bologna, via Guerrazzi n. 1, è pure elettivamente domiciliata
APPELLANTE
contro
AZIENDA USL DI BOLOGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. Massimo Annichiarico, rappresentata e difesa per mandato a margine della memoria di costituzione
in appello, dagli avvocati Rosaria Russo Valentini e Edoardo Nicola Fragale, elettivamente domiciliata presso lo studio della prima, in Bologna, via Marconi n. 34
APPELLATA
Avente ad oggetto: reintegrazione nel posto di lavoro, pagamento somma, risarcimento danno,
mobbing
CONCLUSIONI
Il procuratore dell'appellante chiede e conclude: "voglia l'Ecc.ma Corte, in totale riforma
dell'impugnata sentenza n. 265/2006, cron. 7827, del Tribunale di Bologna, Sezione lavoro,
pronunciata e depositata il 15 settembre 2006, nel merito 1 - ordine all'Azienda USL di Bologna, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con sede in Bologna via Castiglione
n. 29, l'immediata reintegra in servizio della sig.ra XX, riconoscendo alla medesima, previo ap-
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posito provvedimento formale e con effettiva immissione, le originarie qualifiche e funzioni di
coordinamento del personale infermieristico del poliambulatorio di Bologna, via Montebello n.
6, il possesso del proprio ufficio e la restituzione degli effetti personali sottratti; 2 - condannare
l'Azienda USL di Bologna al pagamento di: tredicesima mensilità per gli anni 2004, 2005 e
2006 ed incentivi novembre e dicembre 2004 e susseguenti; - stipendio dell'1 gennaio 2005, relative indennità accessorie, comprensive delle indennità di incentivazione, assegno ad personam
e assegno ad personam IPS; - retribuzione delle ferie non godute pari a giorni 32 (trentadue); corresponsione dell'importo corrispondente a numero 875,45 ore di straordinario o di quella diversa somma che risulterà dovuta all'esito dell'espletanda istruttoria; - le somme di cui sopra dovranno essere calcolate tenendo conto di quanto disposto dal rinnovo del CCNL siglato il 26
gennaio 2006; - tutte le somme maggiorate degli interessi e rivalutazione monetaria; in caso di
rifiuto da parte dell'Amministrazione alla reintegra, condannare l'Azienda USL di Bologna a
corrispondere a favore della ricorrente le mensilità di legge, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2,
legge 11 maggio 1990, n. 108; 3 - Condannare l'Azienda USL di Bologna al risarcimento a favore della dipendente XX del danno non patrimoniale derivante da mobbing e, in particolare: quanto al danno biologico: secondo le risultanze della CTU medica eseguita sulla persona della
sig.ra XX, come dalla medesima richiesta nelle istanze istruttorie; - quanto al danno esistenziale: determinato in via equitativa nella somma che si indica in Euro 150.000,00, tenuto conto della figura professionale ricoperta dalla XX, della sua anzianità di servizio (assunta nel 1962), dei
diversi incarichi ricoperti dalla medesima (dirigente sindacale, membro R.S.U. e della commissione trattante), della durata delle vessazioni datoriali (iniziate nel 1994); diversamente, nella
maggiore o minore somma che il Giudice riterrà opportuna; in ogni caso con vittoria di spese
competenze ed onorari del presente giudizio";
Il procuratore dell'appellata chiede e conclude: "voglia l'Ill.ma Corte d'Appello adita, disattesa
ogni contraria istanza ed eccezione, così provvedere: rigettare il ricorso in appello in quanto infondato in fatto ed in diritto e, per l'effetto, confermare la pronuncia gravata; vinte le spese del
doppio grado di giudizio".
LA CORTE D'APPELLO
Udita la relazione della causa fatta dal Giudice Relatore dott. Giovanni Benassi;
Udita la lettura delle conclusioni assunte dai procuratori delle parti;
Esaminati gli atti e i documenti di causa, ha ritenuto:
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 10 febbraio 2006, XX ha esposto che aveva ricoperto, per oltre 40 anni, alle dipendenze - dal 1980 - dell'Azienda USL di Bologna, la qualifica di capo infermiera. A
fare tempo dal 1996 era stata oggetto, in maniera sistematica e persistente, di vessazioni e discriminazioni da parte dei suoi superiori, aggravate dalla circostanza che era Dirigente Sindacale. Allo scopo di tutelare i propri diritti era stata, così, costretta a continue richieste di chiarimenti, di informazioni, di copie di atti e documenti e, in più occasioni, aveva inoltrato diffide e
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si era rivolta alla Direzione Provinciale del Lavoro. Il protrarsi di tale situazione in ambito lavorativo aveva, altresì, danneggiato la sua figura professionale e morale, le aveva recato pregiudizio nell'esercizio delle sue funzioni di dirigente sindacale ed aveva determinato anche un danno
alla salute essendosi stata colpita, nel tempo, da gravi patologie come disturbo del sonno, ipertensione, depressione. La ricorrente ha, poi, dedotto di avere chiesto ed accettato di perfezionare
un accordo transattivo con l'Azienda datrice di lavoro, con il quale si dichiarava disponibile,
previo adempimento di tutte le obbligazioni assunte dall'azienda, a consumare le ferie residue, a
rinunciare alla prosecuzioni delle azioni ancora pendenti e a rassegnare le proprie dimissioni,
anche se non era stato formalizzato alcun termine preciso perché era stato convenuto tra le parti
che ciò dovesse accadere solo dopo l'esatto adempimento da parte dell'azienda - in particolare
per la clausola di un mese di effettivo esercizio delle funzioni di coordinatrice del personale infermieristico-. Nell'accordo del 6 settembre 2004, sottoscritto dinanzi all'Ufficio Provinciale del
Lavoro, per le insistenze dell'Azienda USL, era stato inserito il termine del 15 dicembre 2004
per la cessazione del rapporto di lavoro, sempre previo adempimento di tutti gli impegni assunti
dalla medesima azienda. Tuttavia, alla data del 15 dicembre 2004, l'Azienda convenuta era manifestamente inadempiente a molte delle obbligazioni assunte, con specifico riguardo all'effettiva reintegra nelle funzioni di coordinatrice del personale infermieristico del Poliambulatorio di
Bologna, via Montebello 6, al godimento delle ferie residue e al mancato riconoscimento di
875,35 ore di lavoro straordinario, oltre alle 219,30 già corrisposte.
Ciò premesso, la ricorrente ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, l'Azienda
USL chiedendo che venisse ordinata la sua immediata reintegrazione in servizio con formale attribuzione dell'originaria qualifica e funzione di coordinamento del personale infermieristico del
poliambulatorio di Bologna, via Montebello n. 6; che l'azienda USL fosse condannata al pagamento della tredicesima mensilità anno 2004 ed incentivi novembre e dicembre 2004, delle retribuzioni dovute dal 1 gennaio 2005, dell'indennità per ferie non godute per giorni 32, del compenso per ore 875,45 di lavoro straordinario o, in via subordinata, in caso di rifiuto di reintegrazione, a corrispondere in suo favore le mensilità di legge ex art. 2 legge n. 108/90. La ricorrente
ha, infine, chiesto la condanna dell'Azienda USL al risarcimento del danno non patrimoniale biologico ed esistenziale - derivante dal mobbing da quantificarsi in corso di causa
Radicatosi il contraddittorio, il Tribunale di Bologna, con sentenza a verbale n. 256 del 15 settembre 2006, ha rigettato la domanda.
A giudizio del Tribunale, l'azienda convenuta non poteva essere considerata inadempiente alle
obbligazioni assunte con l'accordo sottoscritto il 6 settembre 2004 e, in particolare, alle clausole
previste nei punti 5 e 6. Infatti, quanto alla reintegrazione nelle funzioni di coordinamento del
personale infermieristico, l'accordo non richiedeva né un ulteriore atto di esecuzione posto che
l'amministrazione si era vincolata con la firma della transazione, né atti formali da divulgare
quale risarcimento del danno morale; inoltre, incontestata essendo la reintegrazione sotto ogni
profilo economico e la ripresa del servizio presso il poliambulatorio, il contenuto dell'accordo
avrebbe dovuto essere realizzato, come per altro previsto dalle parti, senza pregiudizio al buon
andamento del servizio. Le clausole dell'accordo erano state, infine, eseguite dall'Azienda USL
nonostante il comportamento racalcitrante e di non collaborazione della XX, cui doveva essere
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esclusivamente imputato il ritardo nella richiesta del trattamento di pensione. Quanto alle contestate ore di lavoro straordinario, la ricorrente non aveva dimostrato l'effettiva prestazione di
875,45 ore di straordinario autorizzato e in ogni caso 363 ore erano state legittimamente convertite in riposi compensativi. Infine, le ulteriori domande non potevano essere accolte per effetto
della rinuncia contenuta nella transazione raggiunta tra le parti.
Avverso la detta decisione, notificata il 27 settembre 2006, XX, con ricorso depositato il 26 ottobre 2006, ha proposto appello, articolato su tre motivi, cui resiste l'Azienda USL di Bologna,
chiedendo il rigetto del gravame.
All'udienza del 18 dicembre 2010, i procuratori delle parti hanno concluso come in epigrafe e la
causa, dopo la discussione orale, è stata decisa come da dispositivo, di cui è stata data lettura.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, XX, premesso che aveva sottoscritto gli accordi transattivi accettando di
sottostare ad una risoluzione del rapporto di lavoro anticipata rispetto al compimento dell'età
pensionabile (14 giugno 2007) perché in tal modo la sua posizione sarebbe stata riconosciuta
all'interno dell'azienda, sostiene che la riammissione in servizio non avrebbe dovuto essere soltanto formale ma, come elemento determinante del consenso, avrebbe dovuto essere effettiva ed
attuata con un successivo provvedimento formale. A giudizio dell'appellante, essendo l'azienda
inadempiente ad uno dei capi più importanti della transazione, pregiudiziale per l'operatività
delle dimissioni, in mancanza di un licenziamento, il rapporto di lavoro era da considerarsi ancora in corso fino alla data di compimento dell'età pensionabile (14 giugno 2007). In particolare,
la domanda di pensione non era stata inoltrata per evitare di mostrare acquiescenza alle tesi dilatorie di avvenuta cessazione del rapporto di lavoro.
Con il secondo motivo, l'appellante insiste nella domanda di pagamento delle 875,45 ore di lavoro straordinario; nega, al riguardo, di avere mai fatto richiesta di fruire di riposi sostitutivi del
pagamento delle ore di lavoro straordinario; riafferma la prestazione del lavoro straordinario,
evidenziando come l'azienda convenuta, anche nella transazione, non ne abbia mai contestato la
sua legittimità; sostiene, infine, che è onere della azienda dimostrare la non legittimità delle autorizzazioni a rendere il lavoro straordinario.
Con il terzo motivo, XX insiste per l'accoglimento delle ulteriori richieste avanzate in primo
grado, relativamente al pagamento delle ferie non godute ed al risarcimento del danno da mobbing e, a tale scopo, insiste per l'espletamento della prova, non ammessa in primo grado.
I tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente, perché logicamente connessi, non sono fondati.
La Corte premette, come risulta dalla documentazione prodotta dalle parti (segnatamente i doc.
da 21 a 26 dall'appellata) e come, sostanzialmente, non è in discussione fra le parti, che il passaggio della XX nei ruoli regionali ai sensi della legge m. 833 del 1978, ha determinato l'insorgere di un complesso contenzioso, che da dato luogo a tre distinte pronunce emesse a seguito
della presentazione da parte della lavoratrice di ricorsi straordinari al Capo dello Stato.
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Con un primo decreto, in data 17 ottobre 1995, il Capo dello Stato ha respinto il ricorso straordinario presentato il 5 novembre 1987 con il quale era stato impugnato l'art. 117, lett. m, del
d.p.r. 270/87, nella parte in cui prevedeva, ai fini dell'inquadramento al settimo livello del Capo
Infermiere del Parastato, il possesso del certificato di abilitazione a funzioni direttive, anziché
quello diverso, voluto dall'ordinamento parastatale di provenienza dell'attuale appellante e lo
stesso articolo, nel suo primo comma, nella parte in cui aveva attribuito a tale inquadramento
decorrenza dalla data di entrata in vigore del d.p.r. medesimo, anziché dalla data di acquisizione
presso l'ente di provenienza della posizione di Capo Infermiere (doc. 24 appellata).
Con altro decreto del Capo dello Stato del 15 settembre 1998 (doc. 25 appellata), è stata, da un
lato, dichiarata la cessazione della materia del contendere sulla doglianza della lavoratrice volta
ad ottenere il suo inquadramento, nel primo ruolo sanitario regionale, nella posizione funzionale
di coordinatore del personale infermieristico, per avere l'amministrazione riformato l'atto impugnato in modo conforme alla domanda; e, dall'altro, dichiarata inammissibile la censura volta ad
ottenere la rettifica, con effetto retroattivo, della decorrenza dell'inquadramento.
Infine, con decreto del Capo dello Stato dell'1 aprile 1999 (doc. 26 appellata), pur essendo stata
accolta la censura relativa al riconoscimento integrale dell'anzianità maturata nell'ordinamento
di provenienza, era stata respinta la pretesa della XX di vedersi attribuire la qualifica di capo sala, maturata nell'ordinamento di provenienza, non risultando in possesso del requisito dell'abilitazione alle funzioni direttive richiesto dal R.D. 21 novembre 1929, n. 2330 e successive modificazioni.
Ed è proprio in questo contesto, alquanto conflittuale, come per altro emerge da altra documentazione prodotta in causa, che viene raggiunta la transazione in data 26 agosto 2004, parzialmente integrata e modificata, dinanzi al Collegio di Conciliazione presso la Direzione Provinciale
del Lavoro, il 6 settembre 2004 (doc. 102 appellante e doc. 1 appellata).
2. Ciò premesso, la Corte rileva che le rivendicazioni formulate dalla XX sulle quali venne raggiunta l'intesa transattiva risultano riportate nella premessa dell'atto del 26 agosto 2004 e sono le
seguenti:
1) la privazione delle funzioni di coordinamento del personale infermieristico del poliambulatorio di via Montebello 6 - Bologna; il mancato riconoscimento delle funzioni di coordinamento
art. 10 c.c.n.l. parte fissa e parte variabile; 3) la comminazione di due sanzioni disciplinari delle
multe...e di due rimproveri...; il mancato pagamento delle ore di lavoro straordinario effettuato
per trattative sindacali in quanto dirigente sindacale e per altre esigenze di lavoro; 5) l'atto di sospensione dal servizio per "recupero di ufficio" invece del pagamento in denaro delle ore autorizzate; 6) il diniego di compensare i recuperi di uguale durata i permessi brevi goduti durante
l'orario di servizio in via di fatto senza motivazione espressa".
A fronte di tali rivendicazioni, l'Azienda appellata si era assunta i seguenti impegni:
a) reintegra con efficacia immediata, la sig.ra XX nelle sue preesistenti funzioni di coordinamento del personale infermieristico del Poliambulatorio di via Montebello 6 fino alla data di
collocamento a riposo della medesima; b) riconosce il diritto all'indennità di funzione di coordinamento - parte fissa -, ai sensi dell'art. 10 del c.c.n.l. del comparto sanità - II biennio economico 2000-2001, nella misura annua lorda di Euro 1.549,37, prevista dal comma 2 del medesimo
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articolo, con decorrenza dal 1 settembre 2001; c) riconosce altresì l'indennità di coordinamento
parte variabile 3 fascia pari a Euro 1.549,37 con la decorrenza dal 1 gennaio 2002 o dal 1 settembre 2001 sulla base degli accordi sul secondo biennio economico (c.c.n.l. 2000-2001), sottoscritto con le OOSS aziendali in data 24 marzo 2003, in data 3 luglio 2003 e in data 27 aprile
2004; d) annulla le sanzioni disciplinari dei due rimproveri di cui in premessa, nonché delle 2
multe di 4 ore ciascuna..., e, conseguentemente: - dispone la restituzione delle somme trattenute
a titolo di multa; - riconosce il diritto, con decorrenza 21 settembre 2001 o 1 settembre 2001, la
fascia economica superiore D5, venuto meno il presupposto per l'applicazione di quanto previsto dall'accordo integrativo aziendale per il personale del comparto (1998/2001 - II biennio economico 2000-01); e si obbliga a pagare le ore di straordinario specificate nell'allegato 2, sottoscritto dalle parti quale parte integrante del presente verbale; f) si obbliga a che il pagamento effettivo delle somme descritte analiticamente alle precedenti lettere da b ad e indicate nell'allegato 1, avvenga entro e non oltre il mese stipendiale successivo a quello della firma del presente
accordo".
Nell'allegato 2 alla transazione, la XX aveva reso la seguente dichiarazione: "risolve il rapporto
di lavoro dal 1 giorno del mese successivo all'adempimento di tutti gli obblighi assunti e definiti
nell'allegato 1 dall'Azienda USL di Bologna nell'odierna transazione e comunque dopo 1 mese
di effettivo servizio nelle funzioni in cui è stata reintegrata con decorrenza 6 settembre 2004, da
svolgersi all'interno dell'attuale situazione organizzativa, oltre la fruizione delle ferie spettanti a
tale data".
Infine, la XX aveva rinunciato, questo quale clausola n. 6 della transazione, al "proseguimento
delle azioni in corso relative al rapporto di lavoro, e al pagamento di ulteriori eventuali ore di
straordinario, agli eventuali interessi e rivalutazione monetaria e/o risarcimento danni".
Nell'ambito dell'accordo sottoscritto il 6 settembre 2004 dinanzi al Collegio di Conciliazione, le
parti non si sono limitate a recepire, come parte integrante del verbale, l'ipotesi di transazione
del 26 agosto 2004, ma hanno anche introdotto alcune significative modifiche e puntualizzazioni.
Sotto il profilo degli oneri a carico dell'Azienda appellata è stato stabilito: "la reintegra di cui al
punto 1 A dell'ipotesi di transazione ha efficacia immediata. Per la cessazione al 15 dicembre
2004 le ferie sono quantificate in gg. 32 gg. Le ore straordinarie riconosciute per servizio sono
pari a 219,30. L'ammontare complessivo dell'importo da restituire relativamente alle sanzioni
delle multe è pari a: 94,17 Euro complessive. L'indennità di coordinamento parte fissa da corrispondere nel mese stipendiale di settembre, comprensivo degli arretrati è pari a Euro 5.035,29
(arretrati fino ad agosto 2004) e Euro 129,11 per il mese di settembre. L'indennità di coordinamento parte variabile da corrispondere nel mese stipendiale di settembre comprensivo degli arretrati è pari a: Euro 4.647,96 (arretrati fino ad agosto 2004) e Euro 129,11 per il mese di settembre. La differenza tra fascia economica sup. da D4 a D5: Euro 2.059,52 (arretrati fino ad agosto 2004). Da settembre 2004 la fascia D5 è pari a Euro 268,55".
Ma la più significativa delle variazioni delle clausole normative è consistita nella definizione di
una data precisa di cessazione del rapporto di lavoro. Le parti hanno, infatti, convenuto che "la
data di risoluzione del rapporto di cui all'allegato 2 è da intendersi individuata nel giorno 15 dicembre 2004 come primo giorno di cessazione dal lavoro della ricorrente, previo adempimento
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degli impegni assunti dall'azienda nell'allegato 1 dell'ipotesi di transazione del 26 agosto 2004
con le precisazioni di seguito specificate".
Infine, con riferimento alle ore di straordinario, nel verbale del 6 settembre 2004 è stato precisato che "le parti decidono unanimemente di stralciare dalla restante definizione delle questioni
che possono essere conciliate quella relativa all'entità del lavoro straordinario ancora da quantificare...la parte datoriale informa che l'entità delle ore che le risultano erogabili è pari a 219 ore
e 30 minuti...che risultano riconosciute dall'Amministrazione ai sensi del presente accordo...".
Sullo specifico punto, "le parti si danno impegno reciproco a ricontrarsi per pervenire ad una
quantificazione che l'amministrazione si auspica convergente, non appena i dati sopra richiesti
all'ufficio del personale saranno messi a disposizione".
Infine, nell'atto del 26 agosto 2004, espressamente recepito dal verbale del 6 settembre 2004, le
parti "dichiarano di accettare la proposta di transazione suddetta e di ritenere chiuse definitivamente le vertenze in atto".
3. Il Collegio, condividendo sul punto l'affermazione del primo giudice, osserva che l'esame di
gran parte delle domande prospettate dalla XX nel presente procedimento risulta precluso dalla
conciliazione raggiunta tra le parti il 26 agosto - 6 settembre 2004.
In primo luogo, va comunque rilevato come l'Azienda appellata abbia eseguito la parte economica dell'accordo, corrispondendo alla lavoratrice l'importo complessivo di Euro 15.118,89 lorde a titolo di fascia economia superiore, indennità di coordinamento fissa e variabile, straordinario nei limiti delle 219,30 ore riconosciute e rimborso multe (doc. 2 appellata).
Le sanzioni disciplinari sono state annullate, per altro quale effetto automatico dell'accordo transattivo, tanto è vero che le somme trattenute per le multe sono state rimborsate, come documentalmente provato (doc. 2).
L'Azienda appellata ha, pertanto, portato ad esecuzione gli impegni che aveva assunto con la
transazione raggiunta con la XX, anche con riferimento alle ore di lavoro straordinario.
Premesso, infatti, che, come si evince dalla formulazione letterale della transazione, l'Azienda
datrice di lavoro aveva riconosciuto soltanto 219,30 ore di lavoro straordinario, con il pagamento di quanto dovuto a tale titolo, pacificamente avvenuto, si sono esauriti tutti gli impegni assunti al riguardo dall'appellata. Le parti, infatti, avevano rinviato ad un controllo successivo, che
l'Amministrazione auspicava fosse convergente, la valutazione delle ulteriori richieste dalla XX
per lavoro straordinario. In data 24 settembre 2004 si era poi tenuto l'incontro tra l'Azienda e la
XX, nel corso del quale erano stati esaminati i conteggi effettuati dalla lavoratrice, era stato
chiarito il metodo di computo del lavoro straordinario, ed era stata fornita alla interessata tutta la
documentazione a supporto del conteggio effettuato dall'Ufficio (doc. 3 e 4 appellata).
All'esito di tale verifica, l'Azienda ha confermato il riconoscimento alla lavoratrice delle 219,30
ore già indicate nella transazione, come emerge dal prospetto allegato e dai cartellini con i relativi moduli (doc. 5 appellata).
Pertanto, anche con riferimento all'impegno assunto con la transazione di verificare congiuntamente i conteggi per la eventuale comune definizione delle ore di lavoro straordinario, l'Azienda
appellata ha adempiuto alle intese, secondo le quali avrebbe dovuto valere comunque, in caso di
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mancato ulteriore accordo, il riconoscimento relativo a 219,30 ore di straordinario non autorizzato.
4. La parte centrale dell'impugnazione proposta dalla XX verte, però, su un altro aspetto, perché
l'appellante sostiene che la sua riammissione in servizio non avrebbe dovuto essere soltanto
formale ma, come elemento determinante del consenso, avrebbe dovuto essere effettiva e avrebbe dovuto essere attuale con un successivo provvedimento formale.
Tuttavia, la pretesa della XX, che pure non trova alcun appiglio nella formulazione del testo letterale degli accordi transattivi raggiunti tra le parti, non può non essere calata nel contesto normativo nel cui ambito si erano mosse le precedenti rivendicazioni della lavoratrice volte ad ottenere la qualifica di capo sala, che erano state, definitivamente, affossate dal decreto del Capo
dello Stato del 1999 che ne aveva dichiarato la radicale infondatezza perché l'interessata non era
in possesso dell'abilitazione alle funzioni direttive prevista dalla normativa applicabile al persone dipendente del Servizio Sanitario Nazionale.
Dunque, la riammissione nel servizio presso il Poliambulatorio di via Montebello nelle funzioni
di coordinamento del personale infermieristico, non può non essere letta congiuntamente al decreto di rigetto del ricorso straordinario al Capo dello Stato che precludeva all'interessata lo
svolgimento delle funzioni direttive e, per altro verso, tenendo conto che presso tale struttura
esisteva ed operava una capo sala.
Pertanto, la riammissione della XX per poco più di un mese nelle funzioni di coordinamento del
personale infermieristico presso il Poliambulatorio di via Montebello altro non poteva essere se
non uno strumento per offrire alla lavoratrice una sorta di ristoro morale per il mancato riconoscimento formale della qualifica per tanti anni inutilmente rivendicata; tanto più che, come opportunamente previsto nell'allegato due della transazione, la reintegrazione avrebbe dovuto avvenire all'interno dell'attuale situazione organizzativa.
Pertanto, come accertato dal primo giudice e non contestato con l'appello, avendo la lavoratrice
ripreso servizio nel medesimo luogo di lavoro, l'azienda appellata non può essere considerata
inadempiente a questo particolare obbligo derivante dalla conciliazione intervenuta tra le parti.
Del resto, diversamente da quanto sostenuto, per altro in modo anche strumentale, dall'appellante, l'atto di transazione non aveva previsto che venisse data ampia divulgazione dell'intesa faticosamente raggiunta nell'ambiente di lavoro; e non era necessaria per sua esecuzione l'emissione di ulteriori atti di gestione da parte del datore di lavoro, costituendo la conciliazione in sede
sindacale anche un titolo esecutivo per l'adempimento delle obbligazioni con essa assunte dalle
parti.
Dopo la sottoscrizione del verbale di conciliazione del 6 settembre 2004, l'Azienda appellata
non era tenuta ad alcun adempimento formale, proprio per effetto dell'efficacia vincolante tra le
parti dell'intesa raggiunta.
Per altro, con delibera del 22 settembre 2004, n. 595, avente ad oggetto Esecuzione del verbale
di conciliazione sottoscritto il 6 settembre 2004 con la dipendente sig.ra XX, l'Azienda USL,
pur non essendovi tenuta, ha deliberato di "prendere atto del verbale di conciliazione sottoscritto
ai sensi dell'art. 66 del d.lgs. 165/01, in data 6 settembre 2004, da questa Azienda e della dipendente sig.ra XX, allegato alla presente determinazione quale parte integrante e sostanziale..."
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(doc. 6 appellata). Dunque anche sotto tale profilo l'Azienda appellata ha correttamente adempiuto all'accordo.
Per altro, poiché la riammissione in servizio avrebbe dovuto avvenire all'interno della attuale
struttura organizzativa del Poliambulatorio, l'Azienda USL non era tenuta ad adottare alcuna
modifica all'assetto organizzativo esistente, nel quale le mansioni di capo sala erano disimpegnate da altra dipendente, anche perché, per effetto della decisione assunta sul ricorso straordinario al Capo dello Stato, la XX non poteva svolgere funzioni direttive non essendo in possesso
dei prescritti titoli abilitativi.
Dunque, l'Azienda, dando adeguato ristoro morale alle pretese della XX - di fare la capo sala
per un mese solo prima di andare in pensione - ha adempiuto agli impegni assunti con il verbale
di conciliazione.
Per altro, come dimostrano i documenti n. 7 e 8 dell'Azienda appellata, risulta adempiuta anche
la parte dell'accordo relativa al residuo ferie di 32 giorni spettanti alla lavoratrice.
5. Con la transazione, poi, le parti hanno consensualmente risolto il rapporto di lavoro, espressamente e congiuntamente individuando nel giorno 15 dicembre 2004 il primo giorno di cessazione del lavoro della XX.
Il rapporto di lavoro, dunque, non è stato risolto a seguito di licenziamento, come sostenuto
dall'appellante, ma con una comunicazione del 13 dicembre 2004, prot. n. 90219, di presa d'atto
e di attuazione del verbale di conciliazione del 6 settembre 2004.
Con la determinazione n. 868 del 7 dicembre 2004, l'Azienda appellata si è, infatti, limitata a
"prendere atto della intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro tra questa Azienda USL di
Bologna e la sig.ra XX, collaboratore professionale sanitario ostetrica, presso il Dipartimento
Cure primarie, con decorrenza 15 dicembre 2004", in ragione dell'intervenuto integrale adempimento dell'accordo (doc. 9 appellata).
6. Per quanto concerne le ulteriori domande proposte dall'appellante, il Collegio osserva che le
ulteriori ore di lavoro straordinario rivendicate dalla XX, oltre a quelle espressamente riconosciute dall'azienda, non possono essere remunerate, trattandosi di straordinario che non risulta
essere stato preventivamente autorizzato dal dirigente responsabile, come espressamente previsto dall'art. 34 del c.c.n.l. del Comparto Sanità, secondo cui "1. Il lavoro straordinario non può
essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del lavoro. 2. Le prestazioni di lavoro straordinario hanno carattere eccezionale devono rispondere ad effettive esigenze di servizio
e devono essere preventivamente autorizzate dal dirigente responsabile. Le parti si incontrano
almeno tre volte l'anno per valutare le condizioni che ne hanno resa necessario l'effettuazione.
3....L'utilizzo delle risorse all'interno delle unità operative delle predette articolazioni aziendali è
flessibile ma il limite individuale per il ricorso al lavoro straordinario non potrà superare, per
ciascun dipendente, n. 180 ore annuali. 4. I limiti individuali del comma 3 potranno essere superati - in relazione ad esigenze particolari ed eccezionali - per non più del 5% del personale in
servizio e, comunque, fino al limite massimo di n. 250 ore annuali".
Sul punto, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 20789/07, ha affermato il principio che,
nell'ambito del rapporto di lavoro alle dipendenze di una azienda sanitaria locale, compete al lavoratore il diritto al compenso del lavoro straordinario espletato, per come disciplinato del
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c.c.n.l. di categoria, solo in presenza di preventiva autorizzazione del dirigente responsabile
all'espletamento dello straordinario, restando escluso che possa qualificarsi quale autorizzazione
in sanatoria la certificazione da parte della amministrazione circa lo straordinario già espletato
dal dipendente.
Nel caso di specie, la XX non ha prodotto alcuna autorizzazione allo svolgimento delle ore di
lavoro straordinario, di conseguenza, lo straordinario rivendicato (che comunque dovrebbe essere contenuto in quello prestato dal luglio 1998 in avanti, avendo la Azienda appellata fondatamente riproposto in via subordinata l'eccezione di difetto di giurisdizione per le pretese economiche afferenti al periodo del rapporto fino al 30 giugno 1998), non essendo stato autorizzato,
non può essere retribuito dall'amministrazione.
Quanto poi al mobbing, denunciato dalla XX, la Corte si limita ad osservare che le allegazioni e
le deduzioni dedotte in causa dall'appellante per fondare la sua pretesa risarcitoria appaiono,
all'evidenza, del tutto insufficienti per integrare gli estremi di una condotta vessatoria ed intimidatoria ai danni della dipendente. Del resto, non si vede come possa anche lentamente desumersi
l'esistenza del mobbing, nell'ambito di un rapporto di lavoro durato per 26 anni, da due richiami
verbali e due multe, dalla diatriba relativa al mancato pagamento di lavoro straordinario non autorizzato, e da questioni minori, quali quelle relative al recupero orario, al cambiamento della
sede dell'ufficio, al mancato invito a partecipare a 2 corsi di formazione e a quattro riunioni delle coordinatrici delle infermiere e alla vicenda relativa alla divisa da capo sala, trattandosi di episodi del tutto scollegati l'uno dall'altro, posti in essere in tempi diversi e lontani fra loro e comunque giustificati dal legittimo esercizio delle prerogative organizzative del datore di lavoro.
Nella realtà, la questione centrale di contrasto tra le parti va individuata nel tentativo, pervicacemente perseguito nel tempo da parte della XX, di esercitare le mansioni di capo sala, per le
quali, come poi acclarato dal giudice amministrativo, la lavoratrice non era in possesso delle
prescritte abilitazioni.
Dunque, buona parte degli attriti verificatisi nel corso degli anni deve essere collegato a questa
rivendicazione ostinatamente portata avanti dalla lavoratrice, che, essendosi alla fine rivelata infondata, non può poi, oggi, essere in qualche modo recuperata interpretando come vessatori ed
intimidatori i comportamenti dell'amministrazione che il preteso diritto della lavoratrice, legittimamente, tendevano a negare.
Se dovesse essere accolta la tesi di fondo prospettata dall'appellante, in tutti i rapporti di lavoro,
soprattutto in quelli durati molti anni, nei quali le relazioni personali con i superiori ed i colleghi, le aspettative di avanzamenti e la partecipazione emotiva del dipendente alla sua vicenda
professionale assumono un'importanza straordinaria, potrebbero essere ricercati ed individuati
elementi per costruire - a posteriori - una condotta mobbizzante, perché occasioni di screzio,
contrasti, delusioni e la sanzione che la prestazione offerta non viene adeguatamente apprezzata
sono destinati a ripetersi nel tempo e a rinnovarsi di volta in volta.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, seguita alla sentenza della Corte Costituzionale n.
353 del 12 dicembre 2003, pur con qualche incertezza ed ambiguità dovuta all'inerzia del legislatore che, nonostante la presentazione di numerosi progetti di legge, non è ancora intervenuto
a disciplinare la controversa materia, ha elaborato una nozione di mobbing, in funzione per lo
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più descrittiva, comunque utile sul piano giuridico. In particolare, nella sentenza n. 3785 del
2009, il supremo Collegio ha definito il mobbing come una condotta del datore di lavoro o del
superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore
nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la
mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono pertanto rilevanti i seguenti elementi: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche liciti se considerati singolarmente, che siano
stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
Applicando tali principi al caso in esame, come ampiamente evidenziato dalla difesa dell'Azienda appellata, non si riescono proprio a cogliere, nella frammentaria ricostruzione congetturale
prospettata dall'appellante, elementi per individuare sia i comportamenti a carattere persecutorio, che sarebbero stati posti in essere in danno della lavoratrice, sia la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
Certamente negli anni si sono registrati dei contrasti, ma la XX - come dimostra la documentazione prodotta - ha sempre saputo tutelare, sia pure con alterne fortune - i suoi diritti in sede
giudiziaria e l'Azienda appellata, qualora avesse avuto torto, ha sempre correttamente adempiuto
alle decisioni ad essa sfavorevoli.
Né può essere prospettata una questione di mansioni, perché la censura contenuta nell'appello si
appalesa così generica che non è possibile neppure individuare con certezza le mansioni di
maggior pregio che sino ad un certo punto la XX avrebbe svolto e che, poi, le sarebbero state
tolte. Se, poi, il tutto si riduce alla pretesa (infondata) dall'appellante di ambire alla funzione di
capo sala, si comprende, agevolmente, come su questo argomento la stessa XX non avesse interesse ad una esposizione chiara ed esaustiva. Per altro era suo specifico onore dimostrare il carattere deteriore delle mansioni alla quali era stata destinata e, quindi, dettagliatamente, allegare
e comprovare che le nuove mansioni avevano determinato, in relazione al particolare tipo di utilizzazione conseguito, l'impossibilità di una proficua utilizzazione della sua professionalità acquisita.
Del resto, come risulta dai documenti n. 30-34 di parte appellata, le mansioni affidate alla XX
agli inizi del 2000, dopo che il Consiglio di Stato le aveva negato la qualifica di capo sala, rientravano perfettamente nel suo profilo professionale, perché, nella sua qualità di referente del settore appalti e dello smaltimento dei rifiuti tossici, anche nei rapporti con le ditte appaltatrici, era
stata chiamata ad occuparsi di questioni - la vigilanza igienico sanitaria - che nella generalità dei
casi sono curate proprio dal personale sanitario - infermieristico.
Non a caso, proprio la XX, nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica del giugno
2004 (doc. 21 appellata), dopo avere compiutamente descritto il contenuto professionale delle
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nuove mansioni, aveva evidenziato che "le nuove funzioni...non possono non essere di rilevanza
pari alle precedenti".
In altri termini, è la stessa appellante che in altro atto giudiziario smentisce la mera allegazione,
contenuta nell'appello, circa la natura deteriore delle nuove funzioni cui era stata assegnata.
Va, pertanto, rigettato rigetta l'appello proposto da XX avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 265 del 15 settembre 2006.
La particolare complessità della questione trattata giustifica l'intergale compensazione delle spese processuali del grado.
P.Q.M.
La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, rigetta l'appello
proposto da XX avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 265 del 15 settembre 2006;
compensa le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Bologna il 18 febbraio 2010
Depositato in cancelleria il 07/05/2010
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