LA LETTERA AI GALATI. Gal 5
Transcript
LA LETTERA AI GALATI. Gal 5
1 LA LETTERA AI GALATI. Gal 5 I Galati erano una popolazione di origine celtica, abitanti della provincia romana della Galazia (al centro dell’Anatolia, attuale Turchia). Paolo era passato per questa regione durante il suo secondo viaggio missionario (50-52 d.C circa), e vi si era dovuto fermare a causa di una malattia (Gal 4,13-14). Ne aveva approfittato per annunciare loro Gesù Cristo e il suo vangelo e molti avevano accolto la fede in Gesù. Perciò la lettera si rivolge “alle Chiese della Galazia” (Gal 1,2), cioè a diverse comunità. Nella sua predicazione Paolo aveva parlato al popolo ebraico, che Dio si era scelto, a cui si era fatto conoscere come l’unico Dio, con cui aveva stretto una particolare alleanza, donando una Legge con la quale regolare la vita e promettendo un salvatore, che a suo tempo avrebbe inviato (Gal 4,4): il Figlio suo Gesù Cristo. Questi avrebbe portato la salvezza a tutti gli uomini, al di là di ogni distinzione (Gal 3,26-29). La lettera ai Galati è chiamata il “Vangelo di Paolo”. Il termine “vangelo” significa “buona notizia” o “lieta novella” e ricorre 76 volte negli scritti neotestamentari, di cui ben 60 nelle lettere paoline: è uno degli elementi più importanti del vocabolario teologico paolino, addirittura si pensa che sia stato Paolo a introdurlo nel Nuovo Testamento. Paolo col termine “vangelo” certamente non fa riferimento ai quattro libri del Nuovo Testamento che hanno questo titolo: le lettere protopaoline sono scritte prima dei quattro Vangeli (le lettere protopaoline sono scritte tra il 49 e il 63 d. C., mentre il primo Vangelo, quello di Marco, intorno al 70 d. C.). Si deduce che il Vangelo, prima di essere un libro, è la persona stessa di Gesù e la sua opera di salvezza, a cui l’apostolo delle genti aderisce con tutta la propria vita. Paolo appartiene a Cristo: questo è il senso dell’espressione paolina «il mio Vangelo» (Rm 2,16). La “buona notizia” della salvezza di Cristo viene portata nel mondo dagli apostoli e anche da Paolo. La “lieta novella” di Paolo agli «scervellati galati» (Gal 3,1) è che la salvezza di Cristo arriva all'uomo per puro dono di Dio, non per una conquista dell'uomo attraverso le opere della Legge: questo è il punto cruciale della lettera paolina. I galati, abitanti della provincia romana della Galazia (al centro dell’Anatolia, attuale Turchia), dopo l’evangelizzazione di Paolo durante i suoi viaggi missionari, stanno per farsi circoncidere (Gal 5,2) ed accettare un nuovo calendario religioso (Gal 4,10). Non ritengono più sufficiente la fede in Cristo: occorre affiancarle il rispetto delle prescrizioni e dei divieti della legge mosaica (Torah), in particolare la circoncisione, il calendario religioso ebraico e l’osservanza delle regole alimentari (distinzione tra cibi puri ed impuri). Dopo la partenza di Paolo in Galazia erano passati altri predicatori di origine giudaica che avevano aderito a Cristo Gesù, ma che rimanevano convinti della necessità di vivere secondo la legge di Mosè per avere la salvezza: la sola fede in Cristo non poteva essere sufficiente per salvarsi. Paolo, ai loro occhi, non era un vero apostolo, poiché non era stato con Gesù come i Dodici; anche ciò che egli predicava non era del tutto vero: la fede in Cristo non bastava per avere la salvezza. Molti cristiani Galati si lasciarono persuadere. Paolo venuto a conoscenza della cosa, scrisse questa lettera nella quale difese la sua identità di apostolo e la validità del suo vangelo. L’apostolo si meraviglia che così in fretta i galati siano passati dal “suo” vangelo ad un “altro” (Gal 1,6): sono stati “stregati” (Gal 3,1) dai giudaizzanti «che vogliono sovvertire il vangelo di Cristo» (Gal 1,7). I giudaizzanti sostengono la necessità della legge mosaica e della circoncisione per essere veri cristiani. Paolo senza remore li critica con toni forti, mettendoli in cattiva luce agli occhi dei galati, ai quali si rivolge con queste parole: «Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo. Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la legge, ma vogliono la vostra circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne» (Gal 6,12-13). La crisi scoppiata nelle chiese della Galazia non è un problema locale, ma investe tutta la Chiesa primitiva. La controversia diviene così acuta, che viene convocato il Concilio di Gerusalemme nel 48/49, di cui si parla in Gal 2,1-10. La struttura della lettera: La lettera si articola in tre parti: a) Paolo difende la sua identità di apostolo (Gal 1,6-2.21); ribadisce che la salvezza è data a tutti gli uomini mediante la fede in Gesù Cristo (Gal 3,1-4,31); infine, l’apostolo sottolinea che l’uomo sotto la guida dello Spirito, vive da figlio di Dio dando frutti di opere buone. 2 2. PRECISAZIONI PER LA VITA CRISTIANA: il vangelo della liberta’ (Gal 5) 1 Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù… 5Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. 6Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità. 7Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada, voi che non obbedite più alla verità? 8Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama! … 13Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. 14Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 15Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! 16Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito…22Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23contro queste cose non c’è Legge… Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. 26Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri. Il capitolo si può dividere in due parti: 5,1-2, parte dottrinale, la fede che salva; 5,13-26 precisazioni per la vita cristiana, vita di vera libertà. In 5,1 Paolo riassume il suo pensiero affermando la libertà cristiana: e ne precisa l’origine in un intervento di Cristo, preciso, storico, espresso con un passato remoto: “Per la libertà Cristo ci liberò” . Unico nel NT (si veda tuttavia Gv 8,36), questo proclama di liberazione esprime con termini nuovi l’opera di redenzione compiuta da Cristo, la quale viene espressa altrove con i verbi “riscattare” (Gal 3,13; 4,15), “strappare da” (1,4) e altri simili. La differenza tra “liberare” e gli altri verbi sta nel fatto che questi hanno un senso negativo, esprimono cioè la cessazione di un male, la fine di una situazione cattiva: “liberare”, invece, ha un senso positivo, esprime il raggiungimento di una situazione ottima, il conferimento di un bene quanto mai desiderabile, la libertà, che corrisponde alla piena dignità umana. Avendo stabilito questa disposizione basilare, Paolo ne esprime subito la conseguenza pratica, in una frase esortativa di somma importanza. Vi possiamo infatti riconoscere i due scopi perseguiti dall’apostolo in questa lettera: 1) la difesa del suo vangelo, il quale è un vangelo di libertà; 2) la lotta contro la propaganda giudaizzante, la quale conduceva a una schiavitù. Da ciò l’invito “restate dunque saldi”, fermamente attaccati al vangelo della libertà e “non mettetevi di nuovo sotto un giogo di schiavitù”. Siccome l’opera redentrice di Cristo consistette nel procurare la libertà, che vuole beneficiare di questa opera deve mantenersi libero. Tra la situazione di libertà instaurata da Cristo e una situazione di schiavitù religiosa, una scelta chiara è necessaria. L’incompatibilità non esiste soltanto tra la fede in Cristo e la fiducia nell’osservanza della legge mosaica, ma tra la fede e qualsiasi sistema religioso legalistico. La sua frase richiama i principali temi positivi della lettera: “giustizia”, “fede”, “Spirito”; vi aggiunge la “speranza” che corrisponde al tema dell’eredità promessa (Gal 3,29; 4,7).La particolarità di Paolo riguardo la giustificazione consiste nel fatto che egli non faccia dipendere questa giustificazione finale dalle opere, secondo la dottrina tradizionale (cfr. Mt 25,35-43; Gv 5,29; 2Cor 5,10; Rm 2,13; Gc 2,14-26), ma dalla fede, come precisamente la giustificazione iniziale. Occorre però riconoscere che tale posizione è coerente. Sarebbe anormale, infatti che, essendo stata stabilita come principio fondamentale, la fede non fosse poi la base di tutto l’edificio. 5,6 Tra la giustificazione finale e quella iniziale esiste tuttavia una differenza che è accennata nel versetto seguente, dove si parla di una “fede operante per mezzo dell’amore”. Per la giustificazione iniziale, infatti, la fede non è accompagnata dalle opere, per la semplice ragione che non ne ha ancora potuto produrre nessuna. Le opere fatte prima non hanno avuto la fede per base e per questo motivo vanno escluse dal processo della giustificazione (cfr. 2,16). Invece, dopo la giustificazione iniziale, la fede non resta inoperante, ma manifesta un potente dinamismo, che il credente deve accogliere attivamente. Altrimenti la sua fede verrebbe soffocata e annichilita. Ciò che conta per la giustificazione 3 finale è dunque “la fede operante per mezzo dell’amore” (5,6). Paolo sa per esperienza che la fede produce l’amore, un amore attivo. Il dinamismo della fede cristiana è un dinamismo di amore universale. In 5,6 sulla scia di Cristo, Paolo enuncia la grande e unica norma della vita cristiana: tenere viva la fede in Cristo che mette in opera la carità verso Dio e verso il prossimo. Il testo greco suggerisce che l’operatività è una caratteristica propria della fede: in altri termini la fede non è pensabile se come fede “efficace” nell’amore. Per questo nella nuova traduzione della CEI si è preferito “si rende operosa” che cerca di evocare il dinamismo interno della fede, rispetto a “che opera” della precedente versione: quest’ultima poteva dare l’impressione di una scelta “successiva” all’adesione di fede. 5,8-10 Paolo esprime ciò con una sfumatura nuova e più positiva. Non dice “Colui che vi chiamò” al passato, ma “Colui che vi chiama”, al presente, il che fa capire che Dio continuava nella sua bontà a chiamare i Galati a stare in comunione con lui. 5,11-12 Paolo conclude la stupenda parte dottrinale della lettera sui rapporti fra legge e fede, sul mistero di Cristo e la sua attuazione nella vita dei credenti. Ha anzitutto messo in luce il nuovo fondamento dell’esistenza cristiana, cioè il dono gratuito della giustificazione per mezzo dell’adesione a Cristo, e le prospettive che ne risultano per la diffusione universale della Chiesa.