IL CORPO NON LO SA ANCORA

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IL CORPO NON LO SA ANCORA
MYRIAM BROUSSE
IL CORPO
NON LO SA
ANCORA
Memoria cellulare:
Cammino verso la coscienza
Traduzione dal francese di Paola Artero
Titolo originale: Le Corps ne le sait pas encore, Éditions Quintessence, 2002
Di prossima apparizione, dello stesso autore
La discesa nel corpo
© 2009 — Édizioni Quintessence
Rue de la Bastidonne – 13678 Aubagne cedex
Tel. (+33) 04 42 18 90 94 – Fax (+33) 04 42 18 90 99
www.editions-quintessence.com
Proprietà letteraria Quintessence riservata.
ISBN 978-2-35805-101-9
A mia figlia
Al mio compagno
NOTA PER IL LETTORE
Quest’opera è frutto di un lavoro collettivo.
Grazie, Bernard Dubois, per aver partecipato instancabilmente a
questa ricerca e per averle consacrato tutto il tuo tempo.
Grazie a mia figlia Véronique che, attraverso le sue ricerche in
kinesiologia, ha saputo dare al metodo uno strumento
preziosissimo.
Grazie, Jeanine Vivot, per aver saputo ispirare, con la tua scrittura
elegante, la stesura di quest’opera.
Grazie, Véronique Kockmann, per aver saputo comunicare
l’esperienza degli insegnamenti da te ricevuti e assimilati.
Grazie, Dottoressa Christine Tesson, per la tua presenza ed il tuo
sostegno, che non è mai venuto meno, neanche nei momenti più
difficili.
Grazie a tutti i collaboratori che hanno avuto fede in questa ricerca,
sostenendola e formandosi alla relazione d’aiuto, dopo molti anni di
ricerca personale.
Grazie a tutti gli allievi che, dal 1989, sono stati i testimoni viventi
dell’insegnamento ricevuto, e che hanno permesso di constatarne
l’efficacia.
Grazie, Marc Fréchet: a te sia reso un particolare omaggio
per la qualità delle ricerche sui cicli biologici cellulari
memorizzati di cui tu detieni la paternità.
Per merito di questo lavoro, abbiamo potuto dare alla nostra
intuizione ed al nostro risentito il sostegno di un ancoraggio reale,
concreto e verificabile nell’accompagnamento delle persone,
rendendo così ancora più chiaro l’insegnamento di Mère.
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IL CORPO NON LO SA ANCORA
Ci siamo immersi nell’essenza e abbiamo percorso tutto il
corpo umano, qui abbiamo trovato il corso degli universi, tutto
intero, e tutti quei cieli turbinanti, e tutti quei luoghi sotterranei,
settantamila veli nel corpo umano, abbiamo scoperto. I sette cieli,
i monti ed i mari, i sette livelli tellurici, spiccare il volo o cadere negli
inferi, tutto ciò è nel corpo umano. Tanto la notte quanto il giorno,
e le sette stelle del cielo, le tavole iniziatiche, anche questo è nel
corpo umano. E anche l’Arcangelo che suona la tromba è nel
corpo umano. La Bibbia e l’Antico Testamento, i Salmi ed il
Corano, qualsiasi parola scritta, si trova nel corpo umano.
(Parole ispirate)
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CAPITOLO I
I SASSI SUL CAMMINO
Venticinque anni fa, nel riprendermi da una lunghissima
malattia, sono stata condotta poco a poco alla comprensione del
significato simbolico e del funzionamento analogico di un corpo che
ha perso “l’accordatura” e questo grazie agli scritti ed alle
esperienze di Mère.
Chi è dunque questa donna che chiamano Mère (la Madre)?
Mère è nata a Parigi nel 1878, da madre egiziana e da padre
turco. Studiosa di matematica, pittrice e pianista, stringe amicizia
con Gustave Moreau, Rodin e Manet. Il secondo marito la conduce
in Giappone, in Cina e a Pondicherry dove incontra Sri Aurobindo.
Un suo amico intimo, Satprem, autore de La Mente delle Cellule1,
così descrive colei che rivoluzionò la mia vita:
“Ho incontrato, dice, colei che parlava in modo diverso. Aveva
ottant’anni. Era giovane e ridente come una bambina: la
chiamavano Mère. È l’ultima porta che si apre quando tutte le
altre si sono chiuse dinnanzi al nulla. Mi ha portato su strade
sconosciute, dirette verso l’avvenire dell’Uomo o forse verso il
suo vero inizio. Mère è il segreto della Terra. No, non è una
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“J’ai rencontré, dit-il, celle qui disait autrement. Elle avait quatre-vingts ans. Elle était jeune
et riante comme une petite fille, on l’appelait Mère. C’est la dernière porte qui s’ouvre quand
toutes les autres se sont fermées sur rien. Elle m’a emmené sur des chemins inconnus qui s’en
allaient dans le lendemain de l’Homme ou peut-être dans son commencement vrai. Mère,
c’est le secret de la Terre. Non, ce n’est pas une sainte, pas une mystique, pas un yogi. Ce
n’est pas un thaumaturge non plus, ni un gourou, ni une fondatrice de religion. Mère, c’est la
découvreuse du secret de l’Homme quand il a perdu sa mécanique et ses religions, ses
spiritualismes et ses matérialismes, et ses idéologies de l’Est ou de l’Ouest, quand il est luimême simplement un corps et un coeur qui bat et qui appelle la Terre de vérité, un corps
simplement qui appelle la vérité du corps, comme le cri de la mouette appelle l’espace et le
grand vent”. Pubblicato in Italia dalle Edizioni Mediterranee, 1991. La traduzione della
citazione è nostra. (NdT)
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santa, né una mistica, né una yogi. Non è neanche una
taumaturga, né una guru, né la fondatrice di una religione.
Mère, è colei che ha scoperto il segreto dell’Uomo quando egli
ha perso meccanica e religioni, spiritualismi e materialismi,
ideologie dell’Est o dell’Ovest, quando lui stesso non è
nient’altro che un corpo ed un cuore che batte e che invoca la
Terra della verità; semplicemente un corpo che invoca la verità
del corpo, come il grido del gabbiano invoca lo spazio ed il
forte vento”.
Nel 1958, Mère scopre “una mente cellulare” capace di
ricostituire la condizione fisica. Dal 1958 al 1973, vive la lenta
scoperta del grande passaggio ad un’altra specie e di un vero modo
di vita insito nella materia.
Nello stesso periodo, leggevo la seguente frase dell’astrofisico
Trin Kuan Tuan: “il volto dell’Universo e la nostra esistenza sono
inestricabilmente legati tra loro. Siamo i figli delle stelle, fratelli degli
animali selvatici e cugini dei fiori di campo”.
Splendida e misteriosa ascendenza, la nostra carta d’identità, la
doppia elica del DNA, dotata di memoria molecolare e vibratoria,
pare che conservi il segno di tutto ciò che è accaduto prima di noi,
sia su scala individuale che collettiva.
E se ogni dolore, più o meno forte, provenisse dalla memoria
del nostro corpo? Se questa memoria cellulare fosse un segnale
vibratorio che fa appello ad un’accresciuta coscienza di sé? E se noi
fossimo, talvolta, al tempo stesso i prigionieri di questa memoria del
corpo ed i carcerieri di noi stessi?
Vorrebbe forse dire che conserviamo nel labirinto delle nostre
cellule, nel cuore di queste molecole, l’ “engramma” di tutto il
passato, il nostro, quello della Madre Terra, fin dall’inizio del
mondo, compreso forse il big-bang? Vi sono giorni in cui, con il
cuore in secca, siamo sordi, colpiti da amnesia, incerti sul senso
della nostra vita e non riusciamo a decifrare assolutamente nulla.
Spesso, come dei piccoli robot, non facciamo altro che ripetere
una programmazione formata da elementi disparati, poiché la
nostra vita è tagliata fuori dall’essenziale.
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I SASSI SUL CAMINO
Guidata dall’insegnamento di Mère, ho osato interessarmi al
filo conduttore della mia vita ed intraprendere l’intensa ricerca della
mia verità.
Lo scrittore francese Jean Giono afferma, a modo suo, che
l’Uomo è forse completamente diverso da quello che crediamo. “Si
è detto che l’Uomo è fatto di cellule e sangue, ma in realtà egli è
come le foglie, bisogna che il vento soffi perché lo si senta cantare”:
e se la ricerca della verità consistesse proprio in questo vento che fa
stormire le foglie?
I SASSI SUL CAMMINO: DRAMMA DELLA MORTE DI MIA
MADRE
HO DUE ANNI E MEZZO
Nel cesto c’è una gatta e dei gattini succhiano voracemente le
sue mammelle piene di latte. Mi avvicino, afferro furtivamente uno
dei piccoli, e lo stringo, lo stringo forte forte, fortissimo, tra le mie
manine contratte: non respira più. “Che bambina perversa e cattiva
è mai questa!” esclama in collera mia nonna, con l’approvazione di
una vecchia cugina, una maestra severa dallo sguardo duro e ostile.
Io tremo dalla paura. Il gattino è morto. “Che cosa ho fatto?”. Non
capisco. “Mamma, dove sei? Perché non sei qui con me? Te ne sei
andata, dove, quando, come?”. Nessuno mi risponde.
Capisco, molto tempo dopo, di non avere mai dimenticato
quell’atmosfera. La memoria ha captato tutto: il suono, l’immagine,
l’odore, la paura. Tutto è stato engrammato nella memoria del
corpo.
E possibile allora ipotizzare che un evento di identica natura
possa segnalare quel che è stato memorizzato ed engrammato? A
partire da quell’avvenimento, tutti i gatti per me saranno pregni di
quella stessa emozione, dello stesso senso che ebbe la morte di quel
primo gatto.
Sul piano emozionale, il risentito2 della morte del gattino potrà
definirsi come una determinante emozionale contaminante: vale a
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Dal francese ressenti. (NdT)
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dire che ogni emozione collegata a quest’episodio ha già un senso
di morte.
Ripensandoci meglio, la morte del gattino potrà anche
riportarmi ad un momento molto più antico (la perdita del legame
con mia madre) che risveglierà la drammaturgia contenuta
nell’istante della mia nascita e di quella, tredici mesi più tardi, del
mio fratellino.
La preoccupazione della mia famiglia è grande: “Che cosa ne
sarà di questa bambina che è già così cattiva?”. La famiglia ha
semplicemente dimenticato il fatto che, qualche mese prima,
“questa bambina” aveva subito lo shock della perdita della madre
ed era ancora in collera per il non-senso di questa morte.
Molto semplicemente, la bimba che io ero non aveva
sopportato di vedere un gattino succhiare felicemente il latte della
sua mamma.
Possiamo affermare che le nostre cellule si ricordano di ciò che
abbiamo vissuto, sofferto, amato, detestato o rifiutato. Tutte queste
informazioni sono engrammate in noi e si esprimono
inconsciamente nei nostri gesti quotidiani, nel nostro modo di
pensare, di amare e di proiettarci nell’Universo.
Proprio come la partizione scritta da un compositore per essere
poi registrata su un microsolco, tutto ciò che noi viviamo e
pensiamo è registrato dentro di noi, nello “studio di registrazione”
delle nostre cellule.
HO SETTE ANNI
Come è bella la cappella delle Orsoline! Luci, fiori, incenso
infondono in me, bambina, una meraviglia carica di forti emozioni.
Laggiù, sulla sinistra, un gruppo di mie coetanee vestite di bianco,
con dei fiori nei capelli, accompagnate dalle loro famiglie riunite
calorosamente intorno, procedono in direzione dell’altare.
Mi volto all’indietro, verso una colonna. Non c’è nessuno, sono
sola, senza madre, e tutto gira intorno a me come una spirale di
vuoto che mi trascina nelle sue viscere. Esclamo allora: “Ma perché
nessuno mi ama, nessuno mi amerà mai?” E un’altra voce si fa
sentire, dal profondo: “No, nessuno ti amerà mai, ma tu puoi amare
gli altri”. Consolazione, premessa di una chiamata, forza di vita,
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I SASSI SUL CAMINO
angoscia di morte, tutto manifesta il processo che si sta innescando.
Semplicemente amerò; o perlomeno è questo che si dice, dentro di
me.
HO VENT'ANNI
Un vestito da sposa, si preannuncia la felicità, l’orizzonte si
tinge di rosa, è arrivato l’amore. Si tratta di un momento della vita
in cui grande è la speranza.
Ma un colpo di telefono porterà via il sogno, l’amore e la
speranza, ed anche il vestito da sposa che diventerà il lenzuolo
funebre di un amore spezzato dalla morte. Ancora la morte. Perché,
quando si ama, sopraggiunge la morte?
La porta di un convento carmelitano si chiude alle mie
spalle: amerò gli altri, visto che nessuno mi amerà mai. La vocina si
fa sentire, lancinante, imprevedibile e forte: “Per accedere
all’amore, non bisogna morire?”. Dentro è la notte. Né la vita né la
morte hanno più senso ed io, diventata monaca di clausura, non
prego più, non voglio più nulla, non posso più credere a niente, in
questo silenzio che eppure avevo voluto, o perlomeno è quel che
credevo, in un cuore ferito che aspira comunque a vedere, vedere e
capire.
Quando la porta della clausura si era richiusa dietro di me
credevo che il silenzio che avrei incontrato mi avrebbe permesso di
placare la mia sofferenza. Non avrei mai saputo descrivere
quest’esperienza se, pur avendo capito il prezzo che aveva, non
l’avessi vissuta ed affrontata nella realtà di quell’istante in cui ne fui
pervasa.
Il silenzio è forse l’assenza di rumore esterno? No, poiché il
rumore esterno è uno degli aspetti della porticina stretta che proprio
in questo silenzio mi fece entrare.
È l’assenza di parole? Neanche. È vero che la disciplina
carmelitana obbliga le suore a non parlare e questo è un modo per
accedere al silenzio. Eppure, il silenzio non consiste neanche in
questo.
Il silenzio, allora, è l’assenza di comunicazione con gli altri?
Questa assenza di comunicazione è una condizione preliminare,
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poiché per poter comunicare con l’altro occorre innanzi tutto
poterlo ascoltare e, per riuscirci, bisogna fare silenzio.
Il silenzio non è assenza di rumore, né assenza di parole, né
assenza di comunicazione. È una percezione, uno stato, un suono.
Questa risposta rende chiaro il significato della comunicazione
e del dialogo con le nostre cellule. Invece del silenzio, ho sentito un
rumore confuso, interiore, nato da un inatteso disordine, una
cacofonia generata da una mente incontrollata, da un inconscio
non rivelato, da un cuore e da un corpo pieni di quelle temibili
energie non unificate.
Ho percepito le miriadi di influenze di cui ero carica, ad ogni
istante. Mi sono resa conto, poco a poco, che per acquietare il
misterioso bisogno di assoluto che avevo, avevo colmato il mio
essere di un’esaltazione in cui cercavo di fare palpitare la mia
propria visione del mondo. Quest’ultima era pregna della visione
dei miei antenati.
E poi ci furono le parole di San Giovanni della Croce
pronunciate nel cuore della cappella e ripetute ogni giorno dalla
madre priora, mattino e sera. “Se volete avere tutto, cominciate col
non avere nulla!”. Rimettere tutto in ordine costituì in sé una prova
talmente dolorosa e difficile che mi ritrovai piena di foruncoli e
febbricitante. Il mio corpo era lì e parlava: l’immersione nel
cammino del silenzio mi fece sentire il temibile rumore interiore, che
come un muro di fuoco gli impedisce di accedere ad un altro stato,
cioé ad un ambiente costante, libero da inganni e tumulti il cui
rumore e le inevitabili esigenze disturbano e falsano il suono e la
vibrazione di cui parlavo sopra. L’immersione in quel silenzio mi
veniva proposta lungo il cammino, al fine di accedere a questa
liberazione, ma non era sufficiente. Parlare del silenzio? No! Viverlo
dentro di sé, fino a quando il suo avvicinamento ci faccia sentire
tutti i rumori del nucleo interiore, sì! Ed io affermo, io oso affermare
di avere percepito questa fase invadente attraverso la quale si è
rivelato in me un contatto straordinario. Nel più profondo di me
stessa si è organizzato qualcosa; qualcosa in me ha capito che cosa
fosse quella vibrazione in fondo alle cellule. Oggi, capisco meglio
quel che disse Mère: che tutto contribuisce al nostro progresso,
compresi gli ostacoli, le contraddizioni, le malattie la cui causa,
spesso, è la paura. Tutto è risposta.
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I SASSI SUL CAMINO
Delle sue visioni della realtà fisica, Mère riferisce la percezione
di un campo di vibrazioni eterogenee, raggiungendo così i dati
scientifici sulle onde elettromagnetiche. Essa aggiunge: “Ma la
materia non è solo energia: è coscienza. La fissità, la densità del
mondo materiale vengono dall’oscuramento di una coscienza che la
mente ha soppiantato”. In realtà, la rivelazione che se ne può
ricevere consiste nell’ascoltare ed ascoltare ancora. Poi, poco a
poco, con l’ausilio di questo lavoro di ascolto interiore, ho capito
che discendere nella materia vuol dire attraversare lo strato
mentale, quello animale e quello vegetale. Gli strati del
meccanismo ostinato che ricoprono l’io profondo. In fondo,
cercavo già di scoprire quella che Mère chiama “la coscienza
cellulare”. Sfortunatamente il mio corpo non seguiva. Ero ancora
invasa dai foruncoli, dalla febbre e da un grande nervosismo che
non mi abbandonava mai. La morte, la paura della morte mi
attanagliavano sempre. Ma capii improvvisamente, senza poterlo
esprimere bene, che il fatto di ripercorrere quello schema doloroso
mi faceva cercare di allontanarmene il più possibile, invece
di affrontare l’ostacolo. Queste esitazioni mi conducevano
lontano dal mio cammino di vita, a me ignoto. Perdevo la direzione
e ricadevo continuamente nella nebbia e nel sonno. Eppure, ben
più tardi, appresi che questo schema ripetitivo (ritorno ciclico degli
stessi avvenimenti), se lo sappiamo accettare, è una grazia poiché ci
permette di entrare nella realtà, mentre noi preferiamo sempre
sognare una specie di ideale. Capii molto rapidamente che il disco
si riga e che la cacofonia prende il posto della musica, diventando
sempre più insopportabile. Lo vissi davvero finché potei sopportare
di ascoltare quel che strideva troppo e, quando vi fui costretta, ebbi
paura della malattia, della depressione, dell’incidente e,
naturalmente, della morte.
Fu un giorno di Pasqua. Mi imbattei in un libro di Theillard de
Chardin in cui una frase fece eco in me: “Noi non siamo degli esseri
umani che vivono un’esperienza spirituale; siamo degli esseri
spirituali che vivono un’esperienza umana”. Fui pervasa da queste
parole e capii che non dovevo fuggire l’esperienza umana, che il
dispiacere e la morte costituivano veramente un’esperienza e
che bisognava che io accettassi, ad ogni istante, di andare a
vedere e vedere ancora e capirne il senso. Allora, lasciai il
Carmelo.
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Vorrei aggiungere questa frase di Mère che, qualche tempo
dopo, mi marcò molto: “Nasciamo con un pantano da pulire, prima
di cominciare a vivere”.
Una volta partiti di buona lena sul cammino della
trasformazione, e discesi fino alla radice inconscia dell’essere, si
fanno molte scoperte! Tutte, quasi tutte le difficoltà risiedono in
questo. Si aggiunge ben poco alla nostra esistenza, dopo i primi
anni di vita.
Queste memorie sono impresse nelle nostre cellule come dei
virus trasmessi dai nostri geni ed inducono delle
programmazioni che determinano gli schemi ripetitivi di
comportamento. Non facciamo altro che ripetere ciò che già
conosciamo. Diamo sempre la stessa risposta allo stesso stimolo e
diciamo: “Non posso fare diversamente”, e questo fintantoché non
ci mettiamo la coscienza, cioé accettiamo di vedere. Partita
per scoprire, dimostrare, impegnarmi, decodificare,
accettare, applicare, mi ritrovo rapidamente con questa tendenza
a ripiegarmi su me stessa, tendenza egotistica che fa parte della mia
memoria, la memoria di una fuga ereditata dai miei genitori: sono
nata da padre ignoto e mia madre, falciata dalla morte, mi ha
lasciata nella mia prima infanzia. Molto velocemente cerco di
fuggire la realtà, di volgermi verso gli altri? Ma sono soprattutto
rivolta verso me stessa. Eccomi, con tutte le mie difficoltà, la
tendenza a credere che non sarei mai riuscita né a brillare né ad
essere me stessa, la mia sofferenza per la separazione, l’impossibilità
a comunicare liberamente con l’uomo e con Dio, la difficoltà ad
integrare la mia polarità femminile, il bisogno di lasciar perdere, la
mia grande reattività, il bisogno di entrare in competizione e di
lottare. Sulla mia strada incontravo spesso la collera, contro mia
madre, contro la donna, e un’ambizione smisurata che mi faceva
credere che avrei potuto lavorare per me, per me sola, e
guadagnare tutto il denaro necessario per guarire la mia ferita.
Facevo parte di una famiglia in cui tutte le donne delle
generazioni precedenti avevano un gravissimo conflitto da risolvere,
poiché morivano intorno ai 40 anni di cancro al seno, agli organi
genitali o all’intestino. Beninteso, io avevo ricevuto questa
informazione durante la mia infanzia, ma credevo ancora che si
trattasse di un’illusione e che io non avessi nulla a che spartire con
“tutte le donne della famiglia”. In cosa consistevano, dunque, i loro
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I SASSI SUL CAMINO
conflitti? Nella difficoltà che avevano ad integrare la loro polarità
femminile, la loro grande reattività, il bisogno di competizione,
l’impossibilità di avere il diritto di comunicare liberamente con
l’uomo, che fuggivano sempre. Ma questa era la loro storia e non
certo la mia! In ogni caso, amare gli altri non era la mia priorità.
Non ero neanche capace di amare me stessa…
HO QUARANT’ANNI
Mi ritrovo mezza sveglia e mezza addormentata su un tavolo
operatorio e sento i medici pronunciare la sentenza
dell’impossibilità della mia guarigione. Il mio corpo intero rivela la
vastità di tutti i miei conflitti. Per me è finita e la morte viene,
ancora una volta, ad esprimermi la sua forza. La stessa piccola frase
risuona in me, eco e coincidenza, “nessuno mi amerà mai”. Che
fare? Forse, morirne…
“Una minoranza, ancora troppo infima, si chiede se, in
definitiva, il modo migliore per rendere servizio alla società ed agli
uomini, non sarebbe forse di cominciare a provare, ognuno per sé,
prima di tutto ed unicamente sulla propria persona, nella propria
economia interna, le riforme che si predicano in ogni angolo”
(Gustav Jung).
È giunto forse per me il momento di fare l’esperienza concreta
e verificabile delle memorie impresse nelle profondità del corpo?
Questo approccio mi rivela l’opera compiuta da Mère e da Sri
Aurobindo e la sconvolgente originalità dell’iniziativa di colei che
Satprem avrebbe definito la più grande avventuriera del mondo.
Lei che ci disse: “il corpo, sono delle cellule, un racconto
perfettamente biologico e terrestre”. L’incontro con questo
approccio mi farà incontrare la Vita.
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CAPITOLO II
LA MEMORIA, IPOTESI DI BASE
Dunque, i desideri insensati, il senso di colpa, gli atti ripetitivi
di origine inconscia, così come l’angoscia incontrollabile, i rancori e
le paure, proverrebbero tutti da tali memorie, la cui attivazione ci fa
perdere il vero senso della nostra vita. La fonte profonda dei nostri
mali, ne ho fatta l’esperienza, è il risultato di memorie engrammate
in questa materia sopita. Gli antichi parlavano delle acque del fiume
Lete, che cancellavano il ricordo del mondo e delle realtà celesti a
cui l’anima era affine. Secondo Platone quest’oblio portava il nome
di “ignoranza”.
Invece, le acque del Lago della Memoria permettevano ai
ricordi di rivenire a galla. Si diceva che esse avessero la parvenza di
una fontana dell’immortalità beata ove la vita scorreva facile
accanto a dei ed eroi. Nell’antica Grecia, guidati dall’oracolo, i
fedeli obbedivano ai riti: bevevano l’acqua del Lete per dimenticare
il loro passato doloroso, poi quella di Memoria per riscoprire la
conoscenza sopita. Nella tradizione biblica Paolo si disperava:
“Faccio il male, che detesto, e non faccio il bene che amo”. Al di là
di qualsiasi metafora teologica del bene e del male, interpretiamo:
“Non riesco ad andare dove mi porta il mio desiderio; qualcosa di
più forte di me mi obbliga a fare il contrario”. Nel suo diario, Mère
spiega che questa indecisione tra due opposti, questa impotenza,
non sono altro che il frutto dei nostri pattern o, in altre parole, dei
nostri schemi ripetitivi che risultano come incisi su un microsolco.
“Appena volete andare avanti, incontrate immediatamente la
resistenza di tutto ciò che andare avanti non vuole perché non può
progredire in voi. Detto altrimenti, la scoperta più grande consiste
nello scoprire l’impedimento e l’impedimento è rappresentato da
memorie devianti che non ci appartengono”. Potremmo parlare di
una sorta di continuum di memorie. Se formulassimo l’ipotesi che il
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