IL CORPO NON LO SA ANCORA
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IL CORPO NON LO SA ANCORA
MYRIAM BROUSSE IL CORPO NON LO SA ANCORA Memoria cellulare: Cammino verso la coscienza Traduzione dal francese di Paola Artero Titolo originale: Le Corps ne le sait pas encore, Éditions Quintessence, 2002 Di prossima apparizione, dello stesso autore La discesa nel corpo © 2009 — Édizioni Quintessence Rue de la Bastidonne – 13678 Aubagne cedex Tel. (+33) 04 42 18 90 94 – Fax (+33) 04 42 18 90 99 www.editions-quintessence.com Proprietà letteraria Quintessence riservata. ISBN 978-2-35805-101-9 A mia figlia Al mio compagno NOTA PER IL LETTORE Quest’opera è frutto di un lavoro collettivo. Grazie, Bernard Dubois, per aver partecipato instancabilmente a questa ricerca e per averle consacrato tutto il tuo tempo. Grazie a mia figlia Véronique che, attraverso le sue ricerche in kinesiologia, ha saputo dare al metodo uno strumento preziosissimo. Grazie, Jeanine Vivot, per aver saputo ispirare, con la tua scrittura elegante, la stesura di quest’opera. Grazie, Véronique Kockmann, per aver saputo comunicare l’esperienza degli insegnamenti da te ricevuti e assimilati. Grazie, Dottoressa Christine Tesson, per la tua presenza ed il tuo sostegno, che non è mai venuto meno, neanche nei momenti più difficili. Grazie a tutti i collaboratori che hanno avuto fede in questa ricerca, sostenendola e formandosi alla relazione d’aiuto, dopo molti anni di ricerca personale. Grazie a tutti gli allievi che, dal 1989, sono stati i testimoni viventi dell’insegnamento ricevuto, e che hanno permesso di constatarne l’efficacia. Grazie, Marc Fréchet: a te sia reso un particolare omaggio per la qualità delle ricerche sui cicli biologici cellulari memorizzati di cui tu detieni la paternità. Per merito di questo lavoro, abbiamo potuto dare alla nostra intuizione ed al nostro risentito il sostegno di un ancoraggio reale, concreto e verificabile nell’accompagnamento delle persone, rendendo così ancora più chiaro l’insegnamento di Mère. 5 IL CORPO NON LO SA ANCORA Ci siamo immersi nell’essenza e abbiamo percorso tutto il corpo umano, qui abbiamo trovato il corso degli universi, tutto intero, e tutti quei cieli turbinanti, e tutti quei luoghi sotterranei, settantamila veli nel corpo umano, abbiamo scoperto. I sette cieli, i monti ed i mari, i sette livelli tellurici, spiccare il volo o cadere negli inferi, tutto ciò è nel corpo umano. Tanto la notte quanto il giorno, e le sette stelle del cielo, le tavole iniziatiche, anche questo è nel corpo umano. E anche l’Arcangelo che suona la tromba è nel corpo umano. La Bibbia e l’Antico Testamento, i Salmi ed il Corano, qualsiasi parola scritta, si trova nel corpo umano. (Parole ispirate) 6 CAPITOLO I I SASSI SUL CAMMINO Venticinque anni fa, nel riprendermi da una lunghissima malattia, sono stata condotta poco a poco alla comprensione del significato simbolico e del funzionamento analogico di un corpo che ha perso “l’accordatura” e questo grazie agli scritti ed alle esperienze di Mère. Chi è dunque questa donna che chiamano Mère (la Madre)? Mère è nata a Parigi nel 1878, da madre egiziana e da padre turco. Studiosa di matematica, pittrice e pianista, stringe amicizia con Gustave Moreau, Rodin e Manet. Il secondo marito la conduce in Giappone, in Cina e a Pondicherry dove incontra Sri Aurobindo. Un suo amico intimo, Satprem, autore de La Mente delle Cellule1, così descrive colei che rivoluzionò la mia vita: “Ho incontrato, dice, colei che parlava in modo diverso. Aveva ottant’anni. Era giovane e ridente come una bambina: la chiamavano Mère. È l’ultima porta che si apre quando tutte le altre si sono chiuse dinnanzi al nulla. Mi ha portato su strade sconosciute, dirette verso l’avvenire dell’Uomo o forse verso il suo vero inizio. Mère è il segreto della Terra. No, non è una 1 “J’ai rencontré, dit-il, celle qui disait autrement. Elle avait quatre-vingts ans. Elle était jeune et riante comme une petite fille, on l’appelait Mère. C’est la dernière porte qui s’ouvre quand toutes les autres se sont fermées sur rien. Elle m’a emmené sur des chemins inconnus qui s’en allaient dans le lendemain de l’Homme ou peut-être dans son commencement vrai. Mère, c’est le secret de la Terre. Non, ce n’est pas une sainte, pas une mystique, pas un yogi. Ce n’est pas un thaumaturge non plus, ni un gourou, ni une fondatrice de religion. Mère, c’est la découvreuse du secret de l’Homme quand il a perdu sa mécanique et ses religions, ses spiritualismes et ses matérialismes, et ses idéologies de l’Est ou de l’Ouest, quand il est luimême simplement un corps et un coeur qui bat et qui appelle la Terre de vérité, un corps simplement qui appelle la vérité du corps, comme le cri de la mouette appelle l’espace et le grand vent”. Pubblicato in Italia dalle Edizioni Mediterranee, 1991. La traduzione della citazione è nostra. (NdT) 7 IL CORPO NON LO SA ANCORA santa, né una mistica, né una yogi. Non è neanche una taumaturga, né una guru, né la fondatrice di una religione. Mère, è colei che ha scoperto il segreto dell’Uomo quando egli ha perso meccanica e religioni, spiritualismi e materialismi, ideologie dell’Est o dell’Ovest, quando lui stesso non è nient’altro che un corpo ed un cuore che batte e che invoca la Terra della verità; semplicemente un corpo che invoca la verità del corpo, come il grido del gabbiano invoca lo spazio ed il forte vento”. Nel 1958, Mère scopre “una mente cellulare” capace di ricostituire la condizione fisica. Dal 1958 al 1973, vive la lenta scoperta del grande passaggio ad un’altra specie e di un vero modo di vita insito nella materia. Nello stesso periodo, leggevo la seguente frase dell’astrofisico Trin Kuan Tuan: “il volto dell’Universo e la nostra esistenza sono inestricabilmente legati tra loro. Siamo i figli delle stelle, fratelli degli animali selvatici e cugini dei fiori di campo”. Splendida e misteriosa ascendenza, la nostra carta d’identità, la doppia elica del DNA, dotata di memoria molecolare e vibratoria, pare che conservi il segno di tutto ciò che è accaduto prima di noi, sia su scala individuale che collettiva. E se ogni dolore, più o meno forte, provenisse dalla memoria del nostro corpo? Se questa memoria cellulare fosse un segnale vibratorio che fa appello ad un’accresciuta coscienza di sé? E se noi fossimo, talvolta, al tempo stesso i prigionieri di questa memoria del corpo ed i carcerieri di noi stessi? Vorrebbe forse dire che conserviamo nel labirinto delle nostre cellule, nel cuore di queste molecole, l’ “engramma” di tutto il passato, il nostro, quello della Madre Terra, fin dall’inizio del mondo, compreso forse il big-bang? Vi sono giorni in cui, con il cuore in secca, siamo sordi, colpiti da amnesia, incerti sul senso della nostra vita e non riusciamo a decifrare assolutamente nulla. Spesso, come dei piccoli robot, non facciamo altro che ripetere una programmazione formata da elementi disparati, poiché la nostra vita è tagliata fuori dall’essenziale. 8 I SASSI SUL CAMINO Guidata dall’insegnamento di Mère, ho osato interessarmi al filo conduttore della mia vita ed intraprendere l’intensa ricerca della mia verità. Lo scrittore francese Jean Giono afferma, a modo suo, che l’Uomo è forse completamente diverso da quello che crediamo. “Si è detto che l’Uomo è fatto di cellule e sangue, ma in realtà egli è come le foglie, bisogna che il vento soffi perché lo si senta cantare”: e se la ricerca della verità consistesse proprio in questo vento che fa stormire le foglie? I SASSI SUL CAMMINO: DRAMMA DELLA MORTE DI MIA MADRE HO DUE ANNI E MEZZO Nel cesto c’è una gatta e dei gattini succhiano voracemente le sue mammelle piene di latte. Mi avvicino, afferro furtivamente uno dei piccoli, e lo stringo, lo stringo forte forte, fortissimo, tra le mie manine contratte: non respira più. “Che bambina perversa e cattiva è mai questa!” esclama in collera mia nonna, con l’approvazione di una vecchia cugina, una maestra severa dallo sguardo duro e ostile. Io tremo dalla paura. Il gattino è morto. “Che cosa ho fatto?”. Non capisco. “Mamma, dove sei? Perché non sei qui con me? Te ne sei andata, dove, quando, come?”. Nessuno mi risponde. Capisco, molto tempo dopo, di non avere mai dimenticato quell’atmosfera. La memoria ha captato tutto: il suono, l’immagine, l’odore, la paura. Tutto è stato engrammato nella memoria del corpo. E possibile allora ipotizzare che un evento di identica natura possa segnalare quel che è stato memorizzato ed engrammato? A partire da quell’avvenimento, tutti i gatti per me saranno pregni di quella stessa emozione, dello stesso senso che ebbe la morte di quel primo gatto. Sul piano emozionale, il risentito2 della morte del gattino potrà definirsi come una determinante emozionale contaminante: vale a 2 Dal francese ressenti. (NdT) 9 IL CORPO NON LO SA ANCORA dire che ogni emozione collegata a quest’episodio ha già un senso di morte. Ripensandoci meglio, la morte del gattino potrà anche riportarmi ad un momento molto più antico (la perdita del legame con mia madre) che risveglierà la drammaturgia contenuta nell’istante della mia nascita e di quella, tredici mesi più tardi, del mio fratellino. La preoccupazione della mia famiglia è grande: “Che cosa ne sarà di questa bambina che è già così cattiva?”. La famiglia ha semplicemente dimenticato il fatto che, qualche mese prima, “questa bambina” aveva subito lo shock della perdita della madre ed era ancora in collera per il non-senso di questa morte. Molto semplicemente, la bimba che io ero non aveva sopportato di vedere un gattino succhiare felicemente il latte della sua mamma. Possiamo affermare che le nostre cellule si ricordano di ciò che abbiamo vissuto, sofferto, amato, detestato o rifiutato. Tutte queste informazioni sono engrammate in noi e si esprimono inconsciamente nei nostri gesti quotidiani, nel nostro modo di pensare, di amare e di proiettarci nell’Universo. Proprio come la partizione scritta da un compositore per essere poi registrata su un microsolco, tutto ciò che noi viviamo e pensiamo è registrato dentro di noi, nello “studio di registrazione” delle nostre cellule. HO SETTE ANNI Come è bella la cappella delle Orsoline! Luci, fiori, incenso infondono in me, bambina, una meraviglia carica di forti emozioni. Laggiù, sulla sinistra, un gruppo di mie coetanee vestite di bianco, con dei fiori nei capelli, accompagnate dalle loro famiglie riunite calorosamente intorno, procedono in direzione dell’altare. Mi volto all’indietro, verso una colonna. Non c’è nessuno, sono sola, senza madre, e tutto gira intorno a me come una spirale di vuoto che mi trascina nelle sue viscere. Esclamo allora: “Ma perché nessuno mi ama, nessuno mi amerà mai?” E un’altra voce si fa sentire, dal profondo: “No, nessuno ti amerà mai, ma tu puoi amare gli altri”. Consolazione, premessa di una chiamata, forza di vita, 10 I SASSI SUL CAMINO angoscia di morte, tutto manifesta il processo che si sta innescando. Semplicemente amerò; o perlomeno è questo che si dice, dentro di me. HO VENT'ANNI Un vestito da sposa, si preannuncia la felicità, l’orizzonte si tinge di rosa, è arrivato l’amore. Si tratta di un momento della vita in cui grande è la speranza. Ma un colpo di telefono porterà via il sogno, l’amore e la speranza, ed anche il vestito da sposa che diventerà il lenzuolo funebre di un amore spezzato dalla morte. Ancora la morte. Perché, quando si ama, sopraggiunge la morte? La porta di un convento carmelitano si chiude alle mie spalle: amerò gli altri, visto che nessuno mi amerà mai. La vocina si fa sentire, lancinante, imprevedibile e forte: “Per accedere all’amore, non bisogna morire?”. Dentro è la notte. Né la vita né la morte hanno più senso ed io, diventata monaca di clausura, non prego più, non voglio più nulla, non posso più credere a niente, in questo silenzio che eppure avevo voluto, o perlomeno è quel che credevo, in un cuore ferito che aspira comunque a vedere, vedere e capire. Quando la porta della clausura si era richiusa dietro di me credevo che il silenzio che avrei incontrato mi avrebbe permesso di placare la mia sofferenza. Non avrei mai saputo descrivere quest’esperienza se, pur avendo capito il prezzo che aveva, non l’avessi vissuta ed affrontata nella realtà di quell’istante in cui ne fui pervasa. Il silenzio è forse l’assenza di rumore esterno? No, poiché il rumore esterno è uno degli aspetti della porticina stretta che proprio in questo silenzio mi fece entrare. È l’assenza di parole? Neanche. È vero che la disciplina carmelitana obbliga le suore a non parlare e questo è un modo per accedere al silenzio. Eppure, il silenzio non consiste neanche in questo. Il silenzio, allora, è l’assenza di comunicazione con gli altri? Questa assenza di comunicazione è una condizione preliminare, 11 IL CORPO NON LO SA ANCORA poiché per poter comunicare con l’altro occorre innanzi tutto poterlo ascoltare e, per riuscirci, bisogna fare silenzio. Il silenzio non è assenza di rumore, né assenza di parole, né assenza di comunicazione. È una percezione, uno stato, un suono. Questa risposta rende chiaro il significato della comunicazione e del dialogo con le nostre cellule. Invece del silenzio, ho sentito un rumore confuso, interiore, nato da un inatteso disordine, una cacofonia generata da una mente incontrollata, da un inconscio non rivelato, da un cuore e da un corpo pieni di quelle temibili energie non unificate. Ho percepito le miriadi di influenze di cui ero carica, ad ogni istante. Mi sono resa conto, poco a poco, che per acquietare il misterioso bisogno di assoluto che avevo, avevo colmato il mio essere di un’esaltazione in cui cercavo di fare palpitare la mia propria visione del mondo. Quest’ultima era pregna della visione dei miei antenati. E poi ci furono le parole di San Giovanni della Croce pronunciate nel cuore della cappella e ripetute ogni giorno dalla madre priora, mattino e sera. “Se volete avere tutto, cominciate col non avere nulla!”. Rimettere tutto in ordine costituì in sé una prova talmente dolorosa e difficile che mi ritrovai piena di foruncoli e febbricitante. Il mio corpo era lì e parlava: l’immersione nel cammino del silenzio mi fece sentire il temibile rumore interiore, che come un muro di fuoco gli impedisce di accedere ad un altro stato, cioé ad un ambiente costante, libero da inganni e tumulti il cui rumore e le inevitabili esigenze disturbano e falsano il suono e la vibrazione di cui parlavo sopra. L’immersione in quel silenzio mi veniva proposta lungo il cammino, al fine di accedere a questa liberazione, ma non era sufficiente. Parlare del silenzio? No! Viverlo dentro di sé, fino a quando il suo avvicinamento ci faccia sentire tutti i rumori del nucleo interiore, sì! Ed io affermo, io oso affermare di avere percepito questa fase invadente attraverso la quale si è rivelato in me un contatto straordinario. Nel più profondo di me stessa si è organizzato qualcosa; qualcosa in me ha capito che cosa fosse quella vibrazione in fondo alle cellule. Oggi, capisco meglio quel che disse Mère: che tutto contribuisce al nostro progresso, compresi gli ostacoli, le contraddizioni, le malattie la cui causa, spesso, è la paura. Tutto è risposta. 12 I SASSI SUL CAMINO Delle sue visioni della realtà fisica, Mère riferisce la percezione di un campo di vibrazioni eterogenee, raggiungendo così i dati scientifici sulle onde elettromagnetiche. Essa aggiunge: “Ma la materia non è solo energia: è coscienza. La fissità, la densità del mondo materiale vengono dall’oscuramento di una coscienza che la mente ha soppiantato”. In realtà, la rivelazione che se ne può ricevere consiste nell’ascoltare ed ascoltare ancora. Poi, poco a poco, con l’ausilio di questo lavoro di ascolto interiore, ho capito che discendere nella materia vuol dire attraversare lo strato mentale, quello animale e quello vegetale. Gli strati del meccanismo ostinato che ricoprono l’io profondo. In fondo, cercavo già di scoprire quella che Mère chiama “la coscienza cellulare”. Sfortunatamente il mio corpo non seguiva. Ero ancora invasa dai foruncoli, dalla febbre e da un grande nervosismo che non mi abbandonava mai. La morte, la paura della morte mi attanagliavano sempre. Ma capii improvvisamente, senza poterlo esprimere bene, che il fatto di ripercorrere quello schema doloroso mi faceva cercare di allontanarmene il più possibile, invece di affrontare l’ostacolo. Queste esitazioni mi conducevano lontano dal mio cammino di vita, a me ignoto. Perdevo la direzione e ricadevo continuamente nella nebbia e nel sonno. Eppure, ben più tardi, appresi che questo schema ripetitivo (ritorno ciclico degli stessi avvenimenti), se lo sappiamo accettare, è una grazia poiché ci permette di entrare nella realtà, mentre noi preferiamo sempre sognare una specie di ideale. Capii molto rapidamente che il disco si riga e che la cacofonia prende il posto della musica, diventando sempre più insopportabile. Lo vissi davvero finché potei sopportare di ascoltare quel che strideva troppo e, quando vi fui costretta, ebbi paura della malattia, della depressione, dell’incidente e, naturalmente, della morte. Fu un giorno di Pasqua. Mi imbattei in un libro di Theillard de Chardin in cui una frase fece eco in me: “Noi non siamo degli esseri umani che vivono un’esperienza spirituale; siamo degli esseri spirituali che vivono un’esperienza umana”. Fui pervasa da queste parole e capii che non dovevo fuggire l’esperienza umana, che il dispiacere e la morte costituivano veramente un’esperienza e che bisognava che io accettassi, ad ogni istante, di andare a vedere e vedere ancora e capirne il senso. Allora, lasciai il Carmelo. 13 IL CORPO NON LO SA ANCORA Vorrei aggiungere questa frase di Mère che, qualche tempo dopo, mi marcò molto: “Nasciamo con un pantano da pulire, prima di cominciare a vivere”. Una volta partiti di buona lena sul cammino della trasformazione, e discesi fino alla radice inconscia dell’essere, si fanno molte scoperte! Tutte, quasi tutte le difficoltà risiedono in questo. Si aggiunge ben poco alla nostra esistenza, dopo i primi anni di vita. Queste memorie sono impresse nelle nostre cellule come dei virus trasmessi dai nostri geni ed inducono delle programmazioni che determinano gli schemi ripetitivi di comportamento. Non facciamo altro che ripetere ciò che già conosciamo. Diamo sempre la stessa risposta allo stesso stimolo e diciamo: “Non posso fare diversamente”, e questo fintantoché non ci mettiamo la coscienza, cioé accettiamo di vedere. Partita per scoprire, dimostrare, impegnarmi, decodificare, accettare, applicare, mi ritrovo rapidamente con questa tendenza a ripiegarmi su me stessa, tendenza egotistica che fa parte della mia memoria, la memoria di una fuga ereditata dai miei genitori: sono nata da padre ignoto e mia madre, falciata dalla morte, mi ha lasciata nella mia prima infanzia. Molto velocemente cerco di fuggire la realtà, di volgermi verso gli altri? Ma sono soprattutto rivolta verso me stessa. Eccomi, con tutte le mie difficoltà, la tendenza a credere che non sarei mai riuscita né a brillare né ad essere me stessa, la mia sofferenza per la separazione, l’impossibilità a comunicare liberamente con l’uomo e con Dio, la difficoltà ad integrare la mia polarità femminile, il bisogno di lasciar perdere, la mia grande reattività, il bisogno di entrare in competizione e di lottare. Sulla mia strada incontravo spesso la collera, contro mia madre, contro la donna, e un’ambizione smisurata che mi faceva credere che avrei potuto lavorare per me, per me sola, e guadagnare tutto il denaro necessario per guarire la mia ferita. Facevo parte di una famiglia in cui tutte le donne delle generazioni precedenti avevano un gravissimo conflitto da risolvere, poiché morivano intorno ai 40 anni di cancro al seno, agli organi genitali o all’intestino. Beninteso, io avevo ricevuto questa informazione durante la mia infanzia, ma credevo ancora che si trattasse di un’illusione e che io non avessi nulla a che spartire con “tutte le donne della famiglia”. In cosa consistevano, dunque, i loro 14 I SASSI SUL CAMINO conflitti? Nella difficoltà che avevano ad integrare la loro polarità femminile, la loro grande reattività, il bisogno di competizione, l’impossibilità di avere il diritto di comunicare liberamente con l’uomo, che fuggivano sempre. Ma questa era la loro storia e non certo la mia! In ogni caso, amare gli altri non era la mia priorità. Non ero neanche capace di amare me stessa… HO QUARANT’ANNI Mi ritrovo mezza sveglia e mezza addormentata su un tavolo operatorio e sento i medici pronunciare la sentenza dell’impossibilità della mia guarigione. Il mio corpo intero rivela la vastità di tutti i miei conflitti. Per me è finita e la morte viene, ancora una volta, ad esprimermi la sua forza. La stessa piccola frase risuona in me, eco e coincidenza, “nessuno mi amerà mai”. Che fare? Forse, morirne… “Una minoranza, ancora troppo infima, si chiede se, in definitiva, il modo migliore per rendere servizio alla società ed agli uomini, non sarebbe forse di cominciare a provare, ognuno per sé, prima di tutto ed unicamente sulla propria persona, nella propria economia interna, le riforme che si predicano in ogni angolo” (Gustav Jung). È giunto forse per me il momento di fare l’esperienza concreta e verificabile delle memorie impresse nelle profondità del corpo? Questo approccio mi rivela l’opera compiuta da Mère e da Sri Aurobindo e la sconvolgente originalità dell’iniziativa di colei che Satprem avrebbe definito la più grande avventuriera del mondo. Lei che ci disse: “il corpo, sono delle cellule, un racconto perfettamente biologico e terrestre”. L’incontro con questo approccio mi farà incontrare la Vita. 15 CAPITOLO II LA MEMORIA, IPOTESI DI BASE Dunque, i desideri insensati, il senso di colpa, gli atti ripetitivi di origine inconscia, così come l’angoscia incontrollabile, i rancori e le paure, proverrebbero tutti da tali memorie, la cui attivazione ci fa perdere il vero senso della nostra vita. La fonte profonda dei nostri mali, ne ho fatta l’esperienza, è il risultato di memorie engrammate in questa materia sopita. Gli antichi parlavano delle acque del fiume Lete, che cancellavano il ricordo del mondo e delle realtà celesti a cui l’anima era affine. Secondo Platone quest’oblio portava il nome di “ignoranza”. Invece, le acque del Lago della Memoria permettevano ai ricordi di rivenire a galla. Si diceva che esse avessero la parvenza di una fontana dell’immortalità beata ove la vita scorreva facile accanto a dei ed eroi. Nell’antica Grecia, guidati dall’oracolo, i fedeli obbedivano ai riti: bevevano l’acqua del Lete per dimenticare il loro passato doloroso, poi quella di Memoria per riscoprire la conoscenza sopita. Nella tradizione biblica Paolo si disperava: “Faccio il male, che detesto, e non faccio il bene che amo”. Al di là di qualsiasi metafora teologica del bene e del male, interpretiamo: “Non riesco ad andare dove mi porta il mio desiderio; qualcosa di più forte di me mi obbliga a fare il contrario”. Nel suo diario, Mère spiega che questa indecisione tra due opposti, questa impotenza, non sono altro che il frutto dei nostri pattern o, in altre parole, dei nostri schemi ripetitivi che risultano come incisi su un microsolco. “Appena volete andare avanti, incontrate immediatamente la resistenza di tutto ciò che andare avanti non vuole perché non può progredire in voi. Detto altrimenti, la scoperta più grande consiste nello scoprire l’impedimento e l’impedimento è rappresentato da memorie devianti che non ci appartengono”. Potremmo parlare di una sorta di continuum di memorie. Se formulassimo l’ipotesi che il 17