Scarica demo - Casa Editrice Marcelli

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Maura Maffei
An Nuachar – Lo sposo
Dramma storico in quattro atti
A mio marito Paolo
Amor mio, mio bene,
È un crudele destino
Approntare per un gigante
Un sudario e una bara
(Aillinn Uí Laoire)
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Premessa
Se pensiamo alla dominazione inglese in Irlanda ci vengono in mente le
immagini purtroppo ancora attuali degli scontri tra Cattolici e Protestanti nel
Nord, nell’Uladh, oppure le fotografie in bianco e nero della Pasqua del 1916,
per non citare i racconti atrocemente crudi che risalgono ad un secolo e mezzo
fa, agli anni della Grande Carestia. In altre parole, ci vengono in mente la
ribellione e la repressione.
Eppure, proprio all’indomani della conquista normanna del XII secolo, ci fu
un periodo storico in cui gli Inglesi subirono il fascino degli Irlandesi e di
quella meravigliosa Isola di Smeraldo a loro sottomessa. Gli aristocratici che
si erano stabiliti nel verde delle campagne adottarono gli usi e i costumi dei
nativi, dimenticarono la loro lingua (che per molti era il francese, essendo essi
originari della Normandia che allora faceva parte dei domini britannici),
impararono a esprimersi in gaelico, apprezzarono la poesia dei “filithe”, si
vestirono come gli Irlandesi, sposarono le loro donne e crebbero i loro figli
secondo la consuetudine del “forestage”, ossia affidandone l’educazione a
membri illustri di famiglie alleate.
Tutto ciò andò avanti per secoli finché il Governo di Londra, preoccupato
che i suoi sudditi s’imbarbarissero diventando “Hibernicis ipsis Hiberniores”
e che la cultura dei vinti privasse della loro identità i vincitori, corse ai ripari.
Furono così promulgati gli Statuti di Cill Chainnig del 1366 che vietavano agli
aristocratici d’origine inglese ogni contaminazione con le abitudini irlandesi,
dal taglio dei capelli alla pratica degli sports celtici. I matrimoni misti – e non
solo quelli: lo stesso valeva anche in caso di concubinato con una donna
irlandese, – venivano addirittura considerati un atto di alto tradimento nei
confronti della Corona inglese.
Vero è che questi famigerati Statuti ebbero scarsa applicazione, – ci
sarebbero voluti, infatti, i Tudor e Cromwell per fiaccare del tutto l’orgoglio e
la dignità degli Irlandesi, – ma sporadicamente essi furono adottati, tanto per
dare il buon esempio! La vittima più illustre che mieterono fu l’ottavo conte di
Desmond ed è proprio alla sua vicenda umana, pur con tutta la libertà che la
fantasia creativa è solita rivendicare, che questo dramma s’ispira.
M. M.
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Personaggi
DEASÚN: giovanotto irlandese d’origine inglese, ottavo conte della sua
casata
SÉARLAS: ufficiale dell’esercito inglese e fraterno amico di Deasún
FEARGUS: cognato di Deasún
I, II, III e IV SOLDATO
RÓISÍN: fanciulla d’antica stirpe irlandese
PEIGE: balia di Deasún
I e II SERVA
Comparse varie: nobili, militari e popolani.
AZIONE: Irlanda, prima nel Cúige Mumhan (Munster) e poi a Baile Átha
Cliath (Dublino), nel 1417.
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Atto primo – promessa d’amore
Una chiara radura in un bosco. Molti alberi la circondano. Fra essi scorre un
ruscello che mormora. Ci sono tanti fiori sparsi sul prato e l’aria è luminosa di
sole. L’orizzonte si perde dietro una collinetta verdeggiante che confina con il
cielo.
SCENA PRIMA
Róisín in un’ampia veste rosata. È sdraiata sull’erba a pancia in giù, si
appoggia sui gomiti e tiene i polpacci ritti in su incrociando le caviglie. Ha i
piedi nudi e i capelli sciolti. Sta sfogliando un fiore di margherita.
RÓISÍN Dimmi, margherita, dimmi: egli verrà? (Getta il fiore in direzione del
ruscello) Oh, che sfrontata! Tu mi lusinghi con il tuo responso come se
io fossi qui ad aspettarlo. Non sai forse che arrossisco ogni qualvolta odo
il suo riso, ogni qualvolta lui posa il suo sguardo sopra di me? Chino gli
occhi, confusa, affinché egli non rubi il segreto racchiuso in essi e non
smascheri così i miei pensieri d’affetto. (Si gira, adagiando il capo
sull’erba) Egli non deve conoscere la mia gioia e la mia sofferenza, la
mia speranza e la mia malinconia. (Si alza e cammina lentamente sul
prato, ritornando poi sempre sui suoi passi) Debbo essere più vigile. Per
poco non mi tradii, la sera scorsa. Suonavano le cornamuse sul sagrato e
i giovani cantavano incitando le danze. Ardita per il nome e la bellezza
che mi distinguono dalle altre fanciulle, volteggiavo tra le braccia dei
miei compagni d’infanzia, così accaldata da avere il volto infuocato. Io
non lo temevo, in quei momenti di festa. Forse m’inebriavo nello svago
proprio perché ero convinta d’aver rimosso la sua immagine e, con essa,
la dolcezza del suo ricordo. Credevo che non provasse interesse per la
rozza semplicità di quella musica. Credevo che non sarebbe sceso dal
suo castello. Comparve, invece, tra gli ultimi. Come lo vidi, tremai e
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tutto tremò intorno a me. La sua nobile figura di statua antica irradiava,
al cader del sole, uno splendore aureo. Non era la ricchezza delle sue
vesti o delle sue armi a farlo rifulgere ma il suo sorriso che mi cercava
tra la folla. Oh, mi raggiunse in breve perché tutti lo lasciarono passare!
Neppure Feargus, mio fratello, accorse a difendermi da lui e da me
stessa… E, poi, perché avrebbe dovuto farlo? Perché avrebbe dovuto
negarmi lo stordimento passeggero che con pietosa bugia inganna la
felicità? Io non potrò mai essere sua eppure, in una sera di magia e
d’incanto, egli mi volle con sé. (Comincia a mimare, quasi senza
rendersene conto, ciò che sta rievocando) M’invitò a ballare senza
proferir parola, tendendomi piuttosto la sua mano, quella con l’anello su
cui è inciso il blasone di conte. Mi trascinò nella melodia e io caddi
palpitando tra le sue braccia. Non potrei descrivere ciò che provai.
Assomigliava a una vertigine, a un lungo brivido, alla folgore del
temporale, a uno spasimo di dolore, al parossismo dell’ebbrezza, allo
schianto dei marosi nella bufera, al calore del sole che accarezza la pelle.
Mi sforzavo di non abbandonarmi alla follia ma la gioia d’avvertire il
battito del suo cuore e il tepore del suo respiro vinceva la mia ritrosia.
Tutta la vita si consumava nella sensazione delle sue dita intrecciate alle
mie. (Canticchia un’antica giga irlandese e muove qualche passo di
danza) Le mie gambe s’affrettavano nel movimento che s’accentuava,
ignare del tempo che fuggiva troppo rapido per contenere un’illusione
che io avrei voluto eterna. Cessò all’improvviso il suono degli strumenti
e io presentii un gelo bruciante nel riaprire gli occhi sulla realtà. Il mio
cavaliere, con il suo compito viso d’eroe, s’inchinò e s’allontanò. E io lo
segui con lo sguardo, oltre le teste, oltre i cimieri dei copricapi, sin dove
potei. Perché il risveglio dai sogni impossibili è sempre più intenso del
fugace compiacimento che lo ha preceduto? Perché nella mia gioventù
non mi è concesso d’anelare il futuro mentre debbo accontentarmi, come
una vecchia, delle memorie? Oh, io lo porterò sempre dentro di me e gli
anni non sbiadiranno la sua figura, così maschia da confondermi… Io
non avrò baci, non avrò nozze, ma avrò quel ballo che mi ha reso sua per
l’eternità! (Si riscuote dalla tristezza) Sarà meglio che io vada, adesso.
Mia madre m’attende per aiutarla a servire la cena. Perché dovrei
rimanere? Per incontrarlo nel caso che, nel rincasare, passasse per questo
sentiero? Per assaporare l’intontimento di rispondere al suo saluto? No,
io debbo tornare indietro: ci perderemmo entrambi se io restassi.
Saremmo come due farfalle ingannate dal sole a cui un successivo
scroscio di pioggia lava via le ali. Debbo andare, debbo farlo! Addio…
(Si lancia verso il boschetto. Poi, d’un tratto, si ferma paralizzata dalla
sorpresa e, intimidita, indietreggia).
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SCENA SECONDA
Róisín e Deasún
DEASÚN (Avanza e s’avvicina a Róisín) Che dovrò fare di te, piccola Rós? Se
scopro un forestiero a cacciare di frodo sulle mie terre, non gli risparmio
la punizione. Ma quale dovrò adottare per te, a thaisce, mio tesoro, che
vieni a rubare i fiori dei miei prati?
RÓISÍN (A capo chino) Lasciami andare, mio signore!
DEASÚN Lasciarti andare, Róisín? Nulla valgono, dunque, le mie margherite?
(Le prende la mano con ardore) E io, non valgo io un tuo bacio?
RÓISÍN (Si libera, indietreggiando ancora) Ti prego, mio signore, ti prego,
más é do thoil é…
DEASÚN (Restando immobile a osservarla.) Eppure io ero convinto d’essermi
meritato la tua simpatia, la tua preferenza… La trasparenza dei tuoi
occhi mi ha forse truffato? Da quando sei cresciuta, Róisín, guardandoti,
io ho sempre pensato che tu m’appartenessi, come io t’appartengo.
Intuizioni come queste non si possono affidare al soffio della voce che
ne sciuperebbe l’immediatezza e ne offuscherebbe l’intima evidenza.
Diventano piuttosto, avvalorandosi ogni giorno di più, le nostre certezze
interiori, lo scopo che orienta la vita prevalendo su qualsiasi altra
pulsione. Io ho respirato per anni l’avvento d’un dono grande e ti ho
aspettato, sì, ti ho aspettato senza impazienza ma con letizia. Com’è
possibile che la costanza della mia devozione non t’abbia commosso?
RÓISÍN (Coprendosi il volto con ambo le palme) Éist! Taci, mio signore!
DEASÚN Ma tu fremi, piccola mia! Se, dunque, non ti sono indifferente,
dammi un bacio!
RÓISÍN (Scuote la testa, respingendolo con le mani) Che cosa mai rappresenta
un bacio? E quale voragine d’abisso si spalanca al morire d’un bacio?
DEASÚN Ecco che cosa ti trattiene e t’allontana da me! Tu hai paura delle mie
intenzioni e non immagini quale sia la gravità dell’offesa che mi rechi.
(Con fierezza) Io sono il vento d’Irlanda che irrompe sulle scogliere,
Róisín: non sono la frivolezza d’uno zeffiretto primaverile! Io sono la
roccia che l’onda non riesce a plasmare, io sono il sole che accende la
spuma del mare, io sono la saetta che, nella tempesta, sfracella le nubi…
Perché osi giudicarmi capace d’un capriccio passeggero? E tu sei il mio
sangue, sei la trina in cui s’ammanta la mia anima, sei il fiore che mi
sboccia in seno e che mi rende migliore: perché m’accusi con la tua
ripulsa di volerti abbandonare, se mai provassi l’appagamento totale di
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stringerti tra le braccia? Perché zittisci? Non comprendi che prima di
rinnegare te, a chroí, cuor mio, dovrei aver rinnegato me stesso?
RÓISÍN Non imbrogliarmi con altre parole a cui potrei avere la debolezza di
cedere, Deasún!
DEASÚN La debolezza non è un attributo adatto all’amore. Esso ha, al
contrario, la forza incrollabile della vita e della morte. Della morte,
soprattutto. È un sentimento che ci ghermisce come l’agonia, che
dissolve la nostra individualità come l’ultimo alito di fiato. Come la
morte, non ci lascia tornare indietro. Non ci permette di riprendere noi
stessi. Come la morte, rappresenta l’estremo confine verso cui
s’indirizza l’esistenza di ciascuno di noi. Se non ha questo valore
assoluto, non è degno d’essere chiamato amore. È una fantasia, uno
scherzo di suggestione… Ma può anche rivelarsi un banale appetito di
godimenti sfrenati. Perché definire amore qualcosa di così meschino? Io
concepisco l’amore solo come l’indissolubile unione di due anime,
prima che di due corpi, e se non saranno lo spirito e la carne a benedirlo,
io credo che sarà la morte a consacrarlo! (La vede intimorita e vuole
rassicurarla) Ti fidi della mia sincerità, ora, mia rosellina di macchia? O
debbo essere più esplicito e domandarti ciò che ogni donna aspetta dalle
labbra del suo uomo? Debbo chiederti la mia sorte prima ancora di
giocarmela con tuo padre? Tu vuoi che io ti sia per sempre accanto come
sposo?
RÓISÍN (Correndogli incontro) Oh, mio signore! Tu! Mio sposo? (Si blocca
davanti a lui) Non pronunziare questo dolcissimo nome, Deasún, perché
non mi è permesso di rivolgertelo…
DEASÚN Temi tuo padre? Hai ragione, io non merito un onore così grande
come sarebbe quello d’accoglierti nella mia casa. Tu potresti ambire a
ben altro, a essere la compagna, la consigliera d’un principe irlandese e,
con la tua grazia, con la tua assennatezza, potresti resuscitare in lui il Re
supremo, quell’Ard-Rí che un tempo governava l’Isola di Smeraldo e
che i suoi sudditi non hanno mai smesso di vagheggiare. Io, invece, che
pure vengo salutato dagli Inglesi con l’onore che si riserva a un lord, non
sono abbastanza nobile agli occhi della tua famiglia. I miei avi giunsero
come conquistatori, come despoti, e che cos’erano, sebbene aristocratici,
se non soldati di ventura o poco più? Io mi sforzo quotidianamente
d’emendare i loro errori, dimostrando d’aver imparato a essere un vero
Irlandese, di non essere qui per dominare imponendo consuetudini altrui
bensì per lasciarmi invadere dalla ricchezza della tua cultura. Ma a tuo
padre basterà il sacrificio e il rinnovamento della mia identità?
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RÓISÍN (Gli prende la mano e vi depone un bacio) Mio padre ti stima, Deasún,
e quando siamo riuniti a tavola, quando si parla tra noi, ti nomina sempre
con rispetto.
DEASÚN Si può fare altrettanto con un nemico di cui si riconosca la lealtà.
RÓISÍN No, mio signore. Per noi il sangue che ti scorre nelle vene è irlandese.
E la fierezza dei tuoi sentimenti fa di te uno dei migliori campioni che
sia sorto a difendere la nostra sacra Patria. Non è dall’Irlanda che
vengono le mie remore, quel terrore indefinibile che mi soffoca e che mi
strappa il sonno. (Con timidezza) Che avvelena la tua immagine così
cara nei miei sogni! Ma è dalla tua gente, che ti reclama anche se tu la
disconosci apertamente, è dalla tua gente che sorge la minaccia capace di
dividerci.
DEASÚN (Prima pensieroso, rischiarandosi a un tratto) A questo non avevo
pensato… Non supponevo che tu mi volessi bene al punto di paventare
per me una qualche assurda legge inglese! Ma ciò è magnifico! È
addirittura al di sopra delle mie aspettative, Róisín! (La solleva tra le
braccia e la fa girare.) Avresti davvero preferito rinunciare a me
piuttosto che espormi al pericolo? Oh, cara!
RÓISÍN (Sciogliendosi) Non sottovalutare i miei timori, Deasún! Non sfidare
avversari troppo potenti… Io so che esiste una legge, una vecchia legge,
che impone ai sudditi inglesi di non contaminarsi sposando membri
dell’esecranda progenie irlandese.
DEASÚN Ebbene? Le leggi, quando sono abominevoli, ingiuste e contrarie
all’umana natura come questa, sono fatte apposta per essere aggirate. Io
non mi sento colpevole nell’infrangere un divieto dettato dall’ignoranza
degli uomini, che porta alla ribellione la mia coscienza. Non sono il
primo a trasgredirlo, del resto. Gli Statuti di Cill Chainnig sono sempre
stati lettera morta sin dalla loro promulgazione e più d’una generazione
li ha ignorati. Una stravagante paura della diversità dovette ispirarli e chi
ebbe l’audacia di firmarli certo doveva avere la cecità dei pusillanimi,
altrimenti si sarebbe rifiutato di limitare le libertà personali che non
rappresentano mai uno stimolo di rivoluzione ma un’occasione
d’arricchimento per l’intera società. Dimentichiamo l’esistenza di tali
infamie, Róisín: esse non ci riguardano. Non hanno il potere di segregare
il nostro affetto. Sposiamoci in fretta, piuttosto! Quando noi saremo
marito e moglie, infatti, chi potrà separare ciò che Dio ha unito? Chi
potrà mettersi contro il Dio degli Irlandesi che è lo stesso Dio che
pregano anche gli Inglesi?
RÓISÍN (Non ancora convinta) Ritengo che tu dovresti consigliarti con Séarlas,
Deasún.
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DEASÚN Lo sto aspettando. Verrà fra poco per accompagnarmi da tuo padre e
per sostenermi mentre io gli esprimerò la mia speranza d’amore. Séarlas
non ha ostacolato le aspirazioni del mio cuore eppure è lui che comanda
i soldati inglesi che presidiano le nostre campagne. Noi siamo cresciuti
insieme come fratelli. Secondo l’usanza irlandese adottata anche da noi
che veniamo da lontano, Séarlas fu affidato da suo padre al mio affinché
lo educasse al coraggio e alla virilità. Spesso è più facile ascoltare e
obbedire a un amico anziché scontrarsi contro la severità d’un genitore.
Io non approvo del tutto questa consuetudine perché non vedo l’ora
d’avere un figlio mio, un piccolo cucciolo dalla pelle di pesca, per
insegnargli quello che so e quello che ancora debbo imparare, per
stringere la sua mano nella mia accompagnandolo lungo il sentiero della
vita. Onoro, tuttavia, le opinioni altrui se esse hanno le forti motivazioni
della generosità.
RÓISÍN Neppure io saprei distaccarmi da un figlio e vivere lontano da lui per
anni e anni. Vorrei cogliere sul suo volto ogni giorno la somiglianza che
reca dell’uomo che amo.
DEASÚN (Con gioia) T’arrendi, finalmente, mia adorata rivale! Perché ho la
presunzione di voler essere io, quell’uomo! La tua ammissione rende
sublime la mia letizia. I tuoi dubbi cedono né mai torneranno se tu
accetti il sostegno del mio braccio. Ti svelerò il segreto della mia
sicurezza che scaturisce da un semplice sorriso e dalla fede nel destino.
Io non escludo la presenza del dolore in ciò che avverrà di noi: come te,
anch’io faccio della mia anima il tabernacolo di un Crocifisso. Eppure
non mi lascio abbattere perché dopo le esitazioni, dopo le umiliazioni e
dopo le tenebre del Venerdì Santo spunta fiorito il mattino di Pasqua.
Dopo ogni angoscia, la conversione si muta in anelito di risurrezione.
RÓISÍN (A mani giunte) Oh, sì! È bello quello che dici! Mi ridona il sapore
intenso di burro e di miele, di farina e di erbe aromatiche che hanno tutti
i ricordi assaporati nell’infanzia, quando si ha una fede pura come il
martirio. Quando non conosciamo ancora il peccato di pensare…
DEASÚN Io voglio riscoprire insieme con te i valori che danno un significato
al nostro esistere. Desidero spogliarne altri che ignoro e che immagino
soffici di tenerezza. Passano innanzi ai miei occhi i momenti che
verranno e io scorgo il fuoco nel camino che ci riscalda con il suo odore
di muschio e di resina mentre scoppiano sul tetto strali di pioggia. Entra
dalla finestra la luce livida delle nuvole e noi, avvinti l’uno all’altra,
attendiamo che annotti e ci sussurriamo parole di piccole cose. Io ti
racconto la mia giornata trascorsa cacciando nel bosco e tu mi confidi
d’aver ideato un nuovo disegno per un ricamo. Spesso rimaniamo in
silenzio perché a noi basta tenerci per mano per fondere le nostre menti.
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Ma c’è anche tanto sole nel nostro futuro, Róisín! In una dorata
mattinata d’estate, io ti chiamo dal giardino. Tu ti affacci alla finestra e
accetti ridendo di scendere e di passeggiare con me tra i fiori. Corri giù
dalle scale e ti getti sul mio petto, come vorrei che tu facessi ora… Ci
accompagnano lungo il viale il cinguettio dei passi e il profumo della
rugiada che ormai si dissolve.
RÓISÍN Io vedo, invece, la bisbigliante intimità delle sere. Noi restiamo a
dialogare sul balcone oltre il morir del sole, sino a quando il canto degli
uccelli notturni c’invita al riposo. Echi lontani, smorzati, quiescenti
giungono al nostro letto. Io appoggio il viso sulla tua spalla e
m’abbandono alla dolcezza delle tue carezze che, a poco a poco,
m’immergono nel sonno. Oh, mio signore, che pace c’è in me perché ho
infine tutto ciò che da sempre ho desiderato!
DEASÚN (Commosso) Sul far dell’alba, a chroí, sono di nuovo le mie carezze
a destarti, a spalancare i tuoi occhi sulla giornata che dividerai con me.
Davanti a noi c’è un’intera vita da inventare, foriera di ghirlande di rose
dai fiori così fragranti che è poca cosa vigilare affinché le spine non ci
pungano le mani e il cuore. Non è necessario studiare distrazioni insolite
perché è sufficiente la nostra serenità a rendere irripetibili le occupazioni
di sempre. E le ore che trascorrono ci lasciano meravigliati: pare che
scivolino via senza mai toccare, senza mai spegnere l’entusiasmo della
nostra armonia.
RÓISÍN Vedo… Ecco, io vedo… Più nulla vedo! Vorrei spingere lo sguardo
sino all'età più tarda ma c’è come una coltre di nebbia, come un muro
poderoso che sorge e che si frappone fra me e l’avvenire. Un brivido mi
coglie, il brivido funesto d’un presentimento. Perché non riesco a
raffigurarti con la tua nobile testa divenuta canuta o con quelle rughe
che, solcandoci il sembiante, ci fanno più saggi? Perché la mia fantasia
tace come se la tua vecchiaia non dovesse mai venire?
DEASÚN (Ridendo) Ti dispiace forse, Róisín, che io perda la mia gioventù, che
il mio aspetto sia un po’ meno fulgido? Dovrei esserne lusingato anziché
allarmato perché è come se tu ammettessi che l’avvenenza, che la natura
mi ha concesso e che il tempo inevitabilmente attenuerà, ha per te un
qualche pregio. Dicono che la vita passi come un refolo di vento e che ci
si ritrovi anziani con l’illusione d’essere ancora bambini, con l’illusione
d’aver appena lasciato i giochi in quell’angolo della stanza e le corse sui
prati prima dell’ultimo crepuscolo. Io sono convinto, invece, che per noi
non ci saranno né rimpianti né mestizie. Noi non ci sentiremo cambiati,
anno dopo anno. Gli occhi dell’anima, infatti, non s’accorgono
dell’apparenza, per quanto appagante e piacevole essa sia; catturano
bensì un riflesso tutto interiore che si rinnova in ogni stagione umana.
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(Con intensità) Io ti amo, Róisín! Perdonami se mi si spezza il respiro e
se l’emozione m’impedisce di precisarti a parole quanto tu per me sia
preziosa.
RÓISÍN Ti amo, Deasún! Perdonami se m’atterrisce l’idea di divenire tua
moglie…
DEASÚN (Desolato) Tu mi rifiuti: com’è possibile?
RÓISÍN (Come se non l’avesse udito) Tuttavia i miei antenati guerrieri
inorridirebbero, loro che combatterono a torso nudo contro le armature
degli invasori, se io non dimostrassi un poco almeno del coraggio che mi
hanno lasciato in eredità. Io tremo, Deasún, ma pur d’averti con me per
tutta la vita, breve o lunga che sia, sono disposta ad affrontare qualunque
rischio. Posso anticipare a mio padre, in attesa che tu giunga alla nostra
dimora, il desiderio d’essere la tua sposa?
DEASÚN Davvero lo faresti? Peroreresti per prima la mia causa?
RÓISÍN Ah, Deasún, mi consideri così fragile? La mia apprensione è
giustificata da ciò che io provo per te. Se fossi io sola messa a
repentaglio, se nulla di male potesse sfiorarti, allora sento che saprei
sfidare un esercito in armi se non mi fosse concesso di starti accanto.
Perché dovrei nutrire titubanze con mio padre, che non è un nemico ma
un alleato? Saprò difendere quest’amore che non è solo tuo, quest’amore
che è altrettanto mio, come farò con ogni tua speranza, con ogni tua
gioia e con ogni tua lacrima, a ghrá, amor mio!
DEASÚN Dammi un bacio, Róisín!
Róisín accosta alla sua guancia le labbra e, subito, schiva come una cerbiatta,
si dilegua nel bosco. Esce.
SCENA TERZA
Deasún cammina avanti e indietro sul prato quasi che il tempo sia
interminabile.
DEASÚN Non riconosco Séarlas, sempre così puntuale, nel ritardo che
m’impone e in cui s’agitano le mie ambizioni. Eppure egli non ignora
quanto sia importante per me il colloquio che m’accingo a sostenere,
perché senza il suo appoggio, senza la sua presenza amica mi sarebbe
difficile trovare le giuste parole. (Pausa) Per quanto la mia Rós abbia
voluto rassicurarmi sull’accoglienza che io avrò presso suo padre, io
sono sopraffatto dal batticuore d'un rifiuto. Dalla risposta che mi sarà
data dipende tutta la delizia del mio affetto. Se vedessi il suo capo altero
tentennare in segno di diniego, non potrei più tollerare l’aria che respiro.
Non mi arrenderei: non sarei in grado di farlo. Mi getterei in ginocchio e
supplicherei, cercando di commuoverlo con la sincerità del pianto. Non
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