Newsletter 8 Ottobre 2015

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Newsletter 8 Ottobre 2015
 Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo Piazza D’Aracoeli 12, 00186 Roma Tel e fax 06 6784168 [email protected] Dove hanno inizio i diritti
umani universali?
In posti piccoli, vicino a casa, così
vicini e così piccoli che non possono
essere visti su nessuna mappa del
mondo”.
Eleanor Roosevelt
L’editoriale del Presidente
La presentazione del
Segretario Generale
Dibattito sul TTIP
Seconda conferenza
internazionale:
“Universalità dei Diritti
Umani per la transizione
verso lo Stato di Diritto e
l’affermazione del Diritto
alla Conoscenza”
Il pensiero della LIDU sul
DDL “La Buona Scuola”
Quanto ancora dovremo
aspettare per vivere sicuri
in un Paese che oggi solo
virtualmente è dimora
Europea?
Intervento della LIDU alla
manifestazione africana
contro il silenzio dei
governi africani sulle
tragedie nel mediterraneo
Presentazione Annuario
Italiano dei Diritti Umani
Analisi della situazione
demografica in Europa
Vi diamo il benvenuto alla nuova
Newsletter della Lega Italiana dei
Diritti dell’Uomo.
21 settembre 2015 La
giornata internazionale per
la Pace
I nostri prossimi eventi
A cura di
Caterina Navarro e Ilaria Nespoli
L’editoriale del Presidente
La tutela degli immigrati e dei rifugiati è un settore a cui la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo
punta molta attenzione perché, in esso, si possono verificare facilmente e frequentemente
gravi lesioni dei Diritti Umani fondamentali.
L’epocale processo di mobilitazione umana che si sta verificando in Europa e nel mondo per
cause che contrastano con le continue affermazioni di pace, amicizia e fratellanza tra i popoli,
rende più difficile l’applicazione dei doveri di umanità correlati all’accoglienza dei rifugiati e,
di conseguenza, più urgente la necessità di modificare i caratteri rigidi del Diritto
Internazionale, di natura tipicamente reciproca, pattizia (in sostanza privatistica e
interstatale) in quelli solidaristici, rivolti all’individuo.
Il fenomeno migratorio, quando è mal regolato, oltre a determinare negli Stati destinatari
problemi di accoglienza, protezione ed integrazione, fa emergere gravi difficoltà
nell’applicazione dei Diritti Umani fondamentali ed inderogabili verso i richiedenti asilo e i
migranti.
È ciò che sta avvenendo in Europa che, pur in presenza di un Trattato, quello di Lisbona, che
dovrebbe determinare una politica unitaria comune, solidaristica tra gli Stati che la
compongono, fa prevalere una politica “pattizia interstatale” che si ripercuote negativamente
nell’affrontare il pressante impatto con i migranti.
I doveri di umanità che stanno sempre più emergendo nel Diritto Internazionale come
riferimento etico-politico, dovrebbero vedere nell’Europa la loro decisa applicazione. Un
progetto strategico europeo che affronti il problema della migrazione in modo organico,
definendo tempi, modi, luoghi e mezzi per la sua soluzione, non esiste. Si rincorre l’urgenza,
l’emergenza, in modo improvvisato e dissociato, creando i gravi, drammatici episodi che si
verificano alle frontiere di terra e di mare. È necessario richiamare l’Europa ai suoi doveri ed
alle sue responsabilità che scaturiscono dalla sua storia, dalla sua cultura e dall’impegno che
Le deriva per essersi posta con le sue leggi, i suoi trattati e le sue istituzioni a difesa dei valori
e dei principî espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Non è più tempo di registrare solo sulla carta gli Universali principî, ma è necessario
concretizzarli con atti politici che dimostrino che l’Europa esiste ed è in grado di attuare
quanto proclamato e codificato nei trattati. È necessario che l’UE sappia esprimere una
politica forte e comune nel campo dell’emigrazione e dell’asilo, in grado di conciliare le
esigenze della sicurezza, il rispetto dei Diritti dell’Uomo e la tempestività e l’efficacia degli
interventi.
Gli articoli 79 e 67 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) contengono
elementi sufficienti ad indicare le politiche necessarie per affrontare il processo migratorio.
Una politica migratoria che risponda innanzitutto al rispetto dei Diritti e della dignità
dell’Uomo, così come d’altronde indicato dalla Corte di Giustizia e dalla Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo.
Presentazione del Segretario Generale
Cari Soci, Amici ed Amiche della LIDU,
La nostra Associazione sta crescendo grazie al vostro impegno, e sempre più i Cittadini
diventano consapevoli della gravità della situazione dei Diritti Umani nel mondo.
Migrazioni, dittature, torture, pena di morte sono solo i sintomi di un malessere sempre più
diffuso, cui si sommano catastrofi naturali in parte dovute ad uno sfruttamento
irresponsabile delle risorse planetarie.
La lotta per i Diritti Umani è ormai assimilabile ad una lotta per difendere la nostra civiltà,
la nostra cultura, le nostre Libertà.
Siamo grati a voi tutti, Amiche ed Amici, per il vostro sostegno e vi chiediamo un sempre
maggiore impegno.
Questa periodica relazione sulle iniziative della nostra Associazione che vi invieremo con
cadenza quindicinale vuol essere non solo un'informativa ma anche uno stimolo a
partecipare alle nostre, e vostre, attività, per rafforzare la presenza della LIDU nella nostra
società civile e nelle lotte che ci attendono per la costruzione di un mondo migliore, per noi e
per i nostri figli.
Vi rendiamo partecipi dell’attività
svolta nella nostra sede negli ultimi mesi
DIBATTITO SUL TTIP
Lettera al Presidente Mattarella
Roma 20/05/2015
On. Presidente,
la L.I.D.U., Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, nacque nel 1919, per iniziativa d’Ernesto
Nathan, dalla Lega per la Democrazia fondata da Giuseppe Garibaldi e condotta poi da
Alberto Mario, per propugnare l’evoluzione democratica dello Stato liberale nato dal
Risorgimento; e nell’esilio in Francia, nel 1927 promosse la Concentrazione antifascista,
contro la dittatura totalitaria, nuovo e più duro ostacolo all’affermarsi della democrazia.
Una delle battaglie fondamentali, per ottenere un governo del popolo e per il popolo, fu
ed è quella contro la diplomazia segreta, sotto la copertura della quale passa
l’imposizione ai popoli, nel concerto internazionale, degli interessi più inconfessabili.
Contro la diplomazia segreta furono pensate le previsioni costituzionali inerenti le leggi
d’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, il cui scopo è quello di rendere
pubblici, attraverso la via maestra del dibattito parlamentare, i vincoli internazionali
sottoscritti dallo Stato, e di sottoporli al previo dibattito dell’opinione pubblica e dei
rappresentanti dei cittadini, questi ultimi i soli investiti del potere di statuirne l’efficacia.
Nello stesso senso andò e dovrebbe andare il processo d’integrazione europea, secondo lo
schema istituzionale previsto nei trattati istitutivi prima delle Comunità oggi dell’Unione
europea. Si tende attraverso esso, difatti, a costruire un quadro istituzionale che faccia
transitare le scelte politiche comuni degli Stati membri dai negoziati diplomatici a
deliberazioni supernazionali, decise in un quadro costituzionale, con tanto di controllo
parlamentare. In entrambe i casi, al di là degli adempimenti formali, quello che si
richiede è la più assoluta trasparenza di ogni negoziato, che deve avvenire in piena luce,
davanti agli occhi dell’opinione pubblica. Non corrispondono, con evidenza, a questo
spirito le modalità seguite nel negoziato in corso pel trattato TTIP, Trade and
Investiment Partnership, in corso fra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America. La
commissaria al commercio dell’esecutivo dell’Unione europea, Cecilia Malmström, si è
impegnata per la trasparenza nel negoziato, e la Commissione pubblica sull’oggetto una
marea di documenti. Tuttavia se, poi, un Parlamentare europeo, o dei qualificati
esponenti delle amministrazioni, dei governi e soprattutto dei legislativi nazionali
chiedono prendere visione delle proposte negoziali, possono essere autorizzati ad essere
ammessi, per pochi minuti, in una saletta di lettura, senza poter portare con sé strumenti
che possano fotografare i testi, con solo una penna od una matita e carta per appunti. Lo
stesso se qualcuno che ne possa essere autorizzato, ad esempio il membro d’un
Parlamento nazionale, voglia prendere visione delle proposte statunitensi. Questi viene
ammesso in analoghe salette di lettura nelle ambasciate degli Stati Uniti. Oltretutto al
visitatore autorizzato alla consultazione viene fatta sottoscrivere una dichiarazione in cui
lo stesso s’obbliga a non divulgare a terzi quanto consultato. È innegabile che tal
procedura tenda a conservare segreto il negoziato in corso, che riguarda argomenti
delicatissimi di grande interesse per l’opinione pubblica, come la coltivazione ed il
commercio degli O.G.M., alla quale sono interessate grosse multinazionali come la
Monsanto. A tanto non vale eccepire che, comunque, una volta steso il testo del Trattato,
questo verrà sottoposto alle procedure di ratifica previste ed, allora, sarà pubblico. Esso
sarà comunque esito, infatti, di diplomazia segreta, e l’opinione pubblica verrà privata
dei tempi necessarî ad un dibattito aperto, in grado di sviscerare punti delicati, sofisticati
da un punto di vista tecnico, che la gente comune deve aver modo di comprendere prima
di poter manifestare, pubblicamente, una presa di posizione popolare.
Signor Presidente, la L.I.D.U. ritiene che simili metodi di diplomazia segreta
violino radicalmente, da un punto di vista sostanziale, lo spirito delle norme
costituzionali inerenti le leggi di ratifica, anche e soprattutto qualora esse venissero
osservate, con ostentato scrupolo, nel loro dettato formale. Per questo, anche in quanto
Ella ha la rappresentanza dello Stato nella Comunità Internazionale, siamo a chiederLe
una presa di posizione, con l’utilizzo del potere d’esternazione che Le appartiene, sia nei
confronti delle Istituzioni dell’Unione europea che degli Stati terzi coinvolti nel negoziato,
e responsabili della procedura segreta adottata nel corso dello stesso; sia davanti al
Parlamento nazionale, che dovrà discutere la legge d’autorizzazione alla ratifica, e del
Governo, per le responsabilità di sua competenza.
Con sensi, mi creda, di rispettosa stima
Alfredo Arpaia - Presidente LIDU
Lettera ai Parlamentari Europei
08/07/2015
Egregi Membri del Parlamento Europeo,
in occasione del voto del Parlamento Europeo sul T.T.I.P., previsto per la giornata di
domani 9 Luglio, la L.I.D.U., Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo ribadisce la sua
posizione sul tema. Da quanto finora trapelato attraverso indiscrezioni ( vige infatti una
segretezza sospetta e inaccettabile su tali trattative) i necessari principi di Democrazia,
informazione e tutela dei Diritti di cittadini e consumatori non sarebbero adeguatamente
tutelati. Pertanto la L.I.D.U. si unisce a quanti, singoli cittadini ed organizzazioni, hanno
ritenuto di richiamare ogni Rappresentante dei popoli d'Europa alla più rigorosa
vigilanza sul rispetto dei Diritti Umani che qualunque trattato sottoscritto dal
Parlamento Europeo deve garantire.
Cinquecento milioni di Cittadini e consumatori d'Europa si attendono da voi una
posizione forte e responsabile.
~
Lettere ricevute
Mail del 13/07/2015
Risposta di Daniel Hannan, Rappresentante del Partito conservatore del Sud Est
dell’Inghilterra al Parlamento Europeo.
Grazie mille per avermi scritto delle vostre preoccupazioni circa il TTIP. Devo dire che non
ho mai subito tante pressioni su una tematica in 16 anni da membro del Parlamento
europeo, con la possibile eccezione della stupida restrizione posta dall’UE sulle erbe
medicinali e la medicina alternativa una decade fa o più.
Ho ricevuto numerose mail e ho deciso di rispondere in maniera collettiva all’interno di
questo blog:
http://www.capx.co/brussels-is-a-corporatist-racket/
Probabilmente avrete sentito che il voto sulla Risoluzione è stato posticipato di una
settimana. Non sarò nella posizione di prendere una decisione in maniera definitiva fino a
che non avrò visto l’accordo effettivo, che potrà essere a più di un anno di distanza. Nel
frattempo spero che considererete di estendere la logica della vostra mail. TTIP o no, gli
abusi che voi denunciate, ovvero la segretezza, la mancanza di democrazia, il lobbismo ed il
corporativismo, continueranno ad esistere e ci sarà bisogno di un maggior impegno.
Con i migliori auguri,
Daniel Hannan
Mail del 15/07/2015
Risposta di Gerard Batten, Rappresentante dell’UK Indipendence Party al Parlamento
Europeo.
Caro elettore,
Lei è una delle tante migliaia di persone che mi hanno scritto sul TTIP. La Relazione
Lange sul TTIP è stato votato prima dal Parlamento europeo mercoledì 8 luglio. Desidero
comunicarle ciò che è avvenuto. In primo luogo, mi permetta di spiegarle l’antefatto
Mi lasci sottolineare il fatto che la Relazione Lange è un’”iniziativa in proprio”
nel senso che non ha assolutamente forza legislativa. E’ un mero elenco di
buone intenzioni di come la Commissione per il commercio intende emendare
il TTIP.
L’effettivo trattato per il commercio TTIP potrebbe richiedere anni prima di
essere portato a termine. Quando ciò avvenisse poi in base al Trattato di
Lisbona spetta al Parlamento europeo votare a favore o contro la ratifica dello
stesso. Comunque, questo sarà un voto singolo, SI o NO, sul trattato nel suo
complesso, noi infatti non abbiamo il potere di modificare il TTIP.
Ho premesso ai miei elettori che avrei votato contro la Relazione Lange sulla base del
presupposto che la politica commercial dovrebbe essere decisa dai governi
democraticamente eletti di ciascun paese e non dall’UE. Ho inoltre promesso di votare per
escludere il meccanismo di risoluzione delle controversie fra investitore e Stato (conosciuto
con l’acronimo ISDS) dal TTIP.
La lista di votazione contiene circa 126 voti separati. Non ho votato su questi emendamenti
perché sinceramente non desidero essere parte di una visione alternativa del TTIP
suggerita dal Parlamento quando, in primo luogo, non ritengo che l’UE abbia la legittimità
democratica di legiferare su questa e su altre materie.
Avevo l’intenzione di votare sugli emendamenti 40 e 27 al fine di escludere il
meccanismo ISDS ma Martin Schulz, Presidente del Parlamento, ha
consentito che un emendamento promosso dal gruppo dei socialisti, il quale
escludeva questi emendamenti dalla lista di votazione, fosse votato per primo.
Questo rappresentava da parte sua un palese frammento di cinica manipolazione politica.
Mr Schulz ha permesso che l’emendamento 117 fosse votato prima degli emendamenti 40 e
27 nonostante le proteste provenienti dalla platea circa il suo diritto di fare ciò in base alle
norme procedurali.
L’emendamento 117 è stato approvato e di conseguenza gli emendamenti 40 e 27 sono
decaduti e non sono stati oggetto di votazione.
L’emendamento 117 è stato descritto come 'ISDS leggero', una sorta di versione del ISDS
che seppur mitigata continuerebbe a consentire alle compagnie di citare in giudizio gli Stati
al di fuori dei loro tribunali ordinari.
Tuttavia, potevo votare per escludere l’ISDS, ma ho comunque votato contro il
report nel suo complesso nella votazione finale. Il voto finale è stato 436 a
favore e voti contrari con 32 astensioni. Le suggerisco di chiedere ad altri
membri del Parlamento europeo, appartenenti al distretto elettorale e di altre
fazioni politiche, come hanno votato.
Se pensa che la politica commerciale del Regno Unito (in linea con le altre politiche)
dovrebbe essere decisa da governi responsabili e democraticamente eletti, le suggerisco di
votare per l’uscita dall’Unione quando avremo il tanto promesso referendum
sull’appartenenza all’UE.
Cordialmente,
Gerard Batten MEP
Mail del 15/06/2015
Risposta automatica del Parlamento Europeo alle richieste di informazioni sul TTIP dei
cittadini
Onorevoli Colleghi,
La Unità preposta alle richieste dei cittadini del Parlamento europeo conferma l’inoltro del
Suo messaggio al Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, nel quale esprime la
Sua critica al Trattato sul Commercio in EU-USA (TTIP).
In nome del Parlamento europeo possiamo assicurarLe che le numerose preoccupazioni
relative al suddetto Trattato saranno subito esaminate. Pertanto i deputati europei
esamineranno nel dettaglio i testi del trattato negoziati prima della votazione e avvieranno
una discussione e successivamente approveranno o rigetteranno le varie norme.
Attualmente Il Parlamento europeo lavora ad una Relazione interlocutoria relativa al
negoziato in corso. La commissione competente per il commercio internazionale ha varato
il “Piano di raccomandazioni ai negoziatori della Commissione Europea“. Tali
raccomandazioni dovrebbero agevolare un accordo fra l’Ue e gli Usa e l’ingresso de4lle
imprese europee al mercato statunitense; non può minare alcuno standard europeo o
ridimensionare il diritto alla regolamentazione nel pubblico interesse.
Il dibattito originariamente fissato per il 10 giugno 2015 e la votazione sulle
raccomandazioni al TTIP del Parlamento europeo sono state rimandate a causa dell’elevato
numero di emendamenti.
Il Trattato sul libero scambio si trova di nuovo nell’agenda della Commissione per il
commercio internazionale, che ora ha più tempo per meditare su questo importante tema
e per ridurre per quanto possibile il numero degli emendamenti opposti. Ulteriori
informazioni sono disponibili nel Comunicato stampa del Parlamento europeo dell’11
giugno 2015
Il Parlamento europeo, sin dall’inizio delle trattative si impegna affinché gli elevati
standard europei sulla protezione dei consumatori, sui diritti sociali, sulla protezione della
salute, dell’ambiente e sulla tutela dei dati personali siano salvaguardati e elevati. Il
Parlamento europeo ha chiarito tutto ciò prontamente prima dell’inizio delle trattative per
il TTIP, nella sua Risoluzione del 23 maggio.
Il Parlamento europeo ha esercitato pressioni sulla Commissione europea al fine di
rafforzare la trasparenza delle trattative e rendere pubblici i testi europei del TTIP.
Siamo lieti di informarLa che i trattati internazionali sul commercio con Stati terzi sono
sempre negoziati per conto della Commissione europea e in nome dell’UE, poiché gli
scambi commerciali ricadono nell’ambito di competenza esclusiva dell’UE.
La Commissione diviene fin d’ora attiva, nel momento in cui gli Stati membri l‘hanno
investita innanzitutto del mandato di condurre le trattative, che per il TTIP nel frattempo
sono state pubblicate.
Sono inoltre gli Stati membri che stabiliscono quali obiettivi la Commissione deve
conseguire in sede di trattative condotte in nome dell’UE.
Il Parlamento europeo non prende parte alle trattative e non ha alcuna possibilità di
sospendere quest’ultime. Tuttavia, il trattato può essere approvato solo con il consenso
del Parlamento. Il Parlamento non può modificare il testo del trattato negoziato, al
contrario deve o approvare il testo finale nella sua interezza o rigettarlo. Il Parlamento può
stabilire ulteriori raccomandazioni alle trattative in corso
dovrebbe essere a suo avviso nella propria versione finale.
e chiarire come il trattato
Il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha chiarito i dettagli sul ruolo del
Parlamento in sede di trattative per la conclusione di trattati internazionali in un discorso
del 21 aprile 2015.
Il Parlamento europeo ha previsto due siti web sulle trattative del TTIP : "The European
Parliament and the TTIP" und "TTIP: Chance per il mercato interno europeo?".
Documenti ufficiali e informazioni attuali sul trattato di libero scambio EU-USA sono
disponibili sul TTIP-Webseite della Commissione europea der Europäischen
Kommission.
Speriamo che queste informazioni rafforzino la Sua fiducia nel lavoro del Parlamento
europeo.
Cordiali saluti
Mail del 21/07/2015
Risposta di Gerard Deprez, Rappresentante della comunità Francese in Belgio al
Parlamento Europeo.
Cari Signore e Signori,
è già un po’ di tempo che mi avete fatto recapitare una e-mail riguardante le vostre
preoccupazioni circa il TTIP, attualmente in fase di negoziazione tra l’Unione Europea e gli
Stati Uniti.
Ho preso conoscenza del vostro messaggio con grande interesse.
Come saprete l’8 Luglio il Palamento ha votato una Risoluzione non legislativa favorendo
la prosecuzione delle negoziazioni e stabilendo linee rigorose per il negoziato europeo.
Io ho votato in favore di questa risoluzione perché credo che l’idea di stimolare e facilitare,
attraverso un trattato, gli scambi commerciali tra l’UE e gli USA sia una buona idea che
potrà avere degli effetti positivi per la crescita e l’impiego delle due coste dell’Atlantico. Ci
credo sinceramente.
A questo stadio delle negoziazioni, sulla base delle informazioni a mia disposizione, credo
necessario fissare un certo numero di etichette (e ho anche già presentato vari
emendamenti in tal senso), io non vedo alcuna ragione per mettere fine a queste
negoziazioni.
Tuttavia io continuerò a votare liberamente fino alla fine delle negoziazioni, quando si
deciderà il testo finale. Si terrà conto delle risposte che il Trattato apporterà alle tre
principali preoccupazioni, che si riscontrano in parte nelle vostre, e io deciderò di votare
questo Trattato o di rigettarlo.
Vi posso assicurare sin da ora che non voterò in favore del TTIP in caso di:
 Se le norme europee attuali in materia di sanità, sviluppo e protezione sociale
saranno chiamate in causa o ce ne sia anche solo l’ipotesi;
 Se il corpo cooperazione normativa istituita sconfina in qualche modo sulla
sovranità delle Assemblee europee e sull’emanazione delle proprie norme;
 Se il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori e stati non
corrisponderà, almeno per ciò che è incluso nella risoluzione adottata ai primi di
luglio, vale a dire: “Assicurarsi che gli investitori stranieri godano di un trattamento
non discriminatorio, senza avere diritti maggiori di quelli accordati con gli
investitori nazionali, e sostituire il sistema RDIE (ISDS) con un nuovo sistema di
risoluzione delle controversie tra investitori e membri, fatti salvi i principi
democratici e di controllo, in cui qualsiasi affare sarà gestito in modo trasparente da
giudici indipendenti nominati dal governo, in udienza pubblica, che includerà un
meccanismo di appello, dispositivo che assicura la coerenza delle decisioni
giudiziarie e il rispetto per la competenza dei giudici dell'Unione europea e dei suoi
Stati membri e che impedirà che gli obiettivi di politica pubblica siano compromessi
da interessi privati.”
Augurandovi la positiva ricezione di questa e-mail, vi prego di credere, Gentile Signora,
Egregio Signore, ai sensi della mia più alta considerazione.
Molto cordialmente,
Gérard DEPREZ
Mail del 30/07/2015
Risposta di Keith Taylor, Rappresentante del Sud Est dell’Inghilterra al Parlamento
Europeo
Cara Segreteria Nazionale LIDU Onlus,
Grazie per la mail inviata a Keith Taylor circa il Trattato fra UE e Stati Uniti TTIP
(Trattato Transatlantico per il commercio e gli investimenti). Keith mi ha chiesto di
replicare a proprio nome.
Come sapete, agli inizi di luglio c’è stata una votazione volta a stabilire la posizione del
Parlamento europeo sul TTIP . I membri del PE hanno votato sulla risoluzione nel suo
complesso, ma anche sull’insieme di emendamenti al testo.
Fra di essi c’era un emendamento di compromesso sul discusso meccanismo investitorestato, supportato dal Presidente del Parlamento. Tale emendamento di compromesso
suggerisce la sostituzione dei tribunali previsti nell’ambito della risoluzione delle
controversie fra investitore e Stato (ISDS)1 con una sorta di “nuovo” sistema , ma nella
vaga formulazione non fornisce ulteriori spiegazioni o dettagli su come tale sistema
differirebbe dal precedente. Dal punto di vista di Keith, se c’è un qualunque sistema che
consente all’investitore di citare in giudizio il governo, come richiede il compromesso,
questo è ancora l’ISDS.
Sappiate che Keith ha votato contro tale emendamento di compromesso
perché non ritiene che quest’ultimo sia sufficiente ad escludere
completamente qualsiasi meccanismo ISDS dal TTIP. Tuttavia, sfortunatamente
l’emendamento di compromesso ha ottenuto ampio sostegno da parte dei membri del
Parlamento europeo di centro destra e centro sinistra ed è stato adottato il giorno stesso.
Altri emendamenti ancora più progressisti sono stati messi in discussione per
opporsi all’ ISDS nel TTIP (come l’emendamento 40 e l’emendamento 27) ma non
hanno avuto la possibilità di essere votati.
1
Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato (ISDS) è uno strumento di diritto internazionale pubblico, che
garantisce un investitore il diritto di utilizzare un procedimento di risoluzione delle controversie nei confronti di un
governo straniero.
Keith ha votato contro la risoluzione del TTIP nel suo complesso. Ha postato la
spiegazione al suo voto nel proprio sito web, come segue:
“Ci sono numerose tematiche che suscitano in me allarme circa il TTIP, al di là del “nuovo”
sistema proposto per sostituire l’ISDS, che ancora prevede un quadro giuridico parallelo e
distinto esclusivamente a favore. Un’ulteriore preoccupazione che mi ha spinto a votare
contro le raccomandazioni alla Commissione circa I negoziati sul TTIP è la cooperazione
normativa, la quale mira soprattutto a ridurre le barriere al commercio differendo leggi,
regolamenti e standard.
Molte di queste differenziazioni sono state adottate dai paesi per perseguire obiettivi
politici non legati al commercio, quali la protezione dell’ambiente, della salute pubblica e
dei consumatori . Sotto il TTIP tali decisioni democratiche sono semplicemente note come
“barriere non doganali al commercio” (NTBs).
La risoluzione non è stata in grado di convincermi che saranno prese adeguate misure per
assicurare che il il TTIP non eserciterà una pressione al ribasso su una moltitudine di
importanti regolamentazioni, erodendo tutele sociali ambientali e sanitari conquistate a
fatica.
In qualità di Vicepresidente dell’intergruppo benessere degli animali del Parlamento
europeo, sono anche preoccupato della minaccia che il TTIP pone ai diritti degli animali e
alla loro tutela. Dal momento che le regolamentazioni dell’UE circa il benessere degli
animali sono molto più avanzate di quelle vigenti negli USA, ho paura che un ulteriore
risultato negativo legato alla riduzione delle barriere non doganali sarà la riduzione o
l’indebolimento delle regole che disciplinano tale benessere.”
Questo è stato un voto profondamente deludente che ha visto molti politici di centro
sinistra unire le forze con I loro colleghi liberali di centro destra. Insieme si sono unite in
un grande affare, e facendo ciò hanno messo i fondamenti della nostra democrazia a
rischio. La legislazione nazionale è lavoro ad appannaggio di parlamenti eletti, è non deve
essere decisa nei consigli di amministrazione delle multinazionali.
Questo non rappresenta il voto finale e i Verdi continueranno a organizzare una robusta
opposizione al TTIP.
Per maggiori informazioni, Keith ha delineato la sua posizione generale sul TTIP sotto, e
ha fornito maggiori informazioni su ciò che ha fatto in qualità di membro del MEP per
opporsi a un accordo commercial così potenzialmente dannoso. Potete mantenervi
aggiornati con la campagna Verdi/EFA attraverso il sito web TTIP e il loro aggiornamento
.
Grazie ancora per aver trovato il tempo per scrivere a Keith e per favore non esitate a
contattarci qualora dovreste porre qualsiasi ulteriore domanda.
Cordiali saluti,
Monika
Monika Baunach
Assistente parlamentare e Ricercatore
~
La LIDU ha poi cercato di fare un punto della situazione unendo tutto il materiale e
portandolo a conoscenza dei Parlamentari stessi e lo ha fatto scrivendo un’altra lettera:
Mail del 28/07/2015
Egregi Parlamentari,
alla nostra lettera di raccomandazione sul TTIP solo alcuni di Voi hanno risposto, e tali
risposte sono allegate, assieme al testo originale, che ripetiamo.
Ci permettiamo di sottolineare che in ogni caso le procedure adottate sinora impediscono
ai Parlamentari stessi di prendere adeguata visione della bozza del trattato in progress,
la qual cosa è già altamente sospetta di una segretezza non compatibile coi metodi di
trasparenza e democrazia che dovrebbero informare i lavori di qualsivoglia
Commissione.
Inoltre il Parlamento Europeo potrà esclusivamente approvare o rigettare il testo
definitivo del Trattato, senza potervi apportare modifiche o emendamenti.
Ciò fa sì che, presentato in tempi ristretti, i Parlamentari potrebbero non avere il tempo
di un adeguato studio e valutazione del medesimo, riducendo o eliminando le necessarie
fasi di riflessione, discussione e confronto.
Se si pensa alla portata di un simile accordo, le conseguenze potrebbero essere molto
gravi.
Pertanto Vi riproponiamo tutte le nostre preoccupazioni e perplessità, invitandoVi ad
una rafforzata vigilanza sul progredire delle trattative, investendo di tali funzioni i
Componenti della Delegazione trattante.
Certi di un Vostro impegno a rappresentare nelle sedi opportune queste preoccupazioni,
che sono senza dubbio quelle dei cinquecento milioni di Cittadini Europei che Voi
rappresentate.
Vi inviamo i nostri più cordiali auguri di buon lavoro.
SECONDA CONFERENZA INTERNAZIONALE
“Universalità dei Diritti Umani per la transizione verso lo
Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza”
a cura di Ilaria Nespoli
La L.I.D.U. Onlus – Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo ha partecipato alla Seconda
Conferenza Internazionale dal titolo “l’Universalità dei Diritti Umani per la Transizione
verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza”, tenutasi il 27 luglio
2015 a Roma, presso il Senato della Repubblica.
Organizzata dal Partito Radicale Nonviolento assieme a Non c’è pace Senza Giustizia e
Nessuno tocchi Caino, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale italiano, la conferenza ha avuto come obiettivo quello di
essere un punto di partenza per l’affermazione del diritto umano alla conoscenza in sede
delle Nazioni Unite, promuovendo la transizione verso lo Stato di Diritto sia in Europa sia
nel mondo arabo-musulmano.
A tal proposito, concordiamo con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel
ritenere assolutamente meritoria l’iniziativa promossa dal Partito Radicale e dagli altri
organizzatori: come affermato dal nostro Capo dello Stato nel messaggio augurale inviato
al Coordinatore del progetto, Matteo Angioli, la conoscenza ed il relativo diritto
rappresentano un tema emergente nella nostra epoca, che merita attenzione a livello dello
stesso sistema delle Nazioni Unite; soprattutto in un’epoca in cui l’informazione è sempre
più veloce e in apparenza senza confini.
La Conferenza è stata articolata in tre parti principali, le quali hanno affrontato
rispettivamente:
- l’universalità dei Diritti Umani minacciata da tendenze antidemocratiche, populiste
e nazionaliste;
- la promozione di una transizione verso lo Stato di Diritto democratico, federalista e
laico
- la campagna globale per l’affermazione e ilo riconoscimento del Diritto alla
Conoscenza.
Nel corso della prima parte della conferenza, nella quale sono intervenuti Abdullah AnNa'im, Professore Emory University; Marou Amadou, Ministro della Giustizia del Niger;
Furio Colombo, giornalista, scrittore, già deputato, Bakhtiar Amin, già Ministro per i
Diritti Umani dell’Iraq; Marco Beltrandi, Membro della Direzione di Radicali Italiani, già
deputato; Sir Graham Watson, Presidente ALDE Party del Regno Unito; si è evidenziato
come in relazione alla questione dei diritti umani giochi un ruolo fondamentale il
“contesto”. Sotto questo profilo, è emerso chiaramente come tra le cause del mancato
rispetto dei diritti umani vi sia la debolezza degli Stati, in cui uno Stato forte è un
democrazia che agisce in conformità alla carta costituzionale che si è data, capace di
tutelare i diritti fondamentali della persona. Inoltre, nella mancata protezione dei diritti
umani giocano un ruolo importante la corruzione e una società civile poco attiva ed
informata. Di qui l’importanza di giungere alla codificazione del diritto alla conoscenza.
Qui si inserisce l’iniziativa radicale che, parafrasando le parole del giornalista Furio
Colombo, costituisce una vera e propria “campagna di liberazione volta a fare in modo che
i singoli cittadini si sentano protagonisti della vita politica e reclamino diritti che sono
propri”.
Come evidenziato da Bakthiar Amin, già Ministro per i Diritti Umani nel post Saddam
Hussein in Iraq, il Medioriente sente sempre maggior bisogno di democrazia e rispetto dei
diritti umani. Da qui è sorto un vivace dibattito con l’ambasciatore turco in Italia, Aydin
Adnan Sezgin in cui Amin ha accusato la Turchia di aver regredito sul piano della difesa dei
diritti umani, attaccando la minoranza curda, fra le più attive nella lotta alle forze
oscurantiste dello Stato islamico.
Quindi, Amin ha sottolineato come la conoscenza rappresenti anche il miglior rimedio alle
minacce internazionali emergenti ma anche a tutti quei movimenti quali il nazionalismo, il
populismo ed il dogmatismo che, insieme alla cattiva gestione delle diversità etniche,
culturali e religiose, costituiscono i peggiori mali all’intera Regione mediorientale, dal
momento che impediscono a quest’ultima di progredire verso lo sviluppo.
La necessità di scongiurare tendenze populistiche in atto è stata affermata anche dal
Presidente di quella sorta di partito radicale britannico, quale è l’ALDE Party, Sir Watson,
il quale ha anche evidenziato l’importanza di sostenere una battaglia per il diritto alla
conoscenza come base per comprendere e, dunque, affrontare adeguatamente i fenomeni
attuali.
Del resto, siamo assolutamente concordi con il Sottosegretario agli Affari Esteri, Benedetto
Della Vedova, il cui intervento ha inaugurato la seconda sessione di lavoro della
conferenza, nel giudicare i diritti umani un cantiere aperto nel quale nessun paese,
nemmeno quello più democratico e liberale, può dirsi arrivato. In particolare, quando si
parla di diritti della persona umana non si può mai far riferimento ad un traguardo ma
bensì ad un percorso che non necessariamente rappresenta una linea retta continua. In
questo contesto, parafrasando le parole di Giulio Terzi, già Ministro degli Affari Esteri
italiano, “il diritto alla conoscenza, declinato quale esercizio del diritto-dovere
d’informazione, principio della trasparenza decisionale, assunzione di responsabilità dei
governanti nei confronti della società civile e un’informazione realmente libera ed
indipendente, rappresenta un elemento centrale dei processi democratici e
dell’affermazione dello Stato di diritto in senso compito”.
La seconda sessione della conferenza è stata caratterizzata dalla descrizione dei complessi
processi di transizione verso lo Stato democratico dei paesi del Maghreb: Tunisia, Algeria e
Marocco. In particolare, viene in rilievo l’intervento di Najima Thay Thay Rhozali, già
Segretaria di Stato e Ministro dell’Istruzione del Marocco, la quale ha sottolineato
l’importanza della formazione e dell’affermazione del diritto all’educazione come via
maestra per affermare il diritto alla conoscenza, senza la quale non si può parlare di
democrazia e di diritti.
Infine, la terza parte del dibattito si è incentrata sull’evoluzione della campagna globale
volta all’affermazione dei diritto alla conoscenza.
Un battaglia, come evidenziato dal coordinatore del progetto Matteo Angioli, che è iniziata
nel 2002-2003 con il tentativo di scongiurare l’intervento militare in Iraq, deciso da parte
degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sulla base di informazioni che ancora oggi
rimangono elusive e proseguita dal Partito Radicale e dalle altre associazioni costituenti; e
prosegue fino ad oggi con la conferenza del 27 luglio in cui si è inteso esplorare la
possibilità di definire nel dettaglio la formazione di un vero e proprio Diritto alla
Conoscenza attraverso la promozione di una campagna internazionale per una
Risoluzione, Convenzione Protocollo specifico in materia da realizzare in sede delle
Nazioni Unite.
In questo ambito, come evidenziato da Elisabetta Zamparutti, Tesoriera di Nessuno Tocchi
Caino, innanzitutto il diritto alla conoscenza deve essere concepito come un contenimento
del potere dello Stato, in particolare per quanto riguarda il “segreto di Stato”, formula
spesso usata dai governanti per celare il perseguimento di interessi particolari spesso in
contrasto con quelli propri dell’opinione pubblica. In secondo luogo, il diritto alla
conoscenza deve costituire il diritto dei cittadini ad acquisire informazione da parte delle
istituzioni pubbliche e ad elaborarle attraverso un confronto improntato al dialogo.
Da parte sua anche la L.I.D.U. si è sempre battuta strenuamente per l’affermazione di un
simile diritto all’interno del contesto internazionale: lo dimostra l’ultima iniziativa
condotta contro il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (meglio
noto con l’acronimo TTIP), un accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato
dal 2013 tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America, le cui trattative rimangono
assolutamente nascoste.
Sicuramente la codificazione a livello internazionale del Diritto alla Conoscenza potrebbe
aiutare a scongiurare il rischio che vengano approvati trattati, quali il TTIP; che, come
abbiamo denunciato agli stessi deputati europei chiamati a pronunciarsi sull’accordo,
comporterà una riduzione delle garanzie a tutela dei diritti dei consumatori europei e
renderà più difficile ai governi il controllo dei mercati per massimizzare il
benessere collettivo.
Inoltre, crediamo fermamente che l’affermazione del diritto all’informazione e alla
conoscenza non possa prescindere da una adeguata formazione ai diritti umani in
generale, in cui la L.I.D.U. è impegnata da anni attraverso l’implementazione del “Progetto
Scuola”.
Tuttavia, se da un lato concordiamo con gli organizzatori della conferenza nel ritenere che
molto probabilmente i tempi non siano ancora maturi per l’avvio di un processo di
codificazione internazionale del diritto alla conoscenza, dall’altro siamo sicuri che incontri
come questo servano proprio a “tracciare il punto nave”, parafrasando le parole di Paolo
Reale, intervenuto nel corso della conferenza in qualità di Segretario Generale dell’ISISC Istituto Sup. Internazionale di Scienze Criminali, al fine di individuare una nozione
condivisa e una base giuridica di tale diritto, senza le quali nessun diritto può aspirare ad
essere riconosciuto come diritto umano fondamentale. Solo per questa via sarà possibile
favorire un simile percorso per l’affermazione di un diritto, il Diritto alla Conoscenza,
senza il quale non ha senso parlare né di democrazia né di alcun esercizio degli altri diritti
umani.
Il pensiero della LIDU sul DDL La Buona Scuola
A cura di Navarro e Virgili
Mentre la LIDU Onlus, Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo è impegnata a portare
nelle aule i Diritti Umani col suo Progetto Scuola, cercando di instillare nei bambini e nei
ragazzi una conoscenza ragionata e non passiva di questi, della loro solidità e utilità ai fini
di una sana e rispettosa convivenza all’interno della società; il Governo italiano, il 7 Luglio
riporta alla Camera, dopo l’approvazione del Senato del 25 Giugno, un ddl che riformerà la
scuola annegando nel Lete, fiume dell’oblio, concetti quali pluralismo, laicità, libertà
d’insegnamento e uguaglianza.
Mentre una buona scuola dovrebbe essere finalizzata alla crescita e alla
valorizzazione della persona umana, alla formazione del cittadino e all’acquisizione di
conoscenze e competenze nel rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione e dalla
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; la Buona Scuola di questo governo ci
presenta una nuova istituzione-azienda che, con logica privatistica più che da servizio
pubblico fondamentale, tende alla competizione sia dall’esterno che dall’interno.
Dal punto di vista esterno la nuova scuola pubblica – che di pubblico ha sempre
meno- dovrà cercare di essere più fascinosa e appetibile agl’occhi di investitori privati, in
quanto i loro finanziamenti -detraibili per il 65% dalla dichiarazione dei redditi- e la
donazione del 5 per mille costituiranno probabilmente una importante fonte di
sostentamento dell’istituzione. La realizzazione di un’autonomia finanziaria, attraverso
l’attrazione di risorse esterne, diventerebbe fattore scatenante di disparità e concorrenza
tra scuola e scuola, accentuando le disparità territoriali già molto ampie e relegando le
scuole del mezzogiorno d’Italia inevitabilmente ad un ruolo marginale, in violazione ai
primari principi fondativi della Costituzione. Oltretutto ampliando le agevolazioni per le
scuole private, con un gioco di parole ora definite “paritarie” delle quali il Ministero
normalmente dovrebbe occuparsi non per i finanziamenti ma per la verifica della qualità e
della serietà.
Dal punto di vista interno, invece, le linee direttive del ddl sono tutte catastrofiche.
Partendo dal vertice della piramide, il Dirigente scolastico godrà di poteri non
adeguatamente definiti, privi di efficaci controlli e senza chiarire quali sanzioni non
discrezionali saranno comminate ai dirigenti che incorreranno nell’abuso di ufficio oltre
che in scelte poco corrette, appare di stampo vagamente fascista, quali la chiamata diretta
dei docenti senza il rispetto di graduatorie, la possibilità di strappare alle altre scuole i
docenti migliori e di utilizzare insegnanti appartenenti a classi di concorso diverse, purché
posseggano titoli validi. Ricordando innanzitutto che una sentenza della Corte
Costituzionale del 2013 ha bocciato la Regione Lombardia per aver concesso in via
sperimentale ai Presidi la chiamata diretta dei docenti, tutto ciò ci sembra andare contro i
principi, istituzionalmente garantiti, di uguaglianza, diritto al lavoro, buon andamento e
imparzialità dell’agire amministrativo.
Scendendo un gradino della piramide, sarà introdotto un nuovo criterio di
progressione di carriera degli insegnanti, non più basato sull’anzianità di servizio, e
neppure su titoli o documentazioni oggettive bensì sulla “valutazione” delle attività svolte.
Questo criterio, che in teoria potrebbe essere un buon progetto, rivela in pratica essere un
cavallo di Troia, poiché prevede che ogni tre anni, due terzi dei docenti ricevano uno
“scatto di competenza” di 60 euro mensili, sulla base di criteri valutativi decisamente
opinabili (1) in quanto gli studenti e le loro famiglie avranno voce in capitolo sulla carriera
degli insegnanti e, inoltre, il Dirigente avrà il ruolo centrale nel Nucleo di Valutazione. Ciò
stimolerà servilismo e conformismo, intaccando inevitabilmente la residua libertà
d’insegnamento che sarà condizionata dalla ricerca di premi di produzione su modello
aziendale. Il personale docente dunque, invece di focalizzare la propria attività “al pieno
sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’Uomo e
delle libertà fondamentali” come recita l’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo, vivrà nella scuola una dimensione homo homini lupus fortemente
diseducativa.
Alla base della piramide scolastica troviamo ovviamente i discenti, per i quali è
prevista un’alternanza scuola-lavoro che favorisca l’autoimprenditorialità. Nascerà per loro
il registro nazionale delle imprese e gli studenti dovranno obbligatoriamente stipulare
contratti di apprendistato il cui valore conterà in sede di Esame di Stato. Dubitiamo della
compatibilità di una tale imposizione col diritto allo studio costituzionalmente garantito e
finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, alla formazione del
cittadino e della cittadina, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e
dell’identità di ciascuno, secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani. Sarebbe invece auspicabile articolare l’alternanza scuolalavoro su base volontaria e valutarne l’efficacia considerando le inclinazioni e le aspirazioni
della persona.
Ci viene pertanto presentata, non un’autonomia scolastica proiettata verso la
dimensione educativa ma, una scuola-azienda che intende valorizzare un’autonomia
scolastica unicamente piegata a logiche di mercato imprenditoriali dove tutti competono
per accaparrarsi le già scarse risorse disponibili. Di fatto la piramide dovrebbe essere
rovesciata, avendo al vertice gli studenti, la cui formazione è scopo primario e prioritario
ed i cui interessi sociali e morali dovrebbero avere la massima attenzione. Poi dovrebbero
venire i docenti, che andrebbero sicuramente meglio qualificati ed anche motivati, e solo
alla fine i dirigenti che devono far funzionare la macchina, non guidarla scegliendo la
strada in relativa autonomia. Il fatto è che la maggior parte dei “consulenti” e dei ministri
o sono persone poco competenti nello specifico, che non hanno dimestichezza delle vita
reale nelle scuole, o sono accademici che della scuola hanno una visione limitata e spesso
snobistica. Basti pensare che per un accademico medio l’ attività prioritaria “importante” è
normalmente la ricerca e solo ad ampia distanza viene la didattica, attività che alcuni
accademici -per fortuna solo una parte- considerano noiosa se non degradante. Ho sentito
accademici dire, a proposito di riforme universitarie, “mica vogliamo finire come nelle
scuole a fare solo didattica”. Come si immagina che essi decidano cosa si dovrebbe fare
nelle scuole? Quanti di loro sanno scrivere testi didattici chiari e non di pura erudizione,
utili sostanzialmente solo per rendere noto ad altri addetti ai lavori ciò che sanno?
Vengono in mente le parole di Goethe “Certi libri sembrano scritti non perché da essi si
impari qualcosa, ma perché si sappia che l’autore sapeva qualche cosa..”.
L’immissione in ruolo dei precari, sollecitata dall’Unione Europea, è stata usata
come arma rozza di ricatto per far approvare l’insieme del testo di presunta riforma.
Ricatto verso i sindacati, forse, ma chi ha detto che il personale in servizio sia comunque
favorevole ad una massiccia immissione in ruolo di personale, purtroppo non sempre
adeguatamente selezionato e formato? La qualificazione della formazione pubblica passa
anche attraverso una adeguata selezione e qualificazione del personale, che non deve
lavorare nella scuola solo perché non ha trovato alternative più interessanti o abbordabili,
una sorta di ripiego per poveracci. Non deve lavorare nelle scuole anche se detesta i
ragazzi o mentalmente non è in grado di sopportarne esuberanza ed atteggiamenti. Non
deve lavorare nelle scuole se non è portato per le relazioni umane e non ha adeguata
sensibilità relazionale. E quanti oggi vi lavorano e non hanno le caratteristiche giuste (o
non hanno più, visto che oramai la maggior parte del personale ha oltre 50 anni) dovrebbe
essere destinato ad altra attività nella pubblica amministrazione. E qui si tocca un
ulteriore punto dolente: la tanto citata mobilità per il personale della scuola non esiste se
non in modo degradante. Passati eventualmente ad altra amministrazione si è collocati in
una nicchia chiusa, senza possibilità di carriera, bloccati nel livello stipendiale, come se un
ingegnerie od un laureato in lettere classiche che lavorano nella scuola fossero analfabeti
rispetto ai loro omologhi che lavorano in un altro ministero. Non solo non c’è adeguata
mobilità verso altre amministrazioni, ma con il decreto si è bloccata anche la mobilità
spaziale, con la riduzione drastica dei trasferimenti, scoraggiando le possibilità di spostarsi
sul territorio per scegliere una sede meno lontana od una scuola più vicina alla propria
formazione.
Il decreto non ha risolto il problema delle classi di concorso, alcune delle quali
sistematicamente penalizzate, con ulteriori discriminazioni interne tra il personale. Il
decreto non ha affrontato il problema del raggruppamento delle classi di concorso stesse,
consentendo a quanti hanno più abilitazioni e competenze di muoversi con minori intralci
tra una classe e l’altra, ma senza lasciare che alcune classi di concorso si “estinguano” in
modo naturale nella indifferenza della amministrazione, che non provvede ad adeguata
riqualificazione del personale. Il decreto non prevede l’obbligo della informatizzazione dei
dati del personale, per cui ancora oggi un docente che lavora già da decenni, se cambia
scuola deve ripresentare alla nuova sede di servizio tutti i dati come se fosse un emerito
sconosciuto e non un dipendente del MIUR. Il decreto amplia il solco già tracciato con
l’eliminazione del ruolo, come esisteva alcuni decenni fa, ed il passaggio ai contratti a
tempo determinato ed indeterminato. Rendendo ancora più precario il senso del lavoro ed
il rapporto tra dipendente e Ministero.
Piero Calamandrei, padre costituzionalista, parlando della scuola diceva “La scuola,
come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al
centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi
avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si
intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si
esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in
diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in
mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la
risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica,
la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola,
la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse
fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che
la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di
creare il sangue...” Questo per dire che l’autonomia, che ora con un decreto legislativo dopo
l’altro si cerca di tropizzare e di reinterpretare in chiave utilitaristica imprenditoriale, non
solo viene da lontano ma costituisce, o dovrebbe costituire, la garanzia stessa dell’esercizio
della democrazia.
Noi della LIDU Onlus auspichiamo dunque che, alla luce di nuovi punti di vista
focalizzati verso un’educazione libera, civile e costituzionale, il decreto legge venga
ridiscusso dagli organi competenti e ridefinito nelle sue criticità, al fine di alleviare la
nostra società da una cappa di autonomia asservita e facilitare lo sviluppo di nuove
generazioni ben formate sulla base delle loro attitudini e inclinazioni, libere nel pensiero e
rispettose del prossimo.
(1)
Il docente “bravo” è quello che boccia poco e distribuisce volti alti? O è quello che lavora
seriamente ed esige una preparazione adeguata? E’ quello più simpatico quale intrattenitore, qualunque sia
la preparazione degli studenti, o quello burbero che contribuisce ad una buona formazione ma usa voti bassi?
Ai dirigenti non farà più comodo il docente che da una buona immagine della scuola, ma forse è poco
attendibile? Nella vaghezza ed indefinitezza dei criteri, che di fatto non esistono, sarà possibile tutto ed il
suo opposto, creando non solo confusione, ma ancora una volta procedure e criteri dissimili da un luogo
all’altro, da una scuola all’altra, da un anno all’altro. Deve prevalere il “aiutiamoli tutti perché sono poveri
ragazzi” o il “dobbiamo dare loro una buona preparazione e chi non ce la fa si ferma o cambia indirizzo”? Già
oggi esistono disparità che saranno amplificate, oppure che saranno eliminate come in una catena di
montaggio, i cui “bulloni” sono gli studenti.
Quanto ancora dovremo aspettare per vivere sicuri in un Paese
che oggi solo virtualmente è dimora Europea?
di Caterina Navarro
Nel 2007 un imprenditore casertano, Antonio Picascia, aveva denunciato un tentativo di
estorsione facendo arrestare alcuni emissari del clan Esposito-Di Lorenzo. Nel 2008 era
stato scelto da Confindustria come testimonial nazionale per la prima giornata alla legalità,
diventando così l’uomo simbolo della lotta al racket. Nonostante i molti episodi di
intimidazione l’uomo non si è mai scoraggiato, ha continuato a lottare e denunciare finché
lo scorso venerdì notte ha visto bruciare la propria fabbrica di detergenti in un incendio
doloso di matrice camorristica. Importante notare che proprio il giorno precedente il
disastro, Picascia aveva preso parte al Festival dell’Impegno Civile “Le Terre di Don Diana”
affiancando il Presidente dell’Autorità Antimafia Raffaele Cantone.
L’evento era il primo di una tre giorni in memoria di un altro imprenditore antiracket,
Alberto Varone, che fu ucciso il 24 luglio del 1991 per non aver voluto sottostare alle
richieste estorsive dei clan dei Muzzoni che volevano impadronirsi del suo mobilificio.
Come loro molti altri, in tutto il territorio italiano, da nord a sud, hanno lottato e lottano
ogni giorno per evitare che il nostro Paese prenda una piega sbagliata, come il diffondersi
di un diritto consuetudinario, dal carattere medievaleggiante, in cui il più forte détta una
regola che nel tempo diventa legge. Oggi la consuetudine a pagare il racket accanto alle
tasse statali, la consuetudine all’omertà, al silenzio per salvarsi, per preservare l’incolumità
della propria famiglia, sono diventati parte non codificata, ma non per questo meno
passibile di pena, della giurisprudenza locale in alcune zone più che in altre.
Ci chiediamo dunque perché le istituzioni continuino ad essere miopi in questa direzione;
di certo molti passi avanti sono stati fatti, forse meno certamente il Governo ha salvato la
sua indipendenza dalle ingerenze di tale criminalità, ma per noi della LIDU Onlus è altresì
importante sottolineare che lo Stato, purtroppo, ancora permette che singoli cittadini
vengano privati della loro vita e dei frutti del proprio lavoro.
Reputiamo che la sicurezza debba essere obiettivo dello Stato e diritto del Cittadino, e
ricordiamo che storicamente è sempre stata considerata come un diritto fondamentale a
cominciare dalle Dichiarazioni dei diritti contenute nelle Costituzioni delle ex colonie
britanniche. Nel Bill of Right della Virginia del 1776 vengono considerati diritti innati "il
godimento della vita, della libertà, mediante l'acquisto ed il possesso della proprietà e il
perseguire e ottenere felicità e sicurezza” e si stabilisce che "sia il governo a garantire
protezione e sicurezza del popolo". Anche l'art. 7 della carta del Massachusetts e l'art. 5
della Carta della Pennsylvania proclamano che "Ogni membro della società ha diritto di
essere protetto nel godimento della vita".
Non si può non citare la Costituzione italiana del 1948, dopo la Riforma del titolo V°, parte
II, introdotta con L. cost. n. 3 del 2001, nel quale la sicurezza pubblica – più precisamente
"ordine pubblico e sicurezza" – viene in rilievo in relazione alla ripartizione di competenza
legislativa ed amministrativa esclusiva dello Stato.
Ovviamente non possiamo dimenticare la codificazione fondamentale, la Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani, di cui l’articolo 3 recita “Ogni individuo ha diritto alla vita,
alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.”
La sicurezza, intesa come esistenza protetta, rappresenta la conditio sine qua non per la
fruizione ed il godimento di tutti gli altri diritti, basilarmente indispensabile per
un’esistenza dignitosa.
Ci chiediamo dunque quanti altri Picascia in Italia e nel Mondo debbano veder rovinato il
frutto del proprio lavoro prima che le Istituzioni diano il colpo di grazia a questo cancro
sociale.
Ci chiediamo perché gli ultimi Governi abbiano speso fior di miliardi per accrescere in
numero e vigore le forze armate con l’unico scopo di proteggere i loro privilegi e
l’inviolabilità della loro posizione.
Ci chiediamo quando verrà quel giorno in cui il singolo cittadino potrà beneficiare
finalmente di una società “isola” dal mare di violenza e contraffazione del potere.
Intervento della LIDU alla manifestazione africana contro il
silenzio dei governi africani sulle tragedie nel mediterraneo
La L.I.D.U. Onlus – Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo si unisce alle associazioni africane
d’Italia che interverranno alla manifestazione in Piazza Santi Apostoli a Roma sabato 5
settembre nel chiedere con forza una presa di posizione urgente contro il silenzio dei
governi africani in merito alle tragedie che si stanno consumando nelle acque del Mar
Mediterraneo.
Infatti, se è indubbio che l’Europa abbia la sua parte di responsabilità legate al
all’incapacità dei singoli paesi membri di sviluppare delle politiche migratorie realmente
comuni capaci di fornire soluzioni concrete per fermare le stragi che si stanno
accumulando in quello che il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, ha
definito “un mare di miseria”, è altrettanto vero che la crisi dei migranti non riguarda solo
l'Europa, ma anche l'Africa. Sotto questo profilo si registra un silenzio assoluto da parte dei
governi dei Paesi di appartenenza dei migranti, un silenzio che non esitiamo a definire
“colpevole”: ad annegare nelle acque del Mediterraneo sono infatti cittadini africani in
fuga. Un silenzio che da la sensazione che tali Paesi possano in qualche modo ottenere un
profitto da tali partenze. Infatti, i Paesi d’origine hanno il dovere di seguire queste persone
nel grande disagio che incontrano e di adoperarsi per ottenere dalla solidarietà dei popoli
del mondo quell’attenzione, per non dire aiuto ad evitare l’espatrio di costoro.
Al di là delle accuse più o meno dirette, a nostro avviso è importante fornire una soluzione
a tali questioni. Sebbene siamo consapevoli che la migrazione di migliaia di disperati verso
l’Europa non costituisca una questione che si possa risolvere dall’oggi al domani; mai come
ora riteniamo necessario che l’Unione europea debba agire di concerto con i Paesi
d’origine, i quali a loro volta devono assumersi le proprie responsabilità, iniziando a
dissuadendo i candidati alle partenze di affidare la loro sorte nelle mani dei trafficanti.
Infatti, piuttosto che pensare a distruggere barconi, come risuona in numerosi proclami di
non pochi gruppi politici pronti a cavalcare l’onda populista, le autorità europee
dovrebbero rapportarsi con le istituzioni , che vivono lì e che controllano quei porti, quei
territori: si tratta in sostanza di stabilire un sistema di presidi realizzato dalla rete diplomatico consolare dei paesi dell’Unione e del servizio europeo per l’azione esterna, insieme
a UNHCR e alle altre organizzazioni umanitarie internazionali, e farsi carico del far cessare
le partenze pericolose e selvagge, dei profughi in balìa degli scafisti. Solo per questa via,
ovvero aumentando la cooperazione con il Nord Africa e i Paesi dell'Africa Sub sahariana,
sarà possibile sviluppare un Piano d’azione comune capace di arginare questa macabra
spirale di tragedie umane.
Tuttavia, riteniamo fondamentale che tali rapporti di cooperazione non si esauriscano
nell’affrontare un problema contingente, quale il fenomeno migratorio, in maniera
meramente emergenziale ma proseguano nel lungo periodo in altri ambiti che vanno dalla
promozione di un percorso pacifico di tali Paesi verso la democrazia fino al supporto
dell'innovazione, del commercio e degli investimenti, dello sviluppo agricolo e industriale
come motori per una crescita inclusiva.
Presentazione Annuario italiano dei diritti umani
a cura di Ilaria Nespoli
Il giorno 16 settembre 2015 presso la sala Aldo Moro della Camera dei Deputati la L.I.D.U.
Onlus ha partecipato, con il suo Presidente Alfredo Apaia ed il Segretario Generale Roberto
Vismara, alla presentazione dell’”Annuario italiano dei diritti umani” redatto dal Centro
Diritti umani Università di Padova.
La presentazione è stata inaugurata dal saluto introduttivo della Presidente della Camera
dei Deputati, l’on. Laura Boldrini, la quale dopo aver evidenziato la qualità e l’utilità
dell’Annuario, capace di combinare un quadro informativo accurato con proposte
costruttive stimolanti, ha sottolineato l’importanza di due raccomandazione rivolte al
Parlamento europeo, ovvero l’istituzione di una Commissione nazionale indipendente per i
diritti umani e l’invito a svolgere un dibattito parlamentare con cadenza annuale sui diritti
fondamentali all’interno dei Parlamenti di ciascun paese. Se, in ordine al primo aspetto la
Presidente della Camera ha affermato la necessità di un intervento legislativo, per quanto
concerne il secondo aspetto si è impegnata a proporre alla Conferenza dei Presidenti dei
gruppi la calendarizzazione nei lavori dell'Assemblea della Camera una sessione
parlamentare dedicata alla verifica del rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali nel
nostro Paese. Lo svolgimento di questo dibattito sarà la base di partenza per stimolare
anche altri Parlamenti dell'Unione europea a fare altrettanto, scambiandosi informazioni e
valutazioni sulle rispettive esperienze. E' infatti dovere dei Parlamenti contribuire a
rafforzare i meccanismi per la salvaguardia dei diritti fondamentali all'interno dell'Unione
europea. A tal proposito la Boldrini ha suggerito di istituire un rapporto sistematico di
collaborazione tra i Parlamenti nazionali e l'Agenzia europea per i diritti fondamentali,in
modo da valorizzare il patrimonio di conoscenza di quest'ultima, spesso non messo
sufficientemente a frutto. Infine, La L.I.D.U concorda pienamente sulla necessità espressa
dalla Boldrini di ricollocare la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali al centro
dell'azione e delle politiche dell'Unione europea, nella consapevolezza che questo è il primo
e più qualificante connotato che rende l'esperienza dell'Unione europea un modello unico
ed esemplare a livello internazionale. Questo è quanto mai vero oggi, in un'Europa in cui
sta prendendo piede una dimensione politico-culturale che si allontana da questo substrato
comune con Stati che ritengono di doversi difendere da quanti fuggono da violazioni di
diritti umani, erigendo dei muri. Ora come non mai si avverte la necessità di un’”Europa
2.0” basata sulla tutela dei diritti e delle libertà della persona umana e capace di rispondere
ai bisogni dei propri cittadini.
Ai saluti della Boldrini fa eco l’intervento di Luigi Manconi, Presidente della Commissione
straordinaria dei diritti umani: “L’annuario italiano costituisce un monito autorevole,
quanto mai necessario in un momento come questo in cui la categoria dei diritti umani
vive un momento di crisi cruciale”: se finora i diritti umani non sono sembrati un problema
dell’Occidente sviluppato ma dei Paesi del Terzo o Quarto mondo; tutto ciò è ormai stato
messo in discussione dai processi involutivi che le nostre stesse democrazie sviluppate
hanno conosciuto, con violazioni dei diritti della persone che tendono addirittura ad
acuirsi, specie se si guarda alla gestione europea dei flussi migratori.
Per quanto riguarda i punti di maggior rilievo dell’Annuario 2015, essi sono stati
evidenziati da Antonio Papisca, professore emerito Università di Padova e direttore
dell’Annuario italiano dei diritti umani. Un primo passo è sicuramente costituito dalla
ratifica, da parte del Parlamento italiano, del Protocollo opzionale al Patto internazionale
sui diritti economici e sociali del 2008 che prevede la possibilità per il cittadino di adire il
Comitato sui diritti economici, sociali e culturali in caso di violazioni di tali diritti. Tale
Comitato non ha il potere di emettere decisioni giuridicamente vincolanti ma si limita a
produrre una serie di osservazioni e raccomandazioni rivolte agli Stati affinché si
adoperino al meglio nel garantire la protezione e la promozione dei diritti economici,
sociali e culturali a livello interno. In particolare, Papisca evidenzia la necessità che tale
Comitato lavori in sinergia con gli organismi istituiti in sede di Consiglio d’Europa.
Fra i principali punti deboli in ordine alla situazione dei diritti umani in Italia, Papisca
segnala il crollo del finanziamento italiano agli organismi internazionali preposti alla tutela
dei diritti umani e la mancata istituzione di una Commissione indipendente sui diritti
umani. A tali questioni, Marco Mascia, Direttore del Centro di Ateneo per i Diritti Umani,
aggiunge tre punti sul quale il nostro paese risulta carente: la mancata ratifica, sia da parte
dell’Italia (e da parte dei Paesi membri dell’Unione europea) della Convenzione per la
protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti, di cui proprio quest’anno ricorre il
venticinquesimo anniversario dall’entrata in vigore; la questione dei diritti dei rifugiati e
dei richiedenti asilo in cui si denota un’incapacità del nostro paese di rispondere agli
standard internazionali prevalenti; la mancata previsione del reato di tortura all’interno
del sistema giuridico italiano. Riguardo a quest’ultimo punto il Presidente della
commissione diritti umani ha sottolineato come attualmente un disegno di legge
sull’introduzione del reato di tortura stia per essere approvato nella versione licenziata in
Commissione Giustizia, che tuttavia non rispecchia gli auspici iniziali avendo cancellato il
riferimento allo stato di privazione della libertà e alla condizione di minorata difesa che nel
testo del senato erano il necessario corollario della scelta di qualificare la tortura come un
reato comune.
Fra le proposte più importanti avanzate dall’Annuario segnaliamo l’opportunità di
introdurre l’insegnamento dei diritti umani nei corsi di formazione destinati alla Pubblica
Amministrazione e soprattutto, nei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e
grado. Temi, questi su cui la L.I.D.U. si batte da anni attraverso l’implementazione di
progetti miranti alla diffusione dei principi della Dichiarazione universale e della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo all’interno degli istituti scolastici.
Analisi della situazione demografica in Europa
A cura di Ilaria Nespoli
La demografia dell'Europa al 2010, secondo dati dell'ONU, contava circa 738.200.000
abitanti entro i confini geografici del continente, rappresentando l'11% della popolazione
mondiale; prendendo in considerazione, però, l'intera popolazione di stati
transcontinentali come Russia e Turchia, il totale sale fino a poco più 832.000.000 di
abitanti.
Densità della popolazione in Europa. Fonte Eurostat
Tuttavia, per quanto riguarda il tasso di natalità e la crescita della popolazione autoctona,
essa è relativamente basso se confrontato ai tassi di continenti quali l'Asia, l'Africa e
le Americhe.
Sulla base di un confronto effettuato tra gli Stati membri dell'UE-28, nell'arco temporale
compreso tra il 1° gennaio 1960 e il 1° gennaio 2013 la popolazione è aumentata ogni anno,
registrando una crescita complessiva di 98,9 milioni di abitanti, con un tasso medio di
crescita annuo pari allo 0,4 %. Storicamente, la crescita della popolazione dell'UE ha
rispecchiato ampiamente l'evoluzione del saldo naturale della popolazione (la differenza
totale tra il numero di nascite e il numero di decessi), e non le dinamiche migratorie.
Tuttavia, dal 1964, quando sono state registrate 3,6 milioni di nascite in più rispetto al
numero di decessi, i tassi di natalità sono scesi progressivamente e la speranza di vita è
aumentata gradualmente, determinando un rallentamento del tasso naturale di crescita
della popolazione. Prima del 2003, la crescita naturale della popolazione per gli Stati
membri dell'UE-28 era vicina al pareggio, in quanto il numero delle nascite superava il
numero di decessi di meno di 100 000 unità. Successivamente, il tasso di natalità e la
crescita naturale della popolazione sono nuovamente aumentati in numerosi Stati membri;
questa tendenza si è generalmente invertita con l'insorgere della crisi economica e
finanziaria.
Fino al 2025 si ritiene che la popolazione europea continuerà ad aumentare per arrivare
fino a circa 743.890.000 abitanti. L’Eurostat evidenzia come l’80% di tale crescita sia
determinato da flussi migratori. In particolare, l’incremento demografico maggiore ha
riguardato le regione urbane dell’Ue dove si registra un saldo migratorio più alto.
Nel periodo 2008–2012, erano 784 le regioni di livello NUTS 3 dell'UE-28 a presentare un
saldo migratorio positivo (un numero di immigrati superiore al numero degli emigrati).
Tra queste, il più forte afflusso netto di immigrati è stato osservato nelle due regioni che
hanno registrato la più elevata crescita demografica complessiva: Ilfov (la regione situata
intorno alla capitale della Romania), e le isole spagnole di Eivissa e Formentera nelle
Baleari, in cui i tassi grezzi di migrazione netta erano in media rispettivamente pari a 32,7
e 22,6 per mille abitanti. Il successivo tasso più elevato del saldo migratorio è stato
registrato in Lussemburgo (un'unica regione a questo livello di analisi), dove la
popolazione è aumentata di 16,9 per mille abitanti. Le uniche altre regioni in cui il tasso
grezzo di migrazione netta era superiore a 15,0 per mille abitanti sono Fokida, regione
interna della Grecia centrale, e York, situata nell'Inghilterra settentrionale. Altre 100
regioni di livello NUTS 3 (rappresentate con il colore più scuro nel cartogramma 4),
distribuite in varie parti dell'UE, hanno registrato una variazione demografica netta dovuta
ai flussi migratori, pari in media a un aumento di almeno 8,0 per mille abitanti, nel
periodo 2008–2012. Queste regioni, prevalentemente urbane, includono le regioni delle
capitali del Belgio (Arr. de Bruxelles-Capitale/Arr. van Brussel-Hoofdstad), della
Danimarca (Byen København), dell'Italia (Roma), dell'Ungheria (Budapest) e della Svezia
(Stockholms län), nonché altre città della Germania (per esempio, Leipzig, Frankfurt am
Main, München, Dresden e Wolfsburg), dell'Italia (per esempio, Parma, Bologna, Firenze,
Pisa e Perugia) e del Regno Unito (per esempio, Portsmouth, Edinburgh, Luton,
Nottingham, Sheffield, Tyneside, Bristol e Greater Manchester South); tutti i dati si
riferiscono al periodo 2008–2010. Tuttavia la tendenza è opposta in Francia, dove le
regioni con i tassi grezzi di migrazione netta più elevati sono generalmente rurali e situate
nella parte meridionale del paese (per esempio, Tarn-et-Garonne, Dordogne, Landes,
Hérault, Gers, Gard e Hautes-Alpes). Tale analisi è ricavata dalla seguente tabella
Tasso grezzo medio del saldo migratorio (inclusa rettifica statistica), Regioni NUTS
(Nomenclatura delle unità territoriali statistiche) - Fonte: Eurostat
La minore propensione ad avere figli nell'UE contribuisce al rallentamento, e perfino
all'inversione, della crescita naturale della popolazione, prevista dall’Eurostat dal 2030 in
poi. Nel 2012, il tasso grezzo di natalità dell'UE-28 era pari a 10,4 nascite per mille
abitanti. Tra gli Stati membri dell'UE, il tasso grezzo di natalità ha raggiunto il picco di 15,7
nascite per mille abitanti in Irlanda, ma ha registrato valori relativamente alti anche in
Regno Unito (12,8) e in Francia (12,6). Per quanto riguarda invece i valori più bassi, nella
maggior parte dei paesi dell'Europa orientale (Bulgaria, Croazia, Ungheria, Polonia e
Romania), dell'Europa meridionale (Grecia, Spagna, Italia, Malta e Portogallo), così come
in Germania, Lettonia e Austria, il tasso grezzo di natalità era minore o uguale a 10,0
nascite per mille abitanti.
Confrontando i dati del 2009 con quelli del 2012, si rileva un calo dei tassi grezzi di
natalità nella maggior parte degli Stati membri dell'UE: se nel 2002, il tasso di fecondità
totale dell'UE-28 ha raggiunto un minimo storico di 1,45 nati vivi per donna.
Successivamente è stata osservata una leggera ripresa, raggiungendo un valore pari a 1,61
nel 2008 prima di scendere nuovamente a 1,58 nel 2012 dopo l'inizio della crisi economica
e finanziaria. Nelle regioni più sviluppate del mondo, un dato pari a 2,1 nati vivi per donna
è considerato il tasso naturale di sostituzione, ovvero il livello per cui la popolazione
rimarrebbe costante, a lungo termine, in assenza di flussi migratori in entrata o uscita. Ciò
suggerisce che la crisi economica e finanziaria influisce sulla decisione di avere figli.
Germania, Austria e Regno Unito sono gli unici Stati membri ad aver registrato un
aumento dei propri tassi grezzi di natalità tra il 2009 e il 2012 (nel caso di Germania e
Austria, da tassi molto bassi in principio), mentre Lussemburgo, Malta e Slovenia hanno
mantenuto tassi di natalità costanti. Gli esperti di politiche demografiche e familiari si
dividono sulle ragioni di questa apparente riluttanza ad avere bambini. Tuttavia, secondo
le più recenti proiezioni demografiche di Eurostat, nei prossimi decenni probabilmente si
registrerà un calo demografico e, tra gli Stati membri, i paesi più colpiti saranno la
Germania, la Spagna e i paesi Baltici.
Inoltre, analizzando i dati forniti dall’Eurostat, sull'intero territorio dell'UE-28, il
1° gennaio 2013 i giovani di età compresa tra 0 e 14 anni) rappresentavano il 15,6 % del
totale della popolazione, mentre la popolazione in età lavorativa (15–64 anni) costituiva
quasi i due terzi (66,2 %) del totale, con il restante 18,2 % della popolazione rappresentato
dalle persone di età superiore ai 65 anni. È possibile analizzare ulteriormente le variazioni
strutturali della popolazione dell'UE-28 attraverso gli indici di dipendenza ottenuti
confrontando il numero di persone dipendenti (giovani e/o anziani) con la popolazione in
età lavorativa (a prescindere che questa sia occupata o meno). Tali indici sono intesi a
fornire informazioni sull'onere potenziale gravante sulla popolazione in età lavorativa, per
esempio per sostenere l'istruzione, la spesa sanitaria o le prestazioni pensionistiche. Indici
di dipendenza in aumento possono costituire motivo di preoccupazione per le
amministrazioni pubbliche per quanto riguarda i loro programmi di spesa pubblica e alle
loro risorse finanziarie. L'indice di dipendenza degli anziani evidenzia il rapporto tra il
numero di anziani e la popolazione in età lavorativa che, al 1° gennaio 2013, era del 27,5 %
in tutto il territorio dell'UE-28. Gli indici di dipendenza degli anziani sono particolarmente
elevati nelle regioni periferiche e rurali.
Osservando attentamente il cartogramma relativo all’indice di dipendenza degli anziani,
figurano 274 regioni di livello NUTS 3 in cui l'indice di dipendenza degli anziani era pari o
superiore al 35,0 % (le regioni riprodotte con il colore più scuro), molte delle quali
registrano tassi di natalità tra i più bassi dell'UE. Tali regioni sono per lo più situate in aree
rurali, periferiche e montuose (specialmente nel nord-ovest della Spagna, nelle regioni
interne del Portogallo e nel centro-sud della Francia) e sono spesso caratterizzate da un
decremento demografico, in parte dovuto al fatto che i giovani sono "spinti" a lasciare la
regione in cerca di lavoro, il che causa a sua volta l'aumento della quota relativa degli
anziani. Per contro, alcune regioni con indici di dipendenza degli anziani relativamente
elevati hanno registrato un aumento della popolazione più anziana, riconducibile
all'attrazione che tali destinazioni esercitano, per le loro condizioni climatiche o per le
strutture e i servizi offerti, sulle persone in età pensionabile.
L'incidenza delle variazioni demografiche nell'Unione europea (UE) avrà probabilmente
una considerevole importanza nei prossimi decenni: la grande maggioranza dei modelli
per
le
future
tendenze
demografiche
suggerisce
infatti
che
i
tassi
di fecondità costantemente bassi e la sempre maggiore longevità determineranno un
continuo invecchiamento della popolazione dell'UE. Nonostante svolga un ruolo
importante nelle dinamiche demografiche dei paesi europei, il saldo migratorio da solo
quasi certamente non invertirà l'attuale tendenza attuale all'invecchiamento della
popolazione registrata in varie aree dell'UE. Infatti, nel corso dei prossimi 35 anni si
prospetta un consistente invecchiamento della popolazione in Europa lo scenario
principale delle proiezioni demografiche di Eurostat (EUROPOP2013) fornisce un contesto
per i possibili sviluppi in questo senso. Le proiezioni suggeriscono che l'invecchiamento
demografico porterà a un aumento della popolazione di età pari o superiore ai 65 anni
dell'UE-28, la quale passerà dal 18,2 %, registrato all'inizio del 2013 al 28,1 % entro il
2050, mentre la quota della popolazione in età lavorativa scenderà dal 66,2 % al 56,9 %. Di
conseguenza, la popolazione in età lavorativa diminuirà di quasi 40 milioni di persone. Le
dimensioni e il peso relativo della popolazione di età pari o superiore a 65 anni
aumenteranno rapidamente nel periodo interessato dalle proiezioni, e questo gruppo di età
raggiungerà quasi 150 milioni di persone entro il 2050. Data la diversità tra le tendenze
delle classi di età, si prevede un aumento dell'indice di dipendenza degli anziani (il
rapporto tra il numero di persone di 65 anni o più e le persone tra i 15 e i 64 anni) dal
27,5 %, registrato all'inizio del 2013, a una percentuale quasi pari al 50 % entro il 2050. Di
conseguenza, nell'UE, in meno di 40 anni, si passerà da avere quasi quattro persone in età
lavorativa per ogni persona di 65 anni o più, ad averne solo due.
Le conseguenze sociali ed economiche associate all'invecchiamento della popolazione sono
destinate ad avere notevoli ripercussioni in Europa, a livello sia nazionale che regionale.
Per esempio, i bassi tassi di fecondità determineranno una riduzione del numero degli
studenti e delle persone in età lavorativa rispetto al resto della popolazione, nonché un
aumento della percentuale di anziani, alcuni dei quali necessiteranno di ulteriori
infrastrutture, servizi di assistenza sanitaria e abitazioni adeguate. Queste variazioni
strutturali della popolazione potrebbero ripercuotersi sulla capacità dei governi di
aumentare le entrate fiscali, far quadrare i propri bilanci o fornire pensioni e servizi di
assistenza sanitaria adeguati.
Una risposta a tali problematiche legate alle esigenze economiche di manodopera potrebbe
venire dal fenomeno migratorio. I numeri di questo fenomeno sono impressionanti:
secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) è più
che raddoppiato il flusso dei migranti che hanno attraversato il Mediterraneo nel 2014. Più
nel dettaglio, risulta che i richiedenti asilo siano quasi mezzo milione (432761), di cui
309356 sono arrivati via mare in Grecia, 121139 in Italia, 2166 in Spagna e 100 a Malta.
Molti di essi accettano di fare dei lavori che non vogliono più fare gli europei. Proprio da
questo punto di vista, possiamo affermare che gli immigrati possono rappresentare anche
un notevole surplus per il paese di accoglienza; basterebbe dare una occhiata ai dati
offertoci dai principali laboratori di statistica per comprendere che gli immigrati sono
infatti perlopiù giovani in età lavorativa, e incoraggiare l’integrazione nel nostro sistema
produttivo apparirebbe quindi la scelta più lungimirante. A rendersi conto di come i flussi
migratori possano divenire una risorsa importante per combattere il cosiddetto “suicidio
demografico europeo” non sono soltanto gli Stati membri, Germania in primis, che
richiede una modifica nella distribuzione delle quote non per una riscoperta solidarietà
europea ma con l’obiettivo di rispondere alle proprie esigenze di manodopera, ma i vertici
stessi della Banca centrale europea. Come affermato dal Vicepresidente della BCE, Vitor
Costancio, in una recentissima intervista a Reuters "Per modificare le tendenze
demografiche, promuovere le nascite non è sufficiente. Bisogna farlo attraverso
l'immigrazione. In caso contrario, stiamo ostacolando la crescita e il benessere delle
generazioni future".
21 settembre 2015
La giornata internazionale per la Pace
Noi della LIDU, quali difensori dei Diritti Umani, abbiamo molto a cuore questo tema,
perché non ci può essere pace senza giustizia, che sia in ambito territoriale, religioso o
culturale. Non ci può essere pace se non si è pronti a tendere la mano al prossimo e non ci
può essere pace se non ci uniamo tutti perché la quotidianità sia una lotta continua, che
tende al bene comune.
Per questo la LIDU chiede a Voi, carissimi Soci, di dedicare qualche momento in più alla
nostra Associazione, di partecipare insieme alle nostre attività e alla nostra quotidianità,
perché è insieme che si trovano soluzioni, è insieme che si fa nascere una buona idea ed è
insieme che si progetta il futuro.
Ritroviamoci tutti, discutiamo, condividiamo le reciproche idee di futuro e interveniamo
insieme, perché senza lavorare per il rispetto dei Diritti Umani non ci potrà mai essere
PACE.
Vi invitiamo a partecipare ai nostri
prossimi eventi
Vi diamo appuntamento quotidiano per conoscere le novità sul nostro sito
web: www.liduonlus.org
e sulla pagina facebook: https://www.facebook.com/liduonlus
TESSERAMENTO 2015 Socio Giovane
Socio Ordinario
Socio Sostenitore
Socio Benemerito
quota minima
quota minima
versamento minimo
versamento minimo
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€ 50,00=
€ 200,00=
€ 500,00=
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 bonifico bancario IBAN IT 90 W 05216 03222 000000014436
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l’Homme - Lega Italiana onlus
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