All`ombra delle Fate
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All`ombra delle Fate
All’ombra delle Fate © Francesca Maria Sykora The Fairy Ring (1850), di George Cruikshank (1792 – 1878) Questo” pensai “dev’essere certo il sentiero che conduce al Paese fatato, che la dama della scorsa notte mi promise di farmi presto trovare” 1 Non ho ben capito come – e soprattutto quando – sia iniziato lo scempio nei confronti del popolo fatato. Probabilmente, come spesso succede con le cose d’oggigiorno immolate sugli altari dell’iperconsumo, è andata proprio nel modo in cui alcuni di noi s’immaginano: una volta che anche le Fate si sono ritrovate sulle bancarelle degli Ipermercati ecco che hanno dovuto adeguarsi alle esigenze di questa nostra luccicante, illusoria e patinata epoca. E così, ci siamo ritrovati a osservare simpatiche scenette di famiglia dove eleganti fatine, edulcorate per l’occasione, “glitterate” e avvolte nei drappi di una Barbie “sui generis”, sbarcavano alla corte delle tristi festicciole di compleanno nei fast-food. Ma, è ovvio, non è sempre andata così. 1 George MacDonald, Le Fate dell’ombra, Edizioni Rusconi 1990, p.11. Il titolo originale era: “Phantastes: A Faerie Romance for Men and Women”, pubblicato per la prima volta nel 1858. © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Se analizziamo i tratti della tradizione ferica europea non riscontriamo mai, e in nessun caso, un approccio blando o, peggio, irrispettoso nei confronti delle Corti dell’Aristocrazia (è così che in Inghilterra - e in talune zone d’Irlanda - usano soprannominare le Corti delle Fate). Parlo di quelle “Corti” delle quali era usuale parlare sottovoce una volta, tempo fa,quando ancora sopravviveva una forma di riverente attenzione che metteva giustamente in guardia dagli incontri con il popolo fatato. “Un giorno d’estate, poco prima del tramonto, mio fratello, mia cugina e io stavamo raccogliendo mirtilli tra i cespugli sulla scogliera. Ero ancora un bambino. A un tratto udimmo una musica. Ci affrettammo subito a portarci sul versante opposto delle rocce e a poche centinaia di metri da noi vedemmo un gruppo di sei o otto creature dell’aristocrazia [*] che danzavano. Quando ci videro, una donna di bassa statura si staccò dal gruppo, accorse verso di noi e colpì mia cugina al volto con quello che ci parve un giunco verde” 2 [*] “aristocrazia” in questo caso è sinonimo della Corte delle Fate. Come si può notare dal brano succitato, la reazione delle “creature dell’aristocrazia” si rivela tutt’altro che accogliente nei confronti dei piccoli curiosi intrusi. In queste poche righe troviamo alcuni elementi importanti di quella che è la tradizionale scena degli incontri con la “piccola gente”: innanzitutto il racconto si ambienta al momento del tramonto, ovvero in quel tempo che si pone in limine tra il fragore del giorno ed il silenzio della notte. Anche la scogliera non è un luogo ben definito in quanto si tratta di una zona di confine tra il regno della terra, quello dell’aria e quello dell’acqua. Poi ci sono i bambini (loro malgrado redarguiti per la troppa curiosità)… molto spesso, insieme con donne e uomini anziani, testimoni degli incontri con il Piccolo Popolo. Del resto quante volte i racconti dei bambini, così come quelli delle persone anziane, ci paiono “incredibili”? E poi, ovviamente, c’è la musica. “Ero ancora un bambino. A un tratto udimmo una musica…” Ecco, la musica delle Fate! E del resto come può esistere una “Corte” senza musica? Quella musica che inebria, che attrae, che guida, che incanta. Se avete mai avuto occasione di ascoltare La Ronde des lutins 3, allora saprete di cosa sto parlando. E sono soprattutto i violini a far da padroni, in questo caso. Dove ci sono i Folletti (e le Fate) c'è sempre un violino. Innumerevoli sono le storie, le leggende e finanche le pagine degli spartiti che parlano delle danze sfrenate dell'Aristocrazia, accompagnate dal suono di forsennati violini. Una di queste storie è per esempio quella narrata nel film Darby O’Gill e il Re dei folletti4 : come dimenticare la forsennata danza dei folletti incantati dall’abile arco di violino di Darby? 2 John Harland & T.T. Wilkinson, Lancashire Folk-Lore, EP Publishing, Yorkshire 1973, p.111. cit. in: Janet Bord, “Fate, cronaca degli incontri reali con il piccolo popolo”, Edizioni Oscar Mondadori, 1999, p.42 3 "La Ridda dei folletti, scherzo fantastico per violino con accompagnamento di pianoforte, op.25”, del musicista Antonio Bazzini (1818 – 1897) 4 Darby O'Gill and the Little People (trad. italiana: Darby O’Gill e il Re dei Folletti)è un film di genere fantastico del 1959, prodotto da Walt Disney e diretto da Robert Stevenson (con Albert Sharpe, Sean Connery e Estelle Winwood) © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 “Cinquant'anni fa era una cosa comune ballare ogniqualvolta capitava che si fermasse un violinista ed in quei giorni si vedevano spesso violinisti in giro..." 5 'The Fairy Orchestra' from 'A Midsummer Night's Dream (Arthur Rackham, 1867 - 1939) Folletti e Fate della tradizione europea sono spesso attratti dalle dispettose corde di violino… ma sono loro, nella maggior parte dei casi, i veri fautori degl’incanti musicali che accompagnano nel mondo “dell’ombra”. Non dimentichiamo, a tal proposito, i melodiosi anche se lugubri lamenti della più conosciuta Fata irlandese: la Banshee, colei che accompagna le anime – tradizionalmente di rango - prossime a spirare. 5 Dal racconto “Tom Connors e la ragazza morta” in: Jeremiah Curtin, “Fate, folletti e spiriti inquieti”, Elfi Edizioni, p.59 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 “Di tutte le fate ed i fantasmi irlandesi, la Banshee (talvolta, a seconda delle zone, chiamata “Bohēēntha” o “Bakēēntha”) possiede un lungo “pedigree” che si perde nella notte dei tempi. La Banshee più famosa dei tempi passati è quella legata alla casa reale degli O’Brien, Aibhill e infestò la roccia di Craglea sopra Killaloe, vicino all’antico palazzo di Kincora. Nel corso dei secoli le modalità di presentarsi da parte della Banshee sono molto cambiate: oggigiorno si racconta che ella geme e si torce le mani ma i racconti più antichi narrano della comparsa della Banshee intenta lavare le teste e gli arti degli esseri umani “predestinati” (alla morte) oppure la si vedeva sciacquare panni intrisi di sangue e tutto questo aveva luogo solitamente prima di una battaglia. Riguardo il suo aspetto personale le descrizioni variano molto: talvolta viene descritta come una donna giovane e bella mentre altre volte invece assume l’aspetto di una vecchia megera…” 6 E ancora: “Come la porta d’ingresso fu chiusa, ecco che sentirono di nuovo i medesimi funebri lamenti! Dopo, di ora in ora, il malato si aggravò e quando sorsero le prime luci dell’alba, Mr. Bunworth spirò” 7 “La fatata Banshee irlandese è in realtà una Bean-Sidhe (“donna della collina”): in quanto sacerdotessa dei defunti di rango, essa emette lamenti profetici quando un personaggio di sangue reale è prossimo a morire” 8 Bunworth Banshee, Fairy Legends and Traditions of the South of Ireland, Thomas Crofton Croker, 1825 6 John D. Seymour – Harry L. Neligan, True Irish Ghost Stories, Ed. Dorset Press, 1991, Chap. VII: “Banshees and other Death-Warnings, p. 198. 7 Thomas Crofton Croker, Racconti di fate e tradizioni irlandesi, cap. “La Banshee di Bunworth”, Neri Pozza Edizioni, 2002, p.143 8 Robert Graves, La Dea Bianca, Adelphi, 2009, p.117 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Non c’è solo il canto della Banshee tra le “ombrose” musiche fatate, i canti ed i loro lamenti. Ad esempio, nelle “Fate dell’Ombra” di George MacDonald leggiamo di come un canto possa risvegliare e attrarre non poche anime inquiete: “E mentre cantavo, non pareva di essere vicino a una statua, come di fatto mi appariva, ma che una reale anima femminile si rivelasse per gradi successivi di materializzazione e quindi di manifestazione ed espressione” 9 Ma torniamo alle ridde delle fate e dei folletti e agl’incanti della musica elfica: ”Le Fate danzano spesso sull’erba in ridde chiamate cerchi delle Fate. Il fascino della musica elfica può trascinare l’uomo che passi di lì verso il cerchio che, come i baci, il cibo e le bevande delle Fate, può ridurlo in schiavitù eterna nel loro mondo” 10 A.T.H. Thomas, Il cerchio delle fate, 1880 Nonostante l’irresistibile attrazione che la musica fatata esercita sulla “gente grande”, occorre notare quanta prudenza venga sempre raccomandata nell’approcciare un cerchio di danze di queste creature. E qui torno al mio discorso iniziale sull’estrema prudenza (ed il grande rispetto) da mettere in campo affrontando i discorsi relativi a certi abitanti dell’oltremondo. 9 George MacDonald, Le Fate dell’ombra, Edizioni Rusconi 1990, p.128 Brian Froud – Alan Lee, Fate, Edizioni BUR, 2005 10 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 L’immagine pubblicata nella pagina precedente è significativa: un uomo rischia di esser rapito all’interno di un “Cerchio di Fate” mentre un altro (presumibilmente un amico), lo trattiene per la giacca ma tenendosi rigorosamente fuori dal Cerchio.11 Ecco, in questo caso “l’amico” (o forse un suo doppio?) è la “messa a terra” per evitare la scossa ferica. Perché, nel corso del deambulare tra i mondi, uno dei due piedi deve sempre rimanere qui. Insomma, a quanto pare qualcosa non va se si pensa di “cavarsela” con l’idea delle fatine squisitamente benevole. Tutte le svariate tradizioni europee, ognuna con i suoi tratti distintivi e caratteristici, ci raccontano che non è così. Innanzitutto il soprannome inglese e irlandese,“Aristocrazia”, è emblematico dell’atteggiamento delle Fate che è come se “si ponessero” su un piano diverso rispetto al nostro, squisitamente superiore. Inoltre in letteratura non si legge quasi mai di un'attenzione "disinteressata" delle Fate per gli esseri umani se non per mettere in atto un qualche tipo di dispetto, per renderli schiavi o “incantarne” perdutamente il cuore e la mente. “Prendersi gioco di noi”, è questo che tradizionalmente viene raccontato come il passatempo preferito delle Fate. E se consideriamo che esse sono uno specchio della nostra “ombra” istintiva, infantile e forse “dimenticata” ecco che occorre esser pronti all’idea di saper accettare i loro giochi, i loro scherzi. Pena – talvolta – la morte. “Penserebbero – aggiunse – che tu voglia prenderti gioco di loro; e tale privilegio spetta soltanto a loro nei nostri confronti” 12 Le Fate obbligano gli esseri umani a lavorare per loro, a svolgere faccende domestiche, a danzare all’infinito sulle onde delle loro musiche estenuanti ma soprattutto ad accompagnare la “Corte” durante i suoi viaggi notturni, nelle frenetiche ridde del loro “Gioco”. Talvolta possono anche ricambiare i servigi con un “premio” (la classica pignatta di monete d’oro, per esempio) ma se non si presta la dovuta attenzione anche quel premio rischia di tramutarsi in qualcosa di pericoloso… o semplicemente di svanire sotto umani occhi delusi. Più frequente invece è la richiesta di servigi non retribuiti: “Chi scrive ha saputo di parecchie persone obbligate, come Billy MacDaniel, a piegarsi alla compagnia del Buon Popolo: per usare le parole del narratore ‘a seguirli vicino e lontano, notte e giorno’ – una notte a Londra e la notte dopo in America; e le sole cavalcature di cui si servivano per questi lunghi viaggi erano gambi di cavolo a forma di cavalli” 13 Particolare attenzione – per quanto riguarda i rapimenti da parte della “piccola gente” - occorre prestare nei confronti delle coppie appena maritate e dei bambini in fasce. A tal proposito William Butler Yeats ci racconta nel suo “Crepuscolo celtico” di una 11 Indizi della presenza di cerchi fatati sono, nella tradizione, quelle composizioni circolari formate dai funghi denominati “Marasmius Oreades” che assai di frequente nella letteratura “di genere” sono associati alle danze delle Fate: “Marasmius Oreades segna i confini dei luoghi in cui le fate prediligono ballare. La scienza moderna ha dimostrato che spesso questi cerchi sono antichissimi: alcuni hanno più di seicento anni". Anche se è giusto specificare che: "Il fungo che più viene associato alle Fate è il rosso Ovolo malefico (Amanita Muscaria), che ha proprietà tossiche e allucinogene. I vichinghi mangiavano questo fungo magico per scatenare la loro furia combattiva, nota come Bersek" (cit. Brian Froud – Alan Lee, Fate, Edizioni BUR, 2005) 12 George MacDonald, Le Fate dell’ombra, Edizioni Rusconi 1990, p. 21 13 Thomas Crofton Croker, Racconti di fate e tradizioni irlandesi, Neri Pozza Edizioni, 2002, p.121 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 particolare figura presente in Irlanda (quantomeno nell’Irlanda dei tempi di Yeats): i “dottori dei folletti” (“senz’altro per i loro occhi e orecchie esercitati i campi sono coperti di cavalieri dal berretto rosso, e l’aria echeggia tutta di voci stridule – un suono tra il sibilo e il fischio”). Si tratta di persone dotate di un particolare dono di veggenza, i quali usano vigilare sull’uscio delle case nelle notti più “critiche”, ovvero quelle dove il Piccolo Popolo appare più inquieto: “Qualora ci sia nei dintorni un neonato o una sposina, i ‘dottori’ scruteranno con maggior cura del solito, perché la truppa ultraterrena non sempre se ne torna a mani vuote. Certe volte una sposina o un neonato vanno con loro dentro le montagne; la porta si richiude alle loro spalle, e da quel momento in poi la sposina e il neonato muovono i primi passi nell’esangue contrada del Regno fatato”14 Opera di Arthur Rackham (1867 - 1939) 14 William Butler Yeats, Il crepuscolo celtico, Edizioni SE 2001, p. 74 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Ma di questo lato dispettoso e “feroce” dell’Aristocrazia non troviamo riscontro solo in letteratura. Mircea Eliade, antropologo e studioso di storia delle religioni scrive (a proposito delle credenze che si riferiscono alla ‘Diana rumena’): “Ora, le zîne – le fate che rivelano nel loro stesso nome la discendenza da Diana – hanno un carattere piuttosto ambivalente. Possono essere, anzitutto, crudeli; tanto che è meglio non pronunciarne il nome: si allude a loro dicendo “le sante”, “munifiche”, “Rosalia”, o semplicemente “quelle” (iele). Pur essendo immortali, le fate hanno l’aspetto di belle fanciulle affascinanti e gaie; portano bianche vesti, hanno il petto nudo e durante il giorno sono invisibili. Munite di ali, sono solite volare, specialmente di notte. Amano danzare e cantare, e nei campi sui quali hanno danzato, l’erba pare bruciata dal fuoco. Chi le ha viste danzare o non ha rispettato certi divieti, viene colpito da malattia. Tra i morbi provocati dalle fate, i più comuni sono le afflizioni psichiche, i reumatismi, l’emiplegia, l’epilessia, il colera e la peste” 15 "Flower Fairies", di Pinckney Marcius-Simons (1865-1909) 15 Mircea Eliade, Occultismo, stregoneria e mode culturali, Biblioteca Universale Sansoni, 1990, p.90 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Perché insisto così tanto sulla prudenza necessaria nell'avvicinarsi alle Corti fatate? Perché così ci raccontano le fonti storiche e letterarie (leggende, tradizioni popolari ma anche studi accademici indubbiamente autorevoli). E allora mi fanno alquanto sorridere tutti coloro che s'affidano o che affidano i loro cari alla "protezione delle Fate". Le Fate siamo noi... la nostra arte di saper cercare a tentoni nel buio il nostro Daimon ed i nostri talenti (Il progressivo venir meno del nostro interesse verso le cose che la coscienza razionale chiama magiche, mistiche e mitiche ha fatto sì che tutti i corpi immaginali finissero per fondersi in modo indiscriminato nel mostruoso. I nostri corridoi sono così angusti e così bassi, che gli Invisibili devono contorcersi in forme mostruose per passare al di qua” 16). Occorre cautela, le Fate sono i segni iniziatici che conducono nell'ombra, forse alla scoperta di qualche aspetto di noi stessi che non conosciamo, oppure alla ri-scoperta di qualcosa di noi che abbiamo dimenticato, e questo avviene anche nelle fiabe dove paiono avere un carattere più mitigato, penso ai cartoni animati di Walt Disney, per esempio (sì, lo so che i complottisti di tutto il mondo lo considerano un "occultista", massone, pansessualista, spia della CIA, filonazista, filocomunista, filosatanista...). Dicevo che persino le Fate dei cartoni Disney (ripresi dai racconti classici della tradizione europea) non sono "facili": la Fata-madrina di Cenerentola accorda sì alcuni doni, ma è molto severa sugli orari da rispettare (nessuna Tradizione iniziatica contempla l'Illuminazione senza la "fatica") e - a parte quel momento - non interviene mai più per aiutare la sua protetta... così le tre Fate (Flora, Fauna e Serena) di Rosaspina nulla possono - o forse nulla vogliono? - contro l'iniziatica "strega" (che nella versione dei fratelli Grimm è la "Tredicesima Fata" mentre nella versione di Charles Perrault è la vecchia “fata della torre” 17). Perché - da tradizione - il più delle volte sono le Fate stesse a condurre nell'ombra (eloquente a tal proposito il titolo del già citato piccolo capolavoro di George MacDonald: "Le Fate dell'Ombra"). Illustrazione di Thomas Maybank (1869 – 1929) 16 Cit. da: James Hillman, Il Codice dell'Anima, Adelphi Edizioni, 2008, p.143 Mi riferisco alla fiaba “La Bella Addormentata nel bosco”. Charles Perrault nacque a Parigi nel 1628, ricoprì alcuni incarichi pubblici presso la corte del Re Sole e partecipò attivamente alla vita culturale del suo tempo. La sua fama è legata alla raccolta di fiabe “I Racconti di Mamma Oca”. Morì nel 1703. 17 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Assai numerosi sono poi gli espedienti contro eventuali attacchi della “piccola gente”. Questo a riprova del fatto che non sempre (anzi, direi raramente) gli approcci tra una realtà e l’altra possono essere accolti nell’alveo di un’improbabile scontata amicizia. Nella fotografia che segue, per esempio, possiamo vedere un amuleto denominato “Freccia di Elfo”, portafortuna scozzese18 composto da una punta di freccia neolitica montata come pendaglio su una catena da orologio e intrecciata con crine di cavallo (acquistata nell’anno 2000 dal National Museum of Scotland). Amuleto denominato “Freccia di Elfo” 19 “Esistono incantesimi specifici per contrastare questo tipo di attacchi o comunque in generale per “incantare” le armi, ad esempio nella saga del Poema epico ‘Beowulf’ se ne ritrova traccia nella citazione di un incanto che Grendel avrebbe operato sulle sue armi:“… none of the battle-blades would bite since he had charmed the weapons of victory, each of the edges…” 20 18 L’amuleto in oggetto si inserisce perfettamente nel discorso che si basa sull’aforisma ippocratico "similia similibus curantur" che significa "il simile cura il simile” (ripreso e fatto proprio anche successivamente dalla cosiddetta ‘“medicina magica”). In questo caso, indossando un amuleto “dedicato” al “nemico”, se ne assume la forza e lo si carica di virtù protettiva. 19 Fotografia tratta da: “Witchcraft and belief in Early Modern Scotland”, di J. Goodare, L. Martin and J. Miller, Ed. Palgrave MacMillan, 2008, p. 232 20 Stephen Pollington, Leechcraft, Early English Charms, Plantlore and Healing, Anglo-Saxons Books, 2011, p.454 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Nell'immagine riportata qui sotto (illustrazione dal manoscritto “Utrecht Psalter” (British Library, MS Harley 603, fol.22r), un gruppo di creature alate attacca un uomo con dardi di frecce 21. Se dunque ci atteniamo alle originarie fonti della tradizione, vediamo bene come risulta impossibile “rabbonire” la figura delle creature del Piccolo Popolo. Essi, in quanto garanti di un mondo non accessibile ai più e in onore della loro funzione iniziatica (caratteristica quest’ultima comunque non sempre presente), pongono in atto ogni possibile stratagemma per difendere quei confini che la mente umana non allenata ha “ristretto” sempre più nell’alveo del “mostruoso” oppure ha cercato di ammansire creando grottesche imitazioni delle antiche Regine delle Fate (si vedano le orribili moderne e improponibili Barbie-fatate). 21 Immagine è tratta dal già citato: Leechcraft, Early English Charms, Plantlore and Healing, di Stephen Pollington, Anglo-Saxons Books, 2011 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Illustrazione di Arthur Rackham (1867 - 1939) per il “Goblin Market” di Christina Rossetti 22 Anche una celebre Ballata raccolta da William Butler Yeats per il suo “Fiabe Irlandesi” ci mette in guardia nei confronti dei “piccoli ometti”: Lassù sulle cime ventose, Laggiù nelle valli di giunchi, Nessuno osa andare a cacciare Per tema dei piccoli ometti. Buona gente, piccola gente, Che si raccoglie a frotte, Verde la giacca, rosso il berretto, E bianca la penna del gufo! 22 Raccolta di poesie dell’autrice italo-britannica Christina Rossetti, composto nel 1859 e pubblicato nel 1862. © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Lungo le spiagge rocciose Alcuni hanno posto dimora, Per cibo frittelle croccanti Di gialla schiuma del mare; Alcuni in mezzo alle canne Dei neri laghi fra i monti, Ranocchi per cani da guardia Tutta la notte a vegliare. In vetta all'alta collina Il vecchio re sta seduto; E' vecchio oramai ed è grigio, Lo spirito arguto ha smarrito. Su un ponte di pallida nebbia Columbkill attraversa, Nei suoi nobili viaggi Da Slieveleague a Rosses; O sale fra magici suoni In fredde nottate di stelle, La regina l'attende alla mensa Delle luci allegre del Nord. Per sette lunghi anni han rapito La piccola Bridget, e quando Alla valle essa fece ritorno Gli amici eran tutti partiti. Leggeri, essi l'han riportata nei monti, Fra l'oscurità e il chiarore dell'alba: Credevano stesse dormendo, Ma per il dolore era morta. Da allora essi l'han custodita Là, nel profondo del lago, Su un letto di foglie di iris, In attesa che si risvegliasse. Sulle scoscese colline Fra spoglie distese di torba, Il biancospino han cresciuto, Per rallegrare lo sguardo. E se dispettoso qualcuno Osasse estirpare gli arbusti, Ne avrebbe le spine pungenti Nel proprio letto la notte. Lassù sulle cime ventose, Laggiù nelle valli di giunchi, Nessuno osa andare a cacciare Per tema dei piccoli ometti. Buona gente, piccola gente, Che si raccoglie a frotte, Verde la giacca, rosso il berretto, E bianca la penna del gufo! 23 23 Fiabe Irlandesi, a cura di William Butler Yeats, Einaudi Edizioni, 1981, cap. “Le Ballate: I Folletti”, pp. 263-264 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 “Fairy Queen” (dettaglio) da un dipinto di Edmund Dulac (1882-1953) Da qui si deduce quanto sia importante mantenere una sorta di “silenzio” su tutto ciò che concerne le questioni della “piccola gente” e di quanto sia difficile guadagnarsi informazioni di prima mano sulle questioni che li riguardano: “Va tuttavia tenuto presente che se siete straniero non sentirete tanto facilmente raccontare leggende di spiriti e di folletti, perfino in un villaggio dell'ovest. Dovete mettervi al lavoro con abilità e fare amicizia coi bambini e coi vecchi, con coloro che non hanno sperimentato le preoccupazioni della normale vita quotidiana e coloro nei quali si fanno meno urgenti e ai quali verranno tolte del tutto uno di questi giorni. Le vecchie sono quelle che ne sanno di più, ma non sarà tanto facile indurle a parlare, perché i folletti sono molto riservati e si irritano terribilmente se si parla di loro; non ci sono forse parecchie storie di vecchie che sono state tormentate fin quasi alla tomba o paralizzate da soffi fatati? In mare, quando le reti sono gettate e le pipe sono accese, qualche vecchio, geloso custode di racconti, si farà loquace, e narrerà le sue storie al cigolare delle barche. Anche le sante notti di vigilia sono un momento propizio, e, in passato, si potevano udire molti racconti durante le veglie funebri” 24 24 William Butler Yeats, dalla prima Introduzione (1888) al suo “Fiabe Irlandesi”, Einaudi Edizioni, 1981 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Illustrazione di John Anster Christian Fitzgerald (1819 – 1906) A ben guardare, in ogni caso, non è che le Fate, i Folletti e le altre Creature dell’oltremondo abbiano tutti i torti, visti i roghi dai quali nei secoli han dovuto difendersi: “Prima c’erano le fate: poi è arrivato il Concilio di Trento e le hanno bruciate tutte” “Quando ancora si poteva parlare coi morti, prima del Concilio di Trento…” 25 Tornando solo per un attimo alla letteratura, la dinamica delle maledizioni lanciate dal “Pastore” nel bellissimo “La Figlia del re degli Elfi” di Lord Dunsany mi ha subito ricordato quanto avevo letto sul Concilio di Trento, in special modo quanto riportato nei racconti della tradizione popolare: “Siano maledette tutte le creature vaganti che non sono di questa terra. Siano maledette tutte le creature che abitano le paludi e i pantani. Tornino nel profondo delle paludi e ci restino fino al giorno del Giudizio. Ci rimangano, in attesa della dannazione eterna. Maledetti gli gnomi, i nani, i folletti, , gli Elfi della Terra e gli spiriti delle acque. Maledetto Pan con tutti suoi fauni e tutto ciò che vive nella brughiera e che non è né animale né uomo. Maledette le fate e tutte le favole che si raccontano di loro, e chiunque compie incantesimi nei prati, prima del sorgere del sole e tutte le storie di dubbia autorità e le leggende che provengono dai lontani tempi pagani. Maledette le scope, sulle quali volano, al di sopra della brughiera, le streghe. Maledette le streghe e tutte le stregonerie. Maledette le ridde dei funghi velenosi e chiunque danza con essi. E tutte le luci strane, i canti strani, le ombre e i rumori che provengono da essi e tutte le cose indistinte del crepuscolo e quelle che spaventano i bambini; le fattucchiere e gli Due “modi di dire” riferiti da Roberto Leydi al Convegno internazionale di canto popolare tenutosi in Valle Strona (NO) nel giugno del 1994, cit. in: “Caccia alle streghe in Italia tra XIV e XVII sec.”, Edizioni Praxis3, 2007. 25 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 incantesimi delle notti di mezza estate. Tutto ciò sia maledetto, insieme a chi guarda a Elfi e desidera andarci" 26 L’accanimento feroce nei confronti degli incorporei, delle fate, degli spiriti, dei fuochi fatui e dei folletti mi ha sempre lasciata molto perplessa. Il “Pastore” del testo di Lord Dunsany che maledice il “mondo dei sogni”, le creature dell’oltremondo e tutti quegli esseri che Hillman nel suo illuminante ‘Codice dell’Anima’ chiama “invisibili”, mi ricorda tanto il Conclave del Concilio di Trento mentre implacabile si arroga il diritto di seppellire, contorcere, torturare e bruciare tutto il patrimonio numinoso. Ci riusciranno bene quasi ovunque, purtroppo, e laddove invece l’impresa si rivelerà difficile (nemmeno il “rogo” talvolta può cancellate l’amore per “gli spiriti” e le fate) caleranno il pesante ammantato sincretismo della croce e dell’acqua santa. E così, come ben dice Hillman27, gli “invisibili” hanno dovuto contorcersi in forme mostruose nel tentativo di entrare (rimanere?) a far parte della nostra più profonda essenza. Le maledizioni del “Pastore” nei confronti di Elfi non hanno sortito a quanto pare l’effetto sperato se non quello di generare attorno a “persone vuote” (e schiave!) un grande freddo, una “mostruosa” (quella sì!) solitudine. E la stessa cosa si può dire del Concilio di Trento. Ma la “schiavitù” non è arrivata per tutti e non è arrivata dappertutto, qualcosa si è salvato, custodito nello scrigno di certe pagine della letteratura ‘di genere’ (magra ma insostituibile consolazione): “Su tutti i sentieri del villaggio, in tutti i granai, stavano riddando i fuochi fatui: la notte era tutta trapunta di quelle fiammelle. Però quando il Pastore parlò, si allontanarono dalle sue maledizioni, fluttuando lontano, come se la loro luce aumentasse e continuarono la loro danza un po' più discosto. Ecco ciò che successe davanti, dietro e ai fianchi dell'Uomo di Dio, ritto sul gradino più alto della sua chiesa: si disegnò un cerchio di tenebre attorno a lui, e al di là di quel cerchio continuarono a risplendere i fuochi fatui delle paludi di Elfi. E come il cerchio di tenebre, al centro del quale il Pastore lanciava i suoi anatemi, era sgombro da presenze aliene, così le case degli uomini erano tranquille, senza nulla che provenisse dalla notte, non un suono di voci sconosciute, non una nota di musica arcana, non un rumore all'infuori di quelli consueti, che accompagnano la vita umana. Però, all'esterno di quel cerchio, dal quale erano stati espulsi dalla bruciante veemenza delle maledizioni del pastore, i fuochi fatui facevano gazzarra insieme a una valanga di altre stranezze che si erano rovesciate da Elfi, in quella notte, e i fantasmi fecero festa. Infatti le maledizioni erano giunte in Elfi, mentre tutte quelle creature, ora così festanti, avevano già la loro dimora in Erl, perché la maggior parte degli esseri favolosi, dei mostri del mito aveva oltrepassato la frontiera del crepuscolo, per venire a visitare Erl. E le fiammelle inconsistenti, ma amichevoli, dei fuochi fatui, danzavano nell'aria infestata di fantasmi, dando loro il benvenuto. Nella calma e nel buio prodotti dalle maledizioni dell'Uomo di Dio, i dodici vecchi si fermarono in silenzio ad ascoltare ogni parola. Parole che per loro sembravano buone, giuste e di buon augurio, perché erano arcistufi della magìa. E, al di là di quel cerchio buio, in mezzo alla ridda delle fiammelle dei fuochi fatui che riempivano la notte, fra i cachinni dei fantasmi e lo sfrenato baillame dei folletti, dove le vecchie leggende sembravano rivivere e le favole più paurose tradursi in realtà, in mezzo a tutta la specie di misteri, di suoni, sagome e ombre bizzarre passò Orione, con la muta dei cani, diretto a oriente" 28. Lord Dunsany, La Figlia del Re degli Elfi, Edizioni Terra di Mezzo, 2004, pp. 280-281. James Hillman, Il Codice dell'Anima, Adelphi Edizioni, 2008, p.143 28 Lord Dunsany, op. cit., pp. 282-283 26 27 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Ancora sul Concilio di Trento, è utile riportare le seguenti testimonianze popolari: “Tempo fa, di sera, dopo l’Ave Maria gli uomini non potevano più uscire: e allora nelle case c’era la scala che andava in stalla senza passare di fuori perché fuori c’erano gli spiriti maligni. Di notte giravano le streghe e la mattina per le strade si trovavano le mele con i capelli ed erano avvelenate di stregoneria e chi le mangiava restava malefiziato. Avevano addosso come il diavolo. Ma poi sono stati confinati gli spiriti maligni: ci sono stati tanti vescovi e cardinali al Concilio di Trento e li hanno confinati sul Monte Baldo e potranno venire giù solo quando essi saranno capaci di fare un mazzo di sabbia legato con la corda e un cesto d’acqua. Allora finirà il confino. I “malghesi” dicevano che anche a stare a “Pian del Bene” vedevano i “lusurì” (lucignoli) là sulle rocce del Monte Baldo: ma si vede che adesso anche quelli lì sono andati smarriti. Dopo non si è più sentito parlare di queste cose. I “Mattie” hanno ancora il quadro che ricorda il Concilio di Trento. Quanti vescovi!” 29 “Mia nonna me la raccontava tante volte (questa storia), dice che vedevano dal cimitero scendere un pallone di fuoco che andava a finire lì dove era sotterrata questa maschera, ed è andata avanti tanti anni a quel modo, e tutto è stato fatto sparire dopo il Concilio di Trento, quando è accaduto che hanno fatto sparire gli spiriti” 30 Nella tradizione italiana (forse più che altrove) si nota spesso l’accostamento tra la figura della fata e quella della strega, questo sia per via del gran lavoro di “diabolizzazione” (mi si passi il termine!) operato dagli apparati inquisitori sia perché, come nel caso delle Janas in Sardegna, molto forte è rimasta l’originaria connotazione ambivalente di una stessa figura: “Le Janas sono le fate del mondo fantastico sardo. Eccetto che per alcune regioni dove mantiene il suo aspetto vampirico, la jana ha comportamenti tipici della sfera fatata. Solitamente vengono descritte come di piccole proporzioni, vestite di rosso vivo, con il capo coperto da un variopinto fazzoletto, ricamato con fili d'oro e d'argento. Al collo portano grandi collane d'oro lavorato a filigrana. Si dice che siano di una bellezza abbagliante, con una pelle delicatissima. Di giorno non escono mai, il sole, per quanto pallido, le scotterebbe facendole morire. Abitano in piccole grotte sui costoni delle alture sarde; le case delle fate sono conosciute come domus de janas, dentro ogni cosa e a misura di jana: il mobilio, le suppellettili, tutto. La loro vita trascorre in gran parte a filare il lino, a tessere, ovviamente su telai d'oro, e a cucire stoffe preziose che trapuntano con fili d'oro e d'argento. Di notte, quando è luna piena, stendono i panni sui prati ad asciugare. Alcuni dicono che tramite i veli stesi alla luce della luna, incantassero di meraviglia il viandante che veniva quindi rapito da servili nani crudeli. Queste leggende ricordano da vicino quelle più nordiche del Cerchio delle fate o delle grotte fatate. A Cabras, quando c'era la luna, scendevano dalle montagne a chiedere il lievito per fare il pane. Era l'unico modo per far lievitare il loro pane perché si dice che il lievito che vede la luna, e quello delle janas lo vedeva, non può lievitare. La notte scendono nelle case degli uomini, si accostano alle culle e a volte cambiano l'intensità della loro luce. In tal modo stabiliscono il destino del bambino, nessuno sa come 29 Da: “Brescia e il suo territorio, Il Mondo popolare in Lombardia”, di Roberto Leydi e Bruno Pianta, cit. in: Racconti e leggende popolari della Lombardia, di Lidia Beduschi, Edizioni Newton & Compton, collana “Tradizioni italiane Newton”, 2004. p.184 30 Lidia Beduschi, Racconti e leggende popolari della Lombardia, Edizioni Newton & Compton, collana “Tradizioni italiane Newton”, 2004, p.187 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 decidano se un bambino sarà fortunato o meno, ma e certo che lo facciano. Ancora oggi quando si incontra una persona fortunata si dice che è bene fadada, di quella sfortunata, invece, si mormora che è sicuramente mala fadada. Le janas in qualche paese sono piu cattive e dispettose e i paesani le chiamano mala janas. Le mala janas (a dirlo veloce si corre il rischio di pronunciare margiana) sono crudeli, ma qualcuno le confonde con i margiani e le janas e muru o e mele (fate del muro e del miele) ovvero le volpi e le donnole. A volte abitano anche i nuraghi e in questi casi non sono minute ma anzi gigantesse dagli enormi seni. In alcuni paesi hanno quindi caratteristiche negative, come a Tonàra, Isilli e Asùni, dove vivono in caverne, rapiscono i bambini e hanno una regina, Sa Jana Maìsta, che assale gli uomini che passano vicino alla sua grotta per succhiargli il sangue e poi rinchiudersi nella caverna e partorire dei figli” 31. E ancora, spostandoci in Romagna : “Nella tradizione romagnola fata, maga e strega sono spesso sinonimi. Fêlda, Mêga, Striga compiono le stesse azioni di infaldér, di attirare nel loro mondo incantato. Si tende comunque ad identificare la fata del focolare come Fata buona mentre nella figura della Fata cattiva confluiscono gli aspetti di maga e strega. Lo stesso dualismo tra morti buoni e cattivi. La Fata nella tradizione romagnola ha evidenti caratteri manistici: gode del rispetto timoroso riservato ai morti ed è di natura vendicativa. Ella si offende quando le viene mancato di rispetto o si sente trascurata; a lei viene fatta l’offerta del pane, tipico omaggio ai defunti. (…) Nella figura della Fata confluiscono quindi deità silvestri e domestiche e la figura dell’Antenato…” 32 Ma non solo nella tradizione romagnola la figura della fata-strega assume la valenza della protettrice del focolare, stessa cosa la ritroviamo anche nelle caratteristiche della protagonista del racconto popolare trentino “L’Ongana del larin”, nonostante si insista particolarmente sull’aspetto fisico sgradevole della “selvatica”: “Lei era un’ongana brutta e selvatica, tornava a cacciarsi in fretta sotto il “larin”, ma lasciava il pranzo pronto e la cucina pulita, raccomandava alla bambina più grande di dire al padre che era stata lei stessa a farla” 33 Dalle Alpi al mare, trasferendoci in Sicilia ritroviamo la stessa ambivalenza e anche qui diventa molto difficile riuscire a scindere le componenti “fatate” da quelle “stregonesche” insite nella tradizione delle donni di fuora che tutti – studiosi di folklore in primis – definiscono un po’ fate e un po’ streghe: “Le donni di fuora, dette pure donni di locu (Sambuca), donni di notti (Caltanissetta, Francofone), donni di casa (Nicosia), donni, Donzelli, Signuri, Belli Signuri, Patroni di casa (Contea di Modica), Patruni du’ locu, Diu l’accrisci, sono esseri soprannaturali, un po’ streghe, un po’ fate, senza potersi discernere in che veramente differiscano le une dalle altre”34 31 La fonte della citazione è il sito Internet: www.contusu.it Eraldo Baldini, Alle radici del folklore romagnolo: origine e significato delle tradizioni e superstizioni, Longo, Ravenna 1986, p.73 33 “L’Ongana del larin”, racconto popolare trentino cit. in: Leggende delle Dolomiti, di Giovanna Zangrandi, Edizioni Nordpress, 2000, p.64. 34 G. Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. IV, p. 163 32 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Ecco che torna dunque, il discorso dell’ambivalenza di queste figure, ben evidenziato da Mircea Eliade nel passo già citato. E’ un vero peccato che nell’immaginario della maggioranza dei nostri bambini tutto ciò si stia molto velocemente perdendo. Forse toccherà a noi fare in modo che la vera essenza delle Fate non si perda. Con questo breve saggio ho provato ad illuminare un aspetto che mi è molto caro in seno “all’universo fatato”, ovvero una parte di quella non trascurabile ombra che accompagna i numi di queste luminose creature. Francesca Maria Sykora ~ nycteanoctua~ [email protected] Thomas Maybank, The Court of Faerie, 1906 © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Bibliografia: Fiabe, di Jacob e Wilhelm Grimm I Racconti di Mamma Oca, di Charles Perrault Le fate dell’ombra, di George MacDonald La Dea Bianca, di Robert Graves Il Codice dell'Anima, di James Hillman Occultismo, stregoneria e mode culturali, di Mircea Eliade Fate, Folletti e Spiriti inquieti, di Jeremiah Curtin Racconti e leggende popolari della Lombardia, di Lidia Beduschi Alle radici del folklore romagnolo: origine e significato delle tradizioni e superstizioni, di Eraldo Baldini Racconti e leggende delle Dolomiti, di Giovanna Zangrandi Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, di G. Pitrè True Irish Ghost Stories, di St. John D. Seymour – Harry L. Neligan Witchcraft and belief in Early Modern Scotland di J. Goodare, L. Martin and J. Miller Leechcraft, Early English Charms, Plantlore and Healing, di Stephen Pollington Lancashire Folk-Lore, John Harland e T.T. Wilkinson, op. cit. in: Fairies. Real Encounters with Little People, di Janet Bord Fiabe Irlandesi, di William Butler Yeats Il crepuscolo celtico, di William Butler Yeats Fate, di Brian Froud e Alan Lee La Figlia del re degli Elfi, di Lord Dunsany © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001 Illustrazione di Elizabeth Shippen Green (1871 – 1954) © 2013 Francesca Maria Sykora DOI: 10.3247/fm13.001