All`ombra delle Fate

Transcript

All`ombra delle Fate
All’ombra delle Fate
© Francesca Maria Sykora
The Fairy Ring (1850), di George Cruikshank (1792 – 1878)
Questo” pensai “dev’essere certo il sentiero che conduce al Paese fatato, che la dama
della scorsa notte mi promise di farmi presto trovare” 1
Non ho ben capito come – e soprattutto quando – sia iniziato lo scempio nei confronti
del popolo fatato. Probabilmente, come spesso succede con le cose d’oggigiorno
immolate sugli altari dell’iperconsumo, è andata proprio nel modo in cui alcuni di noi
s’immaginano: una volta che anche le Fate si sono ritrovate sulle bancarelle degli
Ipermercati ecco che hanno dovuto adeguarsi alle esigenze di questa nostra
luccicante, illusoria e patinata epoca. E così, ci siamo ritrovati a osservare
simpatiche scenette di famiglia dove eleganti fatine, edulcorate per l’occasione,
“glitterate” e avvolte nei drappi di una Barbie “sui generis”, sbarcavano alla corte
delle tristi festicciole di compleanno nei fast-food.
Ma, è ovvio, non è sempre andata così.
1
George MacDonald, Le Fate dell’ombra, Edizioni Rusconi 1990, p.11. Il titolo originale era:
“Phantastes: A Faerie Romance for Men and Women”, pubblicato per la prima volta nel 1858.
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Se analizziamo i tratti della tradizione ferica europea non riscontriamo mai, e in
nessun caso, un approccio blando o, peggio, irrispettoso nei confronti delle Corti
dell’Aristocrazia (è così che in Inghilterra - e in talune zone d’Irlanda - usano
soprannominare le Corti delle Fate). Parlo di quelle “Corti” delle quali era usuale
parlare sottovoce una volta, tempo fa,quando ancora sopravviveva una forma di
riverente attenzione che metteva giustamente in guardia dagli incontri con il popolo
fatato.
“Un giorno d’estate, poco prima del tramonto, mio fratello, mia cugina e io stavamo
raccogliendo mirtilli tra i cespugli sulla scogliera. Ero ancora un bambino. A un tratto
udimmo una musica. Ci affrettammo subito a portarci sul versante opposto delle rocce e
a poche centinaia di metri da noi vedemmo un gruppo di sei o otto creature
dell’aristocrazia [*] che danzavano. Quando ci videro, una donna di bassa statura si
staccò dal gruppo, accorse verso di noi e colpì mia cugina al volto con quello che ci
parve un giunco verde” 2
[*] “aristocrazia” in questo caso è sinonimo della Corte delle Fate.
Come si può notare dal brano succitato, la reazione delle “creature dell’aristocrazia”
si rivela tutt’altro che accogliente nei confronti dei piccoli curiosi intrusi.
In queste poche righe troviamo alcuni elementi importanti di quella che è la
tradizionale scena degli incontri con la “piccola gente”: innanzitutto il racconto si
ambienta al momento del tramonto, ovvero in quel tempo che si pone in limine tra il
fragore del giorno ed il silenzio della notte. Anche la scogliera non è un luogo ben
definito in quanto si tratta di una zona di confine tra il regno della terra, quello
dell’aria e quello dell’acqua. Poi ci sono i bambini (loro malgrado redarguiti per la
troppa curiosità)… molto spesso, insieme con donne e uomini anziani, testimoni degli
incontri con il Piccolo Popolo. Del resto quante volte i racconti dei bambini, così come
quelli delle persone anziane, ci paiono “incredibili”?
E poi, ovviamente, c’è la musica. “Ero ancora un bambino. A un tratto udimmo una
musica…” Ecco, la musica delle Fate! E del resto come può esistere una “Corte” senza
musica? Quella musica che inebria, che attrae, che guida, che incanta. Se avete mai
avuto occasione di ascoltare La Ronde des lutins 3, allora saprete di cosa sto
parlando. E sono soprattutto i violini a far da padroni, in questo caso. Dove ci sono i
Folletti (e le Fate) c'è sempre un violino. Innumerevoli sono le storie, le leggende e
finanche le pagine degli spartiti che parlano delle danze sfrenate dell'Aristocrazia,
accompagnate dal suono di forsennati violini. Una di queste storie è per esempio
quella narrata nel film Darby O’Gill e il Re dei folletti4 : come dimenticare la
forsennata danza dei folletti incantati dall’abile arco di violino di Darby?
2 John Harland & T.T. Wilkinson, Lancashire Folk-Lore, EP Publishing, Yorkshire 1973, p.111.
cit. in: Janet Bord, “Fate, cronaca degli incontri reali con il piccolo popolo”, Edizioni Oscar
Mondadori, 1999, p.42
3 "La Ridda dei folletti, scherzo fantastico per violino con accompagnamento di pianoforte, op.25”,
del musicista Antonio Bazzini (1818 – 1897)
4 Darby O'Gill and the Little People (trad. italiana: Darby O’Gill e il Re dei Folletti)è un film di genere
fantastico del 1959, prodotto da Walt Disney e diretto da Robert Stevenson (con Albert Sharpe,
Sean Connery e Estelle Winwood)
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
“Cinquant'anni fa era una cosa comune ballare ogniqualvolta capitava che si fermasse
un violinista ed in quei giorni si vedevano spesso violinisti in giro..." 5
'The Fairy Orchestra' from 'A Midsummer Night's Dream
(Arthur Rackham, 1867 - 1939)
Folletti e Fate della tradizione europea sono spesso attratti dalle dispettose corde di
violino… ma sono loro, nella maggior parte dei casi, i veri fautori degl’incanti
musicali che accompagnano nel mondo “dell’ombra”. Non dimentichiamo, a tal
proposito, i melodiosi anche se lugubri lamenti della più conosciuta Fata irlandese: la
Banshee, colei che accompagna le anime – tradizionalmente di rango - prossime a
spirare.
5
Dal racconto “Tom Connors e la ragazza morta” in: Jeremiah Curtin, “Fate, folletti e spiriti
inquieti”, Elfi Edizioni, p.59
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
“Di tutte le fate ed i fantasmi irlandesi, la Banshee (talvolta, a seconda delle zone,
chiamata “Bohēēntha” o “Bakēēntha”) possiede un lungo “pedigree” che si perde nella
notte dei tempi. La Banshee più famosa dei tempi passati è quella legata alla casa
reale degli O’Brien, Aibhill e infestò la roccia di Craglea sopra Killaloe, vicino all’antico
palazzo di Kincora. Nel corso dei secoli le modalità di presentarsi da parte della
Banshee sono molto cambiate: oggigiorno si racconta che ella geme e si torce le
mani ma i racconti più antichi narrano della comparsa della Banshee intenta lavare le
teste e gli arti degli esseri umani “predestinati” (alla morte) oppure la si vedeva
sciacquare panni intrisi di sangue e tutto questo aveva luogo solitamente prima di una
battaglia.
Riguardo il suo aspetto personale le descrizioni variano molto: talvolta viene descritta
come una donna giovane e bella mentre altre volte invece assume l’aspetto di una
vecchia megera…” 6
E ancora:
“Come la porta d’ingresso fu chiusa, ecco che sentirono di nuovo i medesimi
funebri lamenti! Dopo, di ora in ora, il malato si aggravò e quando sorsero le prime
luci dell’alba, Mr. Bunworth spirò” 7
“La fatata Banshee irlandese è in realtà una Bean-Sidhe (“donna della collina”): in
quanto sacerdotessa dei defunti di rango, essa emette lamenti profetici quando un
personaggio di sangue reale è prossimo a morire” 8
Bunworth Banshee, Fairy Legends and Traditions of the South of Ireland,
Thomas Crofton Croker, 1825
6
John D. Seymour – Harry L. Neligan, True Irish Ghost Stories, Ed. Dorset Press, 1991, Chap.
VII: “Banshees and other Death-Warnings, p. 198.
7 Thomas Crofton Croker, Racconti di fate e tradizioni irlandesi, cap. “La Banshee di Bunworth”,
Neri Pozza Edizioni, 2002, p.143
8 Robert Graves, La Dea Bianca, Adelphi, 2009, p.117
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Non c’è solo il canto della Banshee tra le “ombrose” musiche fatate, i canti ed i loro
lamenti. Ad esempio, nelle “Fate dell’Ombra” di George MacDonald leggiamo di come
un canto possa risvegliare e attrarre non poche anime inquiete:
“E mentre cantavo, non pareva di essere vicino a una statua, come di fatto mi
appariva, ma che una reale anima femminile si rivelasse per gradi successivi di
materializzazione e quindi di manifestazione ed espressione” 9
Ma torniamo alle ridde delle fate e dei folletti e agl’incanti della musica elfica:
”Le Fate danzano spesso sull’erba in ridde chiamate cerchi delle Fate. Il fascino della
musica elfica può trascinare l’uomo che passi di lì verso il cerchio che, come i baci, il
cibo e le bevande delle Fate, può ridurlo in schiavitù eterna nel loro mondo” 10
A.T.H. Thomas, Il cerchio delle fate, 1880
Nonostante l’irresistibile attrazione che la musica fatata esercita sulla “gente grande”,
occorre notare quanta prudenza venga sempre raccomandata nell’approcciare un cerchio
di danze di queste creature. E qui torno al mio discorso iniziale sull’estrema prudenza (ed
il grande rispetto) da mettere in campo affrontando i discorsi relativi a certi abitanti
dell’oltremondo.
9
George MacDonald, Le Fate dell’ombra, Edizioni Rusconi 1990, p.128
Brian Froud – Alan Lee, Fate, Edizioni BUR, 2005
10
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
L’immagine pubblicata nella pagina precedente è significativa: un uomo rischia di
esser rapito all’interno di un “Cerchio di Fate” mentre un altro (presumibilmente un
amico), lo trattiene per la giacca ma tenendosi rigorosamente fuori dal Cerchio.11
Ecco, in questo caso “l’amico” (o forse un suo doppio?) è la “messa a terra” per
evitare la scossa ferica. Perché, nel corso del deambulare tra i mondi, uno dei due
piedi deve sempre rimanere qui.
Insomma, a quanto pare qualcosa non va se si pensa di “cavarsela” con l’idea delle
fatine squisitamente benevole. Tutte le svariate tradizioni europee, ognuna con i suoi
tratti distintivi e caratteristici, ci raccontano che non è così. Innanzitutto il
soprannome inglese e irlandese,“Aristocrazia”, è emblematico dell’atteggiamento delle
Fate che è come se “si ponessero” su un piano diverso rispetto al nostro,
squisitamente superiore. Inoltre in letteratura non si legge quasi mai di un'attenzione
"disinteressata" delle Fate per gli esseri umani se non per mettere in atto un qualche
tipo di dispetto, per renderli schiavi o “incantarne” perdutamente il cuore e la mente.
“Prendersi gioco di noi”, è questo che tradizionalmente viene raccontato come il
passatempo preferito delle Fate. E se consideriamo che esse sono uno specchio della
nostra “ombra” istintiva, infantile e forse “dimenticata” ecco che occorre esser pronti
all’idea di saper accettare i loro giochi, i loro scherzi. Pena – talvolta – la morte.
“Penserebbero – aggiunse – che tu voglia prenderti gioco di loro; e tale privilegio spetta
soltanto a loro nei nostri confronti” 12
Le Fate obbligano gli esseri umani a lavorare per loro, a svolgere faccende
domestiche, a danzare all’infinito sulle onde delle loro musiche estenuanti ma
soprattutto ad accompagnare la “Corte” durante i suoi viaggi notturni, nelle
frenetiche ridde del loro “Gioco”. Talvolta possono anche ricambiare i servigi con un
“premio” (la classica pignatta di monete d’oro, per esempio) ma se non si presta la
dovuta attenzione anche quel premio rischia di tramutarsi in qualcosa di pericoloso…
o semplicemente di svanire sotto umani occhi delusi.
Più frequente invece è la richiesta di servigi non retribuiti:
“Chi scrive ha saputo di parecchie persone obbligate, come Billy MacDaniel, a piegarsi
alla compagnia del Buon Popolo: per usare le parole del narratore ‘a seguirli vicino e
lontano, notte e giorno’ – una notte a Londra e la notte dopo in America; e le sole
cavalcature di cui si servivano per questi lunghi viaggi erano gambi di cavolo a forma
di cavalli” 13
Particolare attenzione – per quanto riguarda i rapimenti da parte della “piccola gente”
- occorre prestare nei confronti delle coppie appena maritate e dei bambini in fasce. A
tal proposito William Butler Yeats ci racconta nel suo “Crepuscolo celtico” di una
11
Indizi della presenza di cerchi fatati sono, nella tradizione, quelle composizioni circolari formate
dai funghi denominati “Marasmius Oreades” che assai di frequente nella letteratura “di genere”
sono associati alle danze delle Fate: “Marasmius Oreades segna i confini dei luoghi in cui le fate
prediligono ballare. La scienza moderna ha dimostrato che spesso questi cerchi sono antichissimi:
alcuni hanno più di seicento anni". Anche se è giusto specificare che: "Il fungo che più viene
associato alle Fate è il rosso Ovolo malefico (Amanita Muscaria), che ha proprietà tossiche e
allucinogene. I vichinghi mangiavano questo fungo magico per scatenare la loro furia combattiva,
nota come Bersek" (cit. Brian Froud – Alan Lee, Fate, Edizioni BUR, 2005)
12
George MacDonald, Le Fate dell’ombra, Edizioni Rusconi 1990, p. 21
13
Thomas Crofton Croker, Racconti di fate e tradizioni irlandesi, Neri Pozza Edizioni, 2002, p.121
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
particolare figura presente in Irlanda (quantomeno nell’Irlanda dei tempi di Yeats): i
“dottori dei folletti” (“senz’altro per i loro occhi e orecchie esercitati i campi sono coperti
di cavalieri dal berretto rosso, e l’aria echeggia tutta di voci stridule – un suono tra il
sibilo e il fischio”). Si tratta di persone dotate di un particolare dono di veggenza, i
quali usano vigilare sull’uscio delle case nelle notti più “critiche”, ovvero quelle dove il
Piccolo Popolo appare più inquieto:
“Qualora ci sia nei dintorni un neonato o una sposina, i ‘dottori’ scruteranno con
maggior cura del solito, perché la truppa ultraterrena non sempre se ne torna a mani
vuote. Certe volte una sposina o un neonato vanno con loro dentro le montagne; la
porta si richiude alle loro spalle, e da quel momento in poi la sposina e il neonato
muovono i primi passi nell’esangue contrada del Regno fatato”14
Opera di Arthur Rackham (1867 - 1939)
14
William Butler Yeats, Il crepuscolo celtico, Edizioni SE 2001, p. 74
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Ma di questo lato dispettoso e “feroce” dell’Aristocrazia non troviamo riscontro solo in
letteratura. Mircea Eliade, antropologo e studioso di storia delle religioni scrive (a
proposito delle credenze che si riferiscono alla ‘Diana rumena’):
“Ora, le zîne – le fate che rivelano nel loro stesso nome la discendenza da Diana –
hanno un carattere piuttosto ambivalente. Possono essere, anzitutto, crudeli; tanto che
è meglio non pronunciarne il nome: si allude a loro dicendo “le sante”, “munifiche”,
“Rosalia”, o semplicemente “quelle” (iele). Pur essendo immortali, le fate hanno
l’aspetto di belle fanciulle affascinanti e gaie; portano bianche vesti, hanno il petto
nudo e durante il giorno sono invisibili. Munite di ali, sono solite volare, specialmente di
notte. Amano danzare e cantare, e nei campi sui quali hanno danzato, l’erba pare
bruciata dal fuoco. Chi le ha viste danzare o non ha rispettato certi divieti, viene colpito
da malattia. Tra i morbi provocati dalle fate, i più comuni sono le afflizioni psichiche, i
reumatismi, l’emiplegia, l’epilessia, il colera e la peste” 15
"Flower Fairies", di Pinckney Marcius-Simons (1865-1909)
15
Mircea Eliade, Occultismo, stregoneria e mode culturali, Biblioteca Universale Sansoni, 1990,
p.90
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Perché insisto così tanto sulla prudenza necessaria nell'avvicinarsi alle Corti fatate?
Perché così ci raccontano le fonti storiche e letterarie (leggende, tradizioni popolari
ma anche studi accademici indubbiamente autorevoli). E allora mi fanno alquanto
sorridere tutti coloro che s'affidano o che affidano i loro cari alla "protezione delle
Fate".
Le Fate siamo noi... la nostra arte di saper cercare a tentoni nel buio il nostro
Daimon ed i nostri talenti (Il progressivo venir meno del nostro interesse verso le cose
che la coscienza razionale chiama magiche, mistiche e mitiche ha fatto sì che tutti i
corpi immaginali finissero per fondersi in modo indiscriminato nel mostruoso. I nostri
corridoi sono così angusti e così bassi, che gli Invisibili devono contorcersi in forme
mostruose per passare al di qua” 16).
Occorre cautela, le Fate sono i segni iniziatici che conducono nell'ombra, forse alla
scoperta di qualche aspetto di noi stessi che non conosciamo, oppure alla ri-scoperta
di qualcosa di noi che abbiamo dimenticato, e questo avviene anche nelle fiabe dove
paiono avere un carattere più mitigato, penso ai cartoni animati di Walt Disney, per
esempio (sì, lo so che i complottisti di tutto il mondo lo considerano un "occultista",
massone, pansessualista, spia della CIA, filonazista, filocomunista, filosatanista...).
Dicevo che persino le Fate dei cartoni Disney (ripresi dai racconti classici della
tradizione europea) non sono "facili": la Fata-madrina di Cenerentola accorda sì
alcuni doni, ma è molto severa sugli orari da rispettare (nessuna Tradizione iniziatica
contempla l'Illuminazione senza la "fatica") e - a parte quel momento - non interviene
mai più per aiutare la sua protetta... così le tre Fate (Flora, Fauna e Serena) di
Rosaspina nulla possono - o forse nulla vogliono? - contro l'iniziatica "strega" (che
nella versione dei fratelli Grimm è la "Tredicesima Fata" mentre nella versione di
Charles Perrault è la vecchia “fata della torre” 17). Perché - da tradizione - il più delle
volte sono le Fate stesse a condurre nell'ombra (eloquente a tal proposito il titolo del
già citato piccolo capolavoro di George MacDonald: "Le Fate dell'Ombra").
Illustrazione di Thomas Maybank (1869 – 1929)
16
Cit. da: James Hillman, Il Codice dell'Anima, Adelphi Edizioni, 2008, p.143
Mi riferisco alla fiaba “La Bella Addormentata nel bosco”. Charles Perrault nacque a Parigi nel
1628, ricoprì alcuni incarichi pubblici presso la corte del Re Sole e partecipò attivamente alla vita
culturale del suo tempo. La sua fama è legata alla raccolta di fiabe “I Racconti di Mamma Oca”.
Morì nel 1703.
17
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Assai numerosi sono poi gli espedienti contro eventuali attacchi della “piccola gente”.
Questo a riprova del fatto che non sempre (anzi, direi raramente) gli approcci tra una
realtà e l’altra possono essere accolti nell’alveo di un’improbabile scontata amicizia.
Nella fotografia che segue, per esempio, possiamo vedere un amuleto denominato
“Freccia di Elfo”, portafortuna scozzese18 composto da una punta di freccia neolitica
montata come pendaglio su una catena da orologio e intrecciata con crine di cavallo
(acquistata nell’anno 2000 dal National Museum of Scotland).
Amuleto denominato “Freccia di Elfo”
19
“Esistono incantesimi specifici per contrastare questo tipo di attacchi o comunque in
generale per “incantare” le armi, ad esempio nella saga del Poema epico ‘Beowulf’ se
ne ritrova traccia nella citazione di un incanto che Grendel avrebbe operato sulle sue
armi:“… none of the battle-blades would bite since he had charmed the weapons of
victory, each of the edges…” 20
18
L’amuleto in oggetto si inserisce perfettamente nel discorso che si basa sull’aforisma ippocratico
"similia similibus curantur" che significa "il simile cura il simile” (ripreso e fatto proprio anche
successivamente dalla cosiddetta ‘“medicina magica”). In questo caso, indossando un amuleto
“dedicato” al “nemico”, se ne assume la forza e lo si carica di virtù protettiva.
19 Fotografia tratta da: “Witchcraft and belief in Early Modern Scotland”, di J. Goodare, L. Martin
and J. Miller, Ed. Palgrave MacMillan, 2008, p. 232
20 Stephen Pollington, Leechcraft, Early English Charms, Plantlore and Healing, Anglo-Saxons
Books, 2011, p.454
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Nell'immagine riportata qui sotto (illustrazione dal manoscritto “Utrecht Psalter”
(British Library, MS Harley 603, fol.22r), un gruppo di creature alate attacca un
uomo con dardi di frecce 21.
Se dunque ci atteniamo alle originarie fonti della tradizione, vediamo bene come
risulta impossibile “rabbonire” la figura delle creature del Piccolo Popolo. Essi, in
quanto garanti di un mondo non accessibile ai più e in onore della loro funzione
iniziatica (caratteristica quest’ultima comunque non sempre presente), pongono in
atto ogni possibile stratagemma per difendere quei confini che la mente umana non
allenata ha “ristretto” sempre più nell’alveo del “mostruoso” oppure ha cercato di
ammansire creando grottesche imitazioni delle antiche Regine delle Fate (si vedano le
orribili moderne e improponibili Barbie-fatate).
21
Immagine è tratta dal già citato: Leechcraft, Early English Charms, Plantlore and Healing, di
Stephen Pollington, Anglo-Saxons Books, 2011
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Illustrazione di Arthur Rackham (1867 - 1939)
per il “Goblin Market” di Christina Rossetti 22
Anche una celebre Ballata raccolta da William Butler Yeats per il suo “Fiabe
Irlandesi” ci mette in guardia nei confronti dei “piccoli ometti”:
Lassù sulle cime ventose,
Laggiù nelle valli di giunchi,
Nessuno osa andare a cacciare
Per tema dei piccoli ometti.
Buona gente, piccola gente,
Che si raccoglie a frotte,
Verde la giacca, rosso il berretto,
E bianca la penna del gufo!
22
Raccolta di poesie dell’autrice italo-britannica Christina Rossetti, composto nel 1859 e
pubblicato nel 1862.
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Lungo le spiagge rocciose
Alcuni hanno posto dimora,
Per cibo frittelle croccanti
Di gialla schiuma del mare;
Alcuni in mezzo alle canne
Dei neri laghi fra i monti,
Ranocchi per cani da guardia
Tutta la notte a vegliare.
In vetta all'alta collina
Il vecchio re sta seduto;
E' vecchio oramai ed è grigio,
Lo spirito arguto ha smarrito.
Su un ponte di pallida nebbia
Columbkill attraversa,
Nei suoi nobili viaggi
Da Slieveleague a Rosses;
O sale fra magici suoni
In fredde nottate di stelle,
La regina l'attende alla mensa
Delle luci allegre del Nord.
Per sette lunghi anni han rapito
La piccola Bridget, e quando
Alla valle essa fece ritorno
Gli amici eran tutti partiti.
Leggeri, essi l'han riportata nei monti,
Fra l'oscurità e il chiarore dell'alba:
Credevano stesse dormendo,
Ma per il dolore era morta.
Da allora essi l'han custodita
Là, nel profondo del lago,
Su un letto di foglie di iris,
In attesa che si risvegliasse.
Sulle scoscese colline
Fra spoglie distese di torba,
Il biancospino han cresciuto,
Per rallegrare lo sguardo.
E se dispettoso qualcuno
Osasse estirpare gli arbusti,
Ne avrebbe le spine pungenti
Nel proprio letto la notte.
Lassù sulle cime ventose,
Laggiù nelle valli di giunchi,
Nessuno osa andare a cacciare
Per tema dei piccoli ometti.
Buona gente, piccola gente,
Che si raccoglie a frotte,
Verde la giacca, rosso il berretto,
E bianca la penna del gufo! 23
23
Fiabe Irlandesi, a cura di William Butler Yeats, Einaudi Edizioni, 1981, cap. “Le Ballate: I
Folletti”, pp. 263-264
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
“Fairy Queen” (dettaglio) da un dipinto di Edmund Dulac (1882-1953)
Da qui si deduce quanto sia importante mantenere una sorta di “silenzio” su tutto ciò
che concerne le questioni della “piccola gente” e di quanto sia difficile guadagnarsi
informazioni di prima mano sulle questioni che li riguardano:
“Va tuttavia tenuto presente che se siete straniero non sentirete tanto facilmente
raccontare leggende di spiriti e di folletti, perfino in un villaggio dell'ovest. Dovete
mettervi al lavoro con abilità e fare amicizia coi bambini e coi vecchi, con coloro che non
hanno sperimentato le preoccupazioni della normale vita quotidiana e coloro nei quali si
fanno meno urgenti e ai quali verranno tolte del tutto uno di questi giorni. Le vecchie
sono quelle che ne sanno di più, ma non sarà tanto facile indurle a parlare, perché i
folletti sono molto riservati e si irritano terribilmente se si parla di loro; non ci sono
forse parecchie storie di vecchie che sono state tormentate fin quasi alla tomba o
paralizzate da soffi fatati? In mare, quando le reti sono gettate e le pipe sono accese,
qualche vecchio, geloso custode di racconti, si farà loquace, e narrerà le sue storie al
cigolare delle barche. Anche le sante notti di vigilia sono un momento propizio, e, in
passato, si potevano udire molti racconti durante le veglie funebri” 24
24
William Butler Yeats, dalla prima Introduzione (1888) al suo “Fiabe Irlandesi”, Einaudi
Edizioni, 1981
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Illustrazione di John Anster Christian Fitzgerald (1819 – 1906)
A ben guardare, in ogni caso, non è che le Fate, i Folletti e le altre Creature
dell’oltremondo abbiano tutti i torti, visti i roghi dai quali nei secoli han dovuto
difendersi:
“Prima c’erano le fate: poi è arrivato il Concilio di Trento e le hanno bruciate tutte”
“Quando ancora si poteva parlare coi morti, prima del Concilio di Trento…” 25
Tornando solo per un attimo alla letteratura, la dinamica delle maledizioni lanciate
dal “Pastore” nel bellissimo “La Figlia del re degli Elfi” di Lord Dunsany mi ha subito
ricordato quanto avevo letto sul Concilio di Trento, in special modo quanto riportato
nei racconti della tradizione popolare:
“Siano maledette tutte le creature vaganti che non sono di questa terra. Siano
maledette tutte le creature che abitano le paludi e i pantani. Tornino nel profondo delle
paludi e ci restino fino al giorno del Giudizio. Ci rimangano, in attesa della dannazione
eterna. Maledetti gli gnomi, i nani, i folletti, , gli Elfi della Terra e gli spiriti delle acque.
Maledetto Pan con tutti suoi fauni e tutto ciò che vive nella brughiera e che non è né
animale né uomo. Maledette le fate e tutte le favole che si raccontano di loro, e
chiunque compie incantesimi nei prati, prima del sorgere del sole e tutte le storie di
dubbia autorità e le leggende che provengono dai lontani tempi pagani. Maledette le
scope, sulle quali volano, al di sopra della brughiera, le streghe. Maledette le streghe e
tutte le stregonerie. Maledette le ridde dei funghi velenosi e chiunque danza con essi. E
tutte le luci strane, i canti strani, le ombre e i rumori che provengono da essi e tutte le
cose indistinte del crepuscolo e quelle che spaventano i bambini; le fattucchiere e gli
Due “modi di dire” riferiti da Roberto Leydi al Convegno internazionale di canto popolare
tenutosi in Valle Strona (NO) nel giugno del 1994, cit. in: “Caccia alle streghe in Italia tra XIV e
XVII sec.”, Edizioni Praxis3, 2007.
25
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
incantesimi delle notti di mezza estate. Tutto ciò sia maledetto, insieme a chi guarda a
Elfi e desidera andarci" 26
L’accanimento feroce nei confronti degli incorporei, delle fate, degli spiriti, dei fuochi
fatui e dei folletti mi ha sempre lasciata molto perplessa. Il “Pastore” del testo di Lord
Dunsany che maledice il “mondo dei sogni”, le creature dell’oltremondo e tutti quegli
esseri che Hillman nel suo illuminante ‘Codice dell’Anima’ chiama “invisibili”, mi
ricorda tanto il Conclave del Concilio di Trento mentre implacabile si arroga il diritto
di seppellire, contorcere, torturare e bruciare tutto il patrimonio numinoso. Ci
riusciranno bene quasi ovunque, purtroppo, e laddove invece l’impresa si rivelerà
difficile (nemmeno il “rogo” talvolta può cancellate l’amore per “gli spiriti” e le fate)
caleranno il pesante ammantato sincretismo della croce e dell’acqua santa. E così,
come ben dice Hillman27, gli “invisibili” hanno dovuto contorcersi in forme mostruose
nel tentativo di entrare (rimanere?) a far parte della nostra più profonda essenza. Le
maledizioni del “Pastore” nei confronti di Elfi non hanno sortito a quanto pare l’effetto
sperato se non quello di generare attorno a “persone vuote” (e schiave!) un grande
freddo, una “mostruosa” (quella sì!) solitudine. E la stessa cosa si può dire del
Concilio di Trento.
Ma la “schiavitù” non è arrivata per tutti e non è arrivata dappertutto, qualcosa si è
salvato, custodito nello scrigno di certe pagine della letteratura ‘di genere’ (magra ma
insostituibile consolazione):
“Su tutti i sentieri del villaggio, in tutti i granai, stavano riddando i fuochi fatui: la notte era
tutta trapunta di quelle fiammelle. Però quando il Pastore parlò, si allontanarono dalle sue
maledizioni, fluttuando lontano, come se la loro luce aumentasse e continuarono la loro
danza un po' più discosto. Ecco ciò che successe davanti, dietro e ai fianchi dell'Uomo di
Dio, ritto sul gradino più alto della sua chiesa: si disegnò un cerchio di tenebre attorno a
lui, e al di là di quel cerchio continuarono a risplendere i fuochi fatui delle paludi di Elfi. E
come il cerchio di tenebre, al centro del quale il Pastore lanciava i suoi anatemi, era
sgombro da presenze aliene, così le case degli uomini erano tranquille, senza nulla che
provenisse dalla notte, non un suono di voci sconosciute, non una nota di musica arcana,
non un rumore all'infuori di quelli consueti, che accompagnano la vita umana. Però,
all'esterno di quel cerchio, dal quale erano stati espulsi dalla bruciante veemenza delle
maledizioni del pastore, i fuochi fatui facevano gazzarra insieme a una valanga di altre
stranezze che si erano rovesciate da Elfi, in quella notte, e i fantasmi fecero festa. Infatti le
maledizioni erano giunte in Elfi, mentre tutte quelle creature, ora così festanti, avevano già
la loro dimora in Erl, perché la maggior parte degli esseri favolosi, dei mostri del mito aveva
oltrepassato la frontiera del crepuscolo, per venire a visitare Erl. E le fiammelle
inconsistenti, ma amichevoli, dei fuochi fatui, danzavano nell'aria infestata di fantasmi,
dando loro il benvenuto.
Nella calma e nel buio prodotti dalle maledizioni dell'Uomo di Dio, i dodici vecchi si
fermarono in silenzio ad ascoltare ogni parola. Parole che per loro sembravano buone,
giuste e di buon augurio, perché erano arcistufi della magìa. E, al di là di quel cerchio buio,
in mezzo alla ridda delle fiammelle dei fuochi fatui che riempivano la notte, fra i cachinni
dei fantasmi e lo sfrenato baillame dei folletti, dove le vecchie leggende sembravano
rivivere e le favole più paurose tradursi in realtà, in mezzo a tutta la specie di misteri, di
suoni, sagome e ombre bizzarre passò Orione, con la muta dei cani, diretto a oriente" 28.
Lord Dunsany, La Figlia del Re degli Elfi, Edizioni Terra di Mezzo, 2004, pp. 280-281.
James Hillman, Il Codice dell'Anima, Adelphi Edizioni, 2008, p.143
28
Lord Dunsany, op. cit., pp. 282-283
26
27
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Ancora sul Concilio di Trento, è utile riportare le seguenti testimonianze popolari:
“Tempo fa, di sera, dopo l’Ave Maria gli uomini non potevano più uscire: e allora nelle
case c’era la scala che andava in stalla senza passare di fuori perché fuori c’erano gli
spiriti maligni. Di notte giravano le streghe e la mattina per le strade si trovavano le
mele con i capelli ed erano avvelenate di stregoneria e chi le mangiava restava
malefiziato. Avevano addosso come il diavolo. Ma poi sono stati confinati gli spiriti
maligni: ci sono stati tanti vescovi e cardinali al Concilio di Trento e li hanno confinati
sul Monte Baldo e potranno venire giù solo quando essi saranno capaci di fare un
mazzo di sabbia legato con la corda e un cesto d’acqua. Allora finirà il confino. I
“malghesi” dicevano che anche a stare a “Pian del Bene” vedevano i “lusurì” (lucignoli)
là sulle rocce del Monte Baldo: ma si vede che adesso anche quelli lì sono andati
smarriti. Dopo non si è più sentito parlare di queste cose. I “Mattie” hanno ancora il
quadro che ricorda il Concilio di Trento. Quanti vescovi!” 29
“Mia nonna me la raccontava tante volte (questa storia), dice che vedevano dal cimitero
scendere un pallone di fuoco che andava a finire lì dove era sotterrata questa
maschera, ed è andata avanti tanti anni a quel modo, e tutto è stato fatto sparire dopo
il Concilio di Trento, quando è accaduto che hanno fatto sparire gli spiriti” 30
Nella tradizione italiana (forse più che altrove) si nota spesso l’accostamento tra la
figura della fata e quella della strega, questo sia per via del gran lavoro di
“diabolizzazione” (mi si passi il termine!) operato dagli apparati inquisitori sia perché,
come nel caso delle Janas in Sardegna, molto forte è rimasta l’originaria
connotazione ambivalente di una stessa figura:
“Le Janas sono le fate del mondo fantastico sardo. Eccetto che per alcune regioni dove
mantiene il suo aspetto vampirico, la jana ha comportamenti tipici della sfera fatata.
Solitamente vengono descritte come di piccole proporzioni, vestite di rosso vivo, con il capo
coperto da un variopinto fazzoletto, ricamato con fili d'oro e d'argento. Al collo portano
grandi collane d'oro lavorato a filigrana. Si dice che siano di una bellezza abbagliante, con
una pelle delicatissima.
Di giorno non escono mai, il sole, per quanto pallido, le scotterebbe facendole morire.
Abitano in piccole grotte sui costoni delle alture sarde; le case delle fate sono conosciute
come domus de janas, dentro ogni cosa e a misura di jana: il mobilio, le suppellettili, tutto.
La loro vita trascorre in gran parte a filare il lino, a tessere, ovviamente su telai d'oro, e a
cucire stoffe preziose che trapuntano con fili d'oro e d'argento. Di notte, quando è luna
piena, stendono i panni sui prati ad asciugare. Alcuni dicono che tramite i veli stesi alla
luce della luna, incantassero di meraviglia il viandante che veniva quindi rapito da servili
nani crudeli. Queste leggende ricordano da vicino quelle più nordiche del Cerchio delle fate
o delle grotte fatate. A Cabras, quando c'era la luna, scendevano dalle montagne a
chiedere il lievito per fare il pane. Era l'unico modo per far lievitare il loro pane perché si
dice che il lievito che vede la luna, e quello delle janas lo vedeva, non può lievitare.
La notte scendono nelle case degli uomini, si accostano alle culle e a volte cambiano
l'intensità della loro luce. In tal modo stabiliscono il destino del bambino, nessuno sa come
29
Da: “Brescia e il suo territorio, Il Mondo popolare in Lombardia”, di Roberto Leydi e Bruno
Pianta, cit. in: Racconti e leggende popolari della Lombardia, di Lidia Beduschi, Edizioni Newton &
Compton, collana “Tradizioni italiane Newton”, 2004. p.184
30 Lidia Beduschi, Racconti e leggende popolari della Lombardia, Edizioni Newton & Compton,
collana “Tradizioni italiane Newton”, 2004, p.187
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
decidano se un bambino sarà fortunato o meno, ma e certo che lo facciano.
Ancora oggi quando si incontra una persona fortunata si dice che è bene fadada, di quella
sfortunata, invece, si mormora che è sicuramente mala fadada.
Le janas in qualche paese sono piu cattive e dispettose e i paesani le chiamano mala
janas. Le mala janas (a dirlo veloce si corre il rischio di pronunciare margiana) sono
crudeli, ma qualcuno le confonde con i margiani e le janas e muru o e mele (fate del muro e
del miele) ovvero le volpi e le donnole. A volte abitano anche i nuraghi e in questi casi non
sono minute ma anzi gigantesse dagli enormi seni. In alcuni paesi hanno quindi
caratteristiche negative, come a Tonàra, Isilli e Asùni, dove vivono in caverne, rapiscono i
bambini e hanno una regina, Sa Jana Maìsta, che assale gli uomini che passano vicino alla
sua grotta per succhiargli il sangue e poi rinchiudersi nella caverna e partorire dei figli” 31.
E ancora, spostandoci in Romagna :
“Nella tradizione romagnola fata, maga e strega sono spesso sinonimi. Fêlda, Mêga,
Striga compiono le stesse azioni di infaldér, di attirare nel loro mondo incantato. Si
tende comunque ad identificare la fata del focolare come Fata buona mentre nella
figura della Fata cattiva confluiscono gli aspetti di maga e strega. Lo stesso dualismo
tra morti buoni e cattivi. La Fata nella tradizione romagnola ha evidenti caratteri
manistici: gode del rispetto timoroso riservato ai morti ed è di natura vendicativa. Ella
si offende quando le viene mancato di rispetto o si sente trascurata; a lei viene fatta
l’offerta del pane, tipico omaggio ai defunti. (…) Nella figura della Fata confluiscono
quindi deità silvestri e domestiche e la figura dell’Antenato…” 32
Ma non solo nella tradizione romagnola la figura della fata-strega assume la valenza
della protettrice del focolare, stessa cosa la ritroviamo anche nelle caratteristiche
della protagonista del racconto popolare trentino “L’Ongana del larin”, nonostante si
insista particolarmente sull’aspetto fisico sgradevole della “selvatica”:
“Lei era un’ongana brutta e selvatica, tornava a cacciarsi in fretta sotto il “larin”, ma
lasciava il pranzo pronto e la cucina pulita, raccomandava alla bambina più grande di
dire al padre che era stata lei stessa a farla” 33
Dalle Alpi al mare, trasferendoci in Sicilia ritroviamo la stessa ambivalenza e anche
qui diventa molto difficile riuscire a scindere le componenti “fatate” da quelle
“stregonesche” insite nella tradizione delle donni di fuora che tutti – studiosi di
folklore in primis – definiscono un po’ fate e un po’ streghe:
“Le donni di fuora, dette pure donni di locu (Sambuca), donni di notti (Caltanissetta,
Francofone), donni di casa (Nicosia), donni, Donzelli, Signuri, Belli Signuri, Patroni di casa
(Contea di Modica), Patruni du’ locu, Diu l’accrisci, sono esseri soprannaturali, un po’
streghe, un po’ fate, senza potersi discernere in che veramente differiscano le une dalle
altre”34
31
La fonte della citazione è il sito Internet: www.contusu.it
Eraldo Baldini, Alle radici del folklore romagnolo: origine e significato delle tradizioni e
superstizioni, Longo, Ravenna 1986, p.73
33
“L’Ongana del larin”, racconto popolare trentino cit. in: Leggende delle Dolomiti, di Giovanna
Zangrandi, Edizioni Nordpress, 2000, p.64.
34 G. Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. IV, p. 163
32
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Ecco che torna dunque, il discorso dell’ambivalenza di queste figure, ben evidenziato
da Mircea Eliade nel passo già citato. E’ un vero peccato che nell’immaginario della
maggioranza dei nostri bambini tutto ciò si stia molto velocemente perdendo. Forse
toccherà a noi fare in modo che la vera essenza delle Fate non si perda.
Con questo breve saggio ho provato ad illuminare un aspetto che mi è molto caro in
seno “all’universo fatato”, ovvero una parte di quella non trascurabile ombra che
accompagna i numi di queste luminose creature.
Francesca Maria Sykora
~ nycteanoctua~
[email protected]
Thomas Maybank, The Court of Faerie, 1906
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Bibliografia:
Fiabe, di Jacob e Wilhelm Grimm
I Racconti di Mamma Oca, di Charles Perrault
Le fate dell’ombra, di George MacDonald
La Dea Bianca, di Robert Graves
Il Codice dell'Anima, di James Hillman
Occultismo, stregoneria e mode culturali, di Mircea Eliade
Fate, Folletti e Spiriti inquieti, di Jeremiah Curtin
Racconti e leggende popolari della Lombardia, di Lidia Beduschi
Alle radici del folklore romagnolo: origine e significato delle tradizioni e superstizioni,
di Eraldo Baldini
Racconti e leggende delle Dolomiti, di Giovanna Zangrandi
Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, di G. Pitrè
True Irish Ghost Stories, di St. John D. Seymour – Harry L. Neligan
Witchcraft and belief in Early Modern Scotland di J. Goodare, L. Martin and J. Miller
Leechcraft, Early English Charms, Plantlore and Healing, di Stephen Pollington
Lancashire Folk-Lore, John Harland e T.T. Wilkinson, op. cit. in: Fairies. Real
Encounters with Little People, di Janet Bord
Fiabe Irlandesi, di William Butler Yeats
Il crepuscolo celtico, di William Butler Yeats
Fate, di Brian Froud e Alan Lee
La Figlia del re degli Elfi, di Lord Dunsany
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001
Illustrazione di Elizabeth Shippen Green (1871 – 1954)
© 2013 Francesca Maria Sykora
DOI: 10.3247/fm13.001