(Dicembre 2013) - "Sulla strada di Federico"

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(Dicembre 2013) - "Sulla strada di Federico"
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LA VOCE DEL POPOLO
24 dicembre 2013
Vita di confraternita
Sulla povertà vicenziana
Secondo l’approccio vincenziano,
il povero non rappresenta mai un
bisogno sociale da soddisfare,
una pancia da sfamare, un posto
letto da riempire, braccia cui
consegnare un pacco viveri.
Il povero è e continua a essere
una persona unica e meritevole
di dignità, alla quale va restituito
lo spazio che gli spetta di diritto
nella società e che ha perso
soltanto a causa di condizioni
contingenti e sfavorevoli.
Non basta perciò commiserare e
compiangere chi si trova in
stato di necessità.
Le opere che si mettono in atto
per aiutarlo sono necessarie a
patto che gli permetteranno un
giorno, presto o tardi, di rialzarsi
e di camminare in autonomia,
dopo aver riacquistato fiducia in
sé e negli altri.
Altrimenti il rischio più probabile
è di creare una condizione di
dipendenza anziché di inclusione
sociale. I sostegni materiali sono
necessari ma non sufficienti,
devono essere soltanto il
primo gradino nella marcia di
trasformazione della struttura
comunitaria.
Per Alessandro Floris, vice
presidente nazionale della
Società di San Vincenzo De
Paoli, recarsi dai poveri significa,
prima di tutto, riconoscere la
propria personale povertà, una
condizione di fragilità che ci
unisce e ci rende fratelli, simili
davanti all’amore caritatevole
di Dio. La povertà non va quindi
all’attività di volontariato all’interno
della Conferenza della Cattedrale,
e nel gruppo di anziani del Duomo,
vivendo con i confratelli intensi
momenti di amicizia, condivisione,
preghiera, quasi fossero parte della
sua famiglia naturale, sicuramente
anime della grande famiglia
vincenziana. E anche nella sua
esistenza più intima e privata, ha
sempre seguito i valori della fedeltà,
della devozione e del sacrificio per
il bene della moglie Iolanda e dei
figli Giuseppe, Anna, Gianmaria e
Giacomo. Nel 2002 aveva ricevuto
il “Premio Bulloni”, riconoscimento
che il Comune di Brescia attribuisce
ai cittadini capaci di testimoniare,
con le loro azioni e il loro esempio, i
valori dell’altruismo, dell’accoglienza,
della generosità. Era conosciuto
soprattutto per il profondo legame di
amicizia con i Missionari Saveriani e
per essersi fatto carico delle esigenze
e delle preoccupazioni dei migranti,
sostenendoli nella ricerca di un
lavoro dignitoso, di un’abitazione
decorosa, di assistenza medica e di
rifiutata come una pericolosa
malattia, ma prima di tutto deve
essere abbracciata come essenza
caratterizzante dell’uomo, come
punto di partenza per far fiorire
un nuovo umanesimo cristiano.
E anche la stessa vita di
Conferenza, l’incontro e la
condivisione con i confratelli,
deve prefigurare l’embrione, il
nucleo propulsore dell’amicizia
civile e solidale che oggi più che
mai siamo chiamati a instaurare
nelle nostre relazioni quotidiane.
SOCIETÀ DI SAN VINCENZO DE’ PAOLI
Angelo, non solo di nome
Un amico, un fratello, un padre.
Angelo Tognazzi lo era per molti
e a loro ha dedicato la propria vita
di credente e di vincenziano. Ha
perfettamente incarnato la missione
del laicato promossa da Federico
Ozanam, un servizio responsabile,
quotidiano, per il bene del proprio
quartiere, della propria città, e del
prossimo incontrato per strada.
Percorreva il centro storico in sella
alla sua bicicletta, dispensando
medicine, alimenti e buoni consigli
a coloro che considerava i suoi
unici padroni, gli unici degni di
essere serviti, “i poveri”. Guidato
da una fede profonda e da un
solido senso del dovere, capace di
cogliere i problemi che affliggono
chi è nel bisogno e di cercare
sempre, senza mai abbandonarsi
allo sconforto, soluzioni adeguate,
bussando a innumerevoli porte,
tentando di schiuderle con la sua
tenacia, di spalancarle con la sua
determinazione, sempre ispirato
dall’insegnamento del Vangelo.
Dedicava buona parte del suo tempo
Riflessioni Comune chiamata alla responsabilità
Sulla strada di Federico
DI DAVIDE VITACCA
A
nche oggi ci sono cambiamenti profondi da
operare nella società, e
il credente deve impegnarsi attivamente, non
può temporeggiare, non può delegare ad altri. Anche la politica ha le sue
responsabilità, ma la politica, intesa
come discorso e pratica, la animano
soprattutto i cittadini e perciò essa è
destinata a rimanere, per fortuna, baluardo essenziale della democrazia. E
il credente è chiamato in causa, perché non può più vivere la propria fede
nel silenzio, isolarla nell’ambito privato. Non è richiesto nessun clamore o
protagonismo, alcuna ambizione, e
l’intimo credo di ognuno deve poter
essere custodito nel profondo, tuttavia è indispensabile esprimere senza
timori le proprie idee, la propria visione del mondo, non soltanto rispetto
a come le cose sono, ma soprattutto
a come noi vorremmo che fossero,
anche grazie al nostro contributo. La
politica è scambiata troppo spesso
Anche oggi, così come
nella Francia in cui
è vissuto Federico
Ozanam, ci sono
cambiamenti profondi
da operare
per sinonimo di potere autoritario,
di istituzioni polverose e immutabili pronte a accordarsi per perseguire
i propri interessi. Non bisogna però
dimenticare il senso più denso della
parola e i significati sottesi e le prospettive che può svelare. Si tratta di
saper leggere e affrontare i mutamenti
che attraversano la società, e alla luce della propria fede, che è per forza
intima e personale, sentire l’appello
cristiano alla responsabilità sociale
e all’impegno verso gli ultimi. Questa chiamata si presenta innanzitutto
come sensibilità al bene comune e al
patrimonio umano e ambientale che
ci circonda, ora come non mai minacciato dalla disgregazione delle relazioni, dalla mancanza di prospettive, spogliato di dignità e unicità. La solidarietà nasce da qui, scaturisce da questo
improrogabile invito a farsi carico, nei
limiti delle proprie possibilità e senza
tentazione di eroismo, dei più piccoli
tasselli dell’impalcatura sociale sulla
quale, che si voglia o no, ci reggiamo
tutti quanti. Al credente, e in generale agli uomini di buona volontà, spetta dunque il compito di raccogliere i
cocci sgretolatisi della comunità, di
andare alla ricerca dei frantumi per
ricomporli in un disegno il più possibile armonico, ispirato dal disegno del
Vangelo e da una visione comune che
definisca la direzione da intraprendere, senza lasciare che nessuno, contro la sua volontà, si smarrisca e sia
spazzato via dal vento della sfiducia,
della rassegnazione, dell’abbandono.
Tutti noi volontari, ispirati dalla carità
e testimoni di verità, abbiamo il compito morale di cominciare a costrui-
re, anche politicamente, un nuovo
senso di appartenenza alla famiglia
umana, come un collante sociale che
si impegna a mitigare divisioni, frazionamenti, incomprensioni, non per
convogliarli in un pantano omogeneo
ma per creare un comune terreno di
confronto sui temi della giustizia, dei
diritti, dei doveri, dell’accoglienza e
del rispetto, dal quale nessuno possa
sentirsi escluso. E in un periodo in
cui imperversano le chiamate alle armi, una rivoluzione che sappia partire
dalle coscienze sarebbe sicuramente
la migliore risposta.
La politica è scambiata
troppo spesso
per sinonimo di potere
autoritario, di istituzioni
polverose
e immutabili
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istruzione scolastica, consapevole
dell’indispensabile contributo di
ciascuno all’affermazione e alla tutela
dei diritti universali e del rispetto
dell’integrità della persona. Il giorno
del suo saluto, del suo ultimo viaggio
terreno, erano presenti anche molti
membri della comunità cingalese di
Brescia, quella per cui si era speso di
più, per la quale aveva rappresentato
un faro nell’incertezza di un avvenire
sconosciuto, una bussola nel labirinto
di un approdo straniero. Per loro,
Angelo non era soltanto il suo nome.