La guerra è dichiarata - Nuovo Cineforum Rovereto

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La guerra è dichiarata - Nuovo Cineforum Rovereto
martedì 27 novembre 2012
La guerra è dichiarata
Valérie Donzelli, Francia 2011, 100’
Fenomeno di culto in Francia,
dove ha ricevuto 6 nomination
ai César, l’opera d’esordio di
Valerie Donzelli è un lavoro
che è rappresentazione del reale vissuto dell’autrice. Romeo
e Juliette si incontrano una sera
in discoteca. Si amano. Fanno
un figlio e sembrano felici. C’è
qualcosa di strano però nel
piccolo Adam. E infatti dopo
alcuni controlli medici al bambino viene diagnosticato un
tumore al cervello. Inizia per
i due giovani genitori una via
crucis tra ospedali, sale operatorie e speranze di guarigione
che metterà a dura prova il loro
futuro sentimentale. La guerra è
dichiarata è un film sulla malattia certo, ma anche e soprattutto un film sulla coppia, che si
riallaccia in modo diretto a una
precisa tradizione del cinema
francese.
Contemporaneamente è un’opera che riprende nella sua
struttura diaristica e nel dichiarato autobiografismo (la
sceneggiatura è scritta dalla
stessa Donzelli con la collaborazione dell’ex compagno
Jérémie Elkaïm, ed entrambi
sono qui anche interpreti) un
percorso personale che si mescola nel sempre più sfumato
confine tra realtà e rappresentazione. A tal proposito La
guerra è dichiarata si presenta
da subito come un’operazione volutamente squilibrata e
frastornante, soprattutto per
la sfrontatezza bulimica con
cui bombarda lo spettatore di
sensazioni, immagini e suoni,
conferendo alla pellicola una
qualità percettiva più violenta
che struggente. Sin dalla scelta dei nomi dei personaggi,
non quelli reali dei protagonisti
ma i “lettari” Romeo e Juliette,
è evidente il dichiarato intento
rappresentativo dell’operazione. Una messa in scena di una
realtà vissuta e (probabilmente)
ancora in fase di metabolizzazione (la malattia del Gabriel,
il rapporto con Jeremie), che
trova, nell’atto creativo del fare
cinema senza alcun tipo di
freno formale, una incredibile
carica propulsiva. Nell’esorcizzare questo dolore privato
la Donzelli accumula materiali
e soluzioni visive, si distanzia
dal rigore di un possibile prototipo morettiano per immergersi
completamente nella libertà stilistica delle nouvelle vague di
inizio anni ‘60 (doppia voce
fuori campo, jump-cut, zoom
improvvisi, macchina a spalla,
iris). Ne viene fuori un’opera
ambigua e affascinante, dove
l’immersione emotiva sembra
quasi concettualizzata da una
frenesia stilistica che prova
a mettere in comunicazione
l’autobiografismo con una referenzialità
cinematografica
dirompente e rischiosamente
esplicita (il riferimento al cinema di Truffaut su tutti). Il gesto
filmico diventa terapia e allo
stesso tempo strumento di scrittura per elaborare l’initimità di
un dramma che nel momento
di farsi cinema diventa altro.
Oggetto straniante che mette
insieme l’anarchia punk con Le
quattro stagioni di Vivaldi, La
guerra è dichiarata è forse uno
degli esempi più scioccanti e
morbosamente riusciti della forza metamorfica di un processo
creativo.
Carlo Valeri, Sentieri Selvaggi,
3 giugno 2012
Un bambino viene sottoposto a
una risonanza magnetica mentre la madre gli resta accanto
in pensosa attesa. Il realismo
della sequenza ospedaliera
è messo in crisi dal dettaglio
dell’occhio della donna, che
vaga oltre le pareti bianche, e
dal confondersi dei suoni feroci
del macchinario con le note di
un pezzo punk rock. Cosa c’è
stato prima?
Una festa, un ragazzo, una ragazza e una musica eversiva a
infiammare il desiderio dei due.
«Io sono Roméo» dice lui sorridendo; lei pensa subito a uno
scherzo, perchè il suo nome è
Juliette. Prima che il destino terribile già inscritto nei due nomi
si compia, la vita concede alla
coppia di amarsi per un tempo indefinito come in un film
di François Truffaut. Sempre di
corsa, colti in travelling, Roméo
e Juliette si inseguono e ridono
della vita in un parco, per strada, al luna park, accompagnati dalle note festose di Georges
Delerue. Il loro movimento è
diretto verso un nuovo evento
straordinario - il secondo dopo
il colpo di fulmine, presentato
attraverso alcuni fotogrammi
di un film scientifico di Jean
Painlevé sulla cristallizzazione
dello zucchero -, la nascita di
un figlio, preceduta non dalla
rappresentazione dell’atto sessuale, ma da un’inquadratura
su L’origine du monde di Gustave Courbet. Al bambino viene
dato il nome di Adam, come il
primo tra gli uomini, essere prezioso di cui non solo la coppia
ma anche lo spettatore è chiamato a prendersi cura.
La musicalità iniziale lascia il
posto a notti in bianco e alle
urla del piccolo, fino all’irrompere nella pace familiare di
un attacco esterno inaspettato
quanto inevitabile: un tumore al
cervello ha colpito Adam. Le
diagnosi si susseguono incomprensibili e Roméo e Juliette si
fissano delle regole di condotta
per resistere senza soccombere
al nemico che ancora non ha
nome. Quello che segue non è
la cronaca di una guarigione
nè un classico feel-good movie,
nonostante l’ottimismo di fondo.
Valérie Donzelli costruisce invece un racconto semplice quanto spiazzante, soprattutto per la
scelta di spostare nettamente
il baricentro della sua opera
dal figlio malato alla coppia e
dalle figure monodimensionali
di due genitori a quelle di due
personaggi a tutto tondo, con
una loro storia e una necessità
egoistica ma incredibilmente
onesta di continuare a vivere
nonostante il senso di impotenza. Roméo e Juliette decidono
di entrare in guerra per non
ridursi a vittime passive di una
contingenza, trasformando la
disgrazia in una forma di elezione, come se il loro incontro
fosse stato destinato al superamento di questa prova.
Se la corsa è uno dei motivi
ricorrenti del film, La guerra è
dichiarata dà l’impressione di
un’opera in continuo movimento, partecipe della fuga dei
personaggi dalla paralisi del
dolore. Come anticipato dalla
locandina che ritrae i protagonisti a bordo di una giostra, il
film intraprende percorsi altalenanti, ponendo a capo dello
sviluppo narrativo il principio
di rottura: la regista osa senza sosta attraverso tagli netti e
fratture, momenti di saturazione
visiva e sonora, sconvolgimenti
della sintassi filmica. La macchina da presa non si posa mai
dove ci aspetteremmo, così
come gli spunti comici sembrano generarsi dai contesti meno
opportuni. Sdraiati nella camera d’ospedale alla vigilia dell’operazione di Adam, Juliette e
Roméo immaginano il peggio;
per esorcizzarlo, si confidano
le loro paure più segrete. Temono che Adam possa diventare
nell’ordine: sordo, muto, cieco,
nero, gay e, per finire, sostenitore del Fronte Nazionale.
L’umorismo può germogliare
anche da dettagli come il titolo
di un giornale, un brano della
cantante yé-yé Jacqueline Taïeb
o il telefono giocattolo che la
pediatra scambia per vero. La
leggerezza non è tuttavia una
posa e la profondità del racconto, così come la sua dimensione tragica, non viene mai
negata. L’inventiva irrefrenabile
della messa in scena diventa
semmai un’arma ulteriore per
contrastare la malattia.
La libertà formale a cui la
Donzelli tende con questo suo
secondo lungometraggio (il primo, La reine des pommes, era
stato presentato al Festival Internazionale del Film Locarno nel
2009) è anche una maniera
di ricongiungersi alla Nouvelle
Vague francese, omaggiata in
un intreccio di citazioni mai pedisseque, ma adattate creativamente alle esigenze narrative.
Da Jacques Demy, la Donzelli
mutua l’utilizzo della canzone
come forma di dialogo tra personaggi e il gusto per il meraviglioso (ad esempio nella scena
in cui i bicchieri e la bottiglia
di champagne appaiono magicamente al battere delle mani
dei protagonisti). Da Jean-Luc
Godard trae ispirazione per la
dimensione ludica del film, con
i giochi di parole e i riferimenti
a Shakespeare e a Courbet. A
Truffaut la regista “ruba” invece
il ricorso all’iris e la voce off
letteraria, che come in Jules et
Jim scandisce le fasi della storia
d’amore.
La scelta di effettuare le riprese con un’apparecchiatura
ultraleggera (una fotocamera
digitale Canon 5D), una troupe
ridotta e luce naturale, se da
un lato è un ulteriore rimando
alla pratica cinematografica
dei maestri della Nouvelle
Vague, dall’altro ha risposto
all’esigenza di girare in un
vero ospedale senza arrecare
disturbo a degenti e personale. L’ancoraggio documentaristico, visivo e sonoro, allo
spazio ospedaliero marca la
volontà di restituire l’autenticità
di un’esperienza che Valérie
Donzelli ha realmente vissuto
insieme al coprotagonista e
sceneggiatore Jérémie Elkaïm.
L’autobiografismo, esplicitato in
realtà solo nella dedica finale
“… Ai medici, agli infermieri
e all’ospedale pubblico”, per
lo spettatore rappresenta un
potente incentivo a empatizzare con i due protagonisti e a
legittimare le scelte della regista. Va però riconosciuto che
Valérie Donzelli, pur raccontando un aspetto doloroso della
sua esistenza, non utilizza la
dimensione personale per rivelare la propria intimità, ma per
trascenderla in uno sguardo e
quindi in cinema, in una forma
poetica che risulta universale,
così come universali sono i
nomi di Roméo, Juliette e Adam
e le esperienze di un colpo di
fulmine o di una nascita. Affrancandosi dai confini di genere
e dal puro autobiografismo, la
regista arriva a rappresentare
la vita liberata nello stato in cui
questa può contemplare le più
crudeli abiezioni accanto alla
più vibrante bellezza. La guerra è dichiarata si rivela così
un tourbillon de la vie caotico,
discontinuo, fitto di riferimenti popolari e intellettuali, che
guarda al passato senza precludersi la possibilità di creare
il nuovo: un piccolo pezzo di
cinema che ha del miracoloso,
come la stessa guarigione del
nostro Adam.
Francesca Monti, FilmIdee #4