Anteprima - Italus Hortus

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Anteprima - Italus Hortus
Review n. 16 – Italus Hortus 19 (1), 2012: 65-76
Micropropagazione delle geofite ornamentali
Pablo Marinangeli*
Centro de Recursos Naturales Renovables de la Zona Semiárida (CERZOS), Consejo Nacional de
Investigaciones Científicas y Técnicas (CONICET), Departamento de Agronomía, Universidad
Nacional del Sur, Bahía Blanca (Argentina)
Ricezione: 27 dicembre 2011; Accettazione: 17 febbraio 2012
Micropropagation of ornamental
geophytes
Abstract. Ornamental geophytes are plants with
exploited aesthetic properties that survive the unfavorable season by underground storage organs.
Traditional propagation methods of geophytes
species have low efficiency and may be the way for
diseases transmission. In vitro propagation can overcome these problems. The procedures for in vitro
propagation of bulb crops may differ slightly from the
traditional five stages process of micropropagation,
since geophytes have such a unique structure. So, a
bulb induction stage is necessary after shoot proliferation, while a rooting stage usually is not needed.
Efficient geophytes micropropagation systems are
described based on the initiation of in vitro culture
from perpetuating underground organs and ending
with the differentiation of bulblets, propagules that are
naturally rustic and can be transferred directly to the
ground without acclimatization. However, bulblets and
cormlets regenerated in vitro are dormant and must
be subjected to treatments in order to release dormancy. Differentiation of shoots and multiplication by
shoot clumps can be achieved in most geophytes by
direct organogenesis, indirect organogenesis and
somatic embryogenesis. The multiplication system
influences both the genetic stability and the multiplication rate of propagules. Usually, direct organogenesis
is preferred and usually high proliferation rates are
achieved. The use of bioreactors for micropropagation has proved applicable to many species and plant
organs including shoots, bulbs, microtubers, corms
and somatic embryos. However, transplanting shoots
in the soil is a major constraint of bioreactor technology for mass propagation of plants due to the fact that
most shoots are etiolated and tender and they are
easily damaged by handling or environmental stress.
It is not the case of geophytes because the hard storage organs produced in vitro can be handled for
direct planting in the field; so, these organs are perfectly suitable for mass propagation by using bioreactors. Bioreactor techniques for large-scale propaga*
[email protected]
tion of geophytes were described for Lilium,
Gladiolus, Hyacinth, Hippeastrum and Ornithogalum,
but only a few have found their way to practical application. The most advanced techniques for the micropropagation of Tulipa, Lilium, Gladiolus and
Alstroemeria are reviewed in this paper.
Key words: bulb, corm, rhizome, in vitro propagation, bioreactors, Lilium, Tulipa, Gladiolus,
Alstroemeria.
Introduzione
Geofite è un termine generico utilizzato per indicare le piante che superano la stagione sfavorevole
mediante organi di riserva sotterranei (bulbi, cormi,
rizomi, tuberi e radici tuberose) dotati di germogli o
apici (Raunkiær, 1934; De Hertogh e Le Nard, 1993).
Le piante geofite rappresentano un gruppo particolare
entro le piante superiori originariamente classificate
come Cryptophyta (Raunkiær, 1934).
Le geofite ornamentali, comunemente note come
bulbose da fiore, possono essere utilizzate per la produzione industriale di fiori recisi e di piante in vaso o
essere impiegate in giardino. Le geofite ornamentali
comprendono più di 800 Generi diversi, 60 dei quali
vengono utilizzati commercialmente, anche se in
realtà la produzione industriale è dominata da 7
Generi: Tulipa, Lilium, Narcissus, Gladiolus,
Hyacinthus, Crocus e Iris (Benschop et al., 2010). A
livello globale, il valore dell’intero settore dei bulbi
da fiore nel 2005 era stimato in circa 800 milioni di
euro (Buschman, 2005). Quattro geofite ornamentali
(Tulipa, Lilium, Alstroemeria e Freesia) sono tra i
primi 10 fiori recisi nelle aste olandesi e rappresentano il 19% del volume d’affari di fiori reciso (Van
Huylenbroeck, 2010).
Botanicamente si indicano con il termine orticolo
di monocotiledoni petaloidi quelle specie di monocotiledoni che hanno petali o segmenti di perianzio
(tepali) cospicui, appartenenti principalmente alle
famiglie Liliaceae, Amaryllidaceae, Iridaceae e
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Marinangeli
Orchidaceae (Brickell et al., 1980). La presente
review riguarda in particolare la micropropagazione
di monocotiledoni petaloidi geofite.
Le specie bulbose ornamentali si propagano vegetativamente mediante la separazione dei bulbetti prodotti naturalmente dal bulbo genitore, oppure inducendo differenziazione ascellare o avventizia dal
bulbo intero, da parti di bulbo, da foglie o da talee
(Hartmann et al., 2011). Queste tecniche di propagazione presentano due problemi principali: bassa efficienza di propagazione (bassa quantità di propaguli
ottenuti e tempi lunghi per produrli) e possibilità di
diffusione di parassiti. La propagazione in vitro può
contribuire a superare questi problemi.
Questa review si occupa principalmente di sistemi
di micropropagazione di specie geofite basati sull’uso
della coltura in vitro di organi sotterranei di sopravvivenza e termina con la produzione di piccoli bulbi
(bulbetti), che sono propaguli naturalmente rustici che
possono essere trasferiti direttamente nel terreno per
la coltivazione senza acclimatazione. Viene prestata
particolare attenzione ai sistemi di coltivazione che
utilizzano bioreattori per la micropropagazione commerciale su larga scala, considerati i notevoli vantaggi
in termini di automazione, di propagazione massiva e
di diminuzione di manodopera, fattori che contribuiscono a ridurre i costi di produzione.
Coltura in vitro di specie geofite
La coltura in vitro di specie geofite può essere utilmente applicata per una propagazione efficiente di
specie recalcitranti, di nuove selezioni e cultivar, per
la produzione di piante in condizioni di sanità controllata, come strumento per il miglioramento genetico,
per ottenere metaboliti utili e per scopi di ricerca
(Kim e De Hertogh, 1997).
La produzione di piante in sanità controllata e in
particolare virus esenti è uno degli impieghi più
importanti riguardanti la coltura in vitro di specie
geofite e risulta determinante per l’applicazione commerciale di sistemi di micropropagazione ai fini della
moltiplicazione di materiale risanato. La coltura in
vitro di apici meristematici con o senza chemioterapia
e termoterapia, abbinata ad una micropropagazione
efficiente, è uno strumento essenziale per l’eradicazione di virus in molte specie geofite e fa parte del
sistema di certificazione e classificazione per la produzione del nucleo di propagazione esente da organismi patogeni della Organizzazione europea e mediterranea per la protezione delle piante (OEPP)
(Marinangeli, 2003). Infatti, l’applicazione della cultura di apici meristematici per l’eradicazione di virus
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e la successiva micropropagazione è riportata con successo in diversi generi di geofite quali Alstroemeria
(Hakkaart e Versluijs, 1985, 1988; Chiari e Bridgen,
2002), Freesia (Bertaccini et al., 1989) Gladiolus
(Logan e Zettler, 1985, Lilien-Kipnis et al., 1992),
Hyacinthus (Asjes et al., 1974; Blom-Barnhoorn et
al., 1986), Iris (Allen e Anderson, 1980), Lachenalia
(Klesser e Nel, 1976), Lilium (Marinangeli, 2003),
Narcissus (Mowat, 1980; Phillips, 1990),
Ornithogalum (Klesser e Nel, 1976; Vcelar et al.,
1992) e Polianthes (Wang e Hu, 1980).
Come complemento e contributo al miglioramento
genetico, le tecniche di coltura di tessuti in vitro
hanno consentito l’immissione continua sul mercato
di nuove specie, ibridi e varietà di geofite tradizionali, come è il caso di Lilium e Alstroemeria (Lawson,
1996). Le biotecnologie associate al miglioramento
genetico delle geofite ornamentali che coinvolgono
coltura di tessuti riguardano: coltura e fusione di protoplasti, coltura di callo e cellule, impollinazione in
vitro, salvataggio di embrioni, produzione di aploidi
da andro- e gino-genesi, poliploidizzazione e mutagenesi in vitro, crioconservazione e trasformazione
genetica (Kim e De Hertogh, 1997).
Il miglior esempio di applicazione con successo
delle tecniche di coltura di tessuti come strategia di
supporto del miglioramento genetico nelle specie bulbose da fiore è il giglio (Lilium spp.). Negli ultimi 50
anni, lo sviluppo e l’applicazione di tecniche innovative di coltura in vitro hanno permesso la continua
espansione e rinnovamento della gamma di ibridi di
Lilium, consentendo a questa bulbosa di affermarsi
come uno dei fiori recisi più importanti del mondo. Le
tecniche di impollinazione in vitro, di salvataggio
degli embrioni (embryo rescue) e di duplicazione dei
cromosomi hanno portato alla realizzazione di incroci
interspecifici contribuendo alla spettacolare crescita
commerciale dei moderni ibridi di Lilium (Grassotti e
Gimelli, 2011; Van Tuyl e Arens, 2011). Un altro
esempio riguarda lo sviluppo di nuovi ibridi interspecifici di Ornithogalum spp. ottenuti mediante il salvataggio dell’embrione, con l’obiettivo di migliorare la
lunghezza dello scapo floreale ed estendere l’offerta
dai tradizionali colori bianchi e arancioni a diverse
gamme di giallo (Griesbach et al., 1993).
La trasformazione genetica non è stata ancora
sfruttata commercialmente in specie ornamentali geofite, ma può avere un grande potenziale, dovuto principalmente ai risultati a cui questa tecnologia può
portare per dare una significativa risposta alla costante
ricerca di novità nella industria dei fiori. Inoltre l’opinione pubblica è meno ostile all’adozione di OGM
sulle ornamentali rispetto ai prodotti alimentari
Geofite ornamentali
(Chandler e Lu, 2005; Cohen, 2011). La trasformazione genetica è stata applicata con successo su Lilium
(Cohen, 2011), Tulipa (Wilmink et al., 1992),
Gladiolus (Löffler e Van Harmelen, 1998; Kamo e
Joung, 2007), Hyacinthus (Popowich et al., 2007) e
Narcissus (Sage e Hammatt, 2002). Dopo l’applicazione di ognuna delle tecniche di miglioramento genetico sopra menzionate, l’impiego della micropropagazione risulta comunque uno strumento essenziale per
la propagazione efficiente della variabilità ottenuta.
Applicazione commerciale delle tecniche di micropropagazione
Sistemi efficaci di propagazione commerciale,
compresa la propagazione in vitro, hanno bisogno di
essere ulteriormente sviluppati nel caso di molte specie geofite. La propagazione in vitro rimane infatti
costosa, è fortemente legata al costo del lavoro ed
ancora non è diventata una soluzione definitiva a tutti
i problemi. Il costo della propagazione in vitro
aumenta con lo sviluppo dell’economia nei paesi in
via di sviluppo e pertanto, senza la messa a punto di
tecniche più efficienti di propagazione, il florovivaismo è costretto a produrre materiale di propagazione
nei paesi con costo di manodopera sempre più basso
(Benschop et al., 2010). L’investimento economico in
impianti, macchinari e lavoro manuale nelle colture in
vitro hanno determinato un notevole aumento dei
costi: tra queste voci quella più rilevante è la manodopera, particolarmente utilizzata nella fase di radicazione quando i germogli neoprodotti vengono separati
(Han et al., 2004).
Sono state descritte molte tecniche di micropropagazione riguardanti bulbose da fiore, ma solo poche
hanno trovato applicazione commerciale. Una serie di
ragioni può spiegare questa discrepanza: la letteratura
è spesso molto frammentaria anche su un argomento
come la micropropagazione; il trasferimento di tecnologia ha bisogno di tempo; nella maggior parte dei
casi la tecnologia costa troppo; in alcuni casi le potenzialità delle tecniche vengono ignorate ed in altri, infine, le tecniche sono troppo complicate (Van der
Linde, 1992).
Sistemi di moltiplicazione naturale delle specie
geofite, a confronto con la micropropagazione
Le tecniche di propagazione asessuale per specie
geofite utilizzano sistemi naturali o sistemi sviluppati
artificialmente (Benschop et al., 2010) (tab. 1). Il
bulbo, dal punto di vista botanico è un fusto metamorfosato, ovvero costituito dal disco basale, da una
gemma nel suo centro geometrico, circondata da tuniche, ovvero strati di foglie carnose nella parte basale.
I bulbi vengono classificati come “tunicati” o “non
tunicati” (squamosi). I bulbi tunicati hanno le basi
carnose di foglie disposte in strati concentrici attorno
al punto in crescita e lo strato esterno di foglie secche
forma una tunica di protezione che copre il bulbo.
Esempi di bulbi tunicati ornamentali sono il giacinto,
gli amarilli, i tulipani ed i narcisi. Nei bulbi non tunicati o squamosi le basi ingrossate delle foglie si
sovrappongono e conferiscono al bulbo un aspetto
squamoso, o embricato. Bulbi squamosi, come i gigli,
non hanno la tunica di protezione (Swift, 2009).
La moltiplicazione vegetativa dei bulbi tunicati
può essere effettuata tramite bulbetti, piccoli bulbi che
si sviluppano naturalmente alla base del bulbo genitore, o ricorrendo a tecniche artificiali in vivo quali
scooping, star cutting, scoring, chipping e twin scaling. L’impiego di queste tecniche è finalizzato ad
indurre la formazione di bulbetti eliminando la dominanza apicale ed attivando la formazione di germogli
ascellari ed avventizi alla base delle foglie/scaglie utilizzando le sostanze di riserva accumulate al suo
interno per sostenere lo sviluppo ulteriore del bulbo.
Lo scaling, o propagazione per scaglie o squamatura, è un metodo comunemente utilizzato per propagare bulbi non tunicati, quali quelli del Lilium, e consiste nel rimuovere le scaglie vicino al disco basale
per indurre bulbi avventizi che si svilupperanno dal
tessuto cicatriziale alla base delle scaglie stesse
(Swift, 2009).
La coltura in vitro sfrutta la capacità delle piante
bulbose di produrre germogli e/o micro-bulbi direttamente dall’organo di riserva, evitando la variabilità
somaclonale. In effetti, la propagazione in vitro delle
bulbose induce la formazione avventizia di piante dai
tessuti asportati (ad esempio scaglie da bulbo, porzioni di fusto, disco o gemme), senza il rischio di ottenere piantine diverse da quelle del donatore di espianti o
comunque una variabilità superiore a quella ottenuta
mediante tecniche di propagazione classiche
(Debergh et al. 1990; Capellades Queralt et al. 1993).
Micropropagazione delle specie geofite
La velocità di propagazione per via naturale o
mediante tecniche in vitro di molte specie geofite è
relativamente bassa. Questo spesso ostacola la diffusione commerciale di piante virus esenti, di nuove
varietà e di cultivar di valore. Per esempio, utilizzando le procedure di propagazione vegetativa, ci vogliono circa 10 anni per produrre abbastanza cormi di gladiolo di una nuova cultivar per uso commerciale,
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Marinangeli
Tab. 1 - Sistemi di propagazione asessuata per alcune geofite ornamentali (modificata da Benschop et al., 2010).
Tab. 1 - Systems for asexual propagation of some ornamental geophytes (modified from Benschop et al., 2010).
Sistemi di
propagazione
Tipi di propagazione
Generi
Freesia e Gladiolus
Bulbetti, minicormi e kralen Bulbo madre perenne Tulipa,
Hyacinths e Hippeastrum
Rizoma
Iris rizomatose e Convallaria
Naturale
Artificiale
Bulbillo di fusto
Bulbetto di scaglia
Bulbetto sotteraneo
Talea di foglia
Lilium
Lilium
Lilium e Tulipa
Lachenalia
Talea di bulbo
Scooping e scoring di bulbo
Chipping e twin-scaling di bulbo
Talea di foglia
Talea di radice tuberosa
Bulbillo di pianta forzata
Coltura in vitro
Lilium
Hyacinthus
Narcissus e Hippeastrum
Lachenalia
Dahlia
Tulipa
Lilium
mentre utilizzando la micropropagazione sono richiesti solo 2 anni (Kim e De Hertogh, 1997). Allo stesso
modo, mediante micropropagazione possono essere
prodotti in un anno circa 2.500 bulbetti di tulipano e
1.000 bulbetti di narciso a partire da un espianto.
La micropropagazione può essere utilizzata non
solo per la rapida moltiplicazione massiva di materiale di elevata qualità genetica e sanitaria, ma anche per
la manutenzione di materiale di élite, per il ringiovanimento di cultivar, per la fornitura di piantine durante tutto l’anno, per facilitare lo scambio di materiale
vegetale e per la produzione di biomassa per l’estrazione di prodotti di interesse.
Bulbi, cormi e altri organi di riserva sotterranei
vengono comunemente utilizzati come materiale di
partenza per l’ottenimento di espianti per la coltura in
vitro delle geofite.
La micropropagazione, tradizionalmente, comprende cinque fasi:
• selezione e preparazione delle piante donatrici,
• scelta del propagulo e sua disinfezione, prelievo
dell’espianto e messa in coltura,
• proliferazione degli espianti,
• radicazione degli espianti,
• acclimatazione o indurimento delle piantine.
Le procedure per la propagazione in vitro di tali
piante differiscono leggermente tra le diverse specie.
Molte volte una fase di induzione del bulbo è necessaria dopo la proliferazione di germogli, mentre uno stadio di radicazione generalmente non è necessario
(Ulrich et al., 1999) (fig. 1). Poiché i bulbetti prodotti
in vitro sono dormienti, è necessario procedere alla
rottura della dormienza.
Secondo uno studio condotto da Zaidi et al.
(2000), su 29 specie di geofite ornamentali coltivate
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in vitro, il substrato di coltura maggiormente utilizzato è MS (68,4%) (Murashige e Skoog, 1962), seguito
da B5 (10,5 %) (Gamboerg et al., 1968) e in misura
minore da LS (Linsmaier e Skoog, 1965), Nitsch
(Nitsch e Nitsch, 1956) e Nel (Nel, 1983). Lo stesso
studio ha rilevato che i regolatori di crescita più utilizzati per l’organogenesi diretta sono l’acido 1-naftalenacetico (NAA) (63,1%) nella concentrazione 0,253,00 mg l-1 e 6-benzilamminopurina (BAP) (73,6%) in
concentrazione di 0,1-30,0 mg l-1, utilizzati in combinazione nel 31,5% dei casi.
Gli espianti che vengono prevalentemente utilizzati per organogenesi diretta provengono da organi sotterranei (76%), dei quali 33% meristemi apicali ed
ascellari, 29% scaglie del bulbo o basi ingrossate di
foglie ed il 14% bulbetti o cormi interi. Sono state utilizzate anche parti aeree quali meristemi ascellari e
apicali (10%) ed organi fiorali (14%). In contrasto,
per embriogenesi somatica nel 53% dei casi vengono
utilizzati espianti della parte aerea (Zaidi et al., 2000).
Problematiche legate a inquinamento, disinfezione e
messa in coltura
Poiché molti degli organi donatori di espianti sono
sotterranei, ovvero provengono dal suolo, spesso
hanno un’alta carica di microrganismi, nematodi,
acari ed insetti di piccole dimensioni, responsabili
della pesante contaminazione che compare di solito
nelle fasi iniziali della coltura in vitro (Leifert e
Cassells, 2001). La contaminazione può essere ridotta
con manipolazione specifiche e trattamenti alle piante
donatrici prima di coltivare gli espianti in vitro, come
la coltivazione dei bulbi con ridotta umidità del terreno, l’impiego di sistemi di irrigazione con ridotta
bagnatura del fogliame, la coltivazione in substrati
Geofite ornamentali
Fig. 1 - Ciclo di micropropagazione di Lilium spp. in condizioni di oscurità (Marinangeli, 2003; parzialmente modificato).
Fig. 1 - Cycle of micropropagation of Lilium spp. in dark conditions (Marinangeli, 2003; partially modified).
artificiali e l’applicazione di trattamenti fisici e chimici per combattere gli organismi contaminanti (Kim e
De Hertogh, 1997).
Una valida alternativa per evitare gli inquinamenti
legati alla utilizzazione di organi a diretto contatto
con il suolo è l’impiego di organi aerei. A questo
riguardo l’utilizzazione del peduncolo dell’infiorescenza è una adeguata alternativa ai fini della riduzione di questo tipo di contaminazione. Espianti delle
infiorescenze di Allium, Dichelostemma, Eucrosia,
Gladiolus, Haemanthus, Hyacinthus, Narcissus,
Nerine e Ornithogalum sono stati utilizzati per la
messa in coltura. Il potenziale di rigenerazione dell’infiorescenza è paragonabile alla rigenerazione da
twin scales da bulbi e da gemme apicali isolate da
cormi (Ziv e Lilien-Kipnis, 2000).
Un altro problema legato alle fasi iniziali della coltura in vitro è la mancanza di risposta di alcuni
espianti a causa di fattori genetici, morfologici e fisiologici. Per le specie geofite ornamentali la causa più
comune della mancanza di risposta è la dormienza
delle gemme degli organi di riserva. Per superare questo tipo di difficoltà i bulbi vengono spesso sottoposti
a trattamenti fisici come temperatura o luce, o trattamenti ormonali come l’applicazione di citochinine e
gibberelline (Kim e De Hertogh, 1997). Un ulteriore
problema frequente durante la messa in coltura è
l’ossidazione e la morte dei tessuti prima della differenziazione. Per superare questa difficoltà, gli espianti
vengono trattati con antiossidanti prima della messa
in coltura o durante le fasi iniziali della coltura in
vitro (Debergh e Read, 1991).
Messa in coltura e proliferazione in vitro
Negli schemi di micropropagazione per organogenesi diretta delle specie geofite, per la messa in coltura vengono prevalentemente utilizzati espianti degli
organi sotterranei di riserva. Di solito, viene effettuata
la disinfezione, tutta o in parte, dell’organo che poi
viene usato per ottenere l’espianto (Marinangeli,
2003). Poiché gli organi di riserva delle piante geofite
sono dotati di buona rusticità e ben protetti, la disinfezione può essere eseguita con concentrazioni più elevate di disinfettanti e per un tempo più lungo
(Marinangeli, 1997). Zephyranthes grandiflora è stato
micropropagata dopo il controllo della contaminazione microbica dei bulbi: un pre-trattamento con 0,2%
Bavistin e 0,1% Pantomycin per 4 ore prima della sterilizzazione finale con 0,1% di cloruro di mercurio per
30s, è stato necessario per eliminare la contaminazione (Gangopadhyay et al., 2010).
Il tipo di espianto da utilizzare dipende dallo scopo
prefissato: se si vuole ottenere un risanamento da
virus, viene realizzata una coltura di apici meristematici estratti direttamente dalle gemme apicali o ascellari da organi sotterranei. Inoltre, il meristema apicale
può essere ottenuto anche da germogli e bulbetti ottenuti in vitro. Se l’obiettivo è la moltiplicazione, gli
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Marinangeli
espianti che vengono utilizzati variano a seconda del
tipo di organo di riserva tipico della specie e il modo
di propagazione asessuale naturale o commerciale
della specie stessa. Ad esempio, i bulbi tunicati come
Narcissus, Hippeastrum ed altre Amaryllidaceae vengono propagate da “doppia scaglia” (twin scales),
rappresentate da una porzione di due scaglie unite tra
loro da una piccola porzione del disco basale.
La moltiplicazione dei germogli può essere ottenuta da:
• organogenesi diretta, cioè mediante la proliferazione ascellare o avventizia dei germogli,
• organogenesi indiretta da callo,
• embriogenesi somatica.
I sistemi di moltiplicazione influenzano sia la stabilità genetica che la velocità di moltiplicazione. La
organogenesi diretta è preferibile ed alti tassi di proliferazione di solito si ottengono aggiungendo citochinine o ritardanti di crescita al substrato di coltura (Ulrich
et al., 1999); possono essere utili anche auxine a basse
concentrazioni. Lilium longiflorum è stato moltiplicato
in modo efficiente da cluster di germogli in substrato
MS con 30 g l-1 saccarosio, 0,5 mg l-1 BAP e 0,5 mg l-1
acido indolacetico (IAA), con esposizione alla luce
(Han et al., 2004). Cluster di germogli proliferati vengono separati e sub-coltivati nello stesso substrato per
avviare altri cluster e il processo può continuare indefinitamente. Alla fine, i cluster possono essere radicati
o indotti a formare bulbi in vitro. Subculture sono stati
eseguite ogni 4 o 8 settimane e ciascuna subcoltura
può moltiplicarsi tra 5 e 10 volte in ogni sottocultura
(Kim e De Hertogh, 1997).
Produzione di bulbi in vitro
La produzione di micro-bulbi da germogli differenziati in vitro è vantaggiosa perché evita la fase di
radicazione in vitro e quella di acclimatazione, facilitando la manipolazione dei propaguli, aumentando il
tasso di sopravvivenza ex vitro e accorciando i tempi
di produzione dei bulbi (Marinangeli e Curvetto,
1997). Le condizioni per stimolare la produzione di
bulbi in vitro sono alta concentrazione di saccarosio e
alte temperature (Jásik e de Klerk, 2006). Altri fattori,
da soli o in combinazione, che sono stati riportati
come stimolanti della la produzione di bulbi in vitro
sono la cultura con o senza luce, l’aggiunta di carbone
attivo al substrato e l’uso di ritardanti di crescita. La
coltivazione in presenza di luce fluorescente o LED
rosso + blu, 70 mmol m-2 s-1 di densità del flusso di
fotoni fotosintetici (PPFD, photosynthetic photon flux
density) ha aumentato numero, diametro e biomassa
dei bulbetti e numero e biomassa delle radici in
Lilium Orientale cv Pesaro (Lian et al., 2002). La col70
tivazione in presenza di luce di L. longiflorum non ha
migliorato il tasso di rigenerazione di microbulbi,
come viceversa è avvenuto con l’aggiunta di carbone
attivo nel substrato MS ad elevata concentrazione di
saccarosio (Han et al., 2004). L’uso dei ritardanti di
crescita Alar, Cycocel e Paclobutrazol nella concentrazione 1 mg l-1 stimolano lo sviluppo di bulbetti in
Lilium. Il numero di bulbetti risulta superiore quando
le scaglie di bulbo vengono coltivate nel substrato con
90 g l-1 di saccarosio e vengono esposte a luce continua invece che al buio (Kumar et al., 2005)
Di solito i bulbetti rigenerati in vitro sono dormienti e devono essere sottoposti a un trattamento a
freddo al fine di rompere la dormienza. Shin et al.
(2002) hanno constatato che 4-9 settimane di trattamento a freddo a 4 °C sono necessarie per superare la
dormienza per molte cultivars di Lilium. Il trattamento
con 10 mg l-1 gibberelline per 24 ore ha ottenuto lo
stesso risultato in L. speciosum ‘Star Gazer’ e ‘Snow
Queen’ (Langens-Gerrits et al., 2001). Durante il trattamento a freddo dei bulbetti rigenerati in vitro, gli
enzimi che degradano amido, α- e β-amilasi mostrano
alta attività e il saccarosio diventa il carboidrato solubile dominante, con glucosio e fruttosio presenti in
concentrazioni significativamente più basse. La conservazione a T=2-5 °C per un periodo variabile da 30
a 100 giorni è stata usata per rompere la dormienza di
micobulbi di Iris hollandica, Lilium e Narcissus e di
microcormi di Ixia e Galdiolus (Kim e De Hertogh,
1997). Una volta rotta la dormienza, i microbulbi possono essere trapiantati ex vitro con successo senza
acclimatazione, se le condizioni ambientali sono favorevoli (Marinangeli e Curvetto, 1998) (fig. 1).
Uso del bioreattore per colture su larga scala
L’uso di bioreattore per la micropropagazione è
stato la prima volta riportato nel 1981 per la propagazione di Begonia e si è dimostrato applicabile a molte
specie e organi vegetali, compresi germogli, bulbi,
microtuberi, cormi ed embrioni somatici (Peak et al.,
2001). Recentemente, i bioreattori hanno cominciato a
essere utilizzati per la micropropagazione commerciale, in virtù delle possibilità di automazione, propagazione su larga scala e diminuzione del ricorso a manodopera, tutti fattori che riducono i costi di produzione
(Peak et al., 2005).
Vari tipologie di bioreattori sono state sviluppate
per una vasta gamma di specie, tipi di coltura e fasi di
micropropagazione. Funzionalmente, i bioreattori per
coltura di piante possono essere suddivisi in due grandi categorie: quelli in cui le colture vengono continuamente sommerse, utilizzati per la fase di moltiplica-
Geofite ornamentali
zione in colture in cui l’immersione non si traduca in
sviluppo vegetale anomalo (hyperhydricity, foglie e
germogli malformati, embrioni anomali e embriogenesi ricorrenti), e quelli in cui le culture sono immerse
parzialmente o temporaneamente nel substrato (ebb &
flood), di costruzione e funzionamento più complessi,
ma che producono piante di migliore qualità. .
In linea generale, i tipi full immersion sono migliori per cellule, embrioni e colture di hairy roots (radici
pelose), mentre i tipi ad immersione parziale vengono
utilizzati per la conversione degli embrioni somatici a
plantule, per lo sviluppo dei germogli, per la micropropagazione e per la crescita di piantine (Adelberg e
Fari, 2010). Comunque, i bioreattori sommersi vengono utilizzati anche per lo sviluppo di protocormi,
bulbi e cormi (Takayma et al., 1991).
Secondo Peak et al. (2005), la principale limitazione della tecnologia del bioreattore per la propagazione di piante è la fase di trapianto dei germogli nel
terreno; in tale fase infatti questi possono essere
facilmente danneggiati con la manipolazione o se
sottoposti a stress ambientale perché sono eziolati e
succulenti. Non è il caso delle geofite perché gli
organi di riserva prodotti in vitro possono essere
tranquillamente manipolati per la messa a dimora
diretta in campo senza subire danni. Perciò questi
organi sono perfettamente adatti per la propagazione
di massa utilizzando bioreattori.
Tecniche di coltivazione in bioreattore per la propagazione su larga scala di geofite sono stati descritti
per Lilium, Gladiolus, Hyacinthus, Hippeastrum e
Ornithogalum (Ziv, 2000; Takayama e Akita, 2005).
Un processo in quattro fasi per la micropropagazione di Lilium in bioreattori è stato riportato e brevettato da Takayama et al. (1991). Recentemente è
stata sviluppata una procedura più efficiente, in sole
due fasi, per la produzione di bulbetti di Lilium in bioreattore (Peak et al., 2005). Nella prima fase i bulbetti
sono indotti dalle scaglie da bulbo con un bioreattore
ad immersione temporanea con 4 cicli di immersione
al giorno di 15 minuti ciascuno. Le scaglie vengono
coltivate nel substrato MS con aggiunta di 0,3 mg l-1
NAA, 1 mg l-1 BAP e 30 g l-1 saccarosio, a T=25 °C
alla luce (Lian et al., 2003a). Sebbene la percentuale
di formazione di bulbetti sia più bassa in bioreattore
ad immersione temporanea rispetto alle colture in
substrato semisolido, sono stati raccolti un gran
numero di bulbetti da ogni coltura. Questa coltura di
bulbetti in bioreattori (immersione temporanea) riduce le manipolazioni necessarie rispetto alla moltiplicazione in substrato semisolido e facilita lo scaling-up
della produzione di bulbetti (Lian et al., 2003a). La
seconda fase riguarda la crescita e si attua utilizzando
bioreattori a immersione continua.
Lian et al. (2003b) hanno studiato l’effetto del tipo
di bioreattore, del rinnovo del substrato di coltura e
del tipo e concentrazione di zuccheri sulla crescita di
microbulbi di Lilium Orientale cv Casablanca, in substrato MS senza regolatori a T=25 °C, al buio. Gli
autori hanno trovato che la crescita è stata maggiore
quando gli espianti sono stati coltivati in un bioreattore ad immersione permanente rispetto al sistema ad
immersione temporanea. Inoltre hanno trovato che la
crescita è stata più elevata con il rinnovo mensile del
substrato di coltura con 90 g l-1 di saccarosio rispetto
ad altre fonti e concentrazioni di zuccheri.
L’assorbimento dei minerali ha subito variazioni sia
in quantità che in selettività. Durante la crescita dei
bulbetti, è stato verificato l’esaurimento rapido di
NH4+, NO3-, SO42- e H2PO4- mentre il consumo di K+,
Mg2+, Ca2+, Na+ e Cl- è stato lento. E’ stata osservata
anche una rapida riduzione del pH del mezzo dopo
l’aggiunta, o cambio, di substrato fresco durante la
crescita dei bulbetti (Peak et al., 2005).
Ziv et al. (2000) hanno osservato una abbondante
proliferazione da cluster di germogli in cormi di gladiolo in bioreattori aggiungendo ancymidol, paclobutrazol o uniconazole al substrato. I cluster meristematici vengono separati meccanicamente e producono
microcormi che possono essere trapiantati ex vitro
senza precedenti acclimatazioni. Il metodo consiste
in due fasi: la prima di crescita di germogli con 10 g l1
di saccarosio, e la seconda di differenziazione di
microcormi, aumentando la concentrazione di saccarosio a 90 g l-1. Ciò ha permesso la produzione di
circa 300 piccoli cormi in un bioreattore di 1 l
(Takayama e Akita, 2005).
La micropropagazione di Hippeastrum spp. è stata
limitata principalmente dal basso tasso di moltiplicazione. Questa limitazione è stata superata dalla coltura
di bulbetti parzialmente sezionati e posti in bioreattori
con substrato MS con 30 g l-1 saccarosio alla luce per 4
mesi. Dopo un anno di coltura possono essere ottenute
bulbi di 2 cm di diametro (Takayama e Akita, 2005).
Casi di studio
Micropropagazione di bulbi tunicati e non tunicati
(squamosi)
Tulipano (fig. 2). Un metodo di micropropagazione del tulipano tramite la moltiplicazione ciclica di
germogli è stato sviluppato per accelerare il miglioramento e per la produzione di stock di piante virus
esenti (Podwyszyńska, 2001). Nei protocolli standard
di micropropagazione, i microbulbi sono stati sviluppati dai germogli formati negli espianti iniziali isolati
71
Marinangeli
Fig. 2 - Fiori di tulipano.
Fig. 2 - Tulip flowers.
dal peduncolo fiorale (Rice et al., 1983; Le Nard et
al., 1987; Hulsher et al., 1992) o di germogli ascellari
di scaglie da bulbo (Nishiuchi, 1980; Hulscher e
Krijksheld, 1995). Il microgermogli sono indotti e
moltiplicati su substrato MS con 1 mg l-1 NAA e BAP
(Taeb e Alderson, 1990) e thidiazuron (TDZ)
(Podwyszyńska e Marasek, 2003) con un fotoperiodo
di 16 ore a T=15 °C (Minas, 2007). Gli espianti più
efficaci per la rigenerazione dei microgermogli sono
sezioni di peduncolo fiorale di 1-2 mm presi dalla
base all’interno del bulbo e dopo un breve periodo di
conservazione (Taeb e Alderson, 1990). La formazione del bulbo è un passo essenziale nella coltura in
vitro di tulipano perché solo i microbulbi possono
radicare e crescere in campo. Per indurre la produzione di bulbetti in vitro, i germogli devono essere coltivati per 8-16 settimane sullo stesso substrato prima di
essere trasferiti su un substrato adatto alla produzione
di bulbetti (Taeb e Alderson, 1990). Inoltre, se questa
coltura è fatta in substrato liquido con l’aggiunta di
NAA (2 mg l-1) o di inibitori della biosintesi di gibberelline come ancymidol e paclobutrazol (1-2 mg l-1), è
possibile raggiungere livelli massimi di produzione di
bulbetti in vitro (Podwyszyńska, 2006). Per l’induzione di tale produzione è necessario un trattamento a
freddo (5 °C) per 10-12 settimane e l’aggiunta di substrato senza citochinine contenenti alte concentrazioni
di saccarosio (6-7%). Le colture sono state effettuate
a T=23 °C con un fotoperiodo di 16 h (55 μmol m-2 s-1
di densità del flusso di fotoni fotosintetici)
(Podwyszyńska, 2006). È anche noto che i livelli
endogeni di auxine e citochinine e il loro equilibrio
durante la fase di induzione (prima del trattamento a
freddo) svolgono un ruolo importante nella preparazione dei germogli di tulipano nella formazione in
vitro dei bulbi. I microbulbi devono essere essiccati e
conservati a temperatura ambiente per 5 settimane
72
prima di essere messi a dimora nel terreno
(Podwyszyńska, 2001).
Lilium (fig. 3). La micropropagazione da organogenesi diretta di bulbetti e germogli è stata fatta da
scaglie di bulbo, foglie, apice di fusto e bulbo, ovari,
stili, filamenti, antere, peduncoli ed embrioni. È stato
anche possibile micropropagare da embriogenesi
somatica ed organogenesi indiretta da callo proveniente da apici di gambo, scaglie, stami e semi (Kim e De
Hertogh, 1997). La maggior parte degli studi riguarda
la rigenerazione di bulbetti da scaglie, che è ormai il
metodo utilizzato commercialmente per la moltiplicazione vegetativa di Lilium (Peak et al., 2005). Oltre al
protocollo precedentemente descritto, Varshney et al.
(2000) hanno proposto uno schema semplice, rapido
ed economico per la moltiplicazione massiva in vitro
di ibridi di Lilium utilizzando coltura liquida stazionaria. Una media di sette bulbetti si sono formati dopo la
coltivazione di segmenti di scaglie di 1×1 cm2 per 17
giorni in substrato MS con 30 g l-1 saccarosio e 0,1mg
l -1 NAA. Un gran numero di bulbetti di maggiori
dimensioni (3,5-5,0 cm di circonferenza) si sono formati, a seconda della cultivar, su substrato MS contenente 0,1 mg l-1 NAA e 60 o 90 g l-1 saccarosio con un
fotoperiodo di 16/8 h. Un sistema continuo di propagazione massale di bulbetti è stato ottenuto attraverso
la formazione in vitro di bulbetti da microscaglia
(espianto secondario) in coltivazione liquida stazionaria su substrato MS addizionato con 5 mg l-1 di chinetina e 0,1 mg l-1 di NAA. Al momento del trapianto
tutti i bulbetti sono germogliati ed il 40% di questi
sono fioriti nel primo anno. Secondo gli autori, circa
9.68×105 bulbetti possono essere prodotti da un singolo segmento di scala in un anno.
Fig. 3 - Fiori di lilium.
Fig. 3 - Lily flowers.
Geofite ornamentali
Micropropagazione di cormi
Gladiolo. Ci sono numerosi studi di micropropagazione delle specie e cultivar di gladiolo sulla base di
apice e gemme ascellari di cormi e piccoli cormi (Ziv
et al., 1970; Simonsen e Hildebrandt, 1971; Wilfret,
1971; Hussey, 1977; Logan e Zettler, 1985; De Bruyn
e Ferreira, 1992). Il gladiolo è stato micropropagato
anche partendo da cormo, apici di stoloni, foglie,
peduncolo fiorale e perianzio (Kim e De Hertogh,
1997). Logan e Zettler (1985) sono riusciti a risanare
dal Virus del mosaico del cetriolo (CMV) e dal Virus
del mosaico giallo del fagiolo (BYMV), ed a micropropagare in modo efficiente 23 cultivar di gladiolo
utilizzando un “sistema trifase”. La prima fase è la
coltivazione dell’apice del germoglio del cormo su
substrato MS con l’aggiunta di 1 mg l-1 di chinetina e
0,1 mg l-1 NAA, coltivati a T= 25 °C, con un fotoperiodo di 16 ore (27 μmol m-2 s-1 di densità del flusso di
fotoni fotosintetici). La seconda fase si svolge nelle
stesse condizioni di coltura in substrato senza NAA e
la fase di radicazione è fatta utilizzando un substrato
contenente la metà della concentrazione salina del
substrato MS liquido, con vermiculite come supporto
e l’aggiunta di 1 mg l-1 NAA e 5 g l-1 di carbone attivo
con il doppio dell’energia luminosa. De Bruyn e
Ferreira (1992) hanno micropropagato Gladiolus tristis utilizzando un sistema a due fasi: nella prima fase
si ha la proliferazione di germogli, coltivando sezioni
di cormo con gemme ascellari su substrato MS con 1
mg l-1 BAP e 90 g l-1 saccarosio a T= 15 °C; nella
seconda fase viene indotta la formazione di microcormi nelle stesse condizioni, ma senza l’aggiunta di
BAP e con 60 gl-1 saccarosio nel substrato. La micropropagazione tramite embriogenesi somatica in diverse cultivar gladiolo è risultata altamente efficente
(Stefaniak, 1994) coltivando sezioni di cormo di 2
mm su di un substrato MS con 2 mg l-1 di acido 2,4
diclorofenossiacetico (2,4-D) a T= 23 °C, al buio
nella fase di induzione del callo ed alla luce (40 mol
m-2 s-1 di densità del flusso di fotoni fotosintetici) nella
fase di formazione di embrioni. La germinazione
degli embrioni somatici è stata effettuata su substrato
MS senza regolatori di crescita, mentre la proliferazione e la radicazione sono state eseguite seguendo le
fasi II e III di Logan e Zettler (1985). I microgermogli
sono stati trasferiti con successo ex vitro senza formazione dei bulbetti.
Micropropagazione di rizomi
Alstroemeria (fig. 4). La micropropagazione in
Alstroemeria è necessaria perché molti degli ibridi
sono sterili, la moltiplicazione asessuata convenzionale è lenta ed il Virus del mosaico della Alstroemeria
Fig. 4 - Fiori di alstroemeria.
Fig. 4 - Alstroemeria flowers.
(AlMV) è trasmesso via seme. Gli espianti nell’organogenesi diretta sono costituiti da scapo fiorale,
foglie, apici di rizomi e fusti e pezzi di rizomi. La
micropropagazione è stata anche conseguita attraverso organogenesi indiretta ed embriogenesi somatica
(Kim e De Hertogh, 1997). L’Alstroemeria è stata
risanata di AlMV e micropropagata con successo da
apici meristematici da gemme ascellari di rizomi, coltivati a T=18 °C, con un fotoperiodo di 16 ore di luce
(50 mol m-2 s-1 di densità del flusso di fotoni fotosintetici) nel substrato MS contenente 2 mg l-1 BAP e 30 g
l-1 saccarosio (Chiari e Bridgen, 2002). In queste condizioni gli espianti producono germogli e in successive subculture sviluppano rizomi. Germogli con rizomi
vengono trasferiti nello stesso substrato addizionato
con 0,2 mg l-1 NAA per la radicazione e quindi trasferiti per l’acclimatazione ex vitro. Dopo 4 mesi di coltivazione in serra, si verifica la fioritura (Chiari e
Bridgen, 2002). Un’altra tecnica di micropropagazione efficiente utilizza le foglie giovani con una porzione del nodo di fusto come espianto. Viene utilizzata
una procedura di rigenerazione in due fasi: gli espianti di foglie vengono incubati per 10 giorni in substrato
di induzione (MS, 2 mg l -1 TDZ, 0,1 mg l -1 acido
indolbutirico, e 30 g l-1 saccarosio) e poi trasferiti sul
substrato di proliferazione di germogli (MS, 0,5 mg l-1
BAP, e 30 g l-1 saccarosio). Tutte le culture sono incubate a T=18 °C, al buio (Lin et al., 1998). Una combinazione di micropropagazione di rizomi e di foglie
73
Marinangeli
dei germogli generati in vitro da questi rizomi,
aumenta significativamente l’efficienza del processo
(Lin el al., 2000).
acclimatazione. Particolare attenzione viene riservata
ai sistemi di coltivazione che utilizzano bioreattori per
la micropropagazione commerciale su larga scala.
Prospettive future
Parole chiave: bulbo, cormo, rizoma, propagazione
in vitro, bioreattori, Lilium, Tulipa, Gladiolus,
Alstroemeria.
Di tutti i generi qui riportati, Lilium è stato il più
studiato e, dal punto di vista commerciale, quello
maggiormente propagato in vitro. Ulteriori approfondimenti sono necessari sulle altre bulbose ornamentali
per estendere l’applicazione della micropropagazione
fino al livello commerciale. Tuttavia in alcune specie,
in cui sono state incontrate difficoltà, è ancora necessaria la messa a punto e l’ottimizzazione dei protocolli di coltura in vitro. La micropropagazione, già
impiegata nella produzione di micropiante e propaguli
quali cormi, rizomi e bulbi, vedrà accrescere la sua
importanza nei prossimi anni.
Per quanto riguarda i sistemi di rigenerazione in
vitro, l’organogenesi diretta resta la forma preferita a
causa del basso rischio di variazione genetica nei propaguli, tuttavia l’embriogenesi somatica mostra grandi potenzialità se si riescono a mettere a punto tecniche di rigenerazione efficienti.
I sistemi di micropropagazione che utilizzano bioreattori verranno imposti sempre più dall’economia
del mercato, perché consentono minori costi di produzione per processi produttivi su larga scala. Al
contrario, sarà necessario utilizzare tecniche tradizionali per la messa in coltura e per il risanamento di
campioni infetti.
In conclusione, la micropropagazione rimarrà un
potente strumento in mano agli operatori del settore
delle bulbose ornamentali, che può integrarsi con
altre biotecnologie come la crioconservazione e l’ingegneria genetica.
Riassunto
Le geofite ornamentali sono piante dotate di organi
di riserva sotterranei che sopravvivono alla stagione
sfavorevole e che vengono coltivate ed utilizzate per
le loro caratteristiche estetiche. Di solito, i metodi tradizionali di propagazione delle specie geofite hanno
una bassa efficienza e possono essere una via di trasmissione per alcune malattie. La propagazione in
vitro può superare questi problemi. In questo lavoro
vengono descritti sistemi di propagazione di specie
geofite basati sull’impiego della coltura in vitro di
organi sotterranei di sopravvivenza, che si realizza
con la produzione di bulbetti ovvero propaguli naturalmente rustici che possono essere trasferiti direttamente in coltivazione a terra senza un periodo di
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