Martedì 19 marzo Si parte, a distanza di poco meno di un anno dall

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Martedì 19 marzo Si parte, a distanza di poco meno di un anno dall
Martedì 19 marzo
Si parte, a distanza di poco meno di un anno dall’ultima visita in Congo. Programma: permanenza per una
settimana, esame di citopatologia ai giovani (non credo che si boccerà alcuno, facendo rifare l’anno:
occorre sapere a che punto di autonomia sono arrivati in lettura e refertazione). Stavolta viaggio solo per
una serie di ragioni: la prima è che nessuno, me compreso, ha mai troppo tempo disponibile, la seconda è
che la breve permanenza consiglia di risparmiare sulle quote-viaggio, la terza è che Sergio Arnaud ha un
braccio (il destro) ingessato, per cui, anche volendo...
La tratta è Milano Linate all’alba (un popolo di gente in partenza, soprattutto sudamericani), Amsterdam,
Nairobi, Entebbe, con arrivo finale a circa mezzanotte. Passo la notte nella stanzetta soffocante dei
passeggeri in transito, faccio conoscenza con un giovane congolese chelavora per MSF e torna da Kinshasa.
Dormo poco e male sdraiato selle sedie, interrotto da una serie di personaggi del personale dell’aeroporto
che mi vengono a chiedere tutti le stesse cose: da dove vengo, dove sono diretto, che volo prenderò.
Mercoledì 20 marzo
Al mattino il volo MAF è in partenza alle 9. Viaggio insieme ad altre persone di MSF, che non so bene da
dove provengano. Dopo un’oretta di volo nel cielo nuvoloso, si arriva a Bunia. Qui ritrovo Ahuka, che non è
cambiato nulla, corpulento, aria severa e di chi nella zona è appena sotto il padreterno. Ci salutiamo con
abbraccio, strette di mano e, al posto del bacio sulla guancia, una specie di scambio di gentili testate (tre)
date sulla fronte laterale. Mi chiede se devo fare il visto e mi trascina nell’ufficio immigrazione, dove
l’impiegato mi mostra la legge che prescrive la necessità di arrivare in Congo già provvisti dello stesso. Pochi
minuti e 90 dollari e il visto è pronto, alla faccia della legge. In ogni caso, per i prossimi APOF, meglio
arrivare con il visto a posto. Ahuka con la sua autorità non è sempre a disposizione.
Si riparte con un aereo più piccolo: passeggeri siamo solo io e Ahuka; il pilota è molto giovane e credo di
averlo già visto: è l’unico che mette il casco e gli occhiali alla top gun. Ci dice qualcosa sul fatto che deve
fare una deviazione sul percorso che prenderà pochi minuti: si parte, poi dopo poco effettivamente effettua
un passaggio radente su una pista erbosa di un villaggio, poi, al secondo passaggio, atterra. Oltre agli
onnipresenti bambini salutanti, salta fuori un atletico, canuto e glaucocchiuto pilota (la professione me la
dice Ahuka) che saluta, prende qualcosa dalla stiva dell’aeroplanino, ringrazia e se ne va. Mi chiedo, come
sempre: ma cosa ci stanno a fare questi tipi in posti come questi: sono missionari, avventurieri o l’una e
l’altra cosa?
Alle 12,30 atterriamo a Mungbere: solita folla ad attenderci, soprattutto bambini, che attraversano la pista
come gli spagnoli a Pamplona durante la corrida per le strade. Ad apparecchio ormai fermo un armigero
con machete e bastone minaccia i bambini, provocando un fuggi fuggi tra il giocoso e il terrorizzato, che fa
vittime tra i bambini più piccoli, per cui il tipo si becca una bella strigliata da una mamma incazzata. Ci
vengono a prendere padreFranco e un ragazzo di nome Joseph, che alla fine collego essere il quasi
confratello disceso con Ilde. Alla missione c’è Irene, bella e sorridente come sempre. Gianmaria ritornerà
forse sabato dai suoi viaggi nei dintorni (si fa per dire…). Mangiamo qualcosa alla mensa della missione (riso
e pondu -una sorta di pesto fatto coi germogli della manioca- , spaghetti con il tonno e carne)e si fa visita al
laboratorio e ai nostri studenti in ospedale. Li rivedo con piacere: sono ordinati e con il camice lindo,
addirittura Vincent mi comunica che ha chiamato Eugène il suo ultimo e recentissimo figlio… Si rinnovano i
saluti e rimango ben impressionato dai microscopi che i ragazzi hanno a disposizione: me li aspettavo più
“basic”, invece devo dire chein Anatomia Patologica a Desio lavoriamo con strumenti peggiori.
Faccio loro un breve discorso sulla ragione principale della mia discesa: chiudere il corso facendo una sorta
di esame per considerare a che punto di preparazione e di autonomia sono giunti. Dono loro alcune stampe
di foto che ho fatto alla mia ultima visita. Ci diamo appuntamento all’indomani mattina.
Doccia, un po’ di internet per scrivere e parlare via Skype con la famiglia ed è tempo di cena: il rituale è
consueto: ci di trova in portico ad attendere gli altri confratelli, si mangia a buffet e ci si ritrova poi a fare
due chiacchiere sulle sedie del portico. Casco dal sonno, quindi alle 8 e 30 sono già in stanza: dormirò come
un sasso, nonostante musica e suoni di una televisione ad altissimo volume (ma dove sarà mai?).
Giovedì 21 marzo.
Sveglia difficoltosa, ore 6 e 30. Alle 7 colazione con Ahuka e gli altri. Tornando agli alloggi, il mio collega
(universitario) congolese mi comunica la sua soddisfazione per quanto ha visto e per quanto gli hanno
comunicato i ragazzi. La sua ambizione è cresciuta: considera il lato orientale, quello al confine con
l’Uganda ormai a posto, quindi rilancia con l’anatomia patologica in tutto il nord del Congo (anche a Ovest).
Mi sembra un poco eccessivo, ma se ne riparlerà insieme a Gianmaria.
Alle 8 e 30 i ragazzi sono in laboratorio. Nuovo discorsino e si comincia con 5 vetrini presi dalla casistica che
mi sono portato con me: dovranno vederli tutti a turno. Tempo previsto da 2 ore a 2 ore e mezzo. Dico loro
di non comunicare le impressioni personali agli altri, anche se non si tratta di esame. Ma si sa, noi
universitari siamo subdoli come vipere: sulle loro conclusioni e successive presentazioni saranno valutati
eccome!
Alle 11,45, dopo avere riguardato nel frattempo il resto della casistica e avere parlato del più e del meno
con Irene, gli studenti hanno pressoché finito. Un poco lenti. Scrivo così queste righe.
Pranzo. Stavolta, insieme ai fusilli con sugo di carne, braciole di vitello e melanzane, c’è un pastone
marroncino che mi attira: termiti, mi comunica Joseph in francese. “Termiti insetti, intendi?” dico io. Si.
Proprio loro. Naturalmente assaggio. Sono dolcine, scricchiolano sotto i denti e si riconoscono nell’impasto
gli addomi a strisce. Naturale l’accostamento coi gamberetti. Direi da gustare con salsa coktail e vino bianco
secco. Mi viene da dire: ma sono quelle volanti o quelle di terra? Le prime, per me. Più facili da prendere
La pausa pranzo è breve: Ahuka, che la mattina ha fatto il giro coi medici dell’ospedale, tiene una
conferenza a medici e infermiere: quasi tutti l’hanno avuto come professore a Kissangani. Aula piena.
Argomento: spina bifida e idrocefalo, con tanto di filmato su come si posiziona il catetere encefaloperitoneale. Mi sembra di capire che in ospedale c’è un caso e deve operarlo in questi giorni. Veramente
bravo: chiaro, misurato, convincente e perfettamente tarato per l’auditorio: vuole convincere che si tratta
di un intervento facile, per cui lo si faccia, anche all’anoalite hospital!
E’ venuto il momento delle correzioni: ciascuno degli alunni presenta un caso agli altri e cerca di convincerli
della bontà della loro diagnosi. A parte l’aspetto vagamente ludico, importanti per il progetto sono i risultati
e sono ansioso di sapere come si siano comportati. Per i lettori non patologi, avverto che le righe che
seguono sono per iniziati. Sottolineata la diagnosi della citologia di Desio
Caso 1 /HSIL, riconosciuta come tale da quattro di loro. Uno dice AGC.
Caso 2/ HSIL: tre HSIL, una ASCH, un inadeguato
Caso 3/ LSIL: tre LSIL, due negativi infiammatori
Caso 4/negativo con actinomiceti: cinque negativi con infiammazione. Due dicono Herpes e mi sparano
davanti tre-cellule-tre da libro. Sono veramente impressionato e lo comunico.
Caso 5/negativo-alterazioni riparative: tre LSIL, una ASCUS, una ASCH; è il caso meno compreso e mi
riprometto per il giorno dopo di tornarci sopra.
Ho già alcune impressioni sui singoli, ma le tengo per me, per ora; domani si ricomincia e li avverto che
stavolta il tempo a disposizione non sarà infinito: 15 minuti per preparato.
Nel tardo pomeriggio scorgo Ahuka catechizzare i suoi tre (Isaie, Aimee e Bienfait): capisco che parlano
dell’imminente partenza e del loro futuro professionale. Argomento da approfondire insieme. Poi, comincia
a piovere: siamo all’inizio di una stagione delle piogge giunta con un po’ di anticipo. Gli abitanti non hanno
fatto in tempo a bruciare i campi per prepararsi alla semina del riso, mi dicono. Cena, chiacchierata nel
portico e a casa entro le 20 e 30, prima anche di Carosello.
Venerdì 22 marzo
L’attività intorno alla casa comincia presto: 5 e 30 e suonano campane (chiesa, alloggi dei pigmei…) e si
sente vociare di persone. Una donna spazza il marciapiedi pulito dell’ingresso. Colazione e trasferimento in
laboratorio per la seconda giornata di test: sempre 5 pap test a testa, ma stavolta tempo scandito dalla
sveglia del cellulare: 20 minuti (penso di essere generoso, ma c’è qualche mugugno). In questo modo posso
correggere e discutere i casi entro la fine della mattina. Segue rapporto per citopatologi.
Caso 1/HSIL: cinque HSIL
Caso 2/Negativo: quattro negativi (uno vede la clamidia), una LSIL-ASCUS
Caso 3/Negativo con alterazioni riparative e infiammatorie: due negativi, una ASCUS, due LSIL
Caso 4/Negativo con trichomonas: due negativi (con un trichomonas), due LSIL (con un trichomonas), una
ASCUS
Caso 5/AGC: tre LSIL, una LSIL+AGC, una ASCUS
Considerazioni, unite ai risultati di ieri: le HSIL non sembrano problematiche, mentre si tende un po’ a
sovrastimare le alterazioni infiammatorie-riparative, che spesso vengono intese LSIL o ASCUS. Riferendosi
ancora ai singoli, due soggetti bene, tre un gradino sotto.
Irene, che evidentemente non mi vuole sfaccendato, mi organizza una lezione per le 13 e 30 a medici e
infermieri. Opto per una presentazione sul cancro del collo dell’utero e necessità della prevenzione. Se
speravo in una folla alla Ahuka, resto prontamente deluso: si presentano una infermiera e cinque medici,
oltre ad Ahuka, e scopro che il proiettore non è previsto. Ci si arrangia con uno schermo. Sembrano un poco
spaesati durante l’esposizione e il mio senso dell’umorismo, in francese, non fa molta breccia. Alla fine,
però, fanno molte domande che non sembrano di cortesia.
Subito di seguito due ore dedicate alle lesioni borderline e ASCUS per i ragazzi, che mi sembrano
l’argomento più ostico, ma non solo per loro. Per l’indomani (sabato, prevista solo mattina di lavoro)
anticipo la prossima prova. A ciascuno di loro viene assegnato un caso tra i dieci visti: avranno a
disposizione 6 foto per documentare il caso e consentire la diagnosi citopatologica a distanza ai colleghi del
progetto che ci seguono da casa. Se non ci riescono, vedremo a chi assegnare la colpa.
Il caldo piuttosto intenso viene repentinamente mitigato dal temporale serale in arrivo. Dopo un po’ di mail
e notizie, torno al mio alloggio a scrivere.
Domani dovrebbe tornare Gianmaria in moto da Isiro: 140 km in sei ore per uno abituato. La tratta che
potrei fare se la pista dell’aeroporto si allaga ( a Isiro è in cemento, non in erba come a Mungbere; come
paragonare FlushingMeadows a Wimbledon). Ma se si allaga la pista, si allaga anche la strada. Forse
esagero con i timori.
Argomento clou della cena: incidenti e investimenti sulle strade del posto. Ciascuno dei confratelli racconta
storie tragiche, mano a mano più raccapriccianti. L’ultima è il paralitico gettato sotto l’auto di un
occidentale dai parenti per avere un po’ di denaro (giustificazione: almeno serve a qualcosa!)
Nel dopocena si passa alle abitudini voluttuarie dei pigmei, dalla distillazione di alcool da riso, banane, mais
o altro, alle colture di una sorta di canapa locale.
Sabato 23 marzo
Mattina di lavoro, quindi svegli a e colazione come solito. In laboratorio, al mio arrivo, i ragazzi sono già al
lavoro per assemblare i casi in foto; forse ho comunicato loro un poco di ansia. Anche io e Ahuka però non
possiamo restare sfaccendati: è in previsione per le 13 e 30 un nuovo incontro in aula adiacente con medici
e infermiere. Ho a disposizione mezzora per spiegare pap test e quanto stiamo combinando. Ahuka, invece
parlerà della schisi labiale.
I ragazzi finiscono, inviano le foto ai docenti italiani (Sergio, Daniela, Ilde) e anche al sottoscritto; apro i loro
lavori e li commento davanti allo schermo. Qualità delle foto discreta, ma disomogenea, scelta dei campi in
generale buona. Sentiremo cosa rispondono gli altri.
Mentre pranziamo, il rombo di un due tempi preannuncia l’arrivo di Gianmaria. Non è neppure troppo
infangato: la pioggia lo ha lavato abbondantemente. Brevi convenevoli e si torna a tavola.
Ora 13 e 30, relazione: pubblico più numeroso, come al solito impermeabile a qualunque tentativo di
mettere la cosa sul simpatico. Sono comunque attenti, seguono il discorso e alla fine qualche domanda.
Mentre Ahuka attacca, mi ritiro fuori dall’aula con Gianmaria per fare un poco il punto della situazione. Mi
comunica che è stato rinnovato il finanziamento per il secondo anno di progetto. Ci passiamo due
impressioni, ma rimandiamo a dopo (sarà per domenica pomeriggio, insieme a Ahuka) le decisioni.
Pomeriggio di riposo, cena e a letto.
Domenica 24 marzo
E’ Domenica delle Palme (desRameaux). In programma processione e messa a partire dalle 7. Tutti portano
rami di palma, alcuni intrecciati insieme a fiori. Irene mi confeziona una piccola fronda. Il ritrovo è davanti
all’ingresso dell’ospedale, dove le palme vengono benedette, poi si va a in processione a messa, che, tra
canti e balli, terminerà alle 9 e 30. La messa è in lingua locale: intuisco i momenti consueti, capisco che al
vangelo si recita la Passione di Cristo a più voci; all’Offertorio, oltre al denaro, arrivano frutti, canne da
zucchero, un pollo; agli avvisi, si allertano i presenti sulla lezione di Ahuka per martedì pomeriggio.
Argomento: il cancro. Dalla cura con cui la sta preparando, credo sarà un avvenimento: spero che mi passi
la presentazione o la voglia fare su Telesa per permetterci di diffonderla.
Prima di pranzo, Irene, Ahuka (che ha espresso il desiderio di comprare della carne da portare a suoi) e il
sottoscritto fanno visita al mercato. L’ho già esplorato l’anno scorso: nella parte alimentare i banchetti sono
occupati da frutti (banane, limoni, papaja tra i riconoscibili), verdure (aglio, cipolle), scatolame, pesci secchi
e, effettivamente, carni. Con 20 dollari (previamente cambiati in moneta locale) Ahuka si procura pezzi di
cinghiale, scimmia e di altri animali non traducibili. Sono secche e nerastre, bruciacchiate superficialmente
per la loro conservazione. Faccio foto, stringo mani e poi si torna col bottino, da fare ulteriormente seccare
al sole. Stranamente non compro nulla.
Nel primo pomeriggio ci si ritrova nel laboratorio con Ahuka e Gianmaria per mettere a punto il prosieguo
del progetto. Viene riassunto di seguito per punti:
1. A eccezione di Vincent, gli altri partono. 20 giorni ancora per impratichirsi con il sistema di
refertazione, non ancora rodato. Destinazione: Kissangani (Aimée), Beni (Isaie), Mambasa (Joseph),
Goma(Bienfait). Ciascuno si porta dietro microscopio e notebook. Ahuka avverte di redigere uno
scritto in cui sia indicato che la proprietà delle attrezzature resta dell’organizzazione e non passa ai
citologi. Si scriverà una sorta di attestato di frequenza al corso su carta intestata firmato da noi tre
(o solo da Gianmaria se si parte prima). Delle sistemazioni lavorative di Aimée, Isaie e Bienfait si
occupa Ahuka; per Joseph garante è Gianmaria. Attualmente materiale di consumo è disponibile
solo per uno di loro (si è ancora in attesa della fornitura ordinata due volte in Bio-optica e fermata
per vizi di imballaggio in quanto merce pericolosa). Il materiale andrà con Bienfait. AnoaliteMungbere sarà ancora lo snodo di distribuzione del materiale, che venga dall’Italia o dall’Uganda
(sentire Dell’Antonio)
2. Prevedibile la necessità di nuovi accessi di docenti l’anno prossimo (indicativamente due per anno,
si comincia intorno a settembre). Corso di ripasso e aggiornamento a Mungbere. Sono i citologi a
muoversi dalle loro sedi per tornare a Mungbere. Naturalmente didattica on line nel frattempo.
3. Contemporaneamente parte l’istologia. Si comincia comunque a Mungbere. Necessitano un tecnico
di istologia (Giorgio?) che venga a formare almeno una unità di personale, una centralina da
inclusione, un microtomo e infine uno scanner, sperando nella banda larga. Forse si può prevedere
la processazione a mano per il primo periodo.
4. Preparazione di un medico alla funzione di patologo: l’ipotesi Moise è ancora tiepida, ma rischia di
non concretizzarsi. Si cercherà qualche altro candidato. Il patologo giovane di Goma sarà contattato
e si collaborerà con lui, ma sia Ahuka sia Gianmaria si attendono che abbia già i suoi referenti cui
rendere conto (Kinshasa, possibilmente).
5. Ahuka propone la citologia itinerante per raggiungere le atre sedi sprovviste di servizio, fino al
nord-ovest (Equateur), ancora messo peggio della Provincia Orientale.
6. Gianmaria propone di pensare a raddoppiare i citologi nelle sedi staccate, per avere un eventuale
ricambio
7. Ahuka contatterà i suoi colleghi medici per sensibilizzare gli ambienti all’esecuzione del paptest.
8. Gianmaria chiede sistemazione di archivio dei vetrini.
Finita la discussione, Gianmaria ci porta al “project”, una proprietà della missione appena fuori Mungbere,
dove si allevano vacche e si fanno vari esperimenti di coltivazione: l’ultimo, gli ananas, è terminato per
opera delle vacche stesse, vere buongustaie. Ora si tenta con una bananiera da foglie (non da frutti) per
nutrire gli armenti nella stagione secca. Invece va avanti, più lontano, la coltivazione degli alberi da
biogasolio. Ad aprile arriva un generatore che appunto funziona abiogasolio e si cercheranno di modificare
gli iniettori degli altri motori, compreso il trattore.
Alla sera, guarda caso, temporale, che stavolta ci sorprende prima di entrare in casa.
Cena e dopocena con crepes alla nutella fatte da Irene, cioccolatini, grappa Piave e un amaro locale.
Domani giorno ufficiale di esame.
Lunedì 25 marzo
Opto per una ventina di domande a quiz e poi prova pratica con un singolo vetrino a ciascuno, da refertare
e da presentare. Andamento un poco lento per le mie aspettative, ma risultati buoni, compresi tra 15 e 19
risposte esatte per quanto concerne lo scritto. Il pomeriggio prova pratica su vetrino, direi per tutti
piuttosto bene.
Discorso finale motivazionale e di incoraggiamento del sottoscritto e di Ahuka (sicuramente meglio),
applausi e… ci si vede domani.
Nel tardo pomeriggio, riguarda caso, temporale, ma per fortuna pioggia, tuoni e fulmini cessano prima di
sera, ora dell’incontro plenario via Skype con gli altri partecipanti italiani del progetto. Qualche facezia e un
po’ di discussione, passando dall’italiano al francese e viceversa. Bella arringa di Ahuka per sostenere i suoi
argomenti . La compagine italiana si dà appuntamento al mio ritorno.
Martedì 26 marzo
Ultimo giorno di permanenza in Congo: domani mattina si faranno i bagagli in attesa dell’aeroplano.
Mattina con i ragazzi a limare un poco le ultime cose: microscopi, foto, qualche striscio. Gli esami, per ora,
sono finiti. Ahuka, insieme a Gianmaria, deve operare due bimbi con idrocefalo, poi terrà la sua conferenza
alla popolazione sul cancro in Africa, da riproporre stasera su Telesa.
Mi sembra che i ragazzi, soprattutto i partenti, siano un poco irrequieti sul viaggio che li attende e sul loro
futuro.
Dopo pranzo, conferenza di Ahuka, nella vecchia cappella semidiroccata, accanto alla chiesa, dove tutto
puzza di pipistrelli (mi assicura Gianmaria). La gente arriva alla spicciolata e, a lezione già iniziata, la
cappella si riempie; direi 100-150 persone, tra cui riconosco un po’ di personale, medico e non,
dell’ospedale, poi donne, uomini e molti bambini. Conferenza in francese con traduzione simultanea in
lingala, curata da padre Franco che, a mio parere, aggiunge del suo e colorisce le cose. AhuKa sceglie
diapositive di impatto: tumori devastanti e corpi massacrati per stimolare allo screening (da fare in
ospedale) e alla prevenzione (bacco, tabacco e venere). Scopro che un pap test, all’Anoalite, costa 1150
franchi congolesi (un dollaro). Un’oretta pur con traduzione e molte domande. Finale poco ecumenico di
padre Franco che mette tutti in piedi e fa concludere con una preghiera. Alla fine Bienfait, Isaie e Aimée in
processione da Ahuka per essere ancora rassicurati. Li lascio dopo un po’ in intimità perché possano parlare
di cifre.
La sera, alle 19, cena di saluto. Irene si supera spignattando tutto il pomeriggio. Nel cortile antistante gli
alloggi ci troviamo in dieci: oltre al sottoscritto, Irene, Gianmaria, Ahuka e i cinque nostri ragazzi.
L’imbucato è padre Carlos, medico, messicano e simpaticissimo. Menu: patate, manioca (fufu), pollo
arrosto, piselli in maionese, banane fritte, un notevolissimo polpettone di pesce e semi di zucca (nome non
rimasto in mente), seguito da 10-bottiglie-10 di birra da 2/3. Considerando che molti bevono con
moderazione, me compreso, e Vincent affatto, si capisce che nel gruppo sono compresi degli efficientissimi
bevitori. Complice l’alcool e i racconti di fratello Carlos sulle sue avventure da medico di frontiera alle prese
con ribelli, banditi e malati pittoreschi, si ride molto, interrotti solo per poco dalle urla provenienti
dall’ospedale di una mamma che ha perso il suo bimbo. E’ la terza volta che sono qui e la terza che avviene
la cosa. Sapremo poi che si tratta di un bimbo affetto da tumore, di nome Efrem, forse un nefroblastoma.
La su a mamma era alla conferenza di Ahuka.
Prima delle nove si torna in ospedale per registrare sulla piattaforma internet di Telesa la conferenza di
Ahuka. Tra qualche problema di connessione e qualche interruzione, si porta a termine la cosa. Mi sembra
che i partecipanti dall’Italia (Sergio, Ilde e Stefano) siano ben impressionati dalle doti oratorie del nostro
docente locale.
Si va a letto alle 23. Troppo tardi per queste parti, dove ci si sveglia alle cinque.
Mercoledì 27 marzo
Sveglia e colazione come sempre, ma si cominciano a salutare quanti si incontrano. D’obbligo una puntata
in laboratorio, dove si tiene il rituale delle foto e dei saluti coi ragazzi. Speriamo di avere ben seminato.
L’arrivo dell’aereo è previsto per le 9 e, forse per l’avvicinamento particolarmente silenzioso, la chiamata
per l’aeroporto ci sorprende un po’. Arrivati, aereo più grande del solito, con due piloti. Io e Ahuka
scopriamo che sarà un lungo giro, con fermate plurime stile metrò: nell’ordine Isiro (aeroporto simile a
Bunia, con pista asfaltata), Dongo (verso il Sudan, in terra battuta ed erba), Doko (sempre terra battuta, la
città dei cercatori d’oro), Uasa (villaggio con pista stile Mungbere) e infine Bunia, dopo 5 ore buone di volo
e attraversamento di un bel temporalone. A Bunia il solito cinema per capire quanto debba pagare per le
consuete gabelle locali incomprensibili. In due riprese mi chiedono un totale di 141 dollari, lasciandomi
ricevute per 91. Mi incazzo un poco, spalleggiato da Ahuka, e mi arriva il foglietto scritto a penna con la
firma del perfetto sconosciuto che mi ha taglieggiato… lo conserverò! Saluto Ahuka un poco troppo in
fretta.
Volo su Entebbe tra nuvole e arcobaleni. Arrivato, sosta doverosa in area transito, dove una francese
grintosa e acidognola velocizza le pratiche. In verità , se ti rassegni a consegnare passaporto e bagaglio
senza capire dove mai stiano andando, con calma dovuta, alla fine il servizio è ineccepibile: bagaglio preso
in carico subito e carte d’imbarco fino a casa. Meglio che a Linate. A casa mi aspetta il punto della
situazione con gli altri e il lavoro lasciato sospeso, mitigato dal lungo fine settimana di Pasqua.
Arrivederci all’anno prossimo