Comunicazione - Brianza Solidale

Transcript

Comunicazione - Brianza Solidale
Comunicazione
Estratto da www.psicopegagogiKa.it
psicopedagogia della comunicazione
La comunicazione
Vi è la tendenza a considerare il termine comunicare come sinonimo di trasmettere,
confondendo un fenomeno complesso, quale è appunto la comunicazione, con una sua
funzione. In senso generale il termine indica invece l'insieme dei fenomeni che presiedono alla
trasmissione di segnali.
Chiediamo aiuto all’etimologia. La radice del termine comunicazione risale al verbo
greco koinonéo (partecipo), che rimanda all'idea della Koinè, della comunità, e al latino
communico (mettere in comune, condividere), che implica sempre una relazione e uno
scambio. Se comunicare significa allora interazione, la trasmissione di un messaggio ne è solo
il primo passo.
Ogni uomo è, per definizione, un animale sociale. Egli cioè, non potrebbe costituirsi
come individuo se non in relazione con l'altro-da-sè. Ogni relazione è scambio reciproco, e ogni
scambio è possibile attraverso la comunicazione, il rapporto interpersonale, il processo di
influenza tra i soggetti coinvolti. Quindi, non il logòs, pensiero unico, ma il dià-logòs, il
pensiero-partecipazione comune, che si origina da una relazione ed è perciò pensiero
dialettico, diventa presupposto fondante della crescita e dello sviluppo dell’individuo.
La comunicazione è allora fondamentale perché risponde a bisogni differenti:
•
•
•
•
bisogni di tipo fisico: la sua presenza o meno tra le persone può incidere notevolmente
sulla salute dell’individuo;
è il modo attraverso cui impariamo chi siamo: il nostro senso di identità si costruisce
nell’interazione con gli altri;
bisogni di tipo sociale, quali il senso di appartenenza e di coinvolgimento con gli altri;
bisogni di tipo pratico, ad es. chiedere informazioni;
ed è caratterizzata da consapevolezza e intenzionalità, che possono essere più o meno
accentuate o ridotte. Si parla allora di comunicazione spontanea, quando è priva di un fine o di
uno scopo, casuale e non programmata, in contrapposizione (ma non escludendosi
reciprocamente) alla comunicazione intenzionale, che è invece finalizzata e pertanto prevista e
programmata.
Il caso più classico di comunicazione intenzionale è quello di un insegnante durante una
lezione in aula. Quando nella comunicazione è presente un’intento educativo, si parla di
comunicazione formativa. Quando cioè:
•
•
•
•
la generazione dell'atto comunicativo è di tipo intenzionale;
l'intenzionalità è diretta ad un fine educativo generale e ha come obiettivo un
apprendimento specifico;
richiede un'attività di elaborazione complessa da parte dei soggetti coinvolti: Umberto
eco definisce infatti il processo della comunicazione umana un processo di
significazione, cioè un processo che si stabilisce quando il segnale contenente il
messaggio non implica da parte del destinatario una risposta automatica bensì
interpretativa; l'abilità di chi comunica, come il formatore, non consiste soltanto nel
dare delle nozioni o delle informazioni, ma anche nel mettere i soggetti
dell'apprendimento in condizione di interpretare in modo la comunicazione;
si sostanzia costantemente di feedback, cioè di comunicazione retroattiva.
Giada Farè
Comunicazione e differenze di genere
Gli uomini e le donne utilizzano forme e stili linguistici differenti, sono sensibili a certe
parole chiave, a determinati stimoli, vengono attratti da immagini, fantasie e descrizioni
differenti e attribuiscono un diverso significato alle parole e ai segnali della comunicazione
corporea.
I differenti comportamenti comunicativi sono spesso origine di non comprensione ed
errata interpretazione sia dei messaggi verbali sia dei gesti, dell’espressione del volto, dello
sguardo. Alcune ricerche hanno mostrato veri fenomeni di bilinguismo delle donne.
Diverse sono le teorie e i campi d’indagine, alla ricerca dei motivi all’origine di queste
differenze.
1. La differenza sessuale è un dato biologico e naturale: in base al sesso, si possono
attribuire agli individui capacità intellettive e affettive diverse, differenti modi di pensare
e di agire, come se questi fossero biologicamente acquisiti insieme ai caratteri sessuali.
Secondo questo approccio, le donne parlano in modo diverso dagli uomini perché sono
naturalmente portate a farlo.
2. Fin dalla nascita i maschi e le femmine non sono trattati ed educati nello stesso modo e
differente è il loro processo di socializzazione. In questa prospettiva, le differenze tra i
sessi sono determinate dalle strutture sociali soggiacenti: cioè funzionale a un assetto
sociale e culturale in cui prevalgono modelli maschili, che relega le donne a ruoli
subordinati.
3. Teoria del deficit femminile (Jespersen): la comunicazione delle donne è spesso
deficitaria, incompleta, non corretta (a causa di una differenza biologica); le differenze
sessuali nel linguaggio sono interpretate come una deviazione delle donne da quella che
si ritiene essere la normatività maschile.
4. L’approccio delle due culture: donne e uomini appartengono a due culture differenti
(risultato dei diversi processi di interazione e socializzazione), che si rispecchiano nelle
differenze nel linguaggio e nello stile di comunicazione; le donne ad es. vivono i rapporti
di amicizia colorandole di un forte investimento emotivo, interpretano le situazioni con
maggiore sensibilità e impostano le relazioni su un piano di cooperazione, mentre gli
uomini tendono a stabilire rapporti gerarchici, usano il linguaggio in modo più
aggressivo, soprattutto per affermare la propria identità; ancora, le donne quando
parlano tra loro discutono e condividono i loro problemi, si ascoltano e si rassicurano
reciprocamente; gli uomini invece pensano che discutere di un problema significhi
soprattutto fornire una soluzione, e più che condividere i problemi ed esprimere
comprensione, danno consigli e suggerimenti. Le donne e gli uomini si aspetteranno
quindi cose molto diverse dalla comunicazione: la donna cerca ed evidenzia i nessi ed i
significati emozionali, l'uomo cerca ed evidenzia i fatti.
5. Le differenze nel linguaggio vengono interpretate anche in termini di strategie di
dominanza e di ineguaglianza sociale fra i due sessi: la posizione di potere e di controllo
che gli uomini posseggono a livello sociale si manifesta anche nella conversazione; non
è tanto il sesso degli interlocutori la causa delle differenze di comunicazione, ma il loro
status sociale.
Differenze psicologiche: la differenza sessuale è simbolizzata attraverso il linguaggio e
questo diventa uno strumento e un veicolo di potere e di dominio di un sesso sull’altro; il
linguaggio non è neutro, ma è sessuato, ed è espressione di una sola soggettività, quella
maschile. Attraverso il linguaggio, quindi, le donne interiorizzano i valori, le norme di una
cultura patriarcale che sancisce la loro subalternità; il linguaggio infatti, struttura simbolica
dotata di significato ma anche produttrice di senso, assume un ruolo determinante nella
formazione della coscienza di sé, della visione del mondo e della propria collocazione in esso. Il
linguaggio delle donne può essere allora interpretato come una forma di resistenza,
manifestazione di una non identificazione con un modello dominante che non riconosce la sua
diversità. Secondo la teoria della differenze psicologica (sostenuta anche dalla Irigaray), la
differente biologia e sessualità delle donne determinano un inconscio differente da quello degli
uomini, all’origine dei diversi modi di percepire e di comunicare; se non si riconosce una
specificità del soggetto femminile, non è possibile pensare a suo linguaggio diverso. Non sono
le donne a essere carenti e inadeguate rispetto al linguaggio, ma è il linguaggio inadeguato nei
loro confronti, incapace di
dare forma e espressione
al
sentire femminile.
Giada Farè
La comunicazione non verbale (scuola di palo Alto)
La comunicazione non verbale si riferisce a quell’insieme di segnali che il nostro corpo
invia muovendosi, esprimendosi, agendo e comportandosi nello spazio e in relazione
all’Altro.
.
Si parla di linguaggio non verbale presupponendo che il corpo e le sue parti
rappresentino un insieme di significati che ci permettono di comunicare con gli altri.
I segnali inviati dal corpo che si comporta diventano allora elementi significativi per i
soggetti che entrano in comunicazione.
Anche il corpo quindi possiede un suo specifico linguaggio, che amplia e a volte
sostituisce il contenuto verbale di una comunicazione. Trasmette significati, esprime emozioni
(manifesta gli stati interiori in modo molto più esplicito delle parole, contraddicendole anche,
principalmente attraverso il volto, ma anche postura e gestualità), invia informazioni su di sé
(ad esempio attraverso l’abbigliamento), comunica gli atteggiamenti nei confronti degli altri (il
comportamento non verbale è definito anche linguaggio di relazione), completa, sostiene,
modifica, sostituisce il discorso. I segnali non verbali hanno anche una funzione di
metacomunicazione, fornendo informazioni sul tipo di relazione esistente tra gli interlocutori.
La specificazione di "non verbale" legata al termine linguaggio tende a sottolineare la
distinzione con la produzione linguistica. Dicotomia questa da superare, perché dimentica lo
stretto rapporto e l’interdipendenza che esiste tra di loro nella realtà.
Occorre invece considerarli aspetti differenti ma interagenti dello stesso processo
comunicativo.
La CNV si realizza ogni volta che trasmettiamo informazioni ad altri attraverso lo
sguardo, i gesti oppure la voce. Questi segnali non verbali sono così connaturati nella
comunicazione che non sempre si può riconoscerli e avere la consapevolezza del loro
significato. Alcuni segnali sono emessi infatti in modo volontario, altri sono una risposta
spontanea a uno stimolo o si manifestano senza che vi sia alcuna intenzione di comunicare.
Codificare un messaggio non verbale significa inviare informazioni in modo consapevole
o inconsapevole a un’altra persona attraverso i canali e i segnali che costituiscono la
comunicazione corporea; decodificarli significa non solo vederli e percepirli ma interpretarli.
Va da sé che la decodifica in molti casi può non essere corretta.
La capacità di codifica e decodifica dipende dalle caratteristiche individuali degli
interlocutori, da elementi della situazione e del contesto, dai diversi significati che culture
diverse attribuiscono a questi segnali.
Sono abilità sociali, e chi risulta carente di questa abilità può avere difficoltà a stabilire e
mantenere relazioni.
Giada Farè
I canali della comunicazione non verbale
Lo sguardo e l’espressione del volto.
Lo sguardo è uno dei più importanti segnali non verbali. Può subire diverse
orientazioni, può essere rivolto in alto, verso il basso, oltre il nostro interlocutore, diretto verso
i suoi occhi.
La direzione, la frequenza, l’intensità determinano variazioni sostanziali nel significato
che assume in uno scambio comunicativo.
La percezione immediata è che questo segnale non verbale possa esprimere significati
diversi sull’individuo e sulla relazione: un contatto oculare frequente può indicare intimità fra i
soggetti, uno sguardo rivolto verso il basso piò esprimere disagio, timidezza o sottomissione.
Lo sguardo e le espressioni facciali degli interlocutori forniscono anche un feedback di
informazioni rispetto a come gli altri ci percepiscono e ci giudicano, e sui loro atteggiamenti nei
nostri confronti.
Il volto è uno dei canali più importanti della comunicazione non verbale. La mimica
facciale infatti lascia trasparire facilmente le proprie emozioni, oltre ad accompagnare e a
sostenere il discorso (le sopracciglia ad esempio sono l’elemento del volto che più fornisce un
feedback costante al discorso).
E’ stato per altro osservato che il riconoscimento delle emozioni di base attraverso
l’espressione facciale è fondamentalmente lo stesso nelle diverse culture.
Se il viso è la zona del corpo privilegiata per la lettura dei sentimenti e dei pensieri, è
anche però la parte più facile da controllare, quella in cui un'espressione può essere
intenzionalmente prodotta per contraffare i propri sentimenti.
La voce e gli aspetti paraverbali.
Normalmente gli elementi paralinguistici vengono divisi in due categorie:
1. la qualità della voce – tono e risonanza;
2. le vocalizzazioni – sospiri, riso, pianto, sbadiglio, pause, ispirazioni, balbettii e
anche l’intensità, il timbro e l’estensione.
La voce è il canale su cui esercitiamo un minor controllo, e che quindi rivela in modo
più veritiero gli stati emotivi e gli atteggiamenti interpersonali (uno stato d’ansia ad esempio
può provocare un aumento del tono di voce e del ritmo dell’eloquio). E’ possibile riscontrare
una correlazione tra voce e personalità di un individuo. L’estroversione per esempio si
caratterizza per un tono di voce più alto, un ritmo più veloce e una maggiore intensità vocale.
L’aspetto esteriore.
L’aspetto esteriore comunica importanti informazioni rispetto agli individui e influenza le
impressioni altrui.
I suoi elementi non verbali sono la conformazione fisica (forma e dimensione del corpo,
colore e stato della pelle), il volto (nei suoi tratti fisici), gli abiti (strumenti di segnalazione
sociale, che trasmettono messaggi sulla personalità e sul grado di conformismo alle regole
sociali), il trucco, l’acconciatura.
Sono segnali statici, che non variano cioè durante l’interazione, ma possono subire una
manipolazione volontaria, ad esempio per comunicare particolari informazioni su di sè durante
un colloquio.
Il comportamento spaziale, la postura e l’orientazione.
Esistono precisi rapporti tra spazio e comportamento.
Ogni corpo si colloca nello spazio e ne occupa una certa parte, muovendosi, assumendo
una determinata posizione e orientazione, mettendosi in relazione con gli altri individui.
Hall ha coniato nel 1966 il termine prossemica per delineare quest’aerea di interesse.
Anzitutto occorre parlare di contatto corporeo, la forma più primitiva di comunicazione
sociale che sperimentiamo subito dopo la nascita.
Il bisogno di un contatto fisico con il corpo di un’altra persona è un’esigenza
fondamentale per ogni individuo, a qualsiasi età.
Esistono vari modi di stabilire un contatto corporeo: stringere la mano, appoggiare il
braccio
sulle
spalle
di
un
altro,
abbracciare,
baciare,
tenere
sottobraccio.
Ognuno di questi modi esprime il grado di intimità tra le persone, gli atteggiamenti e le
relazioni di status. Un’altra forma di contatto fisico è quella rivolta verso se stessi,
l’autocontatto.
Spesso appoggiamo la guancia alla mano, ci tocchiamo i capelli, intrecciamo le dita,
incrociamo le braccia. Sono tutti contatti con il nostro corpo, agiti spesso in situazioni di
stanchezza o di stress, per confrontarci.
La vicinanza fisica tra le persone esprime meglio il grado di intimità e di gradimento
reciproco, e il tipo di rapporto tra due individui. Hall ha identificato la presenza di 4 tipi di
distanza interpersonale:
1. zona intima, identificabile con lo spazio immediatamente circostante il corpo, implica
intimità e fiducia;
2. zona personale, definita dal confine segnato dal braccio proteso, la cui invasione non
desiderata può provocare disagio e malessere;
3. zona sociale, riservata agli incontri formali o di lavoro;
4. zona pubblica, che caratterizza le occasioni pubbliche o le conferenze.
In generale le persone tendono a stare vicine o ad avvicinarsi a quelle per cui provano
attrazione e simpatia. Non è però scontato che questo atteggiamento provochi una risposta
analoga da parte degli altri: ad esempio, l’eccessiva vicinanza fisica, avvertita come
un’invasione, può provocare reazioni di allontanamento;
Esistono anzi differenze culturali: gli arabi stanno generalmente molto vicini tra loro,
mentre gli europei e gli asiatici si situano oltre la lunghezza del braccio. La distanza tra gli
individui è definita anche dall’angolazione secondo cui si situano nello spazio, dall’orientazione
del corpo.
L'orientazione fianco a fianco è assunta da persone che hanno un certo grado di intimità
o di amicizia, quella frontale nelle situazioni più formali, come i rapporti di lavoro.
Ancora, il corpo può assumere diverse posture, a seconda della posizione del capo, delle
braccia, del tronco e delle gambe.
Ad ogni postura si può attribuire un significato facilmente decodificabile.
Dominanza e stato sociale si esprimono con una postura eretta, le mani sui fianchi, il
capo all’indietro; sottomissione abbassando lo sguardo e la testa. Di frequente, durante
l’interazione è possibile osservare la tendenza da parte degli interlocutori a imitare la
postura dell'altro. Di frequente, durante l’interazione è possibile osservare la tendenza da parte
degli interlocutori a imitare la postura dell’altro.
La gestualità.
Durante la conversazione, braccia e mani degli interlocutori si muovono in varie
direzioni, a seguire quanto viene detto o a sottolineare gli stati emotivi di chi parla e di chi
ascolta.
Questi movimenti sono definiti gesti, e possono essere prodotti volontariamente o
essere spontanei.
Ekman e Friesen hanno definito cinque tipi di gesti:
1. emblematici, emessi intenzionalmente e con un significato traducibile in parole, tanto da
sostituirsi a queste (ad esempio, il gesto per l’autostop, o quello del saluto);
2. illustratori, emessi intenzionalmente nel corso di un’interazione per illustrare e sottolineare
ciò che si dice;
3.regolatori, emessi intenzionalmente, hanno lo scopo di mantenere il flusso della
conversazione, sincronizzare gli interventi (ad esempio, un cenno del capo);
4.affect
display,
rivelano
gli
stati
emotivi
di
una
persona;
5. adattatori, funzionali al soddisfacimento di bisogni ed emozioni, non sono intenzionali, e
possono essere rivolti verso se stessi (toccarsi il naso), verso l’altro o verso gli oggetti.
Giada Farè