La fede è un incontro - IV Domenica di Avvento - C

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La fede è un incontro - IV Domenica di Avvento - C
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La fede è un incontro
IV Domenica di Avvento - C
Michea 5, 1-4°, dal sl 79, Eb 10, 5-10, Lc 1,39-48
La seconda unione è della Vergine e della Madre, degna di stupore ed eccezionale. Dall'inizio del
mondo non si è mai sentito dire che una vergine partorisca e che sia madre una che rimane vergine.
Mai, secondo l'ordine delle cose, c’è verginità dove si parla di fecondità, né fecondità dove si parla
di, verginità. Costei è la sola in cui verginità e fecondità si sono incontrate. Là per sempre avvenne
ciò che non era mai avvenuto né avverrà in eterno, poiché non se n'è vista una prima che fosse
simile a lei, e non ce n’è che la seguirà (Bernardo, Vigilia di Natale 3, 9).
La quarta domenica di Avvento ci offre una liturgia vigiliare, nel cuore della novena
caratterizzata dalle antifone O che scandisce il tempo a ritroso verso il culmine della storia:
l’Incarnazione del Verbo. Partiamo dalla contemplazione della scena che la penna di Luca
dipinge con arte: due donne: una giovane e vergine, l’altra sterile e anziana. Cosa muove
Maria ad alzarsi ? Non appena l’Angelo di è allontanato da lei exurgens anastasa. E’ il
verbo della risurrezione, quasi che questo suo muoversi siano i passi della prima
evangelizzatrice della storia. Maria si fa tutt’intera risposta, responsabilità del frutto che
porta in grembo, della Parola ricevuta. Il saluto a lei consegnato dall’angelo, che è il lieto
annuncio di una nascita, cioè della benedizione, da lei si trasmette ad Elisabetta e da
Elisabetta al piccolo essere che questa porta in grembo, a sua volta frutto insperato di
un’anzianità sterile. Cosa differenza Maria da Elisabetta e Zaccaria? La fede, il diverso
atteggiamento del cuore con cui Maria pone una domanda analoga a quella di Zaccaria.
Ma in lei è una disponibilità aperta a un disegno che non conosce, la fiducia nella
positività. E’ questa che muove i suoi passi. Le due donne sono il simbolo dell’Antica e
della Nuova Alleanza: l’alleanza Nuova che si fa vicina all’Antica e per prima porta a lei il
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buon annuncio del compimento, e l‘Antica riconosce realizzata nella giovane vergine di
Israele ciò che lei non è stata capace di sperare, ma accogliendola con gioia anch’essa è
trasformata. Anche Elisabetta, infatti, come Maria, è ricolmata di Spirito Santo. Elisabetta
era sterile come le matriarche dell’antica alleanza; Maria porta il suo nuovo frutto, fiorito
nel suo grembo in quella nuova dimensione che è la verginità del cuore e del corpo, vero
inizio di un mondo nuovo, di un’umanità rinnovata, una verginità non più sterile, ma
feconda. Per l’Antica Alleanza sia la sterilità che la verginità erano segni di morte, perché
impedivano la continuazione della vita in una discendenza. Queste due donne, una sterile
e l’altra vergine portano in sé una nuova vita segno di benedizione. Ma l’incontro tra le
due donne è solo la cornice in cui avviene l’incontro più decisivo tra il Messia e il suo
Precursore, tra i due esseri ancor portati in grembo. La Voce (Giovanni) esulta al suono
della voce di Maria, trasalisce, sussulta di gioia verginale, ed Elisabetta è colmata di Spirito
Santo. Il verbo , usato quasi solo da Luca (Lc 141 e 44; lc 6 23) nel NT e in
pochissimi passi dell’AT significa originariamente il saltellare festoso degli agnelli o dei
vitelli, e spiritualmente indica il trasalire della gioia. Nel Pentateuco troviamo un rimando
interessante: Gn 25,22: Ora i figli si urtavano nel suo seno ed essa esclamò: "Se è così, perché
questo?. Rebecca è una delle donne sterili dell’AT, e la sua domanda “Perché questo?”
somiglia alla domanda di Elisabetta “A che debbo?”; è la stupita disponibilità a un disegno
misterioso che si svela ma che continua a esser celato. In Rebecca i due si urtavano nello
stesso grembo, qui il Precursore e il Messia sono portati da due diverse donne: una nuova
era inizia, non più due che si urtano (l’eterno conflitto tra fratelli) ma due dei quali l’uno è
in funzione di annunciare l’Altro, uno la cui gioia è compiuta alla presenza dell’Altro.
L’altra scena che gli esegeti accostano a questa della visitazione è l’ingresso dell’Arca in
Gerusalemme e la domanda di Davide "Come potrà venire da me l'arca del Signore?"(2
Sam 6). Nell’Arca che entra in Gerusalemme e là permane per tre mesi si vede prefigurata
colei che porta il Verbo di Dio. E’ molto suggestiva l’antifona latina dell’antifonario
cistercense: Ave stillans melle alvearium, ave vere Salomonis ferculum, Ave vere Dei tu
sacrarium, Ave deitatis receptaculum; Ave o tu che stilli il miele dai favi, ave vero trono di
Salomone, Ave vero sacrario di Dio, Ave vera arca della divinità. Maria è davvero colei che
porta la Divinità, colei che è il vero trono del vero Re di pace, dimora della Presenza di
Dio: così la Chiesa che porta l’annuncio del Vangelo a tutte le nazioni, così ciascuno di noi
che porta il saluto a un fratello. Il saluto di Maria provoca nell’anziana cugina una triplice
trasformazione: il bambino che porta in grembo fa sentire la sua presenza: sussulta; ella è
colmata di Spirito Santo, e profetizza a gran voce. Lei che era a sterile è ora incinta; lei che
nascondeva la sua condizione ora la rivela, lei che era rimasta in silenzio, ora profetizza; e
per Giovanni si compie la promessa dell’Angelo (Sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di
sua madre, v15) Madre e figlio sono insieme trasformati dalla presenza dello Spirito;
Elisabetta associa Maria e il Figlio che ella porta in una stessa benedizione, mentre Maria
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ha, nell’incontro, la conferma del segno promesso alla sua fede, ed è proclamata Madre del
Signore.
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