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LA RESPONSABILITA’ PENALE DELL’ATTESTATORE
(ART. 236 bis l.f.)
Prof. Avv. Federico Consulich
Professore aggregato di diritto penale commerciale –
Università di Genova
21 febbraio 2014
CENTRO DI FORMAZIONE, CULTURA E
ATTIVITÀ FORENSI DELL’ORDINE DEGLI
AVVOCATI
Via XII Ottobre , 3 – Genova
La norma
• Art. 236-bis. Falso in attestazioni e relazioni.
I. Il
professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli
articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false
ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, e' punito
con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da
50.000 a 100.000 euro.
• II. Se il fatto e' commesso al fine di conseguire un ingiusto
profitto per sé o per altri, la pena e' aumentata.
• III. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena e'
aumentata fino alla metà
Gli elementi di novità
1) il soggetto attivo
la riforma incentra la propria attenzione su un soggetto
diverso dall’organo gestorio dell’impresa in difficoltà: il
professionista che attesta la fattibilità del piano di risoluzione
della crisi di impresa.
2) La progressiva responsabilizzazione dei
cd. Gatekeepers
Il soggetto attivo presenta i connotati del ‘controllore
indipendente’. Si tratta di una figura esterna rispetto al
soggetto economico che dovrebbe monitorare, che
viene punita nel caso in cui venga meno, dolosamente, ai
propri compiti di controllo
3) Il tendenziale abbandono dello schema
dell’art. 110 c.p.
Il legislatore ha sciolto il nodo della responsabilità del
professionista dal modello del concorso di persone nel
reato da parte di soggetti diversi dal fallito
La condotta tipizzata
La falsità dell’attestatore si rivela una forma speciale di
falsità mediante abuso di fiducia, riposta nel professionista
dall’autorità giudiziaria e dal ceto creditorio.
E’ indifferente l’esito della procedura, è quindi un reato
di pericolo
La condotta tipizzata
• La fattispecie richiede esplicitamente che le
informazioni omesse e, implicitamente, quelle false
siano rilevanti
• La rilevanza dell’informazione per i destinatari della
comunicazione induce a ritenere che il giudice penale
debba verificare di volta in volta la capacità decettiva della
attestazione infedele nel quadro della singola procedura di
soluzione concordata della crisi aziendale
La condotta tipizzata
• non qualsiasi informazione falsa od omessa integra il
delitto, ma solo quella che superi una certa soglia di
significatività
• la naturale direzione dell’attestazione pare riferita
all’autorità giudiziaria e ai creditori dell’azienda in crisi
• è da ritenere rilevante solo l’informazione che modifica
sostanzialmente la portata dell’attestazione. Integra il tipo
legale quella informazione che se correttamente esposta e
inserita alla base della relazione o attestazione avrebbe reso
riconoscibile la irragionevolezza della valutazione del professionista
La condotta tipizzata
• il giudice penale, verificato che le informazioni alla base
dell’attestazione sono false o incomplete, deve
procedere ad una prognosi postuma che consenta di
comprendere se una attestazione veritiera e fedele
avrebbe determinato una diversa decisione da parte dei
destinatari della comunicazione
Ossimori penalistici: il problema della falsità
della prognosi
Le attestazioni e le relazioni hanno una composizione
bipartita:
1)una componente, informativa, che racchiude i dati relativi alla
situazione economica, patrimoniale e finanziaria
dell’azienda, nonché delle condizioni contestuali di mercato
in cui quest’ultima agisce
2)una componente, valutativa e orientata al futuro
imprenditoriale dell’azienda, costituita da stime previsionali
che implicano una scelta tra più opzioni imprenditoriali,
gestionali e finanziarie plausibili, in ordine alle quali però
non è data certezza
(segue) il problema della falsità della prognosi
dell’attestatore
Ai dati propri della componente informativa è possibile
associare, il predicato di vero o falso, ma ai dati della
componente valutativa si possono accostare solo i
concetti di ragionevolezza e coerenza rispetto alle premesse
metodologiche esplicitate
Il problema della falsità della prognosi
• occorre rifarsi alla giurisprudenza in tema di falsi
documentali codicistici
• la giurisprudenza ha avuto modo di affermare come sia
qualificabile in termini di falsità anche l’atto in cui si
palesi una dissociazione tra parametri e metodi di
redazione asseritamene adottati nella predisposizione
della valutazione e svolgimento effettivo della
valutazione stessa
Conclusioni in ordine al fatto tipico
Sono due le condizioni, alternative tra loro, che
comportano la responsabilità dell’attestatore:
1)se il giudizio prognostico sia dolosamente edificato su
informazioni false o sull’omissione di dati rilevanti
2)se, nello svolgimento della attestazione, il professionista
abbia, più o meno occultamente, disapplicato i criteri
dichiarati nella premessa della relazione, veicolando così un
giudizio irragionevole
Cenni sull’accertamento del dolo
dell’attestatore
L’attestazione/relazione falsa si distingue dalla
attestazione/relazione semplicemente errata (e quindi
penalmente irrilevante) per lo più solo alla luce
dell’elemento soggettivo che anima l’attestatore, ma
come lo si prova?
La prova del dolo: i problemi
• Le attestazioni e relazioni richiamate dall’art. 236 bis l.f.
nascono tutte da un complesso informativo che è stato
messo a disposizione del professionista dall’organo amministrativo
dell’azienda in crisi
• Non emergono solitamente poteri ispettivi o di accesso
che permettano all’attestatore e alla sua squadra di
collaboratori di rendersi indipendenti dal flusso
informativo che proviene dai soggetti che gestiscono
l’impresa
La prova del dolo:una facile previsione
Conseguenza: la prassi distinguerà, con giudizio
casistico a carattere altamente discrezionale, le
ipotesi in cui la falsità discenda dalla falsità delle
informazioni
fornite
all’attestatore,
senza
il
professionista se ne sia avveduto, dall’opposta ipotesi in
cui attestatore e management aziendale abbiano
sostanzialmente concordato la falsità dell’attestazione
La prova del dolo: la corretta impostazione
di metodo
Occorre individuare nel fatto storico concreto degli
elementi concreti (indizi) che permettano di inferire che
l’attestatore si sia consapevolmente posto nella
situazione di non poter conoscere (e quindi
nell’impossibilità di evitare) le falsità sottoposte a
lui dal management aziendale: solo in questo caso si può
individuare il dolo del fatto
La prova del dolo – elementi sintomatici
negativi
1) Una definizione ex ante confusa, incoerente o
disorganizzata del rapporto può certamente fungere da
elemento indiziario negativo
2) La mancata assunzione di responsabilità del
management dell’impresa in ordine ai dati che fornisce
all’attestatore può essere il sintomo dell’accettazione
del rischio reato da parte del professionista
3) Può essere importante il dato relazionale, cioè il
rapporto tra dimensione dell’organizzazione da
attestare e organizzazione dell’attestatore
La prova del dolo – un elemento sintomatico
positivo
Un ‘contro-segnale di allarme’ può essere costituito
dalla predisposizione nella lettera di incarico di un
potere ispettivo in capo all’attestatore ed ai suoi
collaboratori, con l’aggiunta di veri e propri obblighi di
collaborazione sanciti verso tutti i dipendenti
dell’impresa in crisi, senza la necessità di un nulla-osta
del management aziendale e con la previsione di
sanzioni in caso di mancata collaborazione
La responsabilità del professionista
CONCLUSIONE
L’attestatore ha due poteri temibili e deve usarli, se
necessario al fine di evitare il coinvolgimento:
- la non attestazione del piano
- la segnalazione all’autorità giudiziaria dell’attività illecita
di cui abbia il fondato sospetto