Parte VII - Dialetto e terra di Taranto

Transcript

Parte VII - Dialetto e terra di Taranto
“ Il dialetto Tarantino: una favola ancestrale … ”
a cura di
Enrico Vetrò
Settima puntata
Taranto fu fondata nel 706 a.C. secondo lo storico Eusebio di Cesarea (265-340 A.D.)
“ Taranto, sol per àncore ed ormeggi/ assicurar nel ben difeso specchio, /di tanta fresca porpora
rosseggi? / A che, fra San Cataldo e il tuo più vecchio/ muro che sa Bisanzio ed Aragona, / che sa
Svevia ed Angiò, tendi l'orecchio? /Non balena sul Mar Grande né tuona. / Ma sul ferrato cardine il
tuo Ponte/ gira, e del ferro il tuo Canal rintrona. / Passan così le belle navi pronte, /per entrar nella
darsena sicura, / volta la poppa al ionico orizzonte.” Gabriele D’Annunzio (1863-1938)1
1
“La canzone dei Dardanelli ”, in: “MEROPE”, Libro Quarto delle LAUDI DEL CIELO DEL MARE DELLA TERRA E DEGLI EROI, 1912.
(cfr.: http://www.atuttascuola.it/scuola/biblioteca/merope.htm).
Farrésce ’u sole cu ’a malinguníje / c’a’ díje allísce cu ss’à pórte víje …/ nò vvéde l’ore
’u pònde nuèstre bèlle / de durmè ’mbràzze ô máre cu lle stèlle … / Te ’ndurtegghiésce
’u scuròrie de ’ngánde / pèrle c’a stòria nòstre a nnu’ ’nge cánde. (e.v.)
P’a bbóna salúte …’nu muttètte de le ’nnandecesúre2 nuèstre.
“Páne cu ll’uècchie, frumàgge senz’uècchie e vvíne cu le làcreme all’uècchie”3
foto di Nicoletta Lerva
2
3
Avi.
Intendi: Pane soffice di farina genuina, formaggio compatto, e vino pastoso di alta gradazione.
La nostra parlata, il dialetto di Taranto, è come un figlio
che devi amare, nutrire, coccolare, vedertelo crescere
giorno per giorno, sperando che il buon Dio gli conceda di
vivere bene e a lungo … una creatura di cui andare fieri,
sempre … un essere generoso, solenne … nel cui sguardo
profondo e pieno di passato – quello nostro, dal quale
proviene la sua vita – leggere che egli sarà comprensibile e
benevolo nei nostri confronti, a tal punto da perdonarci
senza riserve, quando egoisti e indifferenti come siamo,
presi dal passo affrettato della vita quotidiana che debilita
i nostri respiri, ci capiterà di trascurare le sue aspettative,
o peggio, di dimenticare che egli è al mondo e di noi ha
bisogno. Noi, padri e figli di iPod, palmari, cellulari, pen
drive, TV digitale, e-book, e-mail, sms, mms, abbiamo
disperatamente bisogno di serena e illuminante spiritualità
- un bene che oggi scarseggia più dell’acqua e del petrolio se non vogliamo morire prima di morire. e.v.
’Nu piàtte d’accussíne jé’ ’nu letràtte d’autóre
Angelo Bronzino - 1545
“ L’allegoria dell’amore e del tempo”
Allícchete le múse e
’mbalzamíescete ’u stòmeche!
“Alla cozza Tarantina”
Elogio
Ci l’òsckere è ’a reggíne de ’stù mare
tu sì dáme de corte attúrne o’ tróne,
ch’appíse a le vendìje de pruvuláre,
’ttaccáte a’ zóche spànne ’nu festóne.
Te véche a frútte, apèrte a mènza scorze
O fatte a’ puppetègne o ’na ’mpepáte
(magáre accumbagnáte da scamòrze),
cu ’ríse e le patáne o gratenáte,
’mbuttíte o’ fúrne, frítte, jindr’o ’resòtte,
cu ’u tubbettíne e ’na bicchieráte
de Premetìve d’a cchiù mègghia votte.
Ca mò, tu, cozza nostra tarandíne,
cu ’nu mmiènze lemóne, allattemáte,
puè’ scére ’nnande pure a ’na reggíne!
Claudio De Cuia – poesia inedita donatami il 9.3.2009.
****
Vendìje = Funi d’erba palustre legati ai pali delle cozze poco sotto la
superficie del mare.
Pruvuláre = penzolo di ostriche o cozze. Insieme di frutti di mare pendenti.
A’ pprevetíne4
Tré’ ppiccennùdde …
’ndèrre …
a ʼu pendóne5 d’a chiàzze …
tré’ scòrze de páne
’na buttíglia d’àcque
sobb’a ’nna càrta de sciurnále …
stonne addáne e aspèttene
và jàcchie cè ccóse
cítte e ssóte6
’ngòcchie all’ôtr’une
a ccume a ttanda purceddúzze d’Índie …
E Ddíje?!
Díje no’nge stéje pe’ mmo’ …
téne ôtre cè ffà’ …
E lle crestiáne?!
Púre ...
’Nnànde a cchídde frušchelícchie
’nu ’ngróče e scróče7 de vòrse
càreche a ssajètte …
de desaffezzióne …
Enrico Vetrò
4
Intendi: “Privo di mezzi e a digiuno. In miseria”. È alterazione di “pretíne” dallo spagnolo pretina = cintura (Nicola
Gigante). Quasi a voler dire: trovarsi nella condizione di doversi stringere la cinta al massimo. Rinunciare a tutto,
quindi, anche all’indispensabile.
5
All’angolo. Plurale: pendònere. Dal latino punctum
(Nicola Gigante).
6
Quieti, calmi, fermi.
7
Pazzesco andirivieni! (Nicola Gigante).
Uagnù’! ’A víte s’avév’a vvívere a’ smèrse! Jéve cchiú’ mmègghie!
Sendíteme a mméje cè vve stóch’a ddíche …
“La vita dovrebbe essere vissuta al contrario. Tanto per cominciare si dovrebbe
iniziare morendo, e così tricchete tracchete il trauma è già bello che superato.
Quindi ti svegli in un letto di ospedale, apprezzi il fatto che vai migliorando
giorno dopo giorno. Poi ti dimettono perché stai bene, e vai a ritirare la
pensione, e te la godi al meglio. Col passare del tempo il tuo fisico migliora, le
rughe scompaiono. Poi inizi a lavorare, e il primo giorno ti regalano un orologio
d’oro. Lavori 40 anni finché non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il
ritiro dal lavoro. Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti
prepari per iniziare a studiare. Poi inizia la scuola, giochi con gli amici, senza
obblighi e responsabilità, finché non sei bebè. Quando sei abbastanza piccolo, ti
infili in un posto che ormai dovresti conoscere bene. Gli ultimi 9 mesi te li passi
flottando in un posto riscaldato con room service e tanto affetto. … E alla fine
abbandoni questo mondo in un orgasmo!” (Woody Allen)8
8
Cfr.: Focus, n. 198 – aprile 2009, pag. 24.
Intervista a:
Alessandro Manzoni
Qualche notizia su l’intervistato
.:: Dati anagrafici ::.
Data di nascita:
Luogo di nascita:
Data del decesso:
Luogo di decesso:
Padre:
Madre:
Nobile ereditario
Titoli nobiliari
07/03/1785
Milano
22/05/1873
Milano
Pietro Antonio
BECCARIA Giulia
Si
Signore di Moncucco
Prima moglie:
Seconda moglie:
Figli:
BLONDEL Enrichetta
BORRI Teresa
Clara
Pietro
Giulia
Cristina
Sofia
Matilde
Enrico
Vittoria
Filippo
Beccaria Cesare, avo materno
Taparelli D'Azeglio Massimo, senatore, genero, marito di Giulia
Baroggi Cristoforo, genero, marito di Cristina
Trotti Lodovico, genero, marito di Sofia
Giorgini Giovanbattista, marito di Vittoria
Redaelli Emilia, coniugata con Enrico
Catena Emilia, coniugato con Filippo
Milano
Via Morone
Possidente
Professore emerito dell'Università di Napoli dall'11 febbraio 1862
Socio corrispondente dell'Accademia della Crusca di Firenze dall'11 dicembre 1827
Membro onorario dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 26 novembre
1839
Presidente dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 1859 al 1861
Presidente onorario dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano dal 19 dicembre
1861
Membro dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti dal 18 luglio 1847
Socio dell'Accademia delle scienze, lettere e arti di Modena dal 1860
Socio ordinario della Società reale di Napoli dal 23 febbraio 1864
Socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino
Socio onorario dell'Accademia di belle arti di Milano
Parenti:
Luogo di residenza:
Indirizzo:
Professione:
Cariche e titoli:
.:: Nomina a senatore ::.
Nomina:
Categoria:
29/02/1860
20
Relatore:
Convalida:
Giuramento:
Luigi Cibrario
11/04/1860
08/06/1860
Onorificenze:
Commendatore dell'Ordine di S. Giuseppe (Granducato di Toscana)
Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia dal 22 aprile 1868
10 Maggio 2009, ore 10.30 … in casa Manzoni …
Casa Manzoni. Via Morone - Milano
Villa Manzoniana di Brusuglio (Cormano - Mi)
-
-
-
-
-
VETRÓ: Buongiorno, Senatore, la ringrazio per avermi ricevuto. È davvero un grande
onore per me poter intervistare una celebrità del suo calibro.
MANZONI: Buongiorno, professore. Molto gentile da parte sua … si accomodi.
VETRÓ: Grazie … Come sta?!
MANZONI: Bah … ho avuto giorni migliori, direbbero gli Inglesi. Ma non voglio tediarla
con le mie tristi vicende personali. A parlarne non basterebbe un’altra vita. Proceda pure con
la sua intervista, la prego.
VETRÓ: Mhm … certo ... certo … Comincio subito. Le rivolgerò poche domande mirate
per conto dei lettori di “Tarantoincartolina”. Perciò non Le ruberò molto del suo tempo
prezioso.
MANZONI: Sarò lieto di rispondere alle sue domande e soddisfare così le aspettative dei
suoi lettori! Nel frattempo posso offrirle qualcosa da bere?
VETRÓ: La ringrazio, è molto gentile da parte Sua. Magari alla fine di questa nostra
chiacchierata. Da noi si dice … “prima il dovere e poi il piacere”.
MANZONI: Sono perfettamente di accordo con il suo pensiero. Cominci pure.
VETRÓ: Senatore, può raccontare ai lettori di “Tarantoincartolina” cosa l’ha indotto a
scrivere “I Promessi Sposi”, diventato poi un best seller europeo?! Mi risulta che esso sia
l’unico romanzo presente nel mare magnum dei suoi scritti.
MANZONI: Benché non sappia una iota d’inglese, mi sembra di capire che per best seller
lei abbia ad intendere uno scritto che ha avuto molto successo perché in tanti sono stati a
leggerlo, e quindi ad averlo acquistato.
VETRÓ: Eccellente intuizione ... Senatore.
-
-
-
-
MANZONI: Beh … devo ammettere che non avrei scommesso un soldo sul fatto che la mia
unica opera narrativa sarebbe diventata così famosa in Italia e all’estero ... Veda … Mi
capitò di leggere nel 1819 la versione francese fresca ancora di stampa di “Ivanhoe”, dello
scozzese Walter Scott. Tratta della storia di un cavaliere sassone ambientata nel 1194, ai
tempi del re inglese Riccardo Cuor di Leone. La lessi una seconda volta, per gustarne
meglio le belle novità stilistiche e le trovate narrative davvero ammirevoli, che avevano il
chiaro scopo di intrigare il lettore e indurlo a scorrere avidamente le pagine, per vedere
come andava a finire. Aggiungo che a tutt’oggi considero Scott, oltre che amico e maestro,
l’Omero del romanzo storico europeo. Non lo nego ... di lì a poco decisi di scrivere anch’io
qualcosa che contenesse quelle novità, ma non avevo ancora le idee chiare in merito. Mi
trovavo nella mia villa di campagna a Brusuglio, che dal centro di Milano dista circa 7
chilometri. Adoro recarmi lì quando posso. In quella zona non manca il buon vino prodotto
dai miei amici contadini, che mi chiamano affettuosamente dôn Lisander. Gente alla buona,
schietta e genuina, come il nettare d’uva che producono. Non le nascondo che di tanto in
tanto non disdegno farmi una bella bicchierata assieme a loro … e la partitella a carte ci
scappa sempre in quella circostanza. Naturalmente nel giorno che Domineddio ci consente il
riposo dal lavoro. Beh … senza portarla tanto alla lunga, fu proprio nella mia villa che mi
giunse come per incanto l’illuminazione in merito a quanto avrei scritto. Il caso volle che mi
ero portato - come faccio sempre, d’altronde, - alcuni libri da leggere per trascorrere lì il mio
tempo libero in piena pace: la Storia di Milano dell’intellettuale Giuseppe Ripamonti, che
tratta della epidemia di peste avvenuta nel 1630 nel Ducato della mia città nativa, e un
saggio di Melchiorre Gioia, uno storiografo ed economo di gran pregio, devo dire. Nel suo
scritto si può leggere il passo di una “grida”, cioè una legge emanata dal Governatore di
Milano, chiamata così perché veniva gridata nelle strade da pubblici ufficiali, per informare
i cittadini del Seicento che non sapevano né leggere e né scrivere. Proprio in quella si
assicuravano pene e sanzioni severe a chiunque avesse impedito la celebrazione di un
matrimonio. Nel mio romanzo storico, dunque, la peste e le grida avrebbero marcato il
territorio delle non poche peripezie affrontate dai fidanzati Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella a causa di Don Rodrigo, un signorotto locale che s’invaghisce della popolana e
cerca a tutti costi d’impedirne l’unione legittima con il promesso sposo!
VETRÓ: Interessante … ma cos’è esattamente un romanzo storico?! La prego di
spiegarcelo nella maniera più semplice possibile.
MANZONI: Una parola?! … Mhm … Mettiamola così, molto terra-terra. Tu romanziere
scegli un’epoca del passato e vi ambienti la tua vicenda in una maniera vicinissima al vero.
Non pochi dei personaggi di quella vicenda, poi, sono realmente esistiti, ma agiscono
insieme a tutti quelli che tu inventi. Questi ultimi devono muoversi e pensare in modo tale
da sembrare verosimili persino alla gente in mezzo alla quale essi avrebbero potuto vivere,
se davvero nati nel tempo e nel luogo in cui i fatti succedono. Nel mio caso, tutto avviene tra
Lecco e Milano, negli anni che vanno dal 1628 al 1630, al tempo della dominazione
spagnola. Bisogna inoltre tenere conto che un romanzo può definirsi storico solo se le
persone che in esso si muovono ed operano sono coinvolte nelle vicende storiche evocate.
VETRÓ: In che senso?! Chiarisca, cortesemente.
MANZONI: Glielo spiego con due esempi lineari. Consideriamo le grida. Io le faccio
leggere dal dottor Azzeccagarbugli a Renzo Tramaglino. Lì si trovano le penali stabilite nei
confronti di chi minaccia e intimidisce un parroco per impedirgli di celebrare un
matrimonio. Di peste, invece, muoiono Don Rodrigo e il Griso, il suo scagnozzo nonché
bravo, due personaggi di molto peso nella mia narrazione. Ho reso l’idea?!
VETRÓ: Capisco … A proposito, nell’ambiente intellettuale europeo Lei, Senatore, ha
ricevuto lodi a non finire per avere creato un capolavoro che vede protagonisti due popolani
anziché due nobili.
-
-
-
-
-
-
MANZONI: La cosa non può che farmi piacere. Se è vero che la scelta degli umili può
definirsi una trovata innovativa rispetto a tanti romanzi storici scritti sino a oggi - iniziai a
mettere “I Promessi Sposi” su carta quando avevo appena 36 anni, una vita fa, purtroppo - è
pur vero che Renzo e Lucia devono interagire in mezzo ad arroganti della nobiltà, anche essi
interpreti di primo piano a tutti gli effetti. E se mi consente vorrei aggiungere un’altra
cosettina in merito.
VETRÓ: Pendo dalle sue labbra, Senatore …
MANZONI: Veda, come recita il detto … l’appetito vien mangiando. In corso d’opera mi
venne in testa di convogliare tutto il movimento narrativo in tre settori che ritenni essenziali:
il vero per soggetto, l’utile per scopo, e l’ interessante per mezzo, e …
VETRÓ: Mhm … mi perdoni … Senatore … se la interrompo … sono concetti troppo colti
… Potrebbe fare uno sforzo per … ?
MANZONI: Va bene. Va bene. Ho capito … Devo essere meno cattedratico. D’accordo ...
Diciamo allora che le vicende che mi ero proposto di narrare dovevano essere plausibili, o se
preferisce simili al vero - come già le ho accennato. È per questo motivo che dovevano
derivare dalla Storia e dalle esperienze di vita. I fatti, poi, dovevano insegnare qualcosa di
buono a chiunque di noi, migliorare il nostro comportamento nei confronti del prossimo e
incitarci ad una partecipazione politica più attiva e utile al bene della nostra nazione.
Considerai necessario, infine, scegliere un soggetto che interessasse tanto l’uomo della
strada quanto la persona colta. Per questo c’era la necessità di mettere in bocca ai miei
interpreti una parlata viva, semplice e diretta. Scelsi il fiorentino, una lingua che giudicavo
buona per tutti. La resi più accessibile, in modo che umili e titolati la usassero senza
problemi nella vita di tutti i giorni.
VETRÓ: Ho apprezzato i suoi sforzi, Senatore, grazie di cuore … Lei pensa che il romanzo
storico sia destinato ad avere lunga vita come genere letterario?!
MANZONI: Beh, in tutta franchezza le dico di sì. E le spiego il perché. Il romanzo storico
permette che lo scienziato e il poeta, la ragione e il sentimento vadano a braccetto.
Chiarisco. Il rigore scientifico con cui i dettagli storici vanno esposti, quello che usa appunto
un uomo di scienza, non contrasta affatto, per come la vedo io, con chi invece comunica le
sue esperienze personali usando il sogno, il non reale, l’immaginazione. Sono convinto che
realtà e fantasia divertano molto di più i lettori. Se racconto una storia realmente accaduta
che finisce tragicamente, deludo in un certo senso le aspettative di chi vorrebbe che quella
storia avesse un buon fine. Allora perché non utilizzare un tale compromesso per divertire
chi ti legge?!
VETRÓ: Sa che il brano di Don Abbondio fermato dai bravi è stato tradotto nel dialetto di
Taranto? Lo trova disdicevole?
MANZONI: E perché dovrei?! Anzi … la cosa mi lusinga e non mi meraviglia affatto,
anche se ignoro la sonorità di questa parlata che suppongo lei conosca bene, essendo nativo
di quella città, bimare - mi hanno riferito - e amata da Orazio per via di un grazioso
fiumicello. Non sono mai stato a Taranto, mi piacerebbe venirci un giorno, acciacchi
permettendo. Pensi che il mio caro amico Tommaso Grossi scomparso, ahimè, da più di un
lustro, ci ha lasciato innumerevoli scritti in dialetto milanese, di grande pregio sotto il
profilo stilistico e dei contenuti. E poi, tanti miei conoscenti negli ambienti della Milano
intellettuale trovano naturale scrivere e comporre oggi in milanese. Con il dialetto cuore e
mente s’avvampano d’intimità e dolcezza, e i messaggi giungono a destinazione come se
provenissero da un sogno.
VETRÓ: Senatore, credo che ora accetterò il drink che avrebbe voluto offrirmi prima
d’iniziare la conversazione. La nostra chiacchierata si è conclusa.
MANZONI: Quando dice drink si riferisce a qualcosa da bere, suppongo?! Ma certo, certo
... Lasci allora il registratore sul tavolo e le altre minutaglie, e venga con me. In cantina ho
in serbo uno di quei vinelli che oggi le delizierà il palato … Venga, venga, per di qua … le
faccio strada.
- VETRÓ: Con immenso piacere, Senatore. Brinderemo alla salute dei lettori di
“Tarantoincartolina”.
- MANZONI: Sarà al secondo bicchiere. Al primo … brinderemo alla nostra. Non le pare?!
- VETRÓ: Più che giusto, Senatore, più che giusto ...
Ore 13.00. Vado via da casa Manzoni leggermente alticcio ... ho con me tre bottiglie di quel
favoloso “Sfursat”, che il Senatore ha voluto a tutti costi regalarmi. Una persona squisita.
Signore nel dire e nel fare ... Le conserverò per le occasioni migliori …
Don Abbondio
La tessitrice Lucia Mondella
Il tessitore Renzo Tramaglino
“Le Zíte Prumèsse”
de
Il tessitore
Alessàndre Manzzóne
Capìtele Príme
scrìtte cu ’a lènghe de Tàrde
da
Enrico Vetrò
Don Abbóndie e lle bbráve
7 Nuvèmbre 1628
… Quanne se scìj’ acchiò (donn’Abbòndie) da ’nnànde le dó’ galanduémene (le bbráve)9,
dečíj’ jìndr’a meròdda sóve:10 nah, nah, mò síende; e sse fermòje de bbòtte.
- Uè’, zze prè’, ussegneríje, - facíj’ vvúne de chìdde e ddóje, cu l’uècchie fìsse-fìsse ’mbàcce
a ìjdde.
- Ce cummannáte? –respunnìj’ sùbbete don Abbòndie, azànne le sùve d’ô breviàrie, ca le
rumaníj’ apíerte ind’a lle máne, mànghe ca stáve míse sobb’a ’nu letturíne.
- Vú’ teníte ’ndenzzióne, - cundinuóje l’ôtre, tutte ’ndregnáte11 e arraggiáte, a ccome a
vvúne ca háve ’ngucciáte ’nu sott’a-ìjdde súve12 ca à ’zzeccáte a ffá’ ’na malazzióne, - vúje
teníte ’ndenzzióne de spusáre, créje, a Rrènze Tramaglíne e Llucíje Mundèlle!
- Ciové … respunnìje donn’Abbòndie, cu ’na vócia totta tríemela-tríemele: - ciové. Vú’,
segnúre, vú’ síte uémene ca ù canòscene ’u múnne, e vvúje ù sapìte assèje bbuéne a ccúme
vònne ’stè facènne aqquáne. ’U puveríedde d’u prèvete no’ ng’èndre: chìdde fàčene le fàtte
lóre ’mbrà llóre stèsse, e ppo’ … e ppo’ avènene da núje, a ccúme se vé a’ bbànghe a
ppegghià turníse;13 e nnù’ … nnù’ capuèzzele14 síme, d’u munecíbbie.
- Póca,15 - le dečíj’ a ìjdde ’u bbráve, ind’a rècchie, ma cu ’a parláta cundegnóse de ’nu
varvascióne16 ca stè’ cumannáve, - ’stù matremònie no’ nge s’à dda fa’, nò ccréje, nò
mmáje.
- Ma, segnúre míje, - facíj’ don Abbòndie, cu ʼa vócia mànza17 e ggendíle de ci vóle cu
ccapacetésce a vvúne ca nò tténe pacénzie, - ma, segnúre míje, addegnáteve de stà’ vúje ô
pòste míje. Ci éve pe’ mméje, … vú’, ù vedìte bbuéne c’a mméje nò mme n’avéne níjende
’nzàcche …
9
Sgherri, sicari al servizio dei signori. In questo caso del signorotto locale spagnolo Don Rodrigo.
Nel suo cervello.
11
Chi mostra un aspetto torvo, minaccioso.
12
Un suo sottoposto, un inferiore.
13
Denaro.
14
Frate servente di qualsiasi ordine religioso (N. Gigante).
15
“Or bene”, “dunque”. Etimo sconosciuto.
16
Uomo che si atteggia a persona d’autorità (N. Gigante).
17
Mansueta.
10
- Méne, mé’, - tagghiò a ccùrte ’u bbráve. Ci ’a cóse s’avév’a ddečídere cu lle
strammuèttele18, vúje ’nge mettíve ’a còppele a nnúje.19 Nú’ nò ssapíme níjende, e nnò vulíme
cu nne sapíme níjende de cchiúne. Óme avvesáte … ussegneríje … ne stè capísce.
- Ma vú’, segnúre, vú’ síte ghiúste asséje numúnne, arraggiunèvele assèje suvíerchie …
- Ma, - tagghió a ccùrte ’stà vôte l’ôtre mastagghiúte20 d’u cumbàgne ca no ’nge avéve
parláte ’nzìgne a ttànne, - ma ’u matremònie no ’nge s’à dda fa’, o … - e a ’stù púnde ’na
cápa jastéma,21 - o quìdde ca ù fáče, nò s’à dda pèndere, piccè no ’nge n’à dd’avè ’u tíjembe,
e … - nn’ôta jastéme.
- Cìtte, cìtte, - facíj’ angóre ’u príme ’ratóre: - ’u só’22 zzì’ prèvete, jé nn’óme ca sápe a
ccúme se vìve ô múnne, e nnúje sìme galanduémene, ca a jidde no ’nge le vulíme cu fačíme
mále, ma à dda tenè ndennàgghie.23 Zze prè’, ussegneríje, ’u ’llustrísseme segnóre don
Rudríghe, patrúne nuèstre, ve reverésce a vvúje grànna-grànne.
Quìste nóme fòje ’ngápe a ddon Abbòndie, a ccúme, jindr’ô córe de ’na burràscke de
nòtte, ’nu terlàmbe ca tànna-tànne ’llumenésce le cóse, ma fa ca te sté jàcchie ’mmíjenze
a’ nègghie, e ll’atterróre ca crèsce. Facíj’, sènza c’ù vuléve, ’nu squaraquìgghie24 grànne,
e ddečíj’: - ce vúje me putíve cunzegliá’ …
- Oh! Cunzegliá’ ô ussegneríje ca canuscíte ’u latíne! – tagghiò angóre a ccùrte ’u bbráve,
cu ’nna rísa mènza scustumáta e mmènza ’mbísa25. – A vvúje attócche. E ssòbbre a ogne
ccè’ ssíje, nò ffačíte cu vve jèsse da ’mmòcche mànghe ’na paróle26 ca v’háma ’vvesáte de
’stà manére p’u bbéne vuèstre; scenò27… ehm … jé ’u stèsse ca quìdde tále matremònie se
fáče. ’Nzòmme, cè ssò’ ca vvulíte cu sse díče a nnóme vuèstre ô ’llustrísseme segnóre don
Rudríghe?
- ’U respètte míje …
- Spiacáteve cchiù’ mègghie!
- … A ddesposezzióne … sèmbe a ddesposezzióne e a’ ’bbediènze -. E, ’ndramènde stè
ddečéve ’stè paróle aqquáne, no ’nge ù sapéve mangh’jidde ce stè ffačéve ’na prumèsse o
’na cevelèzze.28Le bbráve l’avèrne azzètte, o fèčere vedè ca l’avèvene avúte azzètte c’u
segnefecáte cchiú’ sérije.
- Appòste, e bbonanòtte ô ’ssegneríje, - dečíj’ vvúne de lóre, ’ndramènde se ne stè scéve c’u
cumbágne. Donn’Abbòndie, ca, ’nzígne a ppìcche tíjembe arréte, vuléve cu ddáve
’n’uècchie pe’ lle scanzá’, mó’ vuléve cu allungáve ’u bbróde29 d’u descúrse e dd’a
cundrattazzióne. - Vú’, segnúre, … accumenzó, chiudènne ’u breviàrie cu lle dó’ máne;
ma chìdde, sènza cu lle dàvene cchiù’ adènzie, pegghiárene ’a bbíje30 d’addò’ jidde avéve
’venúte, e sse ne scèrene, candànne ’na malacanzóna ca aqquáne no ’nge à vògghie cu
scríve.
18
Fandonie, ciarle. Cfr.: N. Scialpi, “’U matremònie de Rosa Palanca”, I, v. Più grave ed efficace di “Chiàcchiere”.
Lett.: “Ci mettete il berretto”. Espressione idiomatica che equivale a “gabbare”, “mettere nel sacco”.
20
Uomo forte e robusto. L’accrescitivo “compagnone” usato da Manzoni lo lascerebbe intendere.
21
Una bestemmia di quelle forti.
22
Abbreviazione di “signor/signore”. Cfr.: Michele De Noto, “’U NEYE ”, in: “LE PERSONE”.
23
Giudizio, discernimento. L’ho preferito a “giurízie” o a “giudízie” perché più incisivo e profondo nell’accezione.
24
Inchino.
25
’Mbíse = cattivo, malvagio, feroce.
26
Espressione idiomatiche equivalenti sono: “tenére ’u cècere ’mmócche”, (tenere il cece in bocca, detto di chi sa
tacere al momento giusto) e “ácque ’mmócche”, (acqua in bocca). Una interpretazione letterale, ma non meno efficace,
rende più corposa, a mio avviso, l’enfasi delle parole che preludono alla minaccia vera e propria.
27
Se no, altrimenti.
28
Complimento, atto di cortesia, cosa civile.
29
Lett.: “allungare il brodo”, espressione idiomatica cataldiana che sta per “prolungare un discorso quanto più è
possibile”.
30
“’A víe”, è più moderno. La preferenza è andata alla parola anticata, in sintonia con la vetustà della parlata
Manzoniana.
19
“The Betrothed” by Alessandro Manzoni
..."Now then," said the bravo to him in his ear, yet in a tone of solemn
command, "this marriage is not to take place, neither tomorrow, nor
ever."
Capitolo Primo
7 novembre 1628
… Quando si trovò (don Abbondio)
a fronte dei due galantuomini (i
bravi), disse mentalmente: ci siamo;
e si fermò su due piedi.
- Signor curato, - disse un di que'
due, piantandogli gli occhi in faccia.
- Cosa comanda? - rispose subito
don Abbondio, alzando i suoi dal
libro, che gli restò spalancato nelle
mani, come sur un leggìo.
- Lei ha intenzione, - proseguì
l'altro, con l'atto minaccioso e
iracondo di chi coglie un suo
inferiore sull'intraprendere una
ribalderia, - lei ha intenzione di
maritar domani Renzo Tramaglino
e Lucia Mondella!
- Cioè... - rispose, con voce
tremolante, don Abbondio: - cioè.
Lor signori son uomini di mondo, e
sanno benissimo come vanno queste
faccende. Il povero curato non
c'entra: fanno i loro pasticci tra
loro, e poi... e poi, vengon da noi,
come s'anderebbe a un banco a
riscotere; e noi... noi siamo i
servitori del comune.
- Or bene, - gli disse il bravo,
all'orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai.
- Ma, signori miei, - replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un
impaziente, - ma, signori miei, si degnino di mettersi ne' miei panni. Se la cosa dipendesse da me,... vedon
bene che a me non me ne vien nulla in tasca...
- Orsù, - interruppe il bravo, - se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne
sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c'intende.
- Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...
- Ma, - interruppe questa volta l'altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, - ma il matrimonio non si
farà, o... - e qui una buona bestemmia, - o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e... un'altra bestemmia.
- Zitto, zitto, - riprese il primo oratore: - il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam
galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l'illustrissimo signor
don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente. Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel
forte d'un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il
terrore. Fece, come per istinto, un grand'inchino, e disse: - se mi sapessero suggerire...
- Oh! suggerire a lei che sa di latino! - interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. - A lei
tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti...
ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all'illustrissimo
signor don Rodrigo?
- Il mio rispetto...
- Si spieghi meglio!
-... Disposto... disposto sempre all'ubbidienza -. E, proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se
faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato più serio.
- Benissimo, e buona notte, messere, - disse l'un d'essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio, che,
pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione
e le trattative. - Signori... - cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza,
presero la strada dond'era lui venuto, e s'allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere.
I bravi attendono Don Abbondio
Ritratto di Manzoni all’età di venti anni
SCHEMA LOGICO DEL ROMANZO " I PROMESSI SPOSI "31
RENZO
LUCIA
Matrimonio contrastato per scommessa da Don Rodrigo, signorotto locale
Minacce a Don Abbondio che vuol maritare la coppia popolana
Viene organizzato il rapimento di Lucia
Va a Lecco presso l'avvocato Azzeccagarbugli
Si rivolge a Padre Cristoforo
Matrimonio impossibile. Niente da fare
Renzo giunge a Milano
Trova protezione in convento presso la monaca di Monza
Viene coinvolto in tumulti per la scarsità del pane Viene rapita e condotta in un castello
Sfugge alla polizia e va dal cugino Bortolo
Lavora al filatoio con lui a Bergamo
al confine con la Repubblica di Venezia
Fa voto alla Madonna di non sposarsi se sarà libera
Al castello l'Innominato è commosso da Lucia
Egli, rapitore, è stanco delle violenze commesse
e si converte grazie al cardinale Federigo Borromeo
Lucia è liberata e trova ospitalità a Milano
Sarà ospite di Don Ferrante e Donna Prassede
Nel 1630 si assiste all'avanzata dei Lanzichenecchi
Passano per Milano per giungere Mantova
E' in corso la Guerra dei 30 Anni tra Francia e Spagna
In Italia si battono per il controllo di Mantova e del Monferrato
La guerra e i Lanzichenecchi portano carestia e la peste
Ci sono vittime anche a Milano
31
Cfr.: “Speciale Promessi Sposi”, in: http://balbruno.altervista.org/index-207.html
Renzo si ammala ma recupera
Anche Lucia si ammala, però ce la fa
Si reca disperato al Lazzaretto in cerca di Lucia
La trova lì, dove si portano gli ammalati di peste
Lei è guarita dalla peste ed assiste una vedova a Milano
Al Lazzaretto finisce anche Don Rodrigo
Viene tradito da tutti e derubato da Griso il suo bravo
Anche Fra’ Cristoforo il confessore di Lucia muore di peste
Prima di morire scioglie il voto di Lucia perché fatto in condizione di pericolo
Violenti acquazzoni fanno terminare il contagio
Renzo e Lucia ritornano al paesello e Don Abbondio celebra le nozze
I due si recano a Bergamo ...
Renzo lavora nel filatoio acquistato con il cugino
Lucia si occupa dei figli aiutata dalla madre.
La cantina di villa Manzoni - Brusuglio
’U gíre d’Itàglie sòbb’a lle marciappíete
cu lle piattíne d’a bìrre e de l’arangiáte!
VOCABOLI
- Šcacchiatíjdde =
ragazzino.
- Scóla Virggíglie =
oggi “Aristosseno”.
- Chiàzza Marcóne =
vecchio mercato in via
Dante, fra le vie Gorizia
e Minniti.
- Mená’ ô tuècche =
“gettare al tocco”.
Sorteggiare uno del
gruppo mostrando di
scatto la mano con le dita
che si desiderano. Poi si
effettua totale e conta.
- Sculazzáre = far
fuori, prendersi tutto
quanto è stato
scommesso.
- Tìppete = colpo dato
con il dito medio liberato
a scatto dal pollice.
Quànn’èrme šcacchiatíjdde, nu’ ne dèmme
appundamènde ô sàbbete pumerìggie ’nnànde a
lle scále d’a scóla elemendáre Virggíglie. Jèmme
séje: Jàngele, Ciccìlle, Catàvete, Andònie, Lillíne
e ije. Ne purtámme appríesse do’ pallìne de vìtre
a ppedúne. Nno ù sè?! De chidde cu lle culóre
jindre. Quidde jéve ’u prèmie! Scè ’cchiàmme ’u
cchiù mmègghie marciappéte a ddò no stàvene
nò pisciáte de cáne, nò ’a mmèrde de le cavàdde
c’u le traíne ca scèvene a cchiàzza Marcóne.
Tanne, l’automòbbele no jèvene tanda assèje a
ccume a ósce a’ díje. Accussí’, ci ’u piattíne scè
specciáve p’a stráte, jéve ’cchiù pìcche ’u prìcle
ca ’nge mettèvene sotte sènze mànghe ca
putèmme ddíčere “mamm’aiúteme”. Doppe ca
avèveme menáte ô tuècche, ’u prime de nù’, e
ppo’ tutte l’ôtre a ttúrne, cu le tìppete spengéve
’u piattíne súve ’nzìgne a’ pònda pònde d’u
marciappéte, addo’ stave ’a cúrve de l’ànghele
ca jéve cchiù’ deffíčele a ppassá’. Po’ scèmme
all’ôtre marciappéte ’nzìgn’ô traguàrde,
c’avèmme appríme segnáte ’ndèrre cu ’nnu
stuèzze de gèsse ca Lillíne tenéve ’nzàcche. Ce ’u
piattíne scéve fóre ô marciappéte, avív’a turnà
arréte. ’U vengetóre se sculazzáve tutte le pallíne
e sse sendéve presciáte! E nnù’ fačèmme a jidde
’ngazzáte: “ Cúle rú’, mo’ ca jé’ sàbbete ce véne,
tanne po’, n’à dichiaráme!”. E nne scèmme a
Amóre d’attáne
Fačíj’ ’u currúchele attáne ô curruchelícchie súve:
“Abbáde a ttéje, fìgghie,’ddò è’ ca te mítte e
“’ggíre”… ca stè sèmbe ’nu malevíjerme ca t’à vóle
sckaffà ’na ’pezzògne32addò te fáče cchiú’ mmále!”
32
Dallo spagnolo apezuñar = piantare, puntare, fissare nel suolo (di zampe di cavalli che trainavano carichi pesanti).
Altro termine equivalente di derivazione similare è “azzùgne”. Con la punta di ferro d’u currúchele (trottolina di legno),
si assestavano due o tre colpi fortissimi a quello che si fermava - quagghiáve - per primo nel corso di giochi di gruppo a
tempo. Uno dei tanti che con questo giocattolino facevamo per le strada o sui marciapiedi. La trottola di legno era
lanciata verso terra, e quindi avviata ai giri, mediante una cordicella - “cuènze” - che si avvolgeva nelle scanalature che
Ccè mangiáte n’hame fàtte jí’ e ll’amíche
míje Lúcie Q. da “Ciú-Ciú” (Cilènde!). ’Na
díja arrecurdèvele!
Tremíjende aqquáne … e ccè jé’ ’u
Paravíse?!
Foto di Enrico Vetrò
si trovano prima della punta di ferro. Esistevano varie tipologie di trottole:’u currúchele a ttatterattàtre (onomatopeico
di girare e saltellare sulla mattonella) e ’u currúchele a ppennòdde, cioè con la punta a pennino. Il più micidiale in
fatto di capacità di penetrazione distruttiva.
«Ilíjade»: ’nu stuèzze de stòrie. Bbótte e rrespòste.
OMÉRE
-
-
-
-
-
-
Il brano in dialetto tarantino riguarda l’inizio
dell’Iliade, quando il poeta invoca la Musa
Calliope, perché lo ispiri nel canto. Nel decimo
anno della grande guerra Crise, sacerdote di
Apollo, si presenta al campo greco e in atto umile
chiede ad Agamennone, duce supremo, di potere
riprendersi la figlia Criseide mediante il
pagamento di un ricco riscatto. Costei è stata
fatta prigioniera durante il saccheggio della città
di Crisa e toccata, quale preda di guerra, al
comandante greco. Scacciato e minacciato di
morte da Agamennone, il povero vecchio ritorna
in patria ed invoca Apollo perché lo vendichi a
causa dell’oltraggio subito. Apollo lo accontenta.
Discende dal monte Olimpo e per nove giorni
scaglia frecce avvelenate con il suo arco
d’argento in campo Acheo. Una terribile
pestilenza fa strage di uomini e animali.
Chi era Omero?
Un poeta misterioso e leggendario, dal momento che non si hanno notizie verificabili dal
punto di vista storico. Nato forse a Smirne, in Asia Minore, intorno alla metà del IX sec.
a.C., ma altre sette città sostengono di avergli dato i natali. Nemmeno il suo nome è certo,
un soprannome forse, che in greco arcaico significa cieco, garante, pegno, ostaggio.
Perché è così famoso ancora oggi?
Perché sembra essere stato l’autore di due grandi poemi epici della Grecia antica: l’Iliade e
l’Odissea (Odysseus - Colui che odia?/ Colui che è odiato?/ Il dio marino Poseidone?- era il
nome greco di Ulisse).
Perché sembra? Nemmeno questo è certo?
Nemmeno questo. Gli studiosi separatisti ritengono che l’Iliade e l’Odissea siano canti
separati, ovvero opera di diversi poeti-cantori, tramandati per lungo tempo in via
esclusivamente orale. L’unificazione in un solo poema sarebbe stata voluta da Pisistrato
tiranno di Atene del IV sec. a.C. Stando così le cose, Omero sarebbe solo un simbolo
poetico e non una persona realmente esistita.
Perché, ci sono anche studiosi unionisti?
Sì. Secondo la loro tesi i poemi sono stati creati da un unico autore. l’Iliade quando Omero
era giovane, l’Odissea a tarda età.
E come mai si conosce il suo volto?
Si tratta di una rappresentazione descrittiva immaginaria basata su notizie incerte e
frammentarie tramandate prima oralmente e poi per iscritto. Omero, quindi, viene in
genere rappresentato come un vecchio cieco e saggio, degno della massima venerazione.
Perché si chiama Iliade?
Deriva dal greco Ilion e dal latino Ilium, ossia Troia, una città esistita all’entrata
dell’Ellesponto, nell’odierna Turchia. Essa venne riportata alla luce nel 1872 da
l’archeologo tedesco Heinrich Schliemann. Tratta della guerra tra Greci (Achei ed alleati.
Più di centomila guerrieri con oltre mille navi) e Troiani, che sarebbe stata realmente
combattuta per motivi economici e politici fra il 1196 e il 1250 a.C. Troia fu conquistata e
rasa al suolo dopo numerosi anni di assedio.
Chi ha tradotto l’Iliade in italiano?
-
Il poeta Vincenzo Monti (1754-1828) nell’ultima parte della sua vita. La sua magnifica
interpretazione - 24 canti dal greco arcaico - si rivela di pregevole fattura e spesso di
difficile comprensione per i non addetti ai lavori.
OMÉRE
« Ilíjade »
(Enrico Vetrò)
Maschera funeraria detta di Agamennone
Atene - museo archeologico
XVI secolo a.C.
Lìbbre príme, víerse 1-54
Càndeme, o Díva, de Peléje ’u fígghie, Achílle,
Cantami, o diva, di Peléo il figlio, Achille,
’a ràggia murtále c’a sbuènne annučí
l’ira mortale che tantissimi portò
Cratere con guerrieri greci - 1200-1100 a.C.
M. A. - Atene
lútte a ll’Achéje33, e ppríme d’u tíjembe ADDÁ’ 34
lutti agli Achei, e prima del tempo LÀ
’nu mùnne mannóje d’àrme d’aróije curazzúne,
molte mandò di anime d’eroi coraggiosi,
e dde cáne e aceddázzere mangiatòria crudéle
e di cani e uccellacci cibaria crudele
chídde cuèrpe muèrte lassóje (’cussí’ de Ggióve35
quei corpi morti lasciò (così di Giove
’a vulundá’ sóje se fačíj’), da quànne
la volontà sua si fece), da quando
p’a príma vôte scucchióje
per la prima volta separò
’nu cápe arrajamíjende
una grave lite
’u rréje de le ’ntrèpede, ’u fígghie d’Atréje,
il re dei prodi, il figlio di Atréo,36
e ’u díve Achílle.
e il divino Achille.
E cci ’mbrà lle díje le mettíj’
E chi fra gli dei li mise
all’ôtr’une ’ngòndre? ’U fígghie
uno all’altro contro? Il figlio
de Latóne e de Ggióve. ’Ngazzáte c’u Rréje
di Latòna e di Giove. Irato con il Re
vendelescióje quìdde díje ind’ô càmbe
sparse quel dio nel campo
’na malatíja malígne,
una malattia maligna,
e ’a gènde muréve: cólpe d’u fígghie d’Atréje
e la gente moriva: colpa del figlio di Atréo
ca ô sagiardóte Críse facíj’ stuèrce.
che al sacerdote Crise 37 fece oltraggio.
De l’Achéje avéve Críse ’venúte
Degli Achei era Crise venuto
a lle náve lèste p’affrangá’ ’a fígghie
alle navi veloci per affrancare la figlia
cu assèje turníse. ’Mmáne le bènne tenéve,
con molto denaro. In mano le bende aveva
e ’u bastóne d’ore d’Apólle ’u ’rccíere:
e il bastone d’oro di Apollo 38l’arciere:
e a ttútte l’Achéje subblecánne, e a ppríme-a-ppríme
e a tutti gli Achei supplicando, e principalmente
a lle dó’ Atríde, le cumannánne capuzzúne:
33
Abitatori dell’Acaia (Grecia occidentale). Sotto il comando supremo di Agamennone, re di Micene, presero parte alla
guerra di Troia con altri popoli.
34
“Là”, inteso all’altro mondo.
35
Re di tutti gli dei che, secondo la leggenda, dimorava sul monte Olimpo, Grecia.
36
Agamennone. Atréo, padre di Agamennone e Menelao, i due comandanti supremi dell’esercito greco durante la guerra
contro Troia.
37
Sacerdote del dio Apollo.
38
Dio della luce, della bellezza, della musica e della poesia. Colpiva i suoi nemici con frecce scoccare da un arco
d’argento.
ai due Atrìdi, i comandanti supremi:
“O Atríde”, facij’ jìdde, “o Achéje cu le cutúrne,
“O Atrìdi”, disse lui, “ o Achéi con i coturni39,
l’immurtále ca jávetene ’ngíjele
gli immortali che abitano in cielo
cu ve dígghiene fá’ pegghiá’ de Príjeme,
che vi possano far prendere di Prìamo40
’a cetá’, e turná’ a’ tèrra vòstre cu salúte.
la città, e tornare alla vostra terra in salute.
Fačíteme ’stà gràzzie!
Fatemi questa grazia!
Lebberáte a ffígghiema ’a peccènna méje,
Liberate mia figlia la piccina mia,
de jèdde buscáteve ’u príezze de l’affrànghe,
di lei guadagnatevi il prezzo del riscatto,
e ô fígghie de Ggióve ca sajettésce
e al figlio di Giove che manda saette
purtáte respètte ”. - A ’stù prjamíjende
portate rispetto”. – A questa supplica
tutte ’bbattèrene le máne: s’avev’ô sagiardóte
tutti batterono le mani: si doveva al sacerdote
reverèscere, e avé’ azzètte le riále gruèsse.
Riverire, e accettare igrossi regali.
Ma ’a propóste ô córe d’Aggamennóne
Ma la proposta al cuore di Agamennone
nò jév’azzètte, e ccu ’albaggíje ’stù supèrbe
non era gradita, e con arroganza questo superbo
ù caccióje, e ppo’ fačij’ tutte ’ndregnáte:
lo cacciò e poi fece tutto minaccioso:
“ Nonò’, víte cu nò tte fáče acchiá’ cchiú
“ Nonno, vedi di non farti trovare più
’ngòcchie a ’stè náve nò mmò nò appríesse;
vicino a queste navi né ora ne in seguito;
sarà ca níjende t’à dda valè ’u bastóne
che forse nulla ti varrà il bastone
e mmànghe le bènne d’u díje. Líbbere nò à dda jèsse’
e nemmeno i paramenti del dio. Libera non sarà
quèsta ’quá’, ce appríme lundáne d’a terra sóve, jind’Arghe,
questa qua, se prima lontana dalla terra sua, in Argo, 41
ind’a’ cása nòstre no’nge arríve a ffá’ vècchije,
nella nostra casa non giunga a far vecchia,
’ndramènde sté’ farrésce cu lle fíle,
mentre si dà da fare con i fili,
e cce pàrte nò ffáče d’u líette míje de réje.
E se parte non fa del letto mio di re.
Mó’ vattínne, e nno ’nge me fá’ ’ngazzá’,
Ora vattene, e non mi fare adirare,
ce sàrve te ne vuè cu vvéje d’aqquáne ”.
39
Sorta di stivaletto formato da strisce di cuoio o altro materiale intrecciati.
Re di Troia. Fu ucciso dal figlio di Achille, Neottolemo o Pirro, dopo il sacco della città.
41
Città dell’Argolide (Grecia). Può designare anche il Peloponneso o la Grecia tutta.
40
se salvo te ne vuoi andare da qui”.
Se spandó’ ’u víjecchie, e ô cumànne
Si spaventò il vecchio, e all’intimazione
ubbedíje. Senza cu ddečéve ’na paróle
obbedì. Senza che proferisse una parola
se ne scij’ rípa-rípe ô mare ca ruscéve:
se ne andò costa costa al mare che rumoreggiava
e a ’nna vánne assuláte ’venúte, ô sande Apòlle
e a un luogo isolato giunto, al santo Apollo
de Latóne ’u fígghije, facíj’ ’stù priamíjende:
di Latòna il figlio, fece questa supplica:
“Ddíje cu ll’arche d’argíende, tu c’a Críse
Dio con l’arco d’argento, tu che a Crisa
prutígge e a’ sanda Cílle, e ssí’ dde Tènede
proteggi e alla sacra Cilla42, e sei di Tènedo43
’u ’mberatóre putènde, Smintéje,
l’imperatore potente, Smintéo44,
deh, síjendeme a mméje.
Deh, ascoltami.
Ce maje de curóne vutíve ’u dóče
Se mai di corone votive il dolce
sanduàrie túve ij’ ’ngengelíve, ce de scengaríjedde
santuario tuo io adornai, se dei giovenchi
e de crapètte asckuíve pe’ ttéje le fiànghe gràsse,
e dei capretti arsi per te i fianchi carnosi,
’stà gràzzie m’à fá’ tu’: ’u chiànde míje
questa grazia mi devi fare: il pianger mio
c’ù dígghiene pajá’ le Gríce cu lle sajètte túve.
che possano pagarlo i Greci con le saette tue.
Accussíj’ dečíj’ prijànne. …
Così disse orando.
Replica moderna di armature greche
Opliti (fanti dell’esercito spartano e ateniese V/IV sec. a.C.)
42
Cilla, piccola città della Troade (Anatolia, Turchia asiatica).
Isoletta posta di fronte al lido troiano.
44
Attributo, fra i molti del dio Apollo. Da Sminte, città della triade, in cui Apollo era venerato; forse, dalla voce greca
“smintos”, topo campestre, in quanto Apollo aveva sterminato questi animali.
43
Briseide e Fenice, opera del Pittore di Brygos. Tondo di una
coppa attica a figure rosse, 490 a.C. ca, da Vulci
Parigi, Louvre
OMERO - “ILIADE” - Libro Primo
Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille.
E qual de' numi inimicolli? Il figlio
di Latona e di Giove. Irato al Sire
destò quel Dio nel campo un feral morbo,
e la gente perìa: colpa d'Atride
che fece a Crise sacerdote oltraggio.
Degli Achivi era Crise alle veloci
prore venuto a riscattar la figlia
con molto prezzo. In man le bende avea,
e l'aureo scettro dell'arciero Apollo:
e agli Achei tutti supplicando, e in prima
ai due supremi condottieri Atridi:
O Atridi, ei disse, o coturnati Achei,
gl'immortali del cielo abitatori
concedanvi espugnar la Prïameia
cittade, e salvi al patrio suol tornarvi.
Deh mi sciogliete la diletta figlia,
ricevetene il prezzo, e il saettante
figlio di Giove rispettate. - Al prego
tutti acclamâr: doversi il sacerdote
riverire, e accettar le ricche offerte.
Ma la proposta al cor d'Agamennóne
non talentando, in guise aspre il superbo
accommiatollo, e minaccioso aggiunse:
Vecchio, non far che presso a queste navi
ned or né poscia più ti colga io mai;
ché forse nulla ti varrà lo scettro
né l'infula del Dio. Franca non fia
costei, se lungi dalla patria, in Argo,
nella nostra magion pria non la sfiori
vecchiezza, all'opra delle spole intenta,
e a parte assunta del regal mio letto.
Or va, né m'irritar, se salvo ir brami.
Impaurissi il vecchio, ed al comando
obbedì. Taciturno incamminossi
del risonante mar lungo la riva;
e in disparte venuto, al santo Apollo
di Latona figliuol, fe' questo prego:
Dio dall'arco d'argento, o tu che Crisa
proteggi e l'alma Cilla, e sei di Tènedo
possente imperador, Smintèo, deh m'odi.
Se di serti devoti unqua il leggiadro
tuo delubro adornai, se di giovenchi
e di caprette io t'arsi i fianchi opimi,
questo voto m'adempi; il pianto mio
paghino i Greci per le tue saette.
Sì disse orando.
Achille contro Ettore ferito
(Particolare di vaso attico)
500 - 480 a.C
British Museum – Londra
Nah, nah … fačíteve l’uècchie …’a cápe me ’stè ggíre!
Sìjnde, Sìj’ …
“L'abilità politica è l'abilità di prevedere quello che accadrà domani, la
prossima settimana, il prossimo mese e l'anno prossimo. E di essere così
abili, più tardi, da spiegare perché non è accaduto”.
(Winston Churchill, 1874 -1965)
“Governare è far credere ...” (Niccolò Machiavelli, 1469-1527)
Tarde!
Allòra tànne … ’na zìnghere ca t’affascenáve
’nzìgne ô core …
Nocchiúnghele!45 Lassàteme muréje aqquáne a mméje …
45
Intendi: “Basta così! Non Più”. (“’U matremònie de Rosa Palanca”, in: N.Gigante, op. cit., pag. 573).
’U mè’! Míenete jnd’a lle vígne chiéne e addecríjete!
Gli stemmi di Taranto46
Lo stemma della Provincia di Taranto è uno scorpione che regge tra le chele la corona del
principato ionico; sul dorso ha effigiati tre gigli. Il riconoscimento ufficiale ha la data del 24
febbraio 1927 con decreto di Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini. Lo stemma della
Provincia e quello della città si intrecciano e le loro storie si rincorrono. Secondo una diffusa
tradizione, sarebbe stato Pirro, mitico re dell'Epiro (Grecia nord occidentale), a suggerire ai
Tarantini l'immagine dello scorpione per lo stemma. Era il tempo della guerra tra la città
magnogreca e Roma. Pirro, che da tempo covava il proposito di crearsi un principato
nell'Italia meridionale a spese di Roma e di Cartagine, accettò di buon grado l'invito tarantino
di venire in soccorso di Taranto. Sbarcò dunque in Puglia con 25.000 uomini e sconfisse i
Romani a Eraclea nel 280 avanti Cristo, in quella che passò alla storia come «la vittoria di
Pirro». Infatti, egli vinse, ma subì perdite ingenti. Poi si spinse fin sotto le mura di Roma
seminando il panico. Il monarca epirota, giunto sulle alture che circondavano Taranto e
osservando da lassù la città, si accorse che la sua conformazione urbana richiamava
l'immagine di uno scorpione. Lo riferì agli alleati Tarantini e suggerì loro, come s'è detto, lo
stemma. L’emblema conteneva un deterrente psicologico: amici e nemici avrebbero saputo
che i magnogreci erano diventati per tutti pericolosi come uno scorpione.
L'idea piacque, e i Tarantini l'accolsero nel loro stemma. Esso restò tale per oltre diciassette
secoli. È del Quattrocento, infatti, l'esemplare più antico di quel blasone conservato a
Taranto. Ma nel 1589 lo scorpione di Pirro lascia il passo a una nuova immagine che si trova
per la prima volta sulla copertina di una pubblicazione dello storico tarantino Giovan
46
Tratto e rivisitato da: http://www.provincia.taranto.it/info_generali/stemma.php.
Giovine. Essa raffigura un uomo adulto coronato in groppa a un delfino. Regge nella mano
destra un tridente e nella sinistra uno scudo sul quale è raffigurato lo scorpione. L'uomo è
Taras, fondatore di Taranto. La comparsa ufficiale della nuova arma civica si ha nel 1665
quando nella cattedrale di Taranto viene completato il cappellone di San Cataldo. Sul lato
destro dell'altare viene scolpito il nuovo stemma nel quale campeggia Taras. Lo stemma civico
di Taranto fu riconosciuto ufficialmente il 20 dicembre del 1935: “D'azzurro, al delfino nuotante
e cavalcato da un Dio marino nudo sostenente nel braccio sinistro un panneggio svolazzante e con la
destra scagliante il tridente, al capo cucito di rosso centrato”. (Decreto di concessione reale del 20
dicembre 1935).
Didracma d’argento tarantina (480-470 a.C.)
raffigurante Taras o Falanto (ambedue
venivano identificati con il nome Taras)
che cavalca un delfino. In basso una
conchiglia di San Giacomo, in dialetto
“cozzagnàchele” (corruzione semantica
di cozza San Giacomo). Il nome le derivò
in seguito dal fatto che essa fu il simbolo
del pellegrinaggio a Santiago de
Compostela (Spagna). A partire dal
medioevo, i pellegrini che percorrevano
la strada che correva tra Francia e
Spagna fino alla tomba di San Giacomo
apostolo, proseguivano sino a capo
Finisterre (estremo punto occidentale
dell’Europa sull’Oceano Atlantico) per
raccogliere una conchiglia e testimoniare
il loro cammino.
Consigli pratici per l’apprendimento del dialetto di Taranto
Se vuoi imparare a scrivere il tarentino, tu che sei di Taranto, o vivi a Taranto pur non essendo Tarantino
di nascita, devi leggere e attingere da testi autorevoli. Indispensabili in questo caso: 1) Claudio De Cuia
(Chapeau Bas!) – Vocali e consonanti nel dialetto tarantino ed elementi di grammatica – Mandese Editore,
Taranto, 2003. 2) Prof. Nicola Gigante (Chapeau Bas!) - Dizionario della Parlata Tarantina (Storico Critico
Etimologico) – Mandese Editore, Taranto, 2002. Acquista libri in dialetto antico (vernacolo) e moderno
(dialetto) e confronta le due parlate. E leggi con calma, senza fretta, prendendoti tutto il tempo che puoi,
senza darti delle scadenze. Le lingue si imparano a scriverle e a parlarle leggendo, e ascoltando sempre e di
continuo! Puoi documentarti anche su Internet al sito http://it.wikipedia.org/wiki/Taranto (clicca poi su
dialetto locale). Quanto scritto potrebbe rivelarsi un’accettabile guida iniziale (con le dovute cautele!). Gli
accenti vanno inseriti ( chiusi /, aperti \) nelle parole dialettali, non tanto per noi Tarentini, quanto per gli
altri che non sono nativi di Taranto. Essi, infatti, facilitano un pochino la lettura di quanti non hanno
dimestichezza con il cataldiano. Non mutilare mai una nostra parola dialettale della sua “e” finale, anche se
nella parlata che ci appartiene risulta muta! (Una moda ortografica vandalica di questi ultimi tempi!).
Sarebbe un errore gravissimo. Equivarrebbe a privare la tua mano di un dito. Confronta quanto imparato
dalla bocca degli anziani locali: dei nonni, delle nonne, degli zii, delle zie. Fatti una passeggiata verso la
Cattedrale di S. Cataldo … ascolta e impara. Senti i pescatori al mercato Fadini, oppure al mercato S.
Giuseppe la domenica! Per esempio, quando ti vai a fare una passeggiata da quelle parti per acquistare dei
frutti di mare. Sarà un piacere per te capire e quindi scrivere. E poi non stancarti mai di ricercare. Se è
vero che una qualsiasi lingua, compreso un dialetto, nasce da una tradizione orale, è pur vero che è
necessario codificarla poi in una lingua scritta comune, per tramandare la tua spiritualità che si traduce in
informazione. Così hanno fatto in nostri poeti cataldiani dell’800 e del ’900. Quante cose si scoprono in
corso di studio. Non considerarti mai un arrivato, non sottovalutare ciò che gli altri sanno – fosse anche già
o meno di quello che tu sai - e, soprattutto, non sentirti mai superiore agli altri in fatto di conoscenza. Più
impari e più ti accorgi di quanto sei ignorante in materia. E poi leggi sulla grandezza delle nostre millenarie
tradizioni. (Ti potrebbe essere utile la bibliografia posta alla fine di questo lavoro). Buona fortuna!
Il Cassonetto
Ne aveva viste
e sentite troppe
da lassù
la vecchia Luna …
Ora però
la vedevi acquattata
dietro nuvoli
sudici di buio
più che mai cinerea
vocale di stupore
Lei ascoltava …
Raffinata la tortura
flebile la protesta
del torturatore
Lei ascoltava ...
La pietà vagiva
nello sbadiglio
d'un prezioso scrigno
zeppo
di paura per la morte
di paura per la vita
di laidume
Cassonetto o mangiatoia
del duemila
in un presèpe surreale?
Né asino né bue
né padre né madre
nessun pastore
nessun re magio …
Solo un angelo…
sgomento…
con poca voglia
di cantare
pace in Terra
alle donne
di buona volontà
E Lei …
guardava e ascoltava... E.V.
A SUD STA LA CITTÀ DI TARANTO … CHE AL SOLE SPLENDE COME LA NEVE
ACCUMULATA DAL VENTO, E LE DUE ISOLE, CHIAMATE UN TEMPO CHERADI,
DANNO L’IMPRESSIONE DI GALLEGGIARE IN ACQUE COLOR DI LATTE (Janet Ross,
“Italian Sketches”, 1887)47.
47
Interpretazione del sottoscritto da : J. Ross, Italian Sketches, illustrated by Carlo Orsi, London, K. Paul, Trench & co.,
Paternoster Square, 1887, in: volume digitale Università della California Library, 26.6.2001, pagg. 219-239.
Nel volumetto la giornalista inglese descrisse in dettaglio anche la processione dei Misteri di quell’anno a Taranto, che
è tra l’altro leggibile in: “L’anima incappucciata” di N. Caputo, Mandese, 1983, pagg. 136-139”.
Ascolterò …
Ascolterò
dei cuori il tocco … della mia gente
il canto degli ulivi in terra mia
del dialetto la sua umile voce
della risacca il sano brontolìo
musica e culla ai due miei bei mari … E.V.
Jacques Prévert
(1900-1977) – (Né à Neuilly-sur-Seine)
CET AMOUR
Cet amour
Si violent
Si fragile
Si tendre
Si désespéré
Cet amour
Beau comme le jour
Et mauvais comme le temps
Quand le temps est mauvais
Cet amour si vrai
Cet amour si beau
Si heureux
Si joyeux
Et si dérisoire
Tremblant de peur comme un enfant dans le noir
Et si sûr de lui
Comme un homme tranquille au milieu de la nuit
Cet amour qu faisait peur aux autres
Qui les faisait parler
Qui les faisait blêmir
Cet amour guetté
Parce que nous le guettions
Traqué blessé piétiné achevé nié oublié
Parce que nous l’avons traqué blessé piétiné achevé nié oublié
Cet amour tout entier
Si vivant encore
Et tout ensoleillé
C’est le tien
C’est le mien
Celui qui a été
Cette chose toujours nouvelle
Et qui n’a pas changé
Aussi vrai qu’une plante
Aussi tremblante qu’un oiseau
Aussi chaude aussi vivant que l’été
Nous pouvons tous les deux
Aller et revenir
Nous pouvons oublier
Et puis nous rendormir
Nous réveiller souffrir vieillir
Nous endormir encore
Rêver à la mort,
Nous éveiller sourire et rire
Et rajeunir
Notre amour reste là
Têtu comme une bourrique
Vivant comme le désir
Cruel comme la mémoire
Bête comme les regrets
Tendre comme le souvenir
Froid comme le marble
Beau comme le jour
Fragile comme un enfant
Il nous regarde en souriant
Et il nous parle sans rien dire
Et moi je l’écoute en tremblant
Et je crie
Je crie pour toi
Je crie pour moi
Je te supplie
Pour toi pour moi et pour tous ceux qui s’aiment
Et qui se sont aimés
Oui je lui crie
Pour toi pour moi et pour tous les autres
Que je ne connais pas
Reste là
Lá où tu es
Lá où tu étais autrefois
Reste là
Ne bouge pas
Ne t’en va pas
Nous qui sommes aimés
Nous t’avons oublié
Toi ne nous oublie pas
Nous n’avions que toi sur la terre
Ne nous laisse pas devenir froids
Beaucoup plus loin toujours
Et n’importe où
Donne-nous signe de vie
Beaucoup plus tard au coin d’un bois
Dans la forêt de la mémoire
Surgis soudain
Tends-nous la main
Et sauve-nous.
Q
uìste amóre
Quìste amóre
accussíje furiúse
accussíje ’ndèleche
accussí dóče
accussí desperáte
quìste amóre
bbèdde a ccúme a ’u ggiúrne
e mmáre a ccúme a ’u tíjembe
quanne éte mmáre tíjembe
quìste amóre accussíje veráče
quìste amóre accussíje bbèdde
accussí presciáte
accussí allècre
ca te dé’ ’a cugghióne
ca tremelésce p’a pavúre
a ccúme a ’nnu crijatúre
jíndr’ô scuretòrie
L’ amore vero, quello
vissuto nel bene e nel
male, nel reale e nel
quotidiano, e non il
romanzato ... L’amore
che si fa anima del
mondo, spirito vitale che
può e deve pervadere la
nostra esistenza, a
dispetto di una società
che vuole inculcarci la
monocultura del
consumismo, del
capitalismo più
inumano, che affonda le
coscienze in melme di
degrado, che ci propina
squallidi spettacoli
esistenziali, a dispetto
del sacrosanto diritto
alla dignità universale
dell’uomo!
e ’ccussíje secúre d’u fàtte súve
a ccúme a ’nnu crestiáne šcuscetáte
índ’ô córe d’a nuttáte
quìste amóre ca a ll’ôtre
fačéve pigghiá’ ’u šcànde
ca le fačéve parlá’
ca le fačéve svianghèscere
quìste amóre spijáte
piccè nnúje ù scèmme spijànne
persutecáte pezzugnáte catesciáte accíse
nijáte scurdáte
piccé núje l’háme
persutecáte pezzugnáte catesciáte accíse
nijáte scurdáte
quìste amóre ca jé tutte sáne
angóre ’ccussí’ vvívele
e ttutte chíjne de sóle
jé ’u túje
jé ’u míje
há’ státe quidde c’há’ státe
’stà’ cóse sèmbe nóve
e cca no á cangiáte máje
’ccussíj’ veráče a ccúme a ’nna chiànde
ca tremésce a ccúme a ’n’acíedde
’ccussíj’ càvete ’ccussíj’ vvíve a ccúme ’u státe
nnú’ putíme tutt’e ddóje
scé’ e ’vvené’
nnú’ putíme scurdá’
e ddòppe addurmèrscerne angóre
descetàrne patèscere fa’ víjcchie
e angóre addurmèrscerne
sugnà’ ’a mòrte
descetàrne cu ’nnu surríse e rrìrere
e turnà’ ggiúvene
l’amóre nuèstre éte ’ddáne
cape tuèste a ccúme a ’nnu ciùcce
vvíve a ccúme a ’u spijúle
crudéle a ccúme a ’u ’rrecurdá’
fèsse a ccúme le penzíere ngupáte
teneríjedde a ccúme a ’nu suvvenìrre
fríedde a ccúme a ’u màrme
bèdde a ccúme ’a díje
fràggele a ccúme a ’nnu piccìnne
ne tremènde c’u surríse su’ ’a vòcche
e ne pàrle senza cu ddíče níende
e ji’ tremelánne ù stóch’a ddóche adènze
e lúccule
lúccule pe’ ttéje
lúccule pe’ mméje
te préje
pe’ ttéje e ppe’ mméje
e ppe’ tútte chìdde ca se vòlene bbéne
e ca s’hònne vulúte bbéne
síne ji’ ù lúccule a jìdde
pe’ ttéje pe’ mméje e ppe’ tútte l’ôtre
ca no ù sàpene
fíjermete addáne
’ddá’ ’ddò hé státe ôtre vóte
stàtte fèrme
no te scé’ muvènne
no te ne scé’ scènne
nnu’ ca síme vulúte bbène
nnúje t’hame scurdáte
tu no te ne scè’ scurdànne de núje
no tenéveme ca a ttéje ’nDèrre
no fa’ mo’ ca ne fáče chiatrá’
cu tutte ca sté’ sèmbe
assèje numúnne lundáne
e no ffáče níjende addò
mànnene ’nu sìgne de víte
assèje chiù tàrde
a le fenéte de ’nu vòsche
ind’a forèste d’u recuèrde
uèzete súbbete e gghiúste
cu nne déje a nnúje ’a mána tóje
e cu nne ssàrve.
mediazione linguistica
di
Enrico Vetrò
Speranza
Mi auguro che i modesti contributi offerti siano serviti in qualche modo ad
accrescere nel fruitore locale e non il senso dell’impegno sociale (che passa
dalla cultura nella sua accezione più pura), la curiosità intellettuale, l’amore
per una città come la nostra da moltissimi lustri ormai, enormemente
sottovalutata nelle sue immense potenzialità culturali e territoriali. Taranto
deve ritornare agli amanti di Taranto, renderli fieri di raccontarne miti e
bellezze, dovunque essi si trovino. Deve poter ritornare a recuperare nella
gran parte possibile quel primato storico, economico e culturale che destò
l'invidia e l'ammirazione di molti popoli di un passato incastonato
nell'ancestrale. Reclamare il Suo sacrosanto diritto di dignitosa collocazione
in un ambito di progresso avulso da insensati e deleteri egoismi calcolati è
indiscutibile esigenza primaria dei Tarentini. La terra ionica, le risorse che le
appartengono e la sua storia sono patrimonio dell'Umanità. Le nuove
generazioni Cataldiane corrono e correranno il serio rischio di subire
continue carestie di aspettative non deluse, se non impareranno ad amare
l'«humus» che dette loro i natali e lo smisurato capitale formativo che lo
sottende.
Bibliografia essenziale
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Alessandro Manzoni, “I Promessi Sposi”, Angelo Signorelli Editore, Roma, Marzo, 1985.
Andrea Martini, “Breve storia di Taranto”, Jonica editrice, Taranto, 1969.
Claudio De Cuia - ‘A Cummedie de Dande - Schena Editore – Fasano di Puglia, 1983.
Claudio De Cuia - Arie de Pasche, Raccolta di poesie dialettali tarantine, Mandese
Editore, marzo 2001.
Claudio De Cuia – 'U Briviarie d’a nonne - Scorpione Editrice, Taranto, 2005.
Claudio De Cuia – Vocali e consonanti nel dialetto Tarantino ed elementi di grammatica –
Mandese Editore, Taranto, 2003.
Claudio De Cuia – Vuce de l’Aneme, Raccolta di poesie dialettali tarentine, Cressati,
Taranto, marzo 2007.
Cosimo Acquaviva, Taranto … Tarantina, contributo allo studio delle tradizioni popolari,
edizioni Archita di Taranto, 2005, terza edizione, pagg. 153.
D. Harper, S. Mochi, A. Liberto, “Exploring Literature”, Romanticism and the Victorian
Age, vol. 2, Poseidonia. 2006.
De Vincentis Domenico Ludovico, Storia di Taranto, presentazione di Cosimo Damiano
Fonseca, Mandese Editore, Taranto, 1983.
Domenico Cantore, Facjìdde, Scintille di poesia tarantina, Fumarola editore, Taranto,
2006.
Domenico Ludovico De Vincentis – Vocabolario del dialetto Tarantino – Arnaldo Forni
Editore, Sala Bolognese, ristampa, 1977.
Donato Valli, Anna Grazia D’Oria, Novecento dialettale salentino, Manni, S. Cesario di
Lecce, 2006, voll. I, II, III, IV.
Donato Valli/Anna Grazia D’Oria (a cura), “Novecento dialettale salentino”, voll. I – II – III
– IV , Piero Manni editore, S. Cesario di Lecce, (stampato a) Mandria, 2006.
Enzo Risolvo, Storie e culacchie de storie, Scorpione editrice, Taranto, 2006.
Forleo Vito, “Raccolta di poesie italiane e tarentine di Emilio Consiglio, Tip. Sociale,
Taranto, 1907.
Franco Brevini, “Le parole perdute, Dialetti e poesia nel nostro secolo”, Torino, Einaudi,
1990.
G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti. G. Zaccaria, “La letteratura”, Vol. I, Dalle origini all’età
comunale, Paravia, 2007.
G. Baldi, S. Giusto, M. Rametti, G. Zaccaria, “Storia e testi della letteratura”, dai primi del
novecento ai giorni nostri, vol. 2B Paravia, 2008.
G. Monaco, G. De Bernardis, A. Sorci, “La letteratura di Roma antica”, contesto, scrittori,
testi, G. B. Palumbo editore, 1996.
Gaio Valerio Catullo, Le poesie, i grandi libri Garzanti, introduzione, traduzione e note di
Mario Ramous, prefazione di Luca Canali, XIV edizione: aprile 2004.
Gentile Francesco, “Acr’e dduce”, (Poesie dialettali tarantine), S.T.A.T., Taranto, 1931.
Gentile Francesco, “Fiure de ’na vòte (Raccolta di componimenti poetici dialettali),
edizione accresciuta, Tip. Duemari, Taranto, 1978.
Gianni Custodero, Storia del Sud, dalla congiura del 1794 alla seconda Repubblica, seconda
edizione, Capone editore, 2001.
Giorgio Melchiori, Edizione integrale, introduzione e commento di, Shakespeare’s Sonnets,
Biblioteca Italiana di Testi Inglesi diretta da Gabriele Baldini, Agostino Lombardo e
Giorgio Melchiori, VIII, Adriatica Editrice, Bari, 1964.
Giovanni Acquaviva – Il teatro popolare Tarantino – Congedo Editore, Caloria (NA),
marzo 1976, vol. I.
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Giovanni Acquaviva – Il teatro popolare Tarantino – Congedo Editore, Caloria (NA),
marzo 1976, vol. II.
Giuseppe Acquaviva – ’A figghie du sole, Mandese Editore, marzo 1986.
Giuseppe Cassano – Ràdeche vecchie - Mandese Editore, 1982.
“Il Vangelo di Gesù”, Aldo Garzanti Editore s.a.s., Milano, 31 luglio 1968.
Lorenzo Manigrasso – Taranto città dei due mari, Vocabolario del dialetto tarantino,
rivisitazione 2009. (Casa editrice e/o grafica non citata).
Mario Dell’Arco, Pier Paolo Pasolini, “Poesia dialettale del novecento”, Einaudi, 1995.
Maurizio Bettini (a cura), “Nemora – Letteratura e antropologia di Roma antica”, vol. 1:
Dalle origini all’età di Augusto, storia, autori, testi, La nuova Italia, 2008, IV ristampa.
Michele De Noto, “Appunti di fonetica sul DIALETTO DI TARANTO (Vocalismo e
Consonantismo)”, Pe’ tipi del Cav. V. Vecchi, Trani, 1897, (copia fedele pubblicata nel
novembre 2005 da Puntolinea Taranto per conto della Editrice Inkline Taranto).
Michele De Noto, Idiotismi e solecismi nel Tarantino, 1901.
Michele Pulpito, “… pe’ nu’ môre … e resuscete”, Provincia di Taranto, Giugno, 2004.
Michele Pulpito, “Cande tarandine”, Comune di Taranto, Giugno 2004.
“’Na ’mpruvesàte”, (Poesie dialettali), Ed. Cenacolo Artistico Culturale “ Beato Egidio”,
Taranto, 1934.
Nicola Caputo, “L’anima incappucciata”, Mandese editore, Taranto, 1983.
Nicola Gigante - Dizionario della Parlata Tarantina (Storico Critico Etimologico) – Mandese
Editore, Taranto, 2002.
Omero, “Iliade”, traduzione di Vincenzo Monti, a cura di Mario Bini, Ariste Editrice,
Milano, 1960.
Pier Paolo Pasolini, Mario Dell’Arco, “Poesia dialettale del Novecento”, Guanda, Parma,
1952.
Quinto Orazio Flacco, Epodi, Satire, Odi, Carme Secolare, Epistole, Arte Poetica, da "Le
opere di Quinto Orazio Flacco", a cura di Tito Colamarino e Domenico Bo., U.T.E.T.,
Torino, 1969.
S. Vignale, Il mondo dei testi, Paravia Bruno Mondatori Editori, 2003.
Tebano Ercole, Niziarije (Poesie e scenette dialettali tarantine), S. Mazzolino, Taranto,
1934.
Tommaso Gentile – ’Nu stuezze di viremijnze (quaderni dialettali tarentini) – Mandese
Editore, 1988.
Umberto Saba, Antologia del "Canzoniere", Einaudi, Torino 1963.
Un amore antico: Catullo e Lesbia, antologia Catulliana, a cura di Mario Marzi, seconda
ed., Canova, Treviso, 1995.
Università degli studi di Trieste – Saffo – Biografia ed Antologia di Versi, a cura di
Gennaro Tedeschi – Trieste, 2005.
W. Shakespeare – Hamlet – Edited by Bernard Lott M.A.., Ph.D. Longman – London,
1971.
W. Shakespeare – Julius Caesar - Rizzoli ed. - Milano, 1985.
W. Shakespeare – Romeo and Juliet – ed. By T.J.B. Spencer, - New Penguin Shakespeare –
London, 1980.
Weis, R. J. A. “Julius Caesar and Antony and Cleopatra.” In Shakespeare: A
Bibliographical Guide. Ed. Stanley Wells. Oxford: Clarendon, 1990. 275-94.
Wordsworth/Coleridge, “Ballate liriche”, con un saggio di T. S. Eliot, Oscar Classici
Mondatori, 1999.
LINKOGRAFIA
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Journal article by Eric P. Levy; Renascence: Essays on Values in Literature, Vol. 54, 2002, in: questia,
The world’s Largest Online Library
monologue. The Columbia Encyclopedia, Sixth Edition. 2001-05 – CliffsNotes:Literary Terms & Poetry
Glossary –
Talking to William Shakespeare - Shakespeare's Answers > Shakespeare's World.
http://www.filodiritto.com/artediritto/pagineletteratura/amleto.htm
http://www.allshakespeare.com/shakespeare-masters/47647. Elizabethan Money: English Currency 16th Century
Tudor Coins : http://www.sortore.com/coins/tudor/tudor.html
TO BE OR NOT TO BE
A Catholic Opinion On Hamlet
Summary of a conference given by Bishop Williamson to the teachers of Holy Family School (Lévis) on
February 23, 2002. By Jean-Claude Dupuis. in
http://www.sspx.ca/Communicantes/July2002/To_Be_or_Not_to_Be.htm
TO BE OR NOT TO BE
A Catholic Opinion On Hamlet Summary of a conference given by Bishop Williamson to the teachers
of Holy Family School (Lévis) on February 23, 2002. By Jean-Claude Dupuis.in
http://www.sspx.ca/Communicantes/July2002/To_Be_or_Not_to_Be.htmùDid William Shakespeare Die
a Papist?
http://www.britannica.com/shakespeare/article-232313
www.sonnets.org/daniel.htm
www.enotes.com/shakespearean-criticism/authorship-controversy/donald-w-foster-essay-date-1987
www. answers.com/topic/pope-pius-v -The Works of Elizabeth I (1533-1603) in
http://www.luminarium.org/renlit/elizabib.htm
tudorhistory.org/primary/papalbull.html
Shakespeare's Sonnets in Latin translated by: Alfred Thomas Barton in:
http://www.slu.edu/colleges/AS/languages/classical/latin/tchmat/pedagogy/latinitas/dv/dv.html
Nicoletta Lanciano, Papa Gregorio XIII e la Riforma del Calendario del 1582 in
http://www.treccani.it/site/Scuola/Zoom/storiadipapi/lanciano.htmGREGORIO XIII E LA RIFORMA
DEL CALENDARIO a cura di Girolamo Fantoni in http://quadrantisolari.uai.it/articoli/art4.htm
VILLA MONDRAGONE e Villa Parisi: il feudo della Famiglia Borghese -- www.villamondragone.it
Mabillard, Amanda. An Analysis of Shakespeare's Sonnet 18. Shakespeare Online. 2000.
(day/month/year you accessed the information) < http://www.shakespeareonline.com/sonnets/18detail.html >.
La Scultura Italiana - Rusconi Camillo www.scultura-italiana.com/Galleria/Rusconi%20Camillo/
http://www.thais.it/scultura/image/sch00392.htm
http://www2.localaccess.com/marlowe/sh83.jpg
http://www.vatican.va/vatican_city_state/services/stamps_coins/documents/archivio_generale/0563_it.h
tm
http://www.tudorplace.com.ar/Documents/prostitution.htm
http://www.sourcetext.com/sourcebook/library/bowen/reviews/0benezet.htm
http://www.sirbacon.org/vonkunow.html
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
http://www.sirbacon.org/Sonnet/intro.html
http://www.sirbacon.org/marquerite.htm:When Shakespeare was in Love
http://www.sirbacon.org/links/herbert.htm
http://www.sirbacon.org/links/essex.htm
http://www.sirbacon.org/gallery/carrliz.html
http://www.sirbacon.org/doddsublimeprince.htm
http://www.sirbacon.org/doddsublimeprince.htm
http://www.shu.ac.uk/emls/Sonnets/Sonnets.html
http://www.shakespeares-sonnets.com/dedcomm.htm
http://www.shakespeare-oxford.com/guide.htm#Introduction
http://www.shakespearefellowship.org/virtualclassroom/v&a.htm
http://www.shakespearefellowship.org/Newsletter/Ashbourne-Part_II_Winter_2002.pdf
http://www.onlineshakespeare.com/sonnetsabout.htm
http://www.npg.org.uk/live/mellonsmith2.asp
http://www.notafilia.com/colecciones/billetes/great_britain.htm
http://www.marileecody.com/eliz1-images.html
http://www.marileecody.com/eliz1-images.html
http://www.library.utoronto.ca/utel/ret/shakespeare/1609int1.html
http://www.hudsonshakespeare.org/Shakespeare%20Library/Poetry/Young%20Man%20sonnets.htm
http://www.historycooperative.org/journals/jah/91.4/images/winterer_fig03b.jpg
http://www.fitzmuseum.cam.ac.uk/opac/catalogue_detail.php?IN=3856&_function_=xslt&_limit_=1#1
http://www.dlroper.shakespearians.com/the_sonnets_epigraph.htm
http://www.cronologia.it/biogra2/gregoxiii.htm
http://www.corsaridelmediterraneo.it/corsari/s/stuckley-thomas.html
http://www.comitatoanno2000.it/domandee.htm
http://www.bermuda-online.org/seepemb.htm
http://www.bartleby.com/70/index1.html
http://www.authorama.com/le-portrait-de-monsieur-w-h-1.html
http://www.arts.monash.edu.au/english/undergraduate/1010/Shakespeare%20Sonnets%20Dates.ht:M
ONASH UNIVERSITY School of English, Communications and Performance Studies
http://www.angelfire.com/mi4/polcrt/ElizabethI.html
http://www.about-shakespeare.com/sonnets.php
http://users.ox.ac.uk/~lina0897/emwo/images/big/venus_adonis.jpg
http://tudorhistory.org/people/philip/philip.jpg
http://tudorhistory.org/mary/queen.html
http://tudorhistory.org/mary/queen.html
http://shakespeare.palomar.edu/timeline/genealogy.htm
http://shakespeare.palomar.edu/timeline/chamberlain.htm
http://peterbassano.com/shakespeare
http://observer.guardian.co.uk/review/story/0,6903,687778,00.html
http://news.bbc.co.uk/1/hi/entertainment/arts/1943632.stm
http://mrffriends.tripod.com/garter/historic.html
http://freepages.genealogy.rootsweb.com/~shakespeare/poet/dark_secrets.htm
http://en.wikipedia.org/wiki/Papal_bull
http://en.wikipedia.org/wiki/Francis_Meres
http://62.1911encyclopedia.org/F/FI/FITTON_MARY.htm
Christopher Clavius,. and his Gregorian calendar, in
http://www.faculty.fairfield.edu/jmac/sj/scientists/clavius.htm
«LUNARIO NOVO» DEL 1582: LA RIFORMA GREGORIANA DEL CALENDARIO: in
http://asv.vatican.va/it/doc/1582.htm
"MARY FITTON." LoveToKnow 1911 Online Encyclopedia. © 2003, 2004 LoveToKnow.
http://62.1911encyclopedia.org/F/FI/FITTON_MARY.htm
http://www.red-ice.net/specialreports/2005/04apr/baconshakespeare.html
SHAKESPEARE versus EDWARD DE VERE and
FRANCIS BACON
by David Basch in http://www.ziplink.net/~entropy/sha-vqq.pdf
http://www.geocities.com/queenswoman/elizadoran.html
"The Complete Works of William Shakespeare." http://www-tech.mit.edu/Shakespeare/
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
http://www.sirbacon.org/francisqueenleicester.htm
http://www-history.mcs.st-andrews.ac.uk/history/PictDisplay/Cardan.html
http://www.google.it/search?hl=it&q=Henry+Wriothesley+son+of+Edward+de+Vere&btnG=Cerca&m
eta=
http://www.talkingpix.co.uk/ArticleElizabeth.html
http://www.r3.org/rnt1991/mysovereignking.html
http://web.tiscali.it/shakespeare/edward.htm
http://www.shakespeare-online.com/sonnets/
http://www.shakespeare-online.com/sonnets/18detail.html
http://www.william-shakespeare.info/william-shakespeare-identity-problem.htm
http://peterbassano.com/shakespeare
http://shakespeareauthorship.com/howdowe.html
http://home.hiwaay.net/~paul/shakspere/evidence1.html
Shakespeare's Life and Times. Internet Shakespeare Editions, University of Victoria: Victoria, BC,
2001-2005. <http://ise.uvic.ca/Library/SLT/>.
•
http://www.sirbacon.org/carrinterview.htm
•
http://www.tudorplace.com.ar/Documents/queen_elizabeth_gallery.htm
•
•
http://www.giga-usa.com/gigaweb1/quotes2/qutopshakespearex001.htm
http://www.nationalarchives.gov.uk/archon/searches/locresult_details.asp?LR=103.
•
•
•
•
•
•
•
•
http://www.berkshirehistory.com/bios/arobsart.html
http://www.elizabethi.org/uk/queensmen/letter.html
http://www.elizabethan-era.org.uk/elizabethan-online-dictionary.htm
http://shakespeare.about.com/library/blglossary.htm?terms=glossary
www.attentialpupo.com/.../cicogne.htm
http://en.wikipedia.org/wiki/Image:Lord_Bacon_stamp.png
http://home.att.net/~tleary/gorhambu.htm
http://www.paradoxplace.com/Photo%20Pages/UK/Britain_South_and_West/Westminster_Abbey/Wes
tminster_Abbey.htm
http://www.stratford-upon-avon.org/images/Picture_09.jpg
http://www.focus.it/
http://www.ciao.it/Focus_Storia__326523
•
•
•
Abbáde a ttéje e stàtte bbuéne-bbuéne!
“STATIONIS PRIMAE
FINIS
SED NON ITINERIS
48
NEC INVESTIGATIONIS”
INVESTIGATIONIS”
Anno Domini
Domini Duo Millesimo Nono
Maius Mensis
Finis
U
48
“Termine della prima meta, ma non del percorso, né della ricerca”.
U
“Disclaimer”
Legge 22 aprile 1941 n. 633.
E successivo consolidamento del testo in data 9 febbraio 2008.
Il presente lavoro appartiene all'autore
Enrico Vetrò. Esso non può essere
replicato neanche parzialmente senza
il suo consenso. Il resto del materiale
pubblicato, dove non espressamente
indicato, è copyright dei rispettivi
legittimi proprietari, e ha il solo scopo
di recensione/divulgazione. Lo
scrivente si rende disponibile a
rettifiche di qualsivoglia natura,
qualora si ravvisassero omissioni o
inesattezze nella citazione delle fonti.