Bozza (27 marzo) - Tullio e Vladimir Clementi
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Bozza (27 marzo) - Tullio e Vladimir Clementi
4. Il Gölem, la montagna dei bresciani di città «Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com’è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana....». Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny 1 «Esistono gruppi armati qua e là: il più consistente è quello di Martini sul Guglielmo coi numerosi iugoslavi, ma è in posizione troppo esposta. Che faranno davanti ad un rastrellamento. C’è poi il gruppo Camplani alla colma di Zone, un gruppetto di giovani alla Croce di Sale, gruppi diversi tra Val Trompia e Valle Sabbia, alcuni indipendenti, altri con affiliazioni politiche», Enzo Petrini, in Antonio Fappani, La Resistenza bresciana, Squassina Editore, pagg. 36-37. 1bis Aldo Gamba, “La battaglia di Croce di Marone”, in AA.VV. Iseo nella Resistenza, pag. 85. 2 Ibidem. 3 Ibidem. Se è vero, come abbiamo visto – e come dichiarato dallo stesso presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi –, che la prima azione organizzata di resistenza contro le truppe tedesche fu quella di Cefalonia, la prima azione nel Bresciano (e sicuramente una delle prime in Italia) si svolse sui monti a cavallo tra la Val Trompia e la Valcamonica, sulle pendici del Monte Guglielmo:1 la “battaglia di Croce di Marone” entrata nella storia come «la prima battaglia campale della Resistenza bresciana»,1bis Una vera e propria operazione bellica, alla quale «hanno partecipato un centinaio di armati nazi-fascisti, con cannoncini anticarro, mortai ed armi pesanti, appoggiati da un aereo tedesco di ricognizione tattica “Cicogna” e da due idrovolanti partiti dalla base di Montecolino (Iseo) che mitragliarono più volte cascine e persone».2 La battaglia di Croce di Marone, nonostante l’enorme disparità negli armamenti, si concluderà senza vinti né vincitori (con sette vittime tra i partigiani ed una decina, presumibilmente, tra gli attaccanti) per un duplice concorso di circostanze: per un verso, i partigiani – che nella notte tra il 6 ed il 7 ottobre avevano realizzato un’incursione alla Beretta di Gardone Valtrompia, prelevando centinaia di mitra, rivoltelle ed altre armi leggere – non si attendevano un attacco di quella portata (benché pianificato fin dai giorni successivi all’incursione nella fabbrica di armi, probabilmente), e la loro difesa soffrirà di improvvisazione, rivelandosi subito «frammentaria e disorganica» (Aldo Gamba), mentre per altro verso, fortunatamente, gli attaccanti – che contavano di sterminare l’intero gruppo partigiano (stimato in quei giorni in circa 120/130 unità) –, commettono un errore tattico nell’impostare l’azione dal solo versante ovest (saliranno da Marone, da Zone e da Sale Marasino), «senza preoccuparsi di inviare altre truppe dal versante della Valle Trompia e compiere così un’azione a “tenaglia”».3 Così che, finita la battaglia, i partigiani potranno sganciarsi agevolmente verso il versante triumplino. 253 E le parole di Calvino sembrano attinte proprio da questi colli pedemontani del Bresciano, anzichè dall’estrema riviera ligure: «... Il passo nella penombra della notte nuvolosa appare come un prato concavo dai contorni svaniti, tra due elevamenti di roccia circondati da anelli di nebbia. Al di là, le valli e le pianure libere, delle nuove zone non ancora occupate dai nemici. Da quando sono partiti per la battaglia gli uomini non hanno avuto riposo: pure il morale non subisce uno di quei pericolosi tracolli che accompagnano le lunghe fatiche: l’entusiasmo del combattimento fa valere ancora la sua spinta. La battaglia è stata sanguinosa ed è terminata con una ritirata: ma non è stata una battaglia perduta. I tedeschi, passando da una gola, hanno visto le creste traboccare uomini urlanti e voli di fuoco alzarsi dai ciglioni; molti dei loro sono rotolati nelle cunette dello stradale, qualche camion s’è messo a far fumo e fiamme come una caldaia e dopo un po’ non era che un rottame nero. Poi sono venuti i rinforzi, ma hanno potuto far poco: eliminare qualche partigiano rimasto sulla strada a dispetto degli ordini o tagliato fuori nella mischia. Perché i comandanti, avvertiti in tempo della nuova autocolonna che arrivava, hanno sganciato in tempo le formazioni e hanno ripreso la via dei monti evitando di restare accerchiati. Certo i tedeschi non sono gente da fermarsi così dopo uno smacco, perciò Ferriera decide di far abbandonare alla brigata la zona che ormai può trasformarsi in una trappola e di farla passare in altre vallate più facilmente difendibili. La ritirata, zitta e in ordine, si lascia dietro il buio della notte per la mulattiera che porta al passo della Mezzaluna, chiusa da una carovana di muli con le munizioni, i viveri, e i feriti della battaglia».4 E non sembra troppo azzardata neppure la conclusione cui giunge lo stesso Gamba: «La battaglia di Croce di Marone ha avuto una determinante importanza per il futuro della Resistenza bresciana, poiché i gruppi partigiani che già esistevano in embrione in Valle Trompia, si sono rinfrancati, rinforzati».5 Quanto al raccontarla nei dettagli, la vicenda, non abbiamo trovato di meglio che la vivace descrizione di un protagonista. Piero Gerola: «Questi gruppi,6 grazie all’opera persuasiva del cappellano militare don Giuseppe Pintossi (Oscar), manterranno i collegamenti anche col gruppo Martini che si trovava al centro. Viene stabilito che i vari gruppi formeranno la Brigata Goffredo Mameli. Sul piazzale del rifugio Turla s’innalza la bandiera tricolore con semplice commovente cerimonia militare. Con un ordine del giorno si stabilisce che i ribelli porteranno le stellette. All’imbocco di ogni vallata erano piazzate due mitragliatrici che dovevano incrociare il fuoco sulle diverse mulat- 254 4 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno. 5 Aldo Gamba, “La battaglia di Croce di Marone”, in AA.VV. Iseo nella Resistenza, pag. 85. 6 Le forze dei ribelli, scrive Piero Gerola, «sono all’incirca le seguenti: Gruppo Martini, località Croce, di circa 200 uomini, vi sono slavi, polacchi, inglesi, americani e sudafricani. Sono ben armati con mitragliatrici pesanti e leggere, mortai e perfino due mitragliatrici da 20 mm; Gruppo Camplani in località Colma di Zone, composto da 35 uomini compresi ex prigionieri alleati. Il 25 ottobre Camplani lascia il gruppo per ragioni di salute, assume il comando Rolando Petrini e più tardi il tenente Vittorio Zatti Conte di Caprera); Gruppo Spiedo, dal nome della località, formato da elementi di Gardone Valtrompia che si erano allontanati da Croce e dai nuovi arrivati; Gruppo Bianchi e Zanna a Brione; Gruppo Cinelli; Gruppo inglese al comando del tenente James Knox e di Albert Grahen; Gruppo Marini-Fratus a Sella di Polaveno che poi diventerà Gruppo Lorenzini; Gruppo Mario Rossi a Monte Quarone che si unirà poi al Gruppo Martini», Piero Gerola, Nella notte ci guidano le stelle, Edizioni Brescia Nuova, pag. 50. tiere d’accesso. Al centro, sopra un dosso, era piazzata una mitragliatrice da 20 mm. che si rivelò utilissima contro gli attacchi aerei.7 La prosa di Piero Gerola è così piacevolmente scorrevole che varrebbe forse la pena di lasciarla fluire da sola, se non fosse per la necessità di sintesi. Riprendiamo quindi il racconto laddove l’autore parla degli «infausti contatti» con l’allora federale di Brescia, Ferruccio Sorlini. Contatti ai quali, trovandosi il Martini «a riposo con forti attacchi di febbre malarica», parteciperà il suo uomo di fiducia Gianni Longhi, accompagnato da Ottorino Renofrio. E mentre gli uomini di Martini trattano con Sorlini («l’ultimo incontro avviene all’albergo Cremona di Marone»), alcuni uomini del gruppo di Camplani «avuta la comunicazione di un probabile lancio, si portano in località Giogo della Palla. Il freddo è intenso, le coperte umide stese per terra diventano in breve tempo dure come assi, per effetto del gelo. L’attesa, com’era nelle previsioni, diventa vana, gli apparecchi alleati non si fanno vedere».8 Il giorno 7 novembre, continua Gerola, «trascorre tranquillo, il freddo diventa sempre più attanagliante, si affonda nella neve alta. Le trattative con tedeschi e fascisti sono ormai terminate, che cosa abbia combinato Gianni, da solo o in combutta con Martini, è difficile a sapersi, lo si potrà dedurre solo dai fatti clamorosi che si verificarono successivamente».9 Di certo, però, c’è il fatto che «la sera precedente l’attacco nazifascista, verso l’imbrunire, gran parte degli uomini di Croce (Gruppo Martini) furono mandati a Sale Marasino per prelevare dalla locale fabbrica un buon numero di coperte necessarie agli uomini. Durante questa azione, Gianni e due altri traditori s’impadronirono di una grossa somma di denaro destinata alle paghe degli operai, somma che solo loro sapranno che fine abbia fatto».10 Difficile sfuggire alla convinzione che l’impresa di Longhi e Martini sia stata compiuta deliberatamente per sguarnire di uomini la posizione più importante di Croce di Marone, in vista dell’imminente rastrellamento. 7 Piero Gerola, Nella notte ci guidano le stelle, Edizioni Brescia Nuova, pagg. 50-51. 8 Ibidem. 9 Ibidem. 10 Ibidem. «La mattina dell’otto novembre una cicogna sorvola ripetutamente la zona presidiata dai ribelli, ma è subito fatta segno da raffiche di mitragliatrice. All’alba del giorno 9, alle quattro, una lunga colonna di nazifascisti punta su Croce. Umberto Bonsi, di sentinella sulla strada, viene tratto in inganno dalla parola d’ordine conosciuta da una pattuglia di nazifascisti e viene fatto prigioniero. Verrà fucilato insieme a Nadir Gambetti e Francesco Franchi il 6 gennaio 1944. L’attacco nemico che investiva la vallata di Marone si rivelò subito in tutta la sua entità: appoggiato dal fuoco dei mortai, dei cannoncini anticarro e da due 255 idrovolanti partiti dal lago d’Iseo e precisamente dalla Caproni di Pilzone, si protrasse micidiale fino alle ore quindici».11 Per una tragica ironia della sorte (o forse per una opportunità tattica), il primo attacco viene sferrato «contro i pochi uomini rimasti del gruppo Martini, i quali si difendono accanitamente». Mentre «un plotone del gruppo Colma, passando sotto la Corna del Re e scendendo poi nella gola, attacca di sorpresa il fianco sinistro dei tedeschi mentre dall’alto la cicogna si limita ad osservare i movimenti dei ribelli.12 I due idrovolanti fascisti mitragliano la posizione costringendo i partigiani a ritirarsi verso i boschi dove già si trovano altri due plotoni del gruppo. Gli aerei attaccano subito dopo le posizioni del gruppo Martini, la 20 mm. dei ribelli spara a ritmo serrato».13 Sulle montagne si accendono combattimenti un po’ ovunque. «Gianni Secondo, dalla finestra di Casantighe, spara sui tedeschi. Nuto è ferito gravemente. Angelo Delle Donne cade ferito mortalmente. Nella baita-comando (casa Turla) muoiono bruciati Amedeo Drera e lo slavo Costis Gaio. Zambo, il ribelle di colore che conduceva il mulo Negus, viene bruciato dai lanciafiamme insieme al suo fedele animale. È ferito gravemente anche un inglese ed il compagno che lo assiste viene fatto prigioniero. Il gruppo di James Knox combatte strenuamente, cadono due soldati di colore colpiti da granate: uno rimane ucciso e l’altro è ferito gravemente. Giovanni Brema viene fucilato e bruciato nella cascina, Firmo Zanotti cade ucciso. Trenta cascine in val del Grasso e in val dell’Opolo vengono incendiate. Il grosso del gruppo Martini di ritorno da Sale Marasino viene ubriacato con della grappa [da chi?]. Appena il distillato ha prodotto il suo effetto i traditori raggiungono i nazifascisti, li guidano al bivacco partigiano e fanno prigioniero il gruppo. Il gruppo Cinelli, staccato dal gruppo Martini, sarà più tardi coinvolto nel rastrellamento. Il cappellano don Pintossi con il giovane Michelino Botta, ora sacerdote, escono dalla cascina Colmetta con gli abiti bruciacchiati e si salvano per miracolo».14 Il gruppo Sella di Polaveno, al quale si sono aggregati anche gli uomini di Mauro Moneghini (compresi «quattro giovani di Darfo»), non viene coinvolto nel rastrellamento, ma appena venuto a conoscenza del sanguinoso combattimento di Croce di Marone si divide in due, «uno è al comando di Marcello Marini e di Paolo Fagioli, l’altro al comando di Ferruccio Bonera e di Giuseppe Gheda» per rastrellare la zona: «Qui trovano cadaveri dissepolti, cascine bruciate, armi e munizioni sparse ovunque. Gli uomini15 dopo aver raccolto le armi e le munizioni, faticosamente 256 11 Piero Gerola, Nella notte ci guidano le stelle, Edizioni Brescia Nuova, pagg. 51-52. 12 Finché, colpita da una raffica, sparisce verso la Valtrompia lasciandosi dietro una scia di fumo. Cfr. Ibidem, pag. 52. 13 Ibidem. 14 Ibidem. pagg. 52-53. 15 «Oltre agli stranieri al comando di Knox, sono presenti Vittorio Sora, Arturo Tosoni, Bruno Paiardi, Mario Badini, Walter Girelli, Vittorio Galli, Mauro Moneghini, Policarpo Tominelli, Ettore Gelmetti», nota di Piero Gerola. 16 Piero Gerola, Nella notte ci guidano le stelle, Edizioni Brescia Nuova, pag. 53. 17 «Don Boldini parroco di Fraine, padre Ilario Manfredini, Aurelio Pesso, Francesco Camplani, comandante del gruppo Colma di Zone, Giovanni Turla al quale i tedeschi bruciano anche la casa. Don Boldini, padre Manfredini e Pesso dopo diversi mesi di detenzione nel carcere di Brescia, sono trasferiti a Parma il 14 aprile 1944 a disposizione del tribunale speciale. Con loro verranno trasferiti anche il curato di Artogne don Ernesto Belotti, il brigadiere di Artogne Raffaele Gallo, il capostazione di Marone Mario Leoni e Bortolo Felappi», nota dell’autore. 18 Cfr. Piero Gerola, Nella notte ci guidano le stelle, Edizioni Brescia Nuova, pag. 54. 19 Emilio Arduino, Brigata Perlasca, Massetti Rodella, pag. 111. 19bis Nel 2015 a Virginio Boldini è stata attribuita la Medaglia d’oro della Resistenza. 20 Antonio Forini (Torre Picenardi, Cremona, 28 agosto 1899 – Brescia, 12 settembre 1977), figlio di un salariato agricolo, mandriano a 12 anni, nel novembre del 1917 fu inviato al fronte. Al ritorno si iscrisse al partito socialista e, dopo il congresso di Livorno del 1921, aderì al Pcd’I. Dopo l’8 settembre del 1943 fu tra gli iniziatori della Resistenza in Valtrompia e, in seguito, commissario politico della 54ª e della 122ª Brigata Garibaldi. Cfr. Rolando Anni, Dizionario della Resistenza bresciana, Morcelliana. si portano a S. Maria del Giogo dove li attende il colonnello Ferruccio Lorenzini che assumerà il comando dei due gruppi. Non tutti gli uomini si uniranno a Lorenzini, Bonera con pochi si fermerà sui monti di Polaveno. Il giorno successivo si portano nuovamente nella zona dei combattimenti e lì incontrano Giuseppe Bonassoli con un gruppo di stranieri che si aggregano. Bonassoli sarà più tardi fucilato col colonnello Lorenzini. […] Provvedono a soccorrere i feriti ed a seppellire i caduti don Andrea Morandini, don Vender insieme ad un gruppo di uomini».16 Le forze attaccanti, composte da «SS, mongoli, paracadutisti tedeschi e bande fasciste», subiscono perdite piuttosto gravi, tanto da far dire con rimpianto all’autore che se il grosso del gruppo Martini non si fosse allontanato per l’azione di Sale, ben difficilmente i nazifascisti avrebbero potuto vincere la battaglia. Dopo la battaglia, l’aiutante di Martini, Gianni, «diventa segretario particolare del federale. Insieme a lui altri furono messi in servizio attivo nella “Repubblichina” e si fecero delatori dei vecchi compagni d’armi. Parecchi di questi ultimi saranno più tardi fucilati: Peppino Pelosi, Ferruccio Lorenzini, Cecchino Cinelli, René Renault, Luigi Malzanini, Luigi Perinelli, Emilio Stefana, Pietro Corini, Mario Rossi. Alcuni moriranno nei famigerati campi di sterminio in Germania: Rolando Petrini, Roberto Carrera, Dino Pertica. Altri17 vengono arrestati imputati di favoreggiamento. Dopo questo disastroso combattimento i gruppi si assottigliano rapidamente. Molti, stanchi e sfiduciati, si rifugiano presso gente ospitale, i meno compromessi ritornano alle loro case, una minoranza si aggrega ad altri gruppi».18 Lo sbandamento di questi uomini – alcuni dei quali purtroppo passarono dalla parte nemica per “regolarizzare la loro posizione” – segnò per allora il tracollo di tutto il movimento della valle, mentre il comportamento di alcuni nuclei gettò il discredito, per un certo tempo, sull’attività e l’organizzazione partigiana».19 L’ultimo atto della tragica vicenda si consumerà di lì a qualche mese in Valtrompia, e ce lo racconta Virginio Boldini (Gino),19bis comandante il nucleo di polizia della 54ª Brigata Garibaldi, intervistato nell’aprile del 2014: Che ci facevi in Valtrompia nel maggio del 1944? «Dunque, dopo la battaglia di Croce di Marone, quando i tedeschi hanno smembrato le forze partigiane, molti si sono messi in salvo e hanno nascosto i mitra. Allora, Forini20 sapeva... uno gli aveva detto che aveva sei mitra 257 nascosti, e che ce li dava a noi. E noi siamo andati in Valtrompia a prenderli, dalla Valsaviore». A piedi, naturalmente... «Naturalmente! Abbiamo fatto Croce Domini, le Sette crocette poi, attraverso le cime, siamo scesi in un roccolo di Marcheno, in Valtrompia. Forini è andato da quello che aveva i mitra, e poi è sceso a Brescia per informare il CLN. Nel frattempo – siamo rimasti lì tre o quattro giorni – è arrivato Martini, con un... con un fascista che – l’abbiamo saputo dopo – era stato in questura, ed era venuto proprio perché noi due eravamo arrivati dalla Valsaviore: lui doveva prenderci e consegnarci ai fascisti, cioè alla Questura...». Accidenti! «Nel frattempo, però, nel salire da noi, ha incontrato uno, un certo Alberto, che, guarda caso, aveva saputo che Martini veniva dalla Questura, e ci ha messo in guardia. E allora ho puntato il mitra e li ho arrestati, Martini e il fascista. Dopo è tornato anche Forini – che sapeva del tradimento di Martini – con l’ordine di fucilazione di tutti e due: Martini e il fascista che lo accompagnava. E intanto sono arrivati anche i russi...». I russi? «Sì, c’era Nicola [Pankov], c’era Stefano, che poi morirà in Val Brandet, sopra Corteno, e altri tre o quattro che non ricordo il nome...». E da dove arrivavano? «Loro erano già in Valtrompia, come partigiani. Han saputo che eravamo lì e sono venuti da noi. Dopo due o tre giorni partiamo per la Valsaviore, tutti, con Martini, il fascista e i russi... C’era anche Lino Belleri, di Gardone... Insomma, eravamo già in 14 o 15...». E com’è andata? «Quando siamo entrati in questa Malga, di cui non ricordo il nome, Martini e il fascista sono stati fucilati». Fucilati da chi? Dai russi? «No, Martini è stato ucciso con la pistola, da Nicola...».21 Ribelle in tutti i sensi – al nazifascismo, ma anche alla disciplina dei comandi partigiani – Nicola Pankov, il partigiano della Valtrompia più amato dai valligiani ed il più temuto dalla GNR, dovrà pagare con la vita il tributo agli Alleati quando, verso l’autunno verrà pretesa «una resistenza organizzata, responsabile, razionale».22 Ragioni di “forza maggiore”, in virtù delle quali, con il graduale passaggio dalle 258 21 Virginio Boldini (Gino), intervistato da Tullio Clementi a Cevo, il 12 aprile del 2013. 22 Cfr. Santo Peli, “Il caso Nicola Pankov”, www.invaltrompia.it... piccole e non raramente precarie aggregazioni spontanee ad «un esercito democratico di massa», «per i vari Nicola Pankov, Vivenzi, Scalvini, Del Bello ecc. non vi è più spazio – anche in senso letterale, visto che nessuno di questi capi di bande autonome giungerà vivo all’ultimo inverno – in una fase dove al localismo, alle situazioni, alle forze, alle storie individuali si contrappongono logiche di più vasta portata, di cui sono il sintomo evidente i tentativi di varare comandi unici per intiere zone operative».23 Nel caso di Nicola Pankov, continua Peli, «l’eliminazione fu giustificata da un insieme di accuse, direi mosse ad arte e non comprovate, che andavano dall’aver seguito procedure poco corrette per il vettovagliamento della banda durante l’inverno precedente, fino al richiamare con la propria presenza l’attenzione tedesca, aumentando di conseguenza i rischi di rastrellamenti (tipo di accusa ricorrente in casi analoghi, e paradossalmente identico a quello tanto spesso utilizzato da moderati e benpensanti contro la Resistenza armata nel suo complesso)». Vale a dire che «i quadri di partito che guidano le operazioni di riduzione ad unitarietà di forze partigiane sparse e fuori controllo, interpretano il proprio compito come una indispensabile bonifica, una espulsione dalle forze della Resistenza di elementi che non accettano di aderire a ciò che invece appare loro una necessità storica. In questa logica, rifiutare l’inquadramento o la sostituzione è colpa non emendabile: chi sceglie “male” “entra in un buco nero della storia...».24 Al termine del lungo brano sui “contrasti partigiani”, Santo Peli chiude ricordando la sfida lanciata alla “rispettabilità ben pensante” da Italo Calvino: «D’accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tutto composto di tipi un po’ storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un’elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!»25 23 Cfr. Santo Peli, “I contrasti tra partigiani”, in L’impegno, aprile 1996, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli. 24 Ibidem. 25 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, pag. XIII. 259