le poesie di folchetto di marsiglia

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le poesie di folchetto di marsiglia
LE POESIE DI FOLCHETTO
DI MARSIGLIA
Edizione critica a cura di
Paolo Squillacioti
Nuova edizione riveduta e aggiornata
Nota alla seconda edizione
Questa versione approntata per il «Corpus des Troubadours» riproduce con
alcuni interventi e note di aggiornamento quella del 1999, pubblicata con lo
stesso titolo dall’Editore Pacini di Pisa, nella collana «Biblioteca degli Studi
Mediolatini e Volgari» (nuova serie, XVI) diretta da Valeria Bertolucci
Pizzorusso.
In particolare, il testo dei componimenti è stato adeguato a quello adottato
nell’editio minor, uscita nella «Biblioteca Medievale» dell’editore Carocci
(Squillacioti 2003) e a quello disponibile online in Rialto
(www.rialto.unina.it/FqMars) e nelle due banche dati in CD-ROM, la COM 2 di
Peter T. Ricketts (Concordance de l'Occitan Médiéval, Turnhout, Brepols 2005)
e
TrobVers
di
Rocco
Distilo
(anche
online
all’indirizzo
http://trobvers.textus.org, cui rinvio per i dati bibliografici). Ripeto per comodità
l’elenco degli interventi (tra parentesi la forma sostituita): I 34 aflebit (afleblit),
III 47 deia (deja); X 57 els (e·ls); XI 6 alre no m’ave (al re no·m ave), 8 Per
(per), 25 pel (pe·l); XV 22 el (e·l); XVII 30 qu’el (qu’e·l); XVIII 44 el (e·l);
XXII 3 no m’aguda (no·m aguda), 16 no m’ausi (no·m ausi), 17 e l’autor (e·l
autor); XXVI 3 que m’essenha (que·m essenha), 40 ni m’engane (ni·m engane);
XXVII 100, 105, 128 el (e·l). Le note di aggiornamento sono collocate alla fine
di ciascun capitolo dello Studio introduttivo e dell’edizione di alcuni
componimenti, introdotte dall’indicazione «Postilla 2009»; correggo invece
senza alcun avviso refusi ed errori puntuali. La bibliografia è stata aggiornata e
corretta; rinuncio invece ad adeguare le citazioni dei componimenti trobadorici
alle edizioni uscite nel frattempo.
Ho tenuto presente per questo aggiornamento le recensioni di Francesca
Gambino nei CCM (Gambino 2001), Max Pfister nella ZrPh (Pfister 2002), di
Marta Rovetta in CrTesto (Rovetta 2002), nonché le recensioni e le segnalazioni
dell’editio minor di Lorenzo Tomasin sul «Sole-24 ore» del 4 maggio 2003 (p.
30), di Walter Meliga nell’«Indice dei libri del mese» del dicembre 2003 (p. 20),
di Alberto Varvaro in MR, XXVIII (2004), p. 167, di Francisco J. Rodríguez
Risquete in «Mot so razo», IV (2005), pp. 94-95; e soprattutto l’articolo di Fabio
Zinelli in Rom (Zinelli 2003), dedicato a entrambi i volumi.
Un ringraziamento particolare, fra i molti amici e colleghi cui ho discusso in
questi anni le questioni affrontate nel libro, va a Gabriele Giannini: gli devo la
segnalazione di errori ora rimossi.
Questa nuova edizione riveduta del libro è dedicata al piccolo Pietro, che ha
rimesso a nuovo la mia vita.
Paolo Squillacioti, dicembre 2009
Premessa
Il nome di Folchetto di Marsiglia, trovatore provenzale attivo negli ultimi
decenni del XII sec., è strettamente legato a quello del suo unico editore, il
filologo polacco Stanislaw Stroński 1: la nota biografica, che rende solo in parte
1
Nato a Nisk nad Sanem il 18 agosto 1882, avviò gli studi universitari a Leopoli per
concluderli a Vienna, come allievo di Wilhelm Meyer-Lübke e Adolfo Mussafia; si perfezionò
in séguito alla Sorbona dove sotto la guida di Antoine Thomas conseguì il dottorato nell’aprile
del 1906: la tesi, l’edizione critica delle poesie del trovatore Elias de Barjols, venne pubblicata
nello stesso anno. Nei mesi successivi produsse alcuni articoli nei quali grande spazio ha il
vaglio delle fonti documentarie, operazione che darà i suoi frutti maggiori e a tutt’oggi
insuperati proprio nell’edizione folchettiana; segnalo fra gli altri quelli più legati alla prima
esperienza editoriale, Recherches historiques sur quelques protecteurs des troubadours. Les
douze preux nommés dans le ‘Cavalier soisseubut’ d’Elias de Barjols, AdM, XVIII (1906),
pp. 473-93 e Notes sur quelques troubadours et protecteurs des troubadours célébrés par
Élias de Barjols, RLR, L (1907), pp. 5-44. Nel frattempo portò a compimento la sua opera
maggiore, presentando all’Università di Cracovia prima un’Étude preliminare sul canzoniere
folchettiano (marzo 1909), poi l’edizione critica vera e propria (giugno 1910): il tutto confluì
in un volume pubblicato nello stesso 1910. L’edizione gli valse l’incarico di docente di Lingue
e letterature romanze presso la stessa Università di Cracovia; continuò a mantenere rapporti
con la Francia dove pubblicò alcune note negli «Annales du Midi» fra il 1911 e il 1913 e
l’importante volume La légende amoureuse de Bertran de Born (Paris, Champion 1914).
L’unico lavoro scientifico in polacco di questo periodo a me noto è Wplyw Dantego w
«Grobie Agamemnona» Slowackiego [L’influsso di Dante ne «La tomba di Agamennone» di
Slowacki], Leopoli 1909. L’attività accademica venne interrotta allo scoppio della prima
guerra mondiale, quando fu internato nella Stiria dalle autorità austriache: già da un anno era
deputato alla Dieta galiziana, eletto nelle liste del filo-russo Partito Nazional-Democratico;
l’uscita della Russia dal conflitto nel 1917 coincise infatti con la fine della sua condizione
detentiva: potè riprendere l’insegnamento e ritornare all’attività giornalistica esercitata sin dal
1901. Alle prime elezioni della Repubblica polacca, nel 1922, venne eletto deputato, mentre
era direttore del giornale Rzeczypospolita [la Repubblica], cofondato con Paderewski nel
1920; nel 1924 fondò il giornale Warszawianka [la Varsaviana] di cui fu direttore fino al
1928; numerosi furono i periodici che fondò e diresse durante la sua vita. Dopo il colpo di
stato del generale Pilsudski del maggio 1926, Stroński tornò all’insegnamento che svolse
all’Università di Lublino dal 1927 al 1939, pur continuando l’attività politica nelle file
dell’opposizione e come membro della L. N. Union. L’invasione tedesca lo costrinse
all’espatrio, prima a Parigi poi a Londra, dove fu ministro dell’informazione e della
documentazione del governo polacco in esilio; testimonianza del suo ininterrotto ruolo
pubblico sono i numerosi libri e opuscoli che dedicò in principal modo alla questione polacca.
Né venne meno la sua attività di studioso, che sfociò in una serie di lavori nella sua lingua
madre: Goethe i Polska (Londra 1950), Zamoyski i Zborowski (Londra 1951), Tristan i Iseut
(1952-53), oltre alla ‘Taylorian Lecture’ La poésie et la réalité aux temps des troubadours
(Oxford, The Clarendon Press 1943). Nel 1951 fondò a Londra l’Università polacca per
stranieri dove insegnò le lingue romanze da sempre praticate; morì nella capitale inglese
settantatreenne, il 30 ottobre 1955. (Ricavo le notizie da Antoni Jan Boguslawski, Stanislaw
Stroński w 50-lecie pracy pisarskiej [S. S. per i 50 anni di lavoro da scrittore], Tunbridge
Wells, Kent, Oficyna Poetów i Malarzy na Emigracji w Anglii 1954, oltre che dal ricordo di
Mario Roques, pubblicato nella Chronique di Rom, LXXVI, 1955, p. 546, da The
International Who’s Who, London, Europa Publication LTD, s. d., p. 999, ed anche dalle
premesse ai libri dello studioso e dalle recensioni agli stessi).
giustizia del ruolo dello studioso nella provenzalistica di inizio secolo e della
sua attività pubblica, valga come preliminare tributo: altro si potrebbe
aggiungere, soprattutto con riguardo ai molti pregi dell’edizione di cui qui si
propone una revisione e che perciò verrà talora radicalmente criticata; credo
tuttavia che l’entità e la qualità del debito contratto con il lavoro di Stroński
emergano con evidenza dal frequente ricorso all’enorme massa di dati e
interpretazioni che vi si trovano: si può dire infatti che quasi ogni testo citato,
ogni trovatore menzionato, ogni problema affrontato abbia ricevuto il massimo
dell’approfondimento possibile con gli strumenti dell’epoca e non c’è questione
posta che non abbia trovato una risposta, un’ipotesi di soluzione o una motivata
rinuncia.
Di qui giudizi autorevoli come quello di István Frank, che ne parla come di
un’edizione «considérée à juste titre comme un modèle et qui a fait époque», o
di Martín de Riquer, che la definisce «una pieza bibliográfica fundamental para
los estudios trovadorescos» 2; oppure di Aurelio Roncaglia, che arriva a
dichiarare che «Les éditions de Folquet par Stroński (1910) e de Bernart de
Ventadorn par Appel (1915) restent aujourd’hui encore des modèles inégalés» 3.
Tale valutazione retrospettiva si accorda solo in parte con le indicazioni dei
recensori. Molto positive sono quelle di Henry J. Chaytor («M. Stroński has
produced an excellent and most interesting edition of a most interesting
troubadour»), di G. Huet («[le volume de M. S.] n’est pas seulement une édition
de texte mais [...], en étudiant sous toutes les faces l’oeuvre d’un troubadour
célèbre, peut servir d’introduction à l’étude des troubadours en général») e di
Joseph Anglade («n’hésitons pas à féliciter chaudement le jeune savant étranger
qui a consacré à un des noms intéressant de notre ancienne poésie provençale un
monument aussi remarquable. Il y a là beaucoup de travail, beaucoup de
méthode, beaucoup de connaissances et d’ingéniosité»), appena sfiorata
quest’ultima da qualche nota critica: «Il y a là quelque abus: des différences
purement graphiques ne sont intéressantes que pour des études de langue»4. Così
anche Edmund Stengel, che nel descrivere il contenuto sottolinea gli aspetti più
rilevanti e innovativi dell’edizione, segnalando al contempo alcune lacune, e in
particolare il mancato utilizzo del ms. di Copenhagen (Kp) che lo stesso
studioso aveva edito diplomaticamente già nel 1877; questa la conclusione: «Ich
vermisse endlich eine Konkordanz der Liedernummern mit den Nummern in
Bartschs Grundriß, sowie ein Verzeichnis der herangezogenen Literatur und der
dafür gebrauchten Abkürzugen, will aber nicht mit so kleinen Ausstellungen
schließen, sondern mit lebhaftem Danke für die schöne Gabe» 5.
2
Frank 1952, p. XXI, n. 32; Riquer 1975, I, p. 583.
Au. Roncaglia, Rétrospectives et perspectives dans l’étude des chansonniers d’oc, in
Atti Liège 1991, pp. 19-41, a p. 28.
4
Chaytor 1911, p. 553; G. Huet in MA, XXIV (1911), pp. 219-21, a p. 221; Anglade
1913, pp. 71-72.
5
Stengel 1911, col. 244.
3
Ugualmente consapevoli dell’importanza del lavoro, ma più critici gli altri
recensori. Giulio Bertoni esordisce affermando: «L’edizione critica di tutte le
liriche di Folchetto di Marsiglia, preceduta da un’ampia e solida introduzione
storica e seguìta da note abbastanza copiose e da un glossario diligente, sarà
salutata con gioia da tutti gli studiosi», per poi concludere: «Insomma, diligenza,
studio e amore traspaiono da tutto il libro. Sarebbero desiderabili soltanto
maggiore sobrietà e anche maggior sicurezza nella costituzione del testo». Dello
stesso tenore la recensione di Alfred Jeanroy, che all’esordio elogiativo: «La très
remarquable ouvrage de M. Stroński, qui témoigne non seulement d’une
connaissance aujourd’hui bien rare de la poésie des troubadours et de l’histoire
méridionale, mais aussi d’une singulière vigueur d’esprit, a enfin obtenu de la
critique l’attention qu’il méritait», fa seguire, a qualche rigo di distanza, il
pendant critico: «C’est évidemment sur l’établissement du texte et les
traductions (plus littérales que vraiment fidèles et d’un style très contourné) qu’il
reste le plus à dire et je me rends bien compte que les quelques observations qui
suivent, n’épuisent pas le sujet». Ambivalente anche la valutazione di JeanJacques Salverda de Grave: «M. Stroński joint à une connaissance profonde de
la poésie des troubadours une grande indépendance d’esprit, et, par là, il réussit
plus d’une fois à renouveler des questions qu’on croyait définitivement résolues.
D’autre part, sa crainte de marcher sur les traces d’un devancier donne parfois à
ses explications un tour paradoxal et, si je ne me trompe, c’est surtout dans son
interprétation des textes que ces tendances se font jour. Si nous ajoutons que la
langue et le style de M. S. ont une certaine fraîcheur et de la hardiesse qui,
malheureusement, dégénère trop souvent en inexactitude, je crois avoir dégagé
l’impression générale qui nous reste de la lecture de la publication importante
que nous annonçons»; a ciò lo studioso fa seguire, dopo una descrizione del
contenuto dell’edizione, una serie di rilievi a singoli passi delle poesie 6.
Lascia invece poco spazio agli elogi di rito Kurt Lewent, che inizia in medias
res: «Die Benutzung dieses mit grosser Stoffbeherrschung und allem Rüstzeug
philologischer und historischer Detailforschung verfassten Buches wird
erheblich erschwert durch die Art der Anordnung, die in seiner Entstehung wohl
eine Erklärung, aber kaum hinreichende Entschuldigung findet». L’esordio
annuncia una severità di cui il recensore darà prova in una serie di contestazioni
che spaziano dalla pratica attributiva alla stessa recensio di Stroński, della quale
viene dimostrata l’incompletezza; una serie di osservazioni puntuali chiude
l’intervento. E solo di osservazioni puntuali, per lo più critiche, si compone una
delle Textkritische Bemerkungen zu Trobador-Ausgaben che Oskar SchultzGora dedica alle diciannove poesie ritenute da Stroński di sicura attribuzione 7.
6
99.
7
Bertoni 1911b, pp. 115 e 118; Jeanroy 1913, p. 259; Salverda de Grave 1911, pp. 498-
Lewent 1912, col. 328; Schultz-Gora 1921 (a Lewent risponde Stroński 1913, pp. 28897 sulla questione dei senhals reciproci, e comunque ringrazia lo studioso tedesco, insieme
con Salverda de Grave e Jeanroy, per la qualità delle osservazioni critiche all’edizione); nulla
più che una segnalazione quella di V. Crescini in RBLI, XIX (1911), pp. 64-65.
Al di là dei singoli problemi, si può notare come una certa tendenza alla
sistematicità, ammirevole e oggi difficilmente eguagliabile, stia al fondo di
alcune scelte problematiche dell’editore, per le quali si è proposta una soluzione
alternativa. Partendo dall’analisi dell’ordine dei testi nella tradizione manoscritta
[§ 1.1], va in primo luogo ridisegnato il canone folchettiano, in quanto la sua
definizione [§ 1.2] e la cronologia assoluta e relativa dei testi [§ 1.3] presentano
aspetti di dubbia validità, che pregiudicano la stessa valutazione della fisionomia
poetica di Folchetto. In secondo luogo, vanno sottoposti a una profonda
revisione i risultati del lavoro ecdotico di Stroński, condizionati in partenza da
una recensio codicum [§ 2.1] incompleta e talora mediata da riproduzioni
fotografiche, edizioni diplomatiche o collazioni fornitegli da altri studiosi [§
2.1.1]: alla base del mio lavoro c’è invece, oltre alla considerazione di
testimonianze dirette e indirette ignote o trascurate [§§ 2.1.2 e 2.1.3], il controllo
diretto sui manoscritti della quasi totalità di trascrizioni da microfilm e
fotografie. Anche la pratica editoriale di Stroński va totalmente ripensata: al
vano tentativo di una ricostruzione stemmatica di ascendenza lachmanniana, che,
basandosi prevalentemente su varianti adiafore e non sugli errori-guida (di cui
peraltro la tradizione manoscritta folchettiana è assai avara), lascia largo spazio
all’opinabilità, va opposta un’ipotesi di ‘restauro conservativo’ della tradizione
manoscritta [§ 2.2]. Mantiene al contrario una grande utilità la ricostruzione del
contesto storico operata da Stroński a partire da un vaglio diretto e minuzioso
dei documenti d’archivio: i capitoli storici dell’Étude sur Folquet de Marseille
premessa all’edizione e il Commentaire historique che la segue, costituiscono
un’ottima base di partenza per un profilo biografico di Folchetto di Marsiglia,
soprattutto nei venticinque anni in cui sedette sullo scranno vescovile di Tolosa
[§ 3.1], e per ripercorrere e integrare i dati sui suoi rapporti diretti con i trovatori
coevi [§ 3.2.1] e sulla sua presenza nelle letterature medievali che ricevettero
influssi dalla poesia occitanica [§ 3.2.2]. Il discorso preliminare si arresterà
infine sulla soglia di una ridefinizione delle qualità poetiche di Folchetto, oggi
eccessivamente limitate da una tradizione critica di cui verranno abbozzate le
linee portanti e nella quale si scorge qualche tentativo isolato di revisione [§
3.3]. L’edizione critica delle ventisette poesie del corpus folchettiano occupa la
seconda parte del lavoro.
Iniziato come tesi di laurea all’Università di Pisa (1990-91; rel. prof. Pietro Beltrami), il
presente lavoro ha come tappa intermedia la mia tesi di perfezionamento alla Scuola
Normale Superiore (febbraio 1998; rel. prof. Valeria Bertolucci Pizzorusso): ringrazio per
il loro decisivo contributo i proff. Stefano Asperti e Alberto Varvaro, co-relatori della tesi
di prefezionamento, e il prof. Alfredo Stussi, per la fiducia concessami negli anni di
Normale. E fra i tanti amici che mi hanno aiutato nella mia ricerca vorrei ricordare, e
ancora ringraziare, Sergio Vatteroni, che ha letto con generosa competenza molte pagine
del dattiloscritto, Claudio Giunta e Elena Pistolesi.
Dedico il libro a mia moglie Bernadette.
Tavole di concordanza
BdT
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Amors, merce: non mueira tan soven
A pauc de chantar no·m recre
Ai! quan gen vens et ab quan pauc d’afan
A vos, midontç, voill retrair’ en cantan
Ben an mort mi e lor
Chantan volgra mon fin cor descobrir
Chantars mi torna ad afan
En chantan m’aven a membrar
Fin’ amors a cui me soi datz
Greu feira nuills hom faillenssa
Ja no·s cuig hom qu’ieu camje mas chansos
Ja non volgra q’hom auzis
Meravill me cum pot nuills hom chantar
Molt i fetz gran pechat Amors
Oimais no·i conosc razo
Per Dieu, Amors, ben sabetz veramen
Pos entremes me suy de far chansos
S’al cor plagues, ben fora oimais sazos
Senher Dieu[s], que fezist Adam
Si com sel qu’es tan greujatz
Sitot me soi a tart apercebuz
Tant m’abellis l’amoros pessamens
Tan mou de cortesa razo
Tostemps, si vos sabetz d’amor
Vermillon, clam vos faç d’un’ avol pega pemcha
Vers Dieus, el vostre nom e de sancta Maria
Us volers outracuidatz
n° ed.
Stroński
V
XIX
VI
XXII
I
XVII
XIV
XI
XV
XII
XIII
XXIII
XX
IV
XVIII
VIII
XVI
III
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XXI
VII
II
IX
XXIV
XXV
XXVI
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X
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XXIX
XVII
XI
II
III
XV
XVI
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IV
n° ed.
I
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VI
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VIII
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5
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Stroński
I
II
VII
VIII
IX
X
XI
XII
III
IV
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XIII
XIV
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VI
XIX
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XXIX
Stroński
I
II
III
IV
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VI
VII
VIII
IX
X
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9
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370,9
9,10
26
19
n° ed.
I
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IX
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Sigle dei testimoni 8
Tradizione diretta
A
Aa
Ab
B
C
D
Da
Dc
E
F
Fa
G
H
I
J
K
Kp
L
M
N
N2
O
Ol
P
Pe
Q
R
S
Sg
T
U
V
VeAg
8
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 5232
c. 269 del ms. M [con Ab parte del ms. che Zufferey 1987 sigla A’]
Ravenna, Biblioteca Comunale Classense, 165 [cfr. Aa]
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 1592
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 856
Modena, Biblioteca Estense, . R. 4. 4
cc. 153-216 del ms. D [copia del Liber Alberici]
cc. 243-260 del ms. D [florilegio di Ferrarino da Ferrara]
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 1749
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi L.IV.106
Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2981
Milano, Biblioteca Ambrosiana, S.P. 4 [già R 71 sup.]
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 3207
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 854
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conv. Sopp. F. IV. 776
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 12473
København, Kongelige Bibliothek, Thott 1087
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 3206
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 12474
New York, Pierpont Morgan Library, 819
Berlin, Staatsbibliothek, Stiftung Preussische Kulturbesitz, Phillipps
1910
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 3208
Olot, Arxiu Històric Comarcal, Fons notarials, Santa Pau, 2
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. XLI, 42
Sarrià, Monestir de Sant Pere de les Puel·les, ms. literari
Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2909
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 22543 [ms. La Vallière o
canzoniere d’Urfé]
Oxford, Bodlerian Library, Douce 269
Barcelona, Biblioteca de Catalunya, 146 [ms. Gil y Gil]
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 15211
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. XLI, 43
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 278 [già fr. App. cod. XI]
Barcelona, Biblioteca de Catalunya, 7 e 8 [ms. Vega-Aguiló]
Per l’indicazione dei testi folchettiani tràditi e altre note si veda il § 1.1; e inoltre il §
2.1.2.1 (su a), il § 2.1.2.2 (su S), il § 2.1.2.3 (su Y). Per ulteriori indicazioni sulla tradizione
indiretta (edizione da cui si cita, modo della citazione, testi o parti di testo citati, ecc.) si veda
il § 2.1.3.
W
X
Y
Z
a
a1
b
c
ca
e
f
g
g1
ls
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 844 [= canz. oitanico M]
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 20050 [= canz. oitanico U]
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 795
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 1745
Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2814 [= sigla per tutto il
canzoniere di Bernart Amoros; cfr. a1 e il § 2.1.2.1]
Modena, Biblioteca Estense, Càmpori . N. 8. 4; 11, 12, 13
[‘complemento Càmpori’ al canzoniere di Bernart Amoros; cfr. a e
il § 2.1.2.1]
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4087
[diviso in due parti: bI, cc. 1-8, e bII, cc. 9-53]
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. XC inf., 26
Codice di E. Stengel già all’Università di Lovanio [cfr. § 2.1.2.1]
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4087
[antologia di Gioacchino Pla]
Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 12472 [canzoniere Giraud]
appendice di g1
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 3205
[descriptus di M]
lezioni del canz. di Bernart Amoros apposte a ca [cfr. § 2.1.2.1]
Tradizione indiretta

1
citazioni nel Breviari d’Amor di Matfre Ermengaud
citazioni in So fo el temps qu’om era gais di Raimon Vidal de
Besalú
3
citazioni nelle Razos de trobar di Raimon Vidal de Besalú

citazioni nei Documenti d’Amore di Francesco da Barberino

citazioni in Dell’Origine della Poesia rimata di Giovanni Maria
Barbieri

citazioni nella Doctrina d’acort di Terramagnino da Pisa
BdN
citazioni nel Mirall de trobar di Berenguer de Noya
JSJ
citazioni in Cant vey li temps camgar e·mbrunusir di Jordi de Sant
Jordi
Regles citazioni nelle Regles de trobar di Jaufre de Foixà
PARTE PRIMA
Studio introduttivo
CAPITOLO PRIMO
Il canone
1.1. Ordinamento del corpus.
I componimenti poetici attribuiti a FqMars sono ripartiti come segue nei
canzonieri trobadorici 1:
A
Ab
B
C
D
[61v]
[88r]
[39r]
[1v]
[40r]
vida
21
7
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22
1
16
11
18
5
14
6
3
17
8
23
27
20
15
13
2
6
3
17
vida
21
7
10
22
1
16
11
18
5
14
6
3
8
23
27
20
15
16
21
3
10
1
18
14
5
22
27
23
7
11
370,9
8
15
26
22
2
10
6
3
13
5
15
21
[165v]
18
1
16
11
27
14
8
7
20
23
17
167,27
[6v]
[44r]
[47r]
.....
[88v]
[114v]
2 (ArnMar)
[115r]
[68r]
Da
[164v]
Dc
[245r]
18
5
8
11
1
23
3
10
6
16
21
[246r]
E
Fa
G
H
[1]
[41]
[1r]
[49r]
16
22
15
23
10
6
11
1
14
17
27
8
5
9
2
18
1
16
22
21
11
3
14
23
16
1
18
22
21
14
3
5
8
23
11
27
6
10
1
16
[9]
[47]
[9r]
[49r]
IK
[62r 46r]
vida
1
21
14
2
5
18
22
6
16
23
7
20
8
13
3
10
11
15
27
[65r 50r]
.....
[192r]
9 (GsbPuic)
[192r]
.....
[227v]
17 (FqRom)
[228r]
.....
[228v]
13 (FqRom)
[229r]
1
I numeri rimandano alla BdT; quelli completi del numero d’autore (ma per praticità non
della sigla del trovatore: si veda l’elenco completo al § 1.2.10) indicano i testi spuri con
attribuzione a FqMars; aggiungo anche i testi 2 9 13 26 nei mss. CRV, sebbene siano in essi
attribuiti ad altro trovatore (indicato fra parentesi): per ulteriori osservazioni (e per il testo 17)
si veda infra la tavola nel § 1.2.8. Per la tradizione indiretta si veda infra il § 2.1.3. Segnalo
sempre le carte in cui inizia e termina la scrittura di un testo o di un gruppo di testi; i puntini
individuano una soluzione di continuità.
J
Kp
L
M
N
O
P
Q
R
S
[67r]
[104r]
[12v]
[25r]
[54r]
[5]
[7r]
[17r]
[13r]
[23]
16
10
1
14
18
10
30,16
1
16
16
[68r]
.....
.....
[107v]
[73r]
18
.....
10
11
15
13
8
2
6
23
7
20
421,10
421,5
173,11
173,3
[56]
[11r]
22
.....
.....
[57]
[22r]
[125r]
[34r]
22
[125v]
[64v]
16
18
1
22
14
25
3
5
8
21
10
7
20
167,59
27
11
15
13
6
9
15
1
5
14
8
3
12
168,1
22
1
5
16
18
23
14
8
3
21
10
11
15
27
13
6
7
20
2
18
3
16
[105v]
16
5
1
10
14
3
18
27
22
9,7
23
6
21
11
17
8
9
1
[73r]
[108v]
[13r]
.....
[23v]
[27v]
.....
[117v]
6
[118r]
[7]
.....
[33]
10
14
[34]
.....
[50]
21
[51]
.....
16
22
11
21
210,2a 18
27
3
[60]
1
.....
5
[72]
14
13
[24v]
[58]
[24r]
16
22
.....
21
[15r]
18
13 (FqRom) 3
[15v]
1
.....
5
[15v]
6
26 (FqRom) 14
[16r]
23
.....
[39]
[13r]
[42r]
10
6
11
1
14
22
23
18
27
8
3
5
7
[43v]
[72]
.....
.....
[51v]
[75]
16
21
370,9
20
106,14
vida
17
8
14
21
5
23
1
6
[81]
[52r]
.....
[52v]
2 (FqRom)
[52v]
.....
[75r]
24
[75v]
.....
[131r]
19
[131r]
U
V
VeAg
W
Y
a
b
c
f
N2
[225r]
[29v]
[82r]
[71]
[188r]
[1v]
[112]
[2r]
[8r]
[5v]
[22r]
240,4
17
9
10
23
5
11
27
14
8
7
6
4
16
3
10
21
18
11
14
1
22
8
7
30,8
16
22
5
1
8
10
18
3
21
23
7
14
27
11
6
20
16
21
70,41
21
22
23
8
21
17
9
20
22
16
3
18
5
22
16,12
1
10
14
23
8
27
6
7
21
11
156,10
[16v]
[39v]
23
1
14
2
5
18
22
6
16
7
20
21
8
13
3
10
11
.... 3
15
[17v]
[39v]
27
17
.....
[23v]
[18r]
[41v]
T
[233r]
[39r]
[74]
[1v]
[114]
.....
[189v]
[229]
.....
13
[200v]
[230]
10
.....
[200v]
[578]
[90r]
.....
[107v]
2 (Perd)
[108r]
24
[579]
ls
8
14
21
5
23
1
6
27
18
10
16
22
3
11
7
[2v]
.....
[6r]
23
[6r]
[5v]
.....
[19v]
26
[20r]
.....
[23r]
370,9
16
[24r]
.....
[32r]
30,3
[32r]
.....
21
[42r]
.....
[49r]
22
18
1
11
[51r]
.....
[72r]
17
2
[72r]
A commento delle tavole osservo che:
i) che la sequenza di D fosse originariamente 3 22 10 (come nella tavola) è ipotesi di
2
Giosuè Lachin ; sul motivo dell’utilizzo di Fa, descriptus di F, si veda infra il § 2.1.1; le
due indicazioni nel ms. H riguardano gli incipit della cobla V di FqMars 155,1 (V) e delle
coblas II-III di FqMars 155,16 (VIII): rimando alle edizioni delle due canzoni per ulteriori
indicazioni.
ii) il testo tràdito in J alla c. 73r è la cobla V (adespota) di FqMars 155,1 (V); i
componimenti tràditi fra le cc. 33 e 72 di O sono adespoti: ho incluso nell’elenco anche
GlBerg 210,2a nell’ipotesi che, considerata la posizione, sia stato creduto folchettiano
2
Cfr. Partizioni e struttura di alcuni libri medievali di poesia provenzale, in Strategie
del testo. Preliminari Partizioni Pause, a cura di G. Peron, Padova, Esedra 1995, pp. 267304, a p. 274.
dall’estensore del ms.; i primi due componimenti tràditi in P (10 11) sono attribuiti a
GrBorn: si tratta di un mancato cambio di rubrica visto che i testi di GrBorn precedono
quelli folchettiani.
iii) il testo tràdito alla c. 200v di W è cobla II (adespota) di FqMars 155,10 (XII);
l’indicazione nel ms. Y riguarda la cobla IV (non integrale e adespota) di FqMars 155,21
(VII): rimando per ulteriori indicazioni infra al § 2.1.2.3; per l’ordine dei testi di a non
tràditi nel canzoniere di Bernart Amoros, ma noti attraverso le glosse apposte al ms. c a [=
ls], rimando infra al § 2.1.3.1; il ms. f attribuisce all’ambiguo en folquet oltre a FqRom
156,10 e l’alba FqMars 155,26 (XXVI): cfr. per quest’ultima infra il § 1.2.4.
L’indicazione in N2 concerne la successione degli incipit citati.
Si noti inoltre che i mss. CEG si aprono proprio con il corpus folchettiano 3;
lo stesso succedeva, secondo Lachin 4, anche in N, e lo stesso accade nella
sezione P3 del ms. P, nella sezione R5 del ms. R e nella sezione T3b del ms. T (le
partizioni sono quelle di Gröber 1877).
L’analisi della successione dei componimenti permette di avanzare delle
ipotesi sulle aggregazioni testuali anteriori all’assemblamento dei canzonieri, e
quindi sui r a p p o r t i f r a i t e s t i m o n i (§ 1.1.1), secondo un’operazione
di critica esterna la cui necessità è stata, com’è noto, sottolineata da Avalle 5; ma
fornisce inoltre indicazioni sui possibili c a n a l i d i a l i m e n t a z i o n e (§
1.1.2) dei canzonieri stessi.
§ 1.1.1. Quanto al primo ordine di indicazioni, si possono isolare un certo
numero di componimenti che appaiono frequentemente attigui, o almeno
ravvicinati, nei canzonieri. In particolare riconosco i seguenti insiemi 6:
[I] 5 14 18
AB
C
IK
N
P
S
18 5 14
18 14 5
14 2 5 18
5 16 18 23 14
18 3 1 5 14
18 3 1 5 6 14
D
c
ls
c
D
J
L
U
5 21 18 ... 14
18 5 ... 14
14 13 5 ... 18
18 5
14 18
5 14
18 11 14
AB
IK
21 7 10 ... 3
21 ... 3 10
[14]
[5]
[18]
[5]
[II] 3 10 21
C
D
3
21 3 10
10 3 5 21
Di qui, com’è noto, il nome di Folquet-Sammlungen dato da Gröber 1877, pp. 545-95 ai
canzonieri che presentano questa caratteristica.
4
Cfr. La composizione materiale del codice provenzale N (New York, Pierpont Morgan
Library, M 819), in Atti Messina 1993, II, pp. 589-607.
5
Per il quale è necessario integrare i risultati della critica interna e di quella esterna (cfr.
Avalle-Leonardi 1993, pp. 89 e 101); una chiara applicazione è nell’ed. di RmJord curata da
Asperti 1990, pp. 113-18.
6
Utilizzo il grassetto per indicare gli elementi dell’insieme, sempre citati col numero della
BdT, i puntini sospensivi nei casi in cui tra questi ultimi siano interposti un numero di testi
superiore a 2, le parentesi quadre per racchiudere gli elementi dell’insieme assenti nel codice.
c
D
N
Q
U
V
3 10 6 16 21
3 21 10
3 5 8 21 10
3 10 21
10 18 3 21
M
ls
G
P
Fa
S
10 14 3 ... 21
21 ... 10 16 22 3
21 14 3 ... 10
10 ... 21 18 3
21 11 3
21 18 3
[10]
[10]
Dei mss. restanti, AbDaHbI mancano dei tre testi, W tramanda 21 e, in altra
parte del cod., 10 (parz.), JKpET tramandano solo il testo 10, L solo 3, VeAgY
solo 21 (Y parz.), gli altri (ORcf) tramandano le poesie lontane le une dalle altre.
Nei casi in cui non si verifica la contiguità di 3 10 21 (eccetto D) si registra
un legame fra (3) 21 22:
AB
D
Fa
G
P
S
21 7 10 22
22 10 3 5 21
22 21 11 3
22 21 14 3
22 21 18 3
22 21 18 3
[III] 2 13 15
A
a
D
P
15 13 2
2 6 13 15
15 13 8 2
N
Q
15 27 13 ... 2
15 13
[2]
Nei restanti mss. si verifica l’assenza contemporanea dei tre testi in
DcFaGHJKpLMSTUWYbIc, di 2 15 in AbOa, di 13 2 B, di 15 13 in V (ma 2 è
attrib. a Perd); CGIKR presentano i tre componimenti distanziati (ma 13 è attrib.
a FqRom in CR, 2 è attrib. ad ArnMar in C, a FqRom in R). Si può concludere
che, in linea di massima, quando i testi sono tutti presenti vengono tramandati
congiuntamente.
[IV] 7 8 20 23
D
IK
P
8 7 20 23
23 7 20 8
8 2 6 23 7 20
AB
R
C
Q
c
7 ... 8 23 27 20
23 18 27 8 3 5 7 ... 20
23 7 11 370,9 8
[20]
8 21 10 7 20
[23]
23 8 27 6 7
[20]
G
U
T
W
8 23
87
23 ... 8 7
23 8
Cfr. ancora (2 testi):
N
V
C
c
D
23 14 8 ... 7 20
8 ... 23 7 ... 20
23 7 ... 8
8 11 1 23
[20]
[7 20]
[7 20]
[20 23]
[20]
[7 20]
Dei mss. restanti, AbDcHJKpVeAgYf mancano dei quattro testi, mentre L
tramanda solo 8, FaSbI soltanto 23; EMOls tramandano infine 23 8 distanziati
(separati da tre componimenti inOls).
[V] 1 16 18 22
AB
Fa
G
N
P
Q
S
V
c
ls
22 1 16 11 18
18 1 16 22
16 1 18 22
22 1 5 16 18
16 22 21 18 3 1
16 18 1 22
16 22 21 18 3 1
16 22 5 1 8 10 18
16 3 18 5 22 16,12 1
1 6 27 18 10 16 22
C
D
IK
R
f
J
16 ... 1 18 14 5 22
22 ... 18 1 16
1 ... 18 22 6 16
1 14 22 23 18 ... 16
16 ... 22 18 1
16 10 1 14 18 [22]
E
H
Kp
16 22 ... 1
1 16
1 16 ... 18
Cfr. ancora (2 testi):
M
O
U
16 5 1 ... 18 27 22
18 3 16 ... 22 ... 1
16 ... 18 11 14 1 22
[18]
[18 22]
[22]
Nei restanti mss. i quattro componimenti sono omessi in AbDaTY, mentre
WbI tramandano solo 22, VeAg solo 16; i testi sono perciò trasmessi distanziati
soltanto in Dc (dove è omesso 22) e in L (dove è omesso 18). Si noti che quelli
indicati sono i soli testi tràditi da J (se si prescinde dalla cobla esparsa tratta dal
testo 1, vergata in un’altra zona del codice) e che H tramanda solo gli incipit di 1
16.
[VI] 1 10 11 16
AB
c
D
U
10 22 1 16 11
11 1 23 3 10 6 16
16 3 10 21 18 11 14 1
E
D
M
R
V
ls
Fa
J
Kp
16 ... 10 6 11 1
10 ... 1 16 11
16 5 1 10 ... 11
10 6 11 1 ... 16
16 22 5 1 8 10 ... 11
1 ... 10 16 22 3 11
1 16 22 21 11
16 10 1
10 30,16 1 16
[10]
[11]
[11]
Q
V
c
H
T
f
16 18 1 ... 10 ... 11
16 ... 1 8 10 ... 11
16 ... 1 10 ... 11
1 16
10 23 5 11
16 ... 1 11
[10 11]
[1 16]
[10]
Cfr. ancora (2 testi):
C
Dc
G
IK
N
P
16 ... 10 1 ... 11
11 1 ... 10 6 16
16 1 ... 11 27 6 10
1 ... 16 ... 10 11
1 5 16 ... 10 11
10 11 ... 16 ... 1
Dei mss. restanti, AbDaYbI omettono i quattro componimenti, mentre VeAg
tramanda solo 16, W solo 10 (parz.); i testi sono trasmessi distanziati solo da
LOS (LS non tramandano 10 11). Anche qui si noti che Kp oltre ai testi indicati
tramanda, in altra zona del ms., soltanto 18, e che H trasmette solo gli incipit di
1 16.
Come definire tali raggruppamenti? Secondo Antonio Viscardi, che ha
esercitato la critica esterna sul corpus di GcFaid, a ciascun gruppo dovrebbe
corrispondere un Liederblatt 7. Restano tuttavia aperti alcuni problemi: per
esempio, nei casi in cui accanto ad un gruppo formato da n elementi se ne
affianchino altri di n-1, n-2 testi, vanno considerati Liederblätter i
raggruppamenti minori, cui s’aggiungono altri testi in alcuni mss., oppure il
Liederblatt originario si è smembrato o ridotto nella tradizione manoscritta? E
inoltre come spiegare la compresenza di alcuni testi in più gruppi (18 nei gruppi
I e V e parziale sovrapponibilità dei gruppi V e VI)? Tutto ciò induce ad un uso
non rigido del termine Liederblatt: se è probabile la non casualità dei
raggruppamenti, la cui origine dovrebbe risalire ad una fase alta della tradizione
manoscritta, anteriore all’organizzazione dei canzonieri, più problematico è
stabilire l’esatta consistenza dei raggruppamenti stessi e a chi si debba la
responsabilità della raccolta 8. Tali raggruppamenti coprono comunque quasi
tutta la produzione di Folchetto: un metodo come questo, basato sul confronto
delle serie testuali, impedisce infatti di determinare la collocazione in un
eventuale Liederblatt dei testi a tradizione unica (4, 12, 25 e 19, prescindendo
dalla tradizione catalana) e rende ardua la verifica per i componimenti
tramandati da un numero esiguo di testimoni (24 26, rispettivamente in 2 e 3
mss.); oltre a questi, restano fuori da ogni raggruppamento solo 4 canzoni (6, 9,
17 e 27), due delle quali (9 e 17) di attribuzione controversa.
Un raggruppamento di maggiori dimensioni, formato in larga parte dalla
congiunzione dei gruppi I e V, è isolabile a partire dalla sequenza dei testi nella
seconda sezione folchettiana di P, che tramanda nell’ordine i testi 16 22 21 18 3
1 5 14 9. Gli elementi della serie si ritrovano attigui o comunque vicini, benché
in ordine diverso, nella gran parte dei canzonieri 10:
7
A. Viscardi, Studi sul testo di Gaucelm Faidit, «Atti del R. Ist. Veneto di scienze, lettere
ed arti», anno acc. 1934-35, t. XCIV, parte II, pp. 425-42, poi in Ricerche e interpretazioni
mediolatine e romanze, Milano-Varese, Cisalpino 1970, pp. 163-77 (col titolo: La
successione delle poesie di Gaucelm Faidit nei canzonieri ordinati per autori); il lavoro di
Viscardi è stato recentemente sottoposto a revisione da Vatteroni 1998, pp. 46-78. Per il
concetto di Liederblatt, che risale a Gröber 1877, pp. 337-44, e gli altri aspetti della
trasmissione della lirica occitanica si veda il terzo cap. di Avalle-Leonardi 1993.
8
Si conferma insomma la distanza fra i raggruppamenti isolabili nella tradizione
manoscritta e i Liederblätter materiali come quello scoperto da Grattoni 1982 nell’Archivio
Capitolare di Cividale del Friuli, contente un planh con notazione musicale, o, in àmbito
galego, il Pergaminho Vindel latore di sette cantigas di Martin Codax, anch’esse, eccetto una,
complete di musica.
9
Secondo Gröber 1877, che tratta del ms. alle pp. 442-58, il canzoniere lirico di P (cc. 138) si divide in tre sezioni: P1 (cc. 1-6) comprendente i testi 1-18, P2 (cc. 7-22r), che inizia
con la prima serie folchettiana, comprendente i testi 19-67, P3 (cc. 22r-38), aperta dalla
seconda serie folchettiana, comprendente i testi 68-123. Segnalo tuttavia che con i testi di
PVid che, con RichCdeL 420,2, dovrebbero chiudere P 2, si apre il terzo fascicolo del ms. e che
con una serie quasi uguale (il testo di Riccardo è però anteposto ai vidaliani) si apre il ms. S,
stretto collaterale di P. In dettaglio:
A
B
C
D
c
D
Fa
G
IK
M
N
P
Q
R
S
U
V
c
21 7 10 22 1 16 11 18 5 14 6 3
21 7 10 22 1 16 11 18 5 14 6 3
16 21 3 10 1 18 14 5 22
22 10 3 5 21 18 1 16 11 27 14
18 5 8 11 1 23 3 10 6 16 21
18 1 16 22 21 11 3 14
16 1 18 22 21 14 3 5
1 21 14 2 5 18 22 6 16 ... 3
16 5 1 10 14 3 18 27 22 ... 21
22 1 5 16 18 23 14 8 3 21
16 22 21 18 3 1 5 14
16 18 1 22 14 25 3 5 8 21
1 14 22 23 18 27 8 3 5 ... 16 21
16 22 21 18 3 1 5 6 14
16 3 10 21 18 11 14 1 22
16 22 5 1 8 10 18 3 21 ... 14
16 3 18 5 22 16,12 1 14 ... 21
Da notare il fatto che Dc, Fa, S, U tramandano pochi altri testi oltre a quelli
sopra indicati. Per di più, la quasi totalità dei mss. assenti dall’elenco sono in
varia misura riconducibili alla serie: si vedano i due testi citati in H (1 18), quelli
tramandati in VeAg (16 21), il frammento tràdito in Y (21); e ancora le raccolte
di J (16 10 1 14 18 ... 1) e Kp (10 30,16 1 16 ... 18), nelle quali ai testi della
serie si aggiunge il solo 10 (e in Kp il testo spurio ArnMar 30,16); e infine la
raccolta di L (16 ... 1 5 14 8 2 12 168,1 ... 6 ... 22), dove ai testi della serie si
aggiungono 8, 6, l’unicum 12 e il testo spurio GsrSt-Did 168,1). Gli altri mss.
presentano una mescolanza fra i testi della serie isolata nella seconda sezione di
P e gli altri testi (E, O, W) o sono, come T, quasi del tutto estranei alla serie;
oppure sono difficilmente classificabili da questo punto di vista, come f, per la
frammentazione del corpus folchettiano (il codice è classificato da Gröber 1877
fra gli «Zusammengesetztze Handschriften»).
Le circostanze evidenziate consentono di ipotizzare che nella serie isolata
nella seconda sezione di P si possa riconoscere un Liederbuch: il termine indica
in questo caso i «raggruppamenti di poesie che ricorrono in modo abbastanza
costante all’interno delle sezioni riservate a ciascun trovatore nei singoli
P 20r [inizio fasc. III]
S 1r [inizio codice]
61. PVid 364,46
1. RichCdeL 420,2
62. PVid 364,39
2. PVid 364,39
63. PVid 364,40
3. PVid 364,40
64. PVid 364,42
4. PVid 364,42
65. PVid 364,37
5. PVid 364,37
66. PVid 364,4
6. PVid 364,4
67. RichCdeL 420,2
(PVid 364,46 che apre P, è tràdito in S al 10° posto): cfr. Vatteroni 1998, p. 72, n. 133. Una
sintetica descrizione del contenuto di P, con rinvio alla bibliografia precedente, è in Asperti
1995, p. 162.
10
Evidenzio col grassetto i testi della serie di P; qualora un elemento si trovi distanziato
dagli altri, lo faccio precedere da tre punti.
codici» 11, e non, secondo l’accezione gröberiana: «Sammlungen von Liedern
eines und desselben Dichters, von ihnen selbst oder von ihren Bewunderern
angefertigt» 12. Pur in assenza di elementi che permettano di determinare la
responsabilità della raccolta, si può comunque affermare che il gruppo ha avuto
una vicenda manoscritta comune e costituisce uno dei nuclei principali della
tradizione folchettiana.
§ 1.1.2. I testi del gruppo sinora esaminato, per venire al secondo ordine di
indicazioni ricavabili dall’analisi della tradizione manoscritta, sono collocati in
genere nella parte iniziale della sezione folchettiana: così nei canzonieri
ABCDFaGIKMNQSUVc (ma anche in f). Si può inoltre notare che i
componimenti tràditi in T, della cui complementarità con la seconda sezione di P
si è già accennato, sono generalmente collocati, sebbene con minore nettezza,
subito dopo il primo gruppo: così nei mss. ABCDGIKMc (e cfr. SUV).
Entrambe le serie, eccetto la canzone 6, sono assenti in Da, i cui componimenti
(2 6 13 15) sono collocati in fondo alla sezione folchettiana in altri testimoni:
così nei mss. ABCENQT (e cfr. IKOVf). Se la distribuzione non è casuale, ai tre
gruppi di testi corrispondono altrettanti canali di alimentazione dei canzonieri:
chiamo tradizione  quella isolabile nella seconda sezione di P, tradizione 
quella che ha alimentato T 13 e tradizione  quella che ha fornito i testi a Da 14.
11
Riprendo la definizione di Battelli 1992, p. 597; cfr. anche Brunetti 1990, p. 49, n. 5.
Gröber 1877, p. 345; così definito, il termine Liederbuch andrebbe riservato a casi
come quello di GrRiq studiato da V. Bertolucci Pizzorusso, Il canzoniere di un trovatore: il
«libro» di Guiraut Riquier [1978] in Bertolucci 1989, pp. 87-124 o quello di PVid ricostruito
da Avalle 1960, I, pp. XXXV-XXXIX (l’ipotesi di Riquer 1975, I, p. 17 sul libro di PoGarda è
stata messa in discussione da Zufferey 1987, pp. 232-33; cfr. anche Bertolucci Pizzorusso
1991, p. 276, n. 6). Oppure a raccolte come quella di PCard messa insieme da Miquel de la
Tor, su cui si vedano Zufferey 1987, pp. 293-309, G. Brunetti, Intorno al Liederbuch di Peire
Cardenal ed ai ‘libri d’autore’: alcune riflessioni sulla tradizione della lirica fra XII e XIII
secolo, in Atti Zurigo 1993, pp. 57-71 e ora Vatteroni 1998, pp. 7-45. Sull’argomento in
generale hanno particolare rilievo le messe a punto di V. Bertolucci Pizzorusso, Libri e
canzonieri d’autore nel Medioevo: prospettive di ricerca [1984], in Bertolucci 1989, pp.
125-46, di d’A. S. Avalle, I canzonieri: definizione di genere e problemi di edizione, in Atti
Lecce 1984, pp. 363-82 e di L. Formisano, Prospettive di ricerca sui canzonieri d’autore
nella lirica d’oïl, in Atti Messina 1993, I, pp. 131-52.
13
Nel ms. i componimenti folchettiani aprono la sezione siglata T3b da Gröber 1877, pp.
522-34, risalente a una fonte m+t3b, dove m corrisponde grosso modo a y: cfr. Avalle-Leonardi
1993, p. 90. Dell’influsso di , a cui risale la fonte k+t attiva principalmente nella prima
sezione del canzoniere (siglata T3a da Gröber), anche su questa sezione, e viceversa di y su T3a,
si occupa Brunetti 1990.
14
Questa fonte corrisponde all’originale del Liber domini Alberici, che Avalle sigla , e
che costituisce una delle fonti di : cfr. Avalle-Leonardi 1993, p. 79-80 (dove si modifica
parzialmente la ricostruzione di Gröber); M. L. Meneghetti, Uc de Saint Circ tra filologia e
divulgazione (su data, formazione e fini del Liber Alberici), in Atti Treviso 1991, pp. 115-28
bipartisce Da in due sezioni, la prima delle quali (cc. 153-185v, comprendente dunque la
sezione folchettiana) «mostra tratti di notevole organicità e connotati di tipo aulico», mentre la
seconda (cc. 185v-211) «sembra più frammentari[a], come se si fosse costituit[a] a partire da
12
Esse coprono quasi l’intera produzione folchettiana; restano fuori dalla
classificazione, oltre al planh 20, alcuni componimenti a tradizione ridotta o
unica: il partimen 24 (Ra), l’alba 26 (CRf), il Bußlied 19 (R + Ol e Pe), le
canzoni 4 (T) e 12 (L), e l’estribot 25 (Q). Anticipando che Asperti 1994 ha
collegato 4 e 12 a una tradizione provenzale (in senso proprio) 15, si può notare
una prevalenza di codici risalenti alla costellazione y di Avalle: si potrebbe
pertanto pensare che questi testi siano relitti di una tradizione, che definisco 
(da R, ms. che attesta il maggior numero di poesie) non giunta nella sua integrità
in Italia e un tempo più ricca. Diverso appare il caso del planh per la morte di
En Barral, tràdito da ABDIKNPQRVa, la cui tradizione estravagante può essere
dovuta al suo carattere di testo d’occasione: va notato infatti che l’unico
Liederblatt occitanico materialmente sopravvissuto contiene, come già ricordato,
proprio un planh per la morte (nel 1272) di Giovanni di Cucagna 16.
La successione -- è riscontrabile, con gradi variabili di nettezza, in
ABCDGIKMNPQSUVc, ma anche in codici meno ricchi di testi come W e Fa o
in E, dove dopo due soli testi di  sono tràdite solo poesie di  e . Non è invece
riscontrabile in DcN2Ra, perché i testi sono mescolati, in JKpLf per la presenza
dei testi di una sola tradizione, oltre che in AbVeAgYb, mss. caratterizzati
dall’esiguità dei pezzi tramandati.
I testi 5 e 14, comuni alle tradizioni  e , fanno talora da ‘sutura’ fra le due
tradizioni stesse: il fenomeno è ben verificabile nei mss. ABCG (in P si trovano
significativamente in coda alla seconda sezione folchettiana); altrove i due testi
si trovano attigui o comunque ravvicinati: vd. i mss. IKLN2MOPQSTa (e cfr.
anche N). La loro compresenza in due diverse tradizioni discende dal percorso
comune nella tradizione manoscritta (cfr. gruppo I nel § 1.1.1), costituendo
insieme con 18, a cui talora si accompagnano (mss. ABCIKNPS; vd. anche 18 5
in Dc, 14 18 in J, 18 14 in U), un residuo di Liederblatt. Fra le ‘intrusioni’ di
testi di una tradizione in un’altra va messa in rilievo quella del testo 10 (di ) in
: il fenomeno si registra nei mss. AB (con 7) e in CDJKpMOUac; d’altro canto
10 è presente sia nel gruppo II, sia nel gruppo VI definiti supra nel § 1.1.1. La
frequente posizione incipitaria di 16 (cfr. i mss. CEGJMQ SUVeAgc; e inoltre
apre la seconda sezione di P, è preceduto solo da un testo spurio in V, ed è,
sebbene isolato, il primo testo tràdito nel ms. L) è segnalata dalla redazione del
ms. R della vida, che così termina: Et aysi trobaretz de las suas chansos la qual
es premieyra per dieu amors be sabetz ueramen. E in R il testo apre a c. 51v la
sezione siglata R6 da Gröber.
lacerti sparsi, quali fogli volanti o raccoltine d’occasione» (citazioni a p. 119, ma si vedano
tutte le pp. 117-20).
15
Rimando alla Nota al testo delle rispettive edizioni.
16
Cfr. Avalle-Leonardi 1993, p. 62 (e l’edizione di Grattoni 1982). In DIKNPQ e N 2 il
planh 20 segue, con inversione dell’ordine logico e cronologico, la canzone di crociata 7, nella
quale viene ricordata la morte di Barral. La situazione si può descrivere con le parole usate da
M. L. Meneghetti nella Discussion successiva all’intervento di Bertolucci Pizzorusso 1991:
«L’impressione è quella di una doppia tradizione: gira il corpus compatto, girano le canzoni
isolate» (p. 302).
Ho cercato infine una verifica dei dati proposti attraverso un’analisi a campione delle
17
sequenze dei componimenti in altri trovatori , rintracciando una situazione analoga nella
18
tradizione di BnVent : anche qui il ms. P tramanda, oltre al testo isolato 15, otto
componimenti, nell’ordine: 41 43 25 16 1 31 7 42, che si ritrovano sostanzialmente
all’inizio delle sezioni dedicate al limosino; localizzati, come nella tradizione di
a
Folchetto, in fondo alla sezione sono i testi tràditi in D : 39 45 22 26 9 4 13 38 15 23 e
GcFaid 167,49 ovviamente attribuito a BnVent. I due raggruppamenti sono complementari
e distanziati nella collocazione, per cui posso individuare dietro essi le tradizioni  e  di
19
cui si è detto sopra. Rispetto a Folchetto, né T, che si limita a tramandare 5 testi , né altri
singoli codici conservano le tracce di una terza tradizione; è possibile tuttavia scorgere
qualcosa di simile a monte dei 14 componimenti comuni ai mss. ADCIKN 2R (in ordine
alfabetico): 6 8 10 12 17 19 27 28 29 30 33 35 36 44: la serie si trova ridotta a 12
elementi in N (om. 6 e 35) e in a (om. 17 30), ridotta a 11 elementi in Q (om. 8 28 44) e
ridotta a 10 elementi in G (om. 8 27 29 44). In linea di massima questa tradizione, che si
può definire , alimenta la parte centrale della sezione bernardiana, pur togliendo più
spesso che in Folchetto a  il privilegio di aprire il canzoniere individuale. Esiste infine
un’ulteriore tradizione costituita, come la tradizione  ipotizzata per FqMars, da
componimenti di attestazione esigua e imperniata su codici d’Oltralpe, soprattutto C e V:
5 (V), 11 (CE), 18 (Ca), 20 (V), 24 (CEW), 34 (Vf), 40 (C); si aggiungano inoltre:
BnVent 70,3, tràdito da CMRSa e cit. in N2, anonimo in Si e attribuito a PVid in DaH;
BnVent 70,21, tràdito in CGMNRSa, anonimo in O e attribuito a Salhd’Es da D aIK e a
GlAdem da E; a questa tradizione risale anche BnVent 70,37 testimoniato da CGMNRVa
e da A che lo relega significativamente in fondo al canzoniere bernardiano. Solo tre
tenzoni restano fuori dai quattro raggruppamenti summenzionati, perché tramandate al di
fuori delle sezioni dedicate al trovatore: BnVent-PAuv 70,2-323,4 (ADEGIKLW);
BnVent-Lemozi 70,14-286,1 (LOa) e BnVent-Peirol 70,32-366,23 (ADIKN) .
20
Tracce della tradizione  si trovano in BgPal : il ms. Da testimonia quattro testi:
326,1 9 1 2, che costituiscono l’intero corpus del trovatore in IK (vida 9 1 2 ... 326,1) e
3/4 del corpus di f (9 1 5 ... 326,1). Può essere significativo che tre dei quattro
21
componimenti di Da sia costituito da testi di attribuzione dubbia (2 9 326,1) : anche in
Folchetto 2 poesie su 4 tràdite in Da (155,2 e 155,13) hanno attribuzioni non univoche.
Anche nella tradizione di DPrad i tre testi di Da: 6 11 2 (trad. ) compaiono compatti
alla fine di A (6 11 2) e, nel medesimo ordine all’inizio di IK; 6 e 11 costituiscono l’intero
corpus del trovatore in G, mentre 6 2 10 11 sono gli unici testi tràditi in O (6 2 adespoti).
§ 1.1.3. Le osservazioni sin qui fatte consentono di stabilire l ’ o r d i n e d i
s u c c e s s i o n e dei testi nell’edizione: in linea di principio, sarebbe stato
17
Ho preso in considerazione quei trovatori nelle cui edizioni fosse inclusa una tavola con
l’ordine di successione dei testi nei singoli manoscritti: AimBel, ArnDan, BgPal, BnVent,
BtBorn, Cercam, Gauvaud, GsbPuic, Perd, RmJord, RicBarb, ho ricostruito sui codici le
sequenze dei testi di Palais, PMula e PVid, e ho usufruito, grazie alla gentilezza di Claudia De
Vecchi, Silvio Melani e Sergio Vatteroni, delle tavole di Blac e Blacst, DPrad e PCard.
18
Utilizzo la tavola approntata da Appel 1915, p. CXLIII; indico i testi con il n° della BdT.
19
Ovvero 22 (in posizione isolata, risalente a ), Peirol 366,1 (spurio), 1 e 25 (risalenti a
) e 28 (anch’esso in posizione isolata, risalente alla tradizione ).
20
Cfr. la tavola di Beretta Spampinato 1978, pp. 53-54; indico i testi con il n° della BdT.
21
2 è attribuito a BgPal in DIK, a GlBerg in C, al MoMont in R e a AimBel in f (in E si
legge solo magret); 9 è assegnato a BgPal in DIK, a Joan Aguila (altrimenti ignoto: cfr. BdT,
n° 264) in CR, a ArnCat in E; 326,1, schedato da Pillet sotto PBarj, cui lo dànno DIK, è
attribuito a BgPal in CR, a GlTor in M, a UcSt-C in T, a PoChapt in a, a ElBarj in f (anonimo
in GLU).
preferibile conservare l’ordine di Stroński, ma con ciò si sarebbe in qualche
modo ratificato un itinerario poetico di Folchetto a mio parere del tutto
infondato.
L’edizione Stroński comprende ventinove componimenti fra autentici, dubbi
e spuri, due in più rispetto alla scheda della BdT (che ripropone il canone di
Bartsch 1872), dove vengono assegnati ai rispettivi autori Perd 370,9 Los mals
d’Amor ai eu ben totz apres (I), attribuito da tre codici a Folchetto, e AimBel
9,10 Consiros, com partitz d’amor (I), ascritto al marsigliese dall’editore.
Questo l’ordine dei testi 22: i = 5, ii = 22, iii = 23, iv = 27, v = 8, vi = 6, vii = 18,
viii = 14, ix = 1, x = 3, xi = 21, xii = 16, xiii = 10, xiv = 11, xv = 24, xvi = 25,
xvii = 20, xviii = 7, xix = 15, xx = 2, xxi = 13, xxii = 4, xxiii = 12, xxiv = 9,
xxv = 17, xxvi = 370,9, xxvii = 9,10, xxviii = 26, xxix = 19.
Stroński distingue il corpus in due gruppi principali: le poesie di attribuzione
indubitabile (ni i-xix) e quelle di paternità dubbia (ni xx-xxix). All’interno delle
due serie l’editore opera raggruppamenti per genere: fra i testi definiti di
attribuzione sicura sono canzoni d’amore i testi numerati da i a xiv, il xv è un
partimen, il xvi una cobla, il xvii un planh e sono canzoni di crociata gli ultimi
due items (xviii-xix); fra i testi di attribuzione dubbia sono canzoni d’amore le
prime sette (xx-xxvi), la xxvii è una canzone di crociata, i ni xxviii-xxix sono
infine poesie religiose.
L’ordinamento dei componimenti autentici è cronologico: secondo la
ricostruzione di Stroński, Folchetto avrebbe scritto solo canzoni d’argomento
amoroso dal 1179-80 fino al 1193-94, producendo bonas chansos, cioè poesie in
cui parla positivamente dell’amore, fino al 1190 (testi i-ix); con la canzone x,
datata 1190, il trovatore avrebbe cambiato maniera, scrivendo solo malas
chansos con giudizi sfavorevoli verso l’amore (testi x-xiii). Il 1192, anno di
morte del visconte di Marsiglia Raimon Jaufre Barral cui Folchetto dedica un
planh (n° xvii), segna un passaggio ad argomenti più ‘impegnati’ e, dopo
l’ultima canzone d’amore del 1193-94 (n° xiv), il 1195 vedrebbe la
composizione delle due canzoni di crociata, a sostegno di una spedizione in
Terrasanta la prima (n° xviii), per sollecitare l’intervento in Spagna dopo
Alarcos la seconda (n° xix). Con il partimen con Tostemps (n° xv) e la cobla per
Vermillon (n° xvi), composti durante gli anni della prima maniera, si chiude la
serie dei componimenti autentici. Il 1195 è anche l’anno in cui Stroński suppone
che sia avvenuta la monacazione di Folchetto, ampiamente preparata dalla
produzione poetica precedente, e con essa l’interruzione di ogni attività
letteraria. I testi considerati di dubbia paternità (ni xx-xxix) sono quasi tutti
attribuiti dall’editore ad altri trovatori o, in mancanza di testimonianze
alternative, sono semplicemente tolti a Folchetto; fa eccezione, come si vedrà,
solo la canzone di crociata n° xvii. Una ricostruzione quella di Stroński fin
troppo lineare e che insospettisce proprio in ragione della sua scorrevolezza.
22
Indico con il numero romano (in minuscolo per evitare confusioni con le mie
numerazioni) l’ordine dell’edizione Stroński e con quello arabo il riferimento alla
numerazione della BdT.
All’ipotesi dell’editore se ne può opporre una alternativa fondata sull’esame
della tradizione manoscritta, che mostra come le tradizioni ,  e  si presentino
in quest’ordine di successione nella maggior parte dei canzonieri; ai testi ivi
compresi andranno aggiunti il planh 20, a tradizione estravagante, e i sei
componimenti risalenti a quella che ho definita tradizione .
i) La tradizione , composta di sole canzoni d’amore con notazione
musicale, comprende infatti i due componimenti databili più antichi, 5 e 22
(cfr. infra i §§ 1.3.1.1-2) che, come nell’edizione Stroński, prenderanno
rispettivamente i numeri I e II; e una serie di sei canzoni, 18 14 1 3 21 16,
che Stroński numera progressivamente (vii-xii) e che quindi numero nello
stesso ordine da III a VIII. Dell’analisi di Stroński, rigettate le conseguenze
cronologiche 23, si possono recuperare le indicazioni sulle tornadas, che dalla
canzone III in poi sono indirizzate ad Aziman e a Tostemps (solo al primo in
III) che prendono «l’allure de petits propos sur l’amour et sur la poésie» (p.
69*) e le indicazioni sui tratti comuni fra i testi IV-VI e VII-VIII (pp. 72*73*: cfr. infra il § 1.3.2).
ii) La tradizione  riunisce sette canzoni d’amore (cinque con notazione
musicale: ne sono prive 9 e 17, peraltro di attribuzione non univoca) e la
canzone di crociata 7; anche qui non mancano simmetrie con la sistemazione
di Stroński: sono riuniti infatti i tre componimenti del ‘ciclo dell’emperairitz’
(23 27 8) di data abbastanza alta, ma successivi alle canzoni I-II (cfr. infra i
§§ 1.3.1.3-5), e perciò numerati rispettivamente iii, iv e v da Stroński; in
maniera analoga li pongo in apertura di gruppo coi numeri IX, X, XI. Li
faccio seguire dall’ultima mala chanso 10 e da 11, che risulta l’ultima
canzone d’amore databile (cfr. infra il § 1.3.1.9), poste in successione da
Stroński coi ni xiii-xiv (cfr. pp. 73*-74*), e così anche da me, ma coi ni XIIXIII. A quest’ultima faccio seguire, col n° XIV, la canzone di crociata 7, che
è cronologicamente posteriore (cfr. infra il § 1.3.1.10); e quindi le due
canzoni d’amore di attribuizione non univoca 9 (n° XV) e 17 (n° XVI).
iii) La tradizione  comprende la canzone 6 (come tutte le altre da qui in
poi senza notazione musicale), la canzone di crociata 15 (sulla cui data si
veda infra il § 1.3.1.11) e due altre canzoni di attribuzione controversa 2 e
13: le numero in quest’ordine, notando che anche nell’ed. Stroński 2 e 13
sono edite di séguito ai ni xx e xxi; quindi: 6 (n° XVII), 15 (n° XVIII), 2 (n°
XIX), 13 (n° XX).
iv) Dopo il planh 20 (n° XXI) presento i componimenti della tradizione
, nella quale si raccolgono scampoli di una produzione folchettiana che
parrebbe essere stata più ampia di quella conservata. Anche qui mantengo la
successione, e in due casi la numerazione, di Stroński: le canzoni 4 e 12
mantengono i ni XXII e XXIII, il partimen 24 e l’estribot 25, numerati xvxvi da Stroński diventano XXIV e XXV, e infine i due componimenti
23
Di questo secondo gruppo solo FqMars 155,3 (IV) offre un appiglio storico per la
datazione (cfr. § 1.3.1.6).
religiosi 26 e 19 che chiudevano l’edizione con i ni xxviii e xxix, sono posti
anche qui in posizione estrema con i ni XXVI e XXVII 24.
1.2. Poesie di attribuzione controversa.
Lo «chansonnier authentique» folchettiano ricostruito da Stroński costituisce
certamente il ‘nucleo’ del corpus poetico del trovatore; ad esso andranno però
aggiunti alcuni dei dieci componimenti classificati come dubbi dall’editore; di
altri è invece dimostrabile la completa estraneità al trovatore.
Contro l’opinione di Stroński vanno riassegnati a Folchetto due
componimenti a tradizione unica, ascritti dalle rubriche al marsigliese, ovvero le
canzoni FqMars 155,4 (XXII) e 155,12 (XXIII); e, con qualche riserva, il
Bußlied 155,19 (XXVII), che accanto all’unica versione occitanica, ancora
ascritta a Folchetto, ne registra altre due catalane, ma adespote. Gli argomenti a
carico dell’apocrifia non mi paiono infatti sufficienti a invalidare il dato positivo
della rubrica: è possibile anzi offrire qualche indizio che conforti la paternità
folchettiana 25.
§ 1.2.1. A vos, midontç, voill retrair’ en cantan. Il primo testo, FqMars
155,4 (XXII), noto per essere stato oggetto di traduzione da parte di Giacomo da
Lentini 26, è attestato frammentariamente (due coblas, la seconda mancante di un
verso) dal solo ms. T (c. 233r) che lo assegna a folcet de marseila;
l’argomentazione di Stroński: «Cette attribution d’une pièce fragmentaire par un
ms. unique et qui la met à la fin des chansons de Folquet ne saurait avoir une
force probante bien grande» (p. 126*), ha l’aria di una petizione di principio
(l’argomento della collocazione del testo a fine sezione sarà trattato
complessivamente più avanti nel § 1.2.8). L’attribuzione a Folchetto è spiegata
altrettanto debolmente con accenno nel testo all’«arguogll gran» di v. 3 che può
ricordare la cobla d’avvio di FqMars 155,16 (VIII), costruita sulla
contrapposizione fra Orgoglio e Umiltà 27. L’ipotesi di Stroński, già respinta da
Monteverdi 1971, p. 285 e da Roncaglia 1975, p. 25 28, non si misura col fatto
24
Le ragioni della riduzione del corpus rispetto all’ed. Stroński sono ampiamente spiegate
infra nel § 1.2 (per i testi esclusi cfr. §§ 1.2.5-6).
25
Al contrario, nel caso della cobla (o meglio estribot, come si vedrà) FqMars 155,25
(XXV), anch’essa tràdita nel solo ms. Q, è Stroński a difendere l’attribuzione della rubrica
contro gli argomenti di De Lollis 1897, pp. 131-32 (cfr. p. 121*).
26
Rimando al Commento all’edizione del testo.
27
Dà invece credito all’argomentazione di Stroński Meneghetti 1994, pp. 170-71, per la
quale il recupero sarebbe «troppo vistoso e goffo per essere un auto-recupero» (p. 171);
tuttavia la studiosa, nel definire «esemplare» l’intera indagine attributiva dell’editore polacco,
si limita a descriverla in generale, senza apportare ulteriori argomenti in suo favore (cfr. le pp.
169-175 e 177; per le singole considerazioni, talora ineccepibili, della Meneghetti si vedano
qui sotto i §§ 1.2.4-5, 1.2.7-8).
28
La paternità folchettiana è data per scontata da Antonelli 1987, da Bruni 1988 e da
Asperti 1994.
che Folchetto è trovatore fra i più imitati dai poeti della Sicilia federiciana (si
veda infra il § 3.2.2.4) ed è pertanto plausibile che proprio a Folchetto si sia
indirizzato l’interesse del Notaro. È pur vero che Giacomo avrebbe potuto
credere folchettiano un testo apocrifo, come il Petrarca di Rvf. 70 29, tratto in
inganno dall’operazione di un imitatore: anche qui lo stile richiama quello tipico
di Folchetto, basato sull’elaborazione retorica di pochi concetti, che amplificati
da figure di antitesi, paradossi, espressioni proverbiali e gnomiche, arrivano a
occupare e strutturare l’intero testo: si vedano i vv. 5-11 sulla morte per amore e
i vv. 14-21 sull’ardore amoroso.
§ 1.2.2. Ja non volgra q’hom auzis. All’interno di questo gusto retorico, la
canzone FqMars 155,12 (XXIII), tràdita dal solo ms. L (cc. 26v-27r, rubrica:
folqet de marxella) pare quasi un corpo estraneo; almeno tale è considerato dagli
estensori delle prime storie letterarie provenzali nel secolo scorso: già Fauriel
1846, vol. II, p. 73 la contrappone alle altre composizioni di Folchetto, per le
quali il trovatore gli appare «outre mesure affecté et recherché», riconoscendo in
questa poesia «un ton plus vif et plus léger, où la grâce touche bien déjà à la
manière, mais ne s’y perd pas encore».
La godibilità del testo ha poco giovato alla sua fortuna, se è vero che Meyer
1877, p. 474 nega decisamente l’attribuzione a Folchetto proprio per lo stile del
componimento oltre che per la sua collocazione nel codice. Il testo si trova alla
fine di un gruppo di poesie del marsigliese, tutte di attribuzione incontestata e a
ridosso di GsrSt-Did 168,1 (Sakari 1963, p. 313), attribuita nel ms. a Folchetto.
Paul Meyer ipotizza che il testo folchettiano sia appunto di Gauceran de SaintDidier (o di suo nonno Guillem de Saint-Didier, a cui i mss. CRT attribuiscono
GsrSt-Did 168,1) e che il copista, dopo una serie di 5 testi attribuiti a Folchetto,
abbia dimenticato di cambiare il nome nella rubrica. Meno perentorio nelle
conclusioni rispetto a Meyer, Pätzold 1897, p. 70, n. 1, dubita dell’attribuzione
ma, nello stesso tempo, rintraccia nel testo alcuni elementi che la confermano.
Come elementi estranei a Folchetto Pätzold nomina l’esordio naturale, oltre allo
stile dell’intero componimento 30; al testo manca il tono didattico peculiare del
trovatore e i suoi senhals caratteristici, e la descrizione delle preferenze di chi
dice io nel testo «ist sonst nicht Folquets Art». A conferma dell’indicazione della
rubrica lo studioso nota che il sintagma «sa beltatz e·l dolz ris» (v. 28) si trova
anche in FqMars 155,22 (II), 22 versione , e che dietro l’allusione al signore
del Limosino si cela Riccardo Cuor di Leone, citato esplicitamente da Folchetto
in 155,3 (VI), 33. Stroński ripete il ragionamento di Meyer, sottolineando il fatto
che la canzone si trova in coda a testi di Folchetto, quindi, a suo dire, di per sé in
posizione sospetta ai fini dell’attribuzione, e giustifica l’assegnazione al
marsigliese con la presenza nel testo di elementi caratteristici del suo repertorio
(cfr. p. 127*).
29
Che, com’è noto, credette arnaldiana la canzone GlSt-Greg 233,4 (Beltrami 1987, p.
13); diversa (GlMur) l’attribuzione di Perugi 1985, ribadita da ultimo in Perugi 1990b.
30
A supporto della sua affermazione, Pätzold utilizza il passo di Fauriel citato sopra.
Gli argomenti proposti dagli studiosi summenzionati non mi sembrano
sufficienti a mettere in dubbio l’attribuzione della rubrica. Per quanto concerne
lo stile di Folchetto e l’utilizzo che ne fa Stroński in sede di attribuzione
rimando al § 1.2.9; qui interessa discutere della posizione del testo nel ms. e
delle sue conseguenze sulla paternità del componimento. La rubrica di GsrStDid 168,1 è in realtà doppia: al nome di Folchetto il correttore del codice fa
seguire uel ioseram de sain desider 31, rubrica ricavata, secondo Sakari 1963,
pp. 306 e 326, dal ms. S. Tuttavia la doppia attribuzione di GsrSt-Did 168,1
potrebbe rivelarsi piuttosto un indizio della paternità folchettiana di Ja non
volgra, perché è ipotizzabile che il copista abbia dimenticato di cambiare il
nome in rubrica dopo i testi di Folchetto (compreso Ja non volgra) o che – come
ipotizza ancora Sakari 1963, p. 306 – si sia fatto ingannare dalla vicinanza in
altri codici dei testi dei due trovatori, provocando così l’intervento integrativo
del revisore. L’attestazione unica della canzone, elemento che di norma suscita il
sospetto di Stroński, è ben spiegata da Asperti 1994 con l’appartenenza del testo
a una tradizione provenzale (in senso proprio) cui risalirebbe anche FqMars
155,4 (XXII): si veda la Nota al testo di entrambi i componimenti per ulteriori
specificazioni; dell’attribuzione Asperti scrive: «La parenté de tradition entre L
et T ne constitue pas à elle seule un argument suffisant pour amener à une
révision du jugement de Stroński, mais c’est pourtant une donnée à ne pas
négliger a priori» (p. 59). Altro indizio a favore dell’attribuzione della rubrica
può essere la ripresa dello schema metrico e delle rime del testo da parte di
BtBorn 32, trovatore che ha stretti legami con Folchetto, e da Palais 33, che credo
debba identificarsi con l’esecutore cui Folchetto affida la canzone 155,11 (XIII)
(cfr. infra il § 3.2.1.2.2). Si esprime per l’attribuzione al marsigliese anche
Beltrami 1989, pp. 21-22, n. 38, che, oltre a sottolineare la necessità di una
fiducia metodologica nelle rubriche attributive dei canzonieri, fa intendere che
l’affermazione del poeta, contenuta implicitamente nella tornada, di trovarsi a
Sud del Limosino si accorda con la ‘geografia’ di Folchetto: quanto allo stile,
Beltrami rileva che esso «è più semplice di quello usuale in Folchetto, ma
tutt’altro che inelegante».
§ 1.2.3. Senher Dieu[s], que fezist Adam. La poesia religiosa FqMars
155,19 (XXVII), tràdita in occitanico dal solo canzoniere d’Urfé (c. 131r), è
assegnata dalla rubrica, in accordo con la tavola (cfr. Tavera 1992, p. 92), a
folquet de marsselha; sono adespote le due versioni catalane del componimento.
L’attribuzione è rimasta incontestata sino al 1897 34, quando Rudolf Zenker ha
proposto di assegnare il testo a FqRom (cfr. Zenker 1897, pp. 337-38); in
31
Lo rileva lo stesso Stroński a p. 122*, che tuttavia ha visionato solo una riproduzione
fotografica del cod. (la mia visione diretta del ms. conferma il dato); sul correttore di L si veda
la Nota al testo di FqMars 155,1 (V).
32
Nel sirventese BtBorn 80,8 (XXXV); cfr. Frank 1953-57, n° 541:2.
33
Nel sirventese Palais 315,2 (II); cfr. infra la Scheda metrica di FqMars 155,12 (XXIII).
34
Pertanto attribuiscono a Folchetto i due primi editori del componimento Raynouard
nello Choix, IV, p. 394 (e quindi MW, I, p. 332), e Galvani 1829, p. 284.
precedenza lo studioso aveva rispettato la rubrica facendo di essa un argomento
per attribuire a FqMars anche l’alba religiosa FqMars 155,26 (XXVI), legata
contenutisticamente al nostro testo e contesa fra quest’ultimo e FqRom 35:
secondo Zenker la lingua del testo 36, il metro 37 e lo stile 38, e una somiglianza
fra un suo verso e uno dell’alba, assegnata nel medesimo articolo a FqRom 39,
inducono ad assegnare la poesia al trovatore di Romans.
Tali argomentazioni, autorevolmente confermate da Paul Meyer e Joseph
Anglade 40, sono state contestate da Stroński: oltre a ridimensionare gli
argomenti linguistici, l’editore argomenta che gli octosyllabes a rima baciata
sono usati dai trovatori «dans des cas spéciaux et [...] le rapprochement entre
une épître d’amour et une poésie religieuse bien déterminée ne saurait être pris
au sérieux» (p. 137*) 41; che il confronto fra i due testi concerne immagini le
quali «d’ailleurs bien distinctes, remontent à la langue liturgique et ne sont pas
surprenantes dans des poésies religieuses» (p. 137*); e infine, che la lontananza
stilistica del testo dalle altre composizioni di FqMars non è maggiore rispetto a
quella che registra il planh 155,20 (XXI), né Senher Dieu[s] rispecchia appieno
lo stile di FqRom. Per Stroński l’autore è un poeta anonimo, «un vrai poète, qui
sait trouver des expressions heureuses même pour les images qu’il imite et dont
l’effet, souvent si puissant dans les hymnes latines, n’est pas diminué dans ce
beau poème» (p. 139*). L’ascrizione a FqMars e quella congetturale a FqRom
sono escluse in quanto nel testo è sistematicamente evitata l’elisione, normale
nella produzione dei due poeti; Stroński ritiene, infine, che l’attribuzione del ms.
R sia un riflesso della celebrità della carriera religiosa del marsigliese.
Nella loro edizione delle poesie di FqRom, Raymond Arveiller e Gérard
Gouiran hanno ripercorso la questione, centrando l’attenzione sulla lingua del
testo, fatta risalire ad un’epoca tarda, posteriore a quella dell’attività dei due
trovatori; nell’accettare la posizione di Stroński editano il componimento fra i
35
Zenker 1896, p. 6; per la questione attributiva dell’alba si veda il § 1.2.4.
Alcune forme in rime, quali 21 malenconi (: demoni) e 113 clors (: mors)
presenterebbero tratti tipici della lingua di Romans nel Delfinato, quali la caduta di -a finale,
con ritrazione dell’accento, e la riduzione di AU > ò, assenti in quella di Marsiglia.
37
I distici di octosyllabes, mai usati dal Marsigliese, sono utilizzati da Falquet de Romans
nel salut Domna, eu pren comjat de vos (Arveiller-Gouiran 1987, n° XIV).
38
«Der Stil des Gedichtes ist der des Folquet von Romans, nicht der des Folquet von
Marseille; es ist, wie die Epistel, flott geschrieben, der Ausdruck frisch und unmittelbar;
keines von den Liedern Folquet’s von Marseille bietet etwas Aehnliches» (Zenker 1897, p.
338).
39
FqMars 155,19 (XXVIII), 100: «met me e·l tieu sant habitacle» e 155,26 (XXVII), 67:
«e·ns meta dins sa tenda»: in entrambi i casi il soggetto è Dio.
40
P[aul] M[eyer], nota firmata all’interno della rec. di G. Paris, al vol. XXI (1897) della
ZrPh, in Rom, XXVI (1897), pp. 580-86, a p. 585; J. Anglade, rec. ai tomi XX (1896) e XXI
(1897) della ZrPh, in RLR, XLII (1899), pp. 475-87, a p. 485; dà ragione a Zenker anche
Pillet che scheda il testo sotto FqRom al n° 156,12a della BdT (155,19 è il numero assegnato
da Bartsch 1872, p. 130).
41
A proposito del medesimo accostamento l’editore scrive poco dopo: «C’est traiter les
problèmes des genres littéraire avec une désinvolture vraiment déconcertante» (p. 138 * in
nota).
36
testi di dubbia attribuzione 42. Da ultimo Jean-Pierre Chambon, dopo un’analisi
esclusivamente linguistica del testo, e senza conoscere la tradizione catalana, ha
concluso che autore del testo è un catalano o, meglio «catalanophone écrivant en
occitan» (Chambon 1995, p. 131), ma le sue interessanti osservazioni
andrebbero ora vagliate alla luce di tutta la documentazione disponibile.
Questi sono gli argomenti di chi ritiene falsa, o almeno dubbia, l’attribuzione
della rubrica del canzoniere 43. L’argomento più rilevante si può considerare
quello linguistico. Da un lato, Senher Dieu[s] smentirebbe l’ ‘orrore dello iato’
caratteristico secondo Stroński di FqMars, di FqRom e degli altri trovatori 44: ma
mi sembra difficile poter sostenere ancora un’affermazione così recisa, dopo gli
studi di Perugi 1978, che ha esaminato e documentato in un gran numero di casi
le reazioni dei copisti che eliminano dialefi e dieresi, mal tollerate in certe fasi
della tradizione manoscritta, ma evidentemente non dagli autori. Dall’altro lato,
le irregolarità della lingua del testo sembrano deporre per un autore più tardo dei
due proposti, e comunque di Folchetto: ma è possibile riferirle in massima parte
alla tradizione manoscritta. Inoltre la data del testo ha il suo limite superiore nel
1276, anno della copia del più antico dei testimoni catalani, Ol 45 A fronte di
questo, l’attribuzione fornita dal manoscritto (che, a mia notizia, è stata
accettata, quando ciò è avvenuto, in forma apodittica e senza una discussione
delle argomentazioni in contrario sopra esposte 46), potrà parere non molto
autorevole di per sé, ma non merita nemmeno di essere rifiutata, come dato
‘positivo’ cui si contappongono argomenti tutt’altro che dirimenti. Un indizio si
può anzi portare a sostegno: la localizzazione stessa di R nel Tolosano proposta
da François Zufferey 47 in relazione all’attività episcopale che Folchetto svolse
proprio a Tolosa fra il 1205 e il 1231: circostanza che acquista spessore se si
considera che la sez. R13 in cui è vergato Senher Dieu[s] contiene altri
42
Arveiller-Gouiran 1987, pp. 205-20; dell’unico argomento di Zenker non contestato da
Stroński i due editori scrivono: «on doit admettre que le dialectalisme clo(r)s dans un passage
obscur ne saurait suffire, dès lors que l’argument sur le contenu perd beaucoup de sa vigueur,
pour désigner Falquet de Romans comme auteur de ce poème» (p. 206). Fraintende i termini
della questione Brunel-Lobrichon 1991, p. 251, n. 34, che coonesta l’attribuzione a FqRom
con il rimando all’edizione di Arveiller-Gouiran; così come è falso che «Les arguments de
Zenker ont convaincu les derniers éditeurs du troubadour de Romans» (Zufferey 1994, p. 28,
n. 30).
43
Anche Asperti 1985, p. 91 afferma che «Il testo è indubbiamente duecentesco e con
ogni probabilità provenzale – anche se certamente non di Folquet de Marseilla e
verosimilmente neppure di Falquet de Romans».
44
Per Stroński sia Folchetto che Falquet, come «tous les troubadours, abhorrent l’hiatus et
l’élision apparaît régulièrement dans toutes leurs poésies» (p. 139*).
45
L’altro, Pe, è datato dal colofone al 1378 (cfr. infra la Nota al testo della mia edizione).
46
Fra gli studi successivi a Stroński vd. Picchio Simonelli 1974, p. 201, n. 34 e ThiolierMejean 1978, p. 373.
47
Zufferey 1987, pp. 130-33; una conferma viene da Brunel-Lobrichon 1991, pp. 19-20
(cfr. Zufferey 1994, p. 1 e n. 1).
componimenti di poeti tolosani o comunque linguadociani 48. Un secondo
elemento emergerà nel paragrafo successivo.
Tutto ciò considerato, e pur con le dovute cautele che in questi casi non
possono essere abbandonate, mi sembra ragionevole dare fiducia alla rubrica
attributiva e mantenere il testo entro il corpus delle poesie Folchetto di
Marsiglia. Tuttavia, il recente intervento di Chambon 1995 induce a un
supplemento di prudenza: al di là dei singoli tratti linguistici, che possono essere
discussi sia in sé, sia in rapporto alla tradizione catalana 49, se resta escluso che il
testo occitanico possa derivare da quelli catalani, è forte l’impressione che
manchino alcuni anelli della catena che procede dall’inattigibile originale
(occitanico con tratti catalani se ha ragione Chambon, occitanico tout court se ha
ragione la rubrica di R) ai testimoni conservati, per lo meno una copia (ancor
più) catalanizzata interposito di Ol e Pe.
§ 1.2.4. Vers Dieus, el vostre nom e de sancta Maria. L’alba FqMars
155,26 (XXVI) presenta problemi di altro tipo: il conflitto di attribuzione ancora
con FqRom è in questo caso motivato dai manoscritti: le rubriche dei tre
testimoni assegnano l’alba a folquet de mercelha (C 6v), a falquet de rotmans (R
15v) e all’anfibolo en folquet (f 19v), mentre la tavola di C contraddice la
rubrica dando il testo a FqRom. Nelle grandi antologie ottocentesche il
componimento è ascritto al marsigliese, ma già Pratsch 1878, pp. 39-40 ne
contesta l’attribuzione. Il primo arbitro della questione è Rudolf Zenker che in
un primo momento (cfr. Zenker 1896, pp. 5-6) esclude il testo dal corpus di
FqRom confermando la tradizionale attribuzione a FqMars; poi, indirizzato da
Carl Appel 50, il quale nota come la caduta di -d- intervocalico riscontrabile
nell’alba (per es. via, complia, cria) si adatti meglio alla lingua di FqRom,
rintraccia altri quattro argomenti per attribuirgli il testo 51. In sintesi Zenker
afferma che:
i) FqRom, contrariamente a FqMars, è autore di un altro testo in coblas
doblas, 156,10 (IX), legato contenutisticamente all’alba;
48
Si pensi alle cinque epistole del tolosano AtMons, unica di R, che precedono il nostro
testo (cc. 126v-131v); si vedano inoltre le considerazioni di Zufferey 1994, pp. 21 e 24-25.
Riconosco tuttavia che l’indizio può essere rovesciato perché proprio la notorietà dovuta al
vescovato può aver indotto l’attribuzione a Folchetto: a qualcosa del genere pensa
evidentemente Zufferey nel lavoro appena citato, pp. 14-15.
49
Rimando infra al Commento dell’edizione, vv. 15, 21, 50, 75, 104, 113, 120.
50
Appel 1896, col. 166, che riprende a sua volta uno spunto di P. Meyer, Alexandre le
Grand dans la littérature française, Paris, Vieweg 1886, II, p. 90 in nota; cfr. poi Appel
1915, pp. CXXXV-CXXXVI.
51
Zenker 1897, pp. 335-37. Anche per scartare l’attribuzione a PAuv della poesia
religiosa Deus verais, a vos mi ren, assegnata all’alverniate dalla tav. C, Zenker aveva
valorizzato il fenomeno del dileguo di -t- intervocalico in VITA > via, incompatibile a suo
parere con la lingua del trovatore (cfr. R. Zenker, Peire von Auvergne, RF, XII [1900], 653924, a p. 664; e cfr. Fratta 1996, p. XXXVI). Per l’attribuzione a ArnCat (cui R assegna il
testo) si veda F. Blasi, Le poesie del trovatore Arnaut Catalan (introduzione, testi, traduzioni,
note), Firenze, Olschki 1937, pp. XXII-XXIII.
ii) i vv. 19-21 dell’alba richiamano la descrizione della Passione di FqRom
155,11 (VII), 46-50: «per nos en fo en croiz levaz / et es totz hom desesperaz /
qui no·i a ferm corage / qi ve com el fo clavellaz / per nos e battuz e nafraz»;
iii) «der warme Ton, die frische kräftige Sprache, der schöne lyrische
Schwung der Alba gemahnen viel mehr an die Gedichte des Folquet von
Romans als an die des Folquet von Marseille» (p. 336);
iv) l’attribuzione in C a folquet de marcelha dipende dal fatto che il copista,
letta la prima parte della rubrica, ha creduto si riferisse allo stesso trovatore di
cui aveva sino a quel momento copiato i testi.
L’attribuzione di Zenker è in questo caso fatta propria da Stroński, che
aggiunge altri argomenti a supporto: in primo luogo, nonostante la duplice
attribuzione, definisce la testimonianza delle rubriche favorevole a FqRom
poiché in C il testo si trova in fondo al corpus folchettiano. Non si tratterebbe
tanto di un errore nella lettura della rubrica, quanto di una consapevole
marginalizzazione da parte del copista di un testo che si sapeva di dubbia
paternità, cosa di cui sarebbe un riflesso l’assegnazione a FqRom nella tavola di
C. Corregge tuttavia l’argomento linguistico di Appel, riconoscendo che il
fenomeno è tipico del Viennois, terra d’origine di FqRom, e di zone limitrofe
(Provenza, Velay, Alvernia), osservando però che, oltre ad essere un elemento
della scripta trobadorica, è particolarmente frequente nelle albas, dove
spesseggiano rimanti come via e dia, e nelle poesie religiose in genere stante la
rima con Maria 52; lo conserva ugualmente come «un indice sérieux». Da ultimo
scrive: «L’argument le plus fort est, peut-être, celui que l’attribution fausse
d’une chanson piuse à Folquet de Marseille, dont la carrière religieuse fut
célèbre, s’explique facilment, tandis qu’on ne comprendrait guère pourquoi on
lui aurait disputé une pareille chanson, si elle avait été de lui, pour l’attribuer à
Falquet de Romans» (pp. 136*-37*). Le argomentazioni di Stroński non
convincono Vincenzo Crescini 53, ma sono sufficienti a Martín de Riquer che,
ribadendo l’attribuzione a FqRom, gli conferisce l’autorevolezza
dell’antologizzazione in Los trovadores 54. La questione è ripresa da Maria
Picchio Simonelli nell’edizione di BnVenzac 55: alla studiosa pare inaccettabile
che un topos come quello delle pene di Cristo possa essere utilizzato, come fa
Zenker, per un’attribuzione, osservando che anche BnVenzac propone nella sua
alba 71,2 (VI), 29-32 una rappresentazione simile (altri riscontri del topos nel
Commento a FqMars 155,26 [XXVI], 19-21). Ritiene invece che il testo sia da
ridare a FqMars e vada ascritto agli anni successivi il 1195 se non al periodo di
52
Cfr. Boutière 1937, p. 109, oltre a Spaggiari 1977, pp. 135-36 e Brunetti 1993, p. 621,
n. 21.
53
«Il problema potrebbe essere novamente esaminato» scrive in Crescini 1926, p. 216;
precedentemente, in Crescini 1905, p. 254-55, non si era fatto convincere dalla tesi di Zenker,
mentre in Crescini 1892, p. 52 si era limitato a menzionare la posizione di Pratsch 1878.
54
Riquer 1975, III, p. 1221; cfr. in precedenza dello stesso Riquer, Las Albas
provenzales, «Entregas de Poesía» XVIII (1944), risultatomi irreperibile.
55
Picchio Simonelli 1974, pp. 184, n. 9 e 186, n. 16.
monacazione del trovatore, dopo il 1200 56. Arveiller-Gouiran 1987, p. 143,
ripercorrendo l’itinerario di Zenker e Stroński, senza però citare la Picchio
Simonelli, ribadiscono l’attribuzione a FqRom, tentando per di più di
trasformare il tratto dialettale del Viennois rintracciato da Appel da «argument
d’orde phonétique douteux en argument d’orde stylistique sérieux» (p. 144):
l’uso della rima in
-ia (< -ITA), limitato in FqMars a un solo caso (155,21
[VII], 22, 46: via < VITA), sarebbe comune in FqRom. Alla stessa conclusione è
giunta, indipendentemente dai due editori, anche Poe 1988, p. 334, la quale
sottolinea la maggiore plausibilità di un’attribuzione al trovatore meno noto,
FqRom, postulando l’esistenza di un «recueil d’albas», antigrafo dei tre mss.
latori del testo, in cui la rubrica di Vers Dieus recava solo (en) folquet 57.
A mio avviso, gli argomenti a favore di un’attribuzione a FqRom sono
tutt’altro che solidi 58: in particolare non convince quello presentato da Stroński
come probabilmente decisivo, così come mi pare discutibile il criterio della
posizione del testo nei canzonieri nella discussione sulla sua paternità,
soprattutto nel caso del nostro testo che in quanto geistliches Lied non poteva
che chiudere la sezione di C 59. D’altro canto non ci sono argomenti dirimenti
per assegnare l’alba a FqMars. Solo l’analisi delle rubriche ci offre una base di
discussione se non oggettiva almeno storicamente fondata: da essa risulta una
situazione di sostanziale equilibrio dal momento che nel ms. f en folquet è
ugualmente usato per i due trovatori 60. Riservo la mia preferenza (ma i dubbi
permangono) per un’attribuzione al marsigliese, stante il legame, già valorizzato
da Zenker 1896, p. 6, col Bußlied 155,19 (XXVII). È quantomeno suggestiva
l’ipotesi che Folchetto, abbandonato il secolo e la lirica profana, abbia composto
due testi religiosi del tutto eterogenei rispetto alla sua precedente produzione,
quasi a sottolineare la rottura con il passato. L’opinione di Stroński è
decisamente contraria: «Aucune oeuvre littéraire de Folquet ne nous est
parvenue du temps de sa carrière religeuse» (p. 100*), ma apodittica. Né
56
Picchio Simonelli 1974, p. 195; concorda con la studiosa Beltrami 1989, p. 14, n. 16.
Secondo Allegretti 1992 il confronto con le rubriche attributive di Perd 370,9 (I) (cfr.
più sotto il § 1.2.5) «conferma l’esistenza di un antigrafo [comune a CRf] con un’intitolazione
‘folquet’ che risulta però svincolato da un ‘recueil d’albas’» (p. 723, n. 4); e comunque anche
la Allegretti ritiene che l’ascrizione a FqRom sia fondata «sulla base di solidi argomenti» (p.
723).
58
Mi trovo perciò in disaccordo con Arveiller-Gouiran 1987, p. 144, per i quali «ce débat
[sulla paternità del testo] fait assez nettement ressortir que l’attribution de l’Alba à notre
troubadour est la plus probable».
59
Cfr. Allegretti 1992 (e la Nota al testo di FqMars 155,26 [XXVI]); naturalmente non è,
a mio avviso, provato che «Il ms. C si limita, sulla base di una falsa attribuzione a collocare
BdT 156,15 [scil. la nostra alba] in posizione terminale» (p. 723, n. 4).
60
Cfr. Stroński a p. 135*; dei 12 testi attribuiti nel ms. a FqMars, solo due, 155,16 (VIII)
e ArnMar 30,3 (IX), presentano nella rubrica la specificazione «di Marsiglia» (il secondo è
evidentemente spurio): per il resto tutte le attribuzioni sono a (en) folquet. Anche Asperti
1995, che senza affrontare la questione attributiva cita l’alba col n° 156,15 della BdT,
assegnandola quindi a FqRom, nota che folquet è «la rubrica sotto la quale il copista confonde
Falquet de Romans e Folquet de Marselha» (p. 25), sebbene a p. 37 affermi che «la semplice
rubrica “en Folquet” [...] è utilizzata di norma nel codice per Folquet de Marselha».
57
all’ipotesi si può opporre l’aneddoto riferito da Robert de Sorbon: «Folquetus,
episcopus Tolosanus, cum audiebat cantare aliquam cantilenam quam ipse
existens in saeculo composuerat, in illa die, in prima hora, non comedebat nisi
panem et aquam» 61, in quanto è evidentemente riferito all’esperienza lirica
amorosa. D’altro canto vorrei far notare che Folchetto poteva essere conosciuto
come autore di albas in quanto l’alba Caden 106,14 (XIII) è ascritta a folquetz
(cioè a FqMars) in R (c. 52r), in accordo con la tavola (cfr. Tavera 1992, p. 92)
e nella tavola di C (mentre nel ms. è tràdita fra le altre poesie di Cadenet, a c.
156v) 62: in questo caso R e la tavola di C concorderebbero nell’errore di
attribuzione. Già Zenker 1896, p. 6 aveva genericamente constatato che la tavola
di C e il ms. R non sono molto affidabili, dal momento che assegnano a torto
rispettivamente 2 e 5 testi a FqRom; posso ora corroborare l’osservazione con i
dati ricavati dallo studio complessivo della tavola 63: i testi che presentano
attribuzioni nella tavola sono 84, 52 hanno attribuzioni errate, solo 15 corrette,
mentre per quattro testi la tavola dà un’indicazione corretta e una scorretta; 11 i
casi dubbi, da sottoporre a un supplemento di analisi.
§ 1.2.5. Los mals d’Amor ai eu ben totz apres. Va invece eliminata dal
canone folchettiano la canzone Perd 370,9: tràdita da 19 codici, è attribuita a
FqMars solo in CRf 64, ed è adespota in O. Stroński stesso esclude recisamente
la paternità folchettiana, supportata in CRf da una tornada ‘folchettianamente
caratterizzata’ (cito dall’ed. Stroński [n° xxvi], vv. 51-54):
Vas N’Aziman vuelh, chanso, que tengatz
·
et a N Tostems, car lur serez plazens,
mas no tenhatz entre las avols gens,
car qui val mais crei que mielhs vos entenda.
Sottoscrivo pertanto la conclusione dell’editore (sospendendo tuttavia il giudizio
sull’osservazione stilistica) 65:
61
Citato da Stroński a p. 112*.
Il rilievo è già di Stroński (cfr. p. 122*) che però non trae nessuna ulteriore
conseguenza; la circostanza è poi ricordata da Meneghetti 1994, pp. 171-72. Errata l’ipotesi di
Zemp 1978, p. 250 per cui il testo andrebbe rubricato sotto FqRom i cui componimenti
seguono l’alba: folquet è infatti la rubrica che in questa parte di R designa i testi di FqMars.
63
La trascrizione della tavola (intendo della prima tavola di C che Zufferey 1987, p. 135,
n. 105 sigla t1 e che abbraccia le prime 17 cc. del ms.) e l’edizione della poesia di attribuzione
controversa Longa sazon ai estat vas amor (attribuita dalla tavola a RostMerg e a un Escudier
de la Ylha) saranno comprese in un articolo di prossima pubblicazione.
64
Anche in questo caso il ms. f reca in rubrica l’ambiguo en folquet, usato nel codice,
come s’è visto, anche per designare FqRom; i tre mss. sono strettamente legati (cfr. peraltro le
considerazioni esposte sopra al § 1.2.4).
65
Analoga sottoscrizione in Chaytor 1926, p. 54 e in Meneghetti 1993, p. 101 e 1994, pp.
170; scrive la studiosa in quest’ultimo lavoro, a p. 177: «Non è facile qui capire se il copista
dell’esemplare da cui questi tre codici derivano abbia scrupolosamente adeguato la rubrica a
un testo che già inglobava i versi apocrifi, o piuttosto si sia lui stesso impegnato ad
“autenticare” con qualche décasyllabe nuovo di zecca un’attribuzione giudicata non troppo
solida (non parlerei mai, naturalmente, di falso nel senso stretto del termine, tenuto conto della
62
On pourrait croire que Perdigon, qui a repris dans 370,14 le pseudonyme Rainier de
Peire Vidal et de Bertran de Born [...], êut fait de même pour les sobriquets célèbres de
Folquet. Mais il suffit de lire cet envoi, qui est la banalité même, pour voir qu’il n’est pas
l’oeuvre de Perdigon. Il a été tout simplement ajouté pour appuyer l’attribution fausse à
Folquet.
§ 1.2.6. Consiros, com partitz d’amor. Opposta la situazione della canzone
di crociata AimBel 9,10 (I): Stroński dedica le pp. 131*-35* della sua edizione
alla dimostrazione della paternità folchettiana del testo, contro la testimonianza
delle rubriche dei due relatori C ed E, che lo assegnano entrambe a AimBel. La
canzone è dedicata al «comte, mo senhor, / que es per Dieu servir crozatz» cioè
a colui «qu’es coms et er reys appellatz» (vv. 4-5, 48): questi è tradizionalmente
riconosciuto in Riccardo Cuor di Leone, conte di Poitiers e duca d’Aquitania, re
d’Inghilterra dal 3 settembre 1189; Riccardo s’impegnò con l’arcivescovo di
Tours a intraprendere la crociata nel novembre del 1187, primo fra i prìncipi
occidentali. La canzone è dunque databile agli ultimi mesi del 1187 o al
principio del 1188 e comunque prima del 3 settembre 1189. Due anni dopo,
nell’estate 1190, FqMars compone per la canzone 155,3 (VI) una cobla politica
dedicata all’ormai re Riccardo: si leggano i vv. 33-40, dai quali si ricava che
Folchetto, nel momento in cui Riccardo prese la croce 66, deve aver scritto
qualcosa che non ci è pervenuto. A partire da questi fatti, Stroński fa una serie di
ipotesi concatenate per arrivare a identificare quel ‘qualcosa’ con Consiros, com
partitz d’amor. Nella sua formulazione finale il ragionamento dell’editore è un
vero e proprio entimema, non mascherato comunque da sillogismo: «l’attribution
à Folquet de Marseille ne saurait être soutenue catégoriquement. Il s’en faut que
nous ayons des preuves décisives. Mais les indices qui font penser à lui sont
sérieux» (p. 134*) 67. Il recente studio di Andrea Poli, ultimo editore di AimBel,
mi esime dal ripercorrere puntualmente l’argomentazione di Stroński: basti
perciò un rimando alle pp. 114-119 di Poli 1997 (e cfr. pp. 7, 21-22) 68, dove si
dimostra che il testo va assegnato al trovatore guascone 69.
notoria mancanza di rispetto per l’integrita dei testi letterari che caratterizza in genere la
cultura medievale)». Secondo Asperti 1990, p. 38, n. 49: «la canzone potrebbe in effetti essere
del trovatore di Marsiglia, dal momento che gli argomenti stemmatici addotti da Stroński in
favore di Perd non sono certi».
66
Prima di partire Riccardo intraprende, alleato di Filippo Augusto, la lotta contro suo
padre Enrico che si conclude con la morte di questi (6 luglio 1189) e la sua incoronazione a re
d’Inghilterra il 3 settembre dello stesso anno. Solo il 22 agosto del 1190 parte da Marsiglia
per la Terrasanta. La canzone VI si può datare fra il 31 luglio, giorno d’arrivo a Marsiglia, e il
22 agosto; vd. infra, § 1.3.1.6.
67
L’editore ha poi ribadito la sua opinione in Stroński 1913, pp. 288-89, n. 2.
68
Discussione attributiva ed edizione del testo erano state anticipate in A. Poli, Aimeric
de Belenoi. Saggio di edizione critica (BdT 9.5, 9.9, 9.10, 9.21 e 16.13), Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane 1992, pp. 1-32.
69
Segnalo inoltre l’opinione di Silvio Melani, che prenderà consistenza in un articolo,
secondo cui il testo va riferito a Thibaut de Champagne e non a Riccardo Cuor di Leone:
venendo meno i problemi cronologici della ricostruzione di Poli (e di Stroński), l’attribuzione
a Aimeric ne risulterebbe rafforzata.
Il richiamo alla canzone di Picone 1981-83, pp. 74-75 per il «Consiros vei la
passata dolor», per le rime in -or e per altri elementi lessicali della sermocinatio
di Arnaut Daniel in Purg. XXVI 140-47, potrebbe essere utilizzato per
suffragare l’attribuzione a Folchetto, considerata la forte presenza del trovatore
di Marsiglia nel passo della Commedia; ma, ripeto, si può pensare ad un modello
folchettiano perduto imitato anche da Aimeric, oppure ad una fonte diversa per il
passo dantesco, seguendo le indicazioni di Perugi 1978b, pp. 127-32 che
valorizza il planh di GlBerg 210,9 (XIV), Consiros cant e planc e plor.
§ 1.2.7. Pos entremes me suy de far chansos. Nonostante la maggioranza
dei testimoni sia favorevole a Folchetto (su 14 codici, 8 [ADEMOTaf] la dànno
al marsigliese, 4 [DaGRS] a Peirol, 2 [Cc] a FqRom) 70 è opinione di Stroński
che la canzone 155,17 (XVI) sia da escludere dal corpus del trovatore. E ciò
nonostante il rilievo che i manoscritti favorevoli a Folchetto siano diffusi sui tre
rami del suo stemma codicum: va tuttavia rilevato che essendo fondati su
varianti adiafore più che su errori-guida, questo e gli altri stemmata di Stroński
non offrono garanzie sufficienti per operare meccanicamente e pertanto tralascio
da qui in poi tutti gli argomenti dell’editore fondati sulla classificazione dei
testimoni. Comunque i mss. DaGS sono congiunti dalla comune lacuna della
cobla VI, necessaria per la completezza dello schema in coblas doblas (schema
che salta in S per l’anticipazione, comune ai mss. CEMT, al secondo posto della
cobla V) e l’assenza della cobla IV; in suo luogo Da presenta due tornadas, la
seconda delle quali è tràdita anche da G: la prima contiene un accenno a Héracle
de Polignac (morto nel 1201), cosa che, a dire di Stroński, esclude l’attribuzione
a Falquet de Romans, la cui produzione ha il terminus a quo fra il 1215 e il
1219 71 e rende invece probabile un contatto fra l’alverniate Peirol e un visconte
del Velay. Ma proprio perché presente, oltre che in R, in tre mss. imparentati, e
perché corroborata da un’allusione relegata in un solo testimone, l’attribuzione a
Peirol perde il carattere di perentorietà («Cette chanson est donc certainement de
Peirol») voluto da Stroński.
Interessanti, e tuttavia non decisivi, gli argomenti di carattere metrico esposti
dall’editore alle pp. 128*-29*, tutti favorevoli all’alverniate: l’assetto strofico in
70
La semplice maggioranza aritmetica delle attribuzioni è sufficiente a Picone 1981-83,
p. 75 per assegnare il testo a Folchetto.
71
Premesso che niente si oppone alla possibilità che FqRom abbia scritto prima del 1215,
il terminus a quo dipende dalla datazione della canzone di crociata Bernart, di me Folquet
q’om tient a sage di Hughes de Bregi (R37a e n° 117,1 di Linker 1979) inviata al trovatore,
come specifica il copista del cod. H, c. 46r: «N’Ugo de Bersie mandet aquestas coblas a
Folquet de Rotinans per un joglar q’avia nom Bernart d’Argentau per predicar lui qe vengues
con lui outra mar» (da Arveiller-Gouiran 1987, pp. 3-4, con ed. del sirventese da p. 4); il testo
è variamente datato dagli studiosi: la data più alta è fissata da F. Lecoy, Pour la chronologie
de Hugues de Berzé, Rom, LXVII (1942-43), pp. 243-54 al 1215, mentre Arveiller-Gouiran
1987, dopo una disamina delle varie posizioni, propongono il 1220-21 (cfr. pp. 6-9). Per i due
editori il testo più antico del trovatore è FqRom 156,14 (III) datato 1219 (cfr. p. 41).
coblas doblas, comune in Peirol, è totalmente assente in FqMars 72; le coblas di
7 versi sono presenti in otto componimenti di Peirol contro uno solo di
FqMars 73; la sequenza rimica del componimento (abbaacc) è assente in FqMars
mentre si trova in Peirol 366,5 (XXVI) e 366,28 (XXXII). Mi pare però
supervacaneo affermare che Peirol abbia altri 22 testi con sei coblas, mentre
Folchetto ne ha solo due, in quanto ciò deriva dal fatto che la canzone è in
coblas doblas, struttura, si è già detto, estranea al marsigliese.
Restano infine gli argomenti stilistici (su cui cfr. p. 129*), che spingono in
direzione di Peirol: l’avvio del testo: «Pos entremes me suy de far chansos / ben
dey guardar que fals motz no·y entenda» richiamerebbe Peirol 366,31 (XXII), 56: «et on hom plus mos chantars mi grazis / e mieils me dei gardar que no·i
mesprenda», oltre agli attacchi di Peirol 366,3 (II): «Ben dei chantar puois
amors m’o enseigna» e di 366,20 (XX): «M’entencion ai tot’ en un vers mesa /
cum valgues mais de chant qu’ieu anc fezes»; l’invio a midons si ritrova in
Peirol 366,2 (I), 366,18 (XXV), 366,22 (III), 366,26 (XVI); la 1 a sg. del
presente indicativo in -i (cfr. 11 agradi e 45 dauri) è anche in Peirol 366,11
(IX), 14: «pensi» (ma cossir CMa); 366,22 (III), 26: «parli» (ma parlen RVa e
parle N); 366,33 (IV), 18: «parli» (ma parlo PS); infine il v. 45 («de vos dauri
mon chan») è messo in relazione con Peirol 366,31 (XXII), 14: «Me dauret gen
so qu’aora m’estaigna», mentre il verbo 42 blandir è reperito in Peirol 366,8
(VII), 22-23; 366,14 (VIII), 19-20; 366,15 (V), 65-66; 366,16 (XVII), 42 74.
Alla stessa conclusione di Stroński giunge indipendentemente anche Paul
Meyer in Parducci-Meyer 1910, pp. 82-83 75, che adduce a prova la somiglianza
della struttura metrica del testo con quella del sirventese Peirol 366,28
(XXXII) 76, il rilievo, uguale a quello di Stroński, che Peirol, a differenza di
Folchetto, ha altri testi in coblas doblas, l’indicazione di genere «chansoneta»
contenuta nell’ultima strofa rintracciabile anche in altri testi di Peirol e mai usata
dal marsigliese 77 e, infine, la distanza stilistica della canzone dalla maniera di
72
I 7 testi in coblas doblas di Peirol sono 366,4 (XIX), 366,11 (IX), 366,12 (XII), 366,19
(XVIII), 366,22 (III), 366,26 (XVI), 366,27 (XI); una schedatura dei testi occitanici in coblas
doblas è in Asperti 1990, pp. 84-86.
73
FqMars 155,1 (V) vs Peirol 366,1 (XIII), 366,3 (II), 366,12 (XII), 366,13 (X), 366,16
(XVII), 366,21 (XV), 366,31 (XXII), 366,33 (IV).
74
Ma cfr. FqMars 155,15 (XVIII), 27: «vol quecs gardar e blandir» e 155,24 (XXIV), 27:
«mays val sela que·us tem e·us blan».
75
L’opinione di Meyer è riportata da Stroński fra le Additions et corrections (a p. 270)
76
Cfr. Frank 1953-57, n° 495 (abbaacc); lo schema di 155,17 (XVI) è il n° 495:9, coblas
doblas di décasyllabes con la rima b femminile, mentre Peirol 366,28 (XXXII) ha lo schema
n° 495:4 composto da décasyllabes con rima maschile.
77
FqMars 155,17 (XVI), 36-37: «Chansoneta, vai t’en tot dreyt cami / lay a midons en
cuy ai m’esperansa»; per l’indicazione di genere Meyer menziona Peirol 366,15 (V), 73 e
366,12 (XII), 43, ma il termine si trova anche in Peirol 366,2 (I), 41 e in Peirol 366,14 (VIII),
53.
Folchetto. Anche Stanley Collin Aston si dichiara d’accordo con Stroński e
include la canzone fra i testi di Peirol 78.
A mio parere invece non si può escludere la paternità folchettiana, anche se
non ho elementi per corroborare il dato, comunque significativo, delle rubriche;
fortemente sospetta mi pare, nonostante la grande quantità di argomenti,
l’attribuzione a Peirol. Mantengo perciò il componimento, pur con lo statuto di
testo di dubbia attribuzione, nel canone folchettiano 79.
§ 1.2.8. A pauc de chantar no·m recre e Meravill me cum pot nuills hom
chantar. Per FqMars 155,2 (XIX) e 155,13 (XX), e inoltre per FqMars 155,9
(XV), Stroński esclude decisamente la paternità folchettiana, soprattutto in
ragione alla loro collocazione nei canzonieri; l’editore dubita infatti per
principio dell’autenticità di tutte le poesie che si ritrovano nelle ultime posizioni
delle sezioni dedicate a Folchetto nei singoli canzonieri, tant’è che sottopone ad
analisi (cfr. p. 120*) anche FqMars 155,6 (XVII), tràdita da 20 mss., tutti con
attribuzione a Folchetto, solo perché si trova spesso tra le ultime poesie del
trovatore.
L’osservazione di Stroński presuppone che gli estensori di un codice,
appurata o sospettata l’inautenticità di un testo, lo relegassero ‘in appendice’,
congetturando talvolta il nome di un possibile autore in base a legami lessicali o
tematici con le opere del poeta stesso 80. Il fenomeno ha un’effettiva
consistenza 81, ma andrà messo in relazione con la trasmissione manoscritta: le
poesie con attribuzione non univoca e quelle considerate di dubbia attribuzione
da Stroński esulano infatti dal nucleo più attestato del corpus folchettiano,
concentrandosi in quelle che ho chiamato tradizione  e tradizione  (cfr. §
1.1.2). La collocazione periferica non sarebbe insomma una conseguenza
dell’apocrifia, ma, al contrario, è nell’estravaganza dal nucleo fondamentale del
canzoniere folchettiano che va riconosciuta la causa della marginalizzazione e
delle oscillazioni nelle attribuzioni. D’altronde la posizione nei canzonieri dei
componimenti risalenti a  e  indica che la marginalità è un dato costante, si
78
Aston 1953, p. 117-20, note a p. 180 (n° XXI dell’edizione; il n° di Pillet attribuito è
366,27a). Stroński formula infine alle pp. 129*-30*, un’ipotesi sul motivo delle false
attribuzioni a FqRom e a FqMars: il primo sarebbe stato chiamato in causa dal senhal «BellaGuarda», presente in una tornada tràdita dai soli mss. DaG (v. 45), che si ritrova anche nella
varia lectio (mss. PSUc) di ArnMar 30,16 (I) che il ms. R e la tavola di C, in una tradizione di
11 mss., attribuiscono a FqRom (cfr. supra il § 1.2.4) e che Kp dà proprio a FqMars; mi pare
tuttavia poco economico pensare che una tornada non tràdita dai mss. Cc, gli unici a dare il
testo a FqRom, possa aver indotto l’attribuzione. FqMars sarebbe invece presente solo per la
sostituzione del più noto al meno noto, oltre che per la consonanza, invero piuttosto vaga, del
v. 15 «Luenh m’es dels huelhs mas del cor m’es tan pres» con FqMars 155,8 (XI), 9: «qu’inz
e·l cor port, donna, vostra faisson». Accenna alla questione, concordando con Stroński, anche
Meneghetti 1994, p. 169.
79
Diversamente in Squillacioti 1993, p. 585 e n. 14 davo maggiore fiducia alle tesi di
Stroński e Meyer.
80
Il metodo è sostanzialmente accettato da Meneghetti 1994, p. 170; vd. anche Zufferey
1981, p. XXVIII (sulla tradizione di GlBerg).
81
Lo nota, per fare un esempio, anche Brunetti 1993, pp. 617-18.
può dire strutturale, che mi pare difficile spiegare semplicemente in termini
attribuzionistici: più arduo chiarire se la paternità dei componimenti fosse
incerta già nella fonte o se venisse ritenuta falsa o sospetta proprio per
l’estravaganza dalla linea principale di trasmissione e perciò sostituita con
attribuzioni alternative all’altezza dell’inclusione nei canzonieri antologici.
Comunque sia, le posizioni marginali vanno studiate per le indicazioni più
generali sulla tradizione manoscritta che se ne possono ricavare.
155,2 A pauc de chantar no·m recre (XIX): ADaEIKNPf = FqMars; R tav.C =
FqRom; C = ArnMar; V = adespota (folchet agg. da altra mano)
155,9 Fin’ amors a cui me soi datz (XV): EMQTa = FqMars; C = GsbPuic
155,13 Meravill me cum pot nuills hom chantar (XX): ADaIKNPQ = FqMars; CR =
FqRom; a = PoChapt; O = adespota
ms. C
c. 107r
....
c. 114v
c. 116r
c. 189v
....
c. 192r
c. 193v
....
c. 227r
c. 230r
inizio poesie di ArnMar
FqMars 155,2 (attr. ArnMar)
ArnMar 30,9
ArnMar 30,10
ArnDan 29,15 (attr. ArnMar)
fine ArnMar.
....
inizio GsbPuic
FqMars 155,9 (attr. GsbPuic)
GsbPuic 173,9
GsbPuic 173,3
GsbPuic173,8
GrBorn 242,8 (attr. GsbPuic)
fine GsbPuic.
inizio FqRom
FqMars 155,17 (attr. FqRom)
FqRom 156,6
FqRom 156,14
FqMars 155,13 (attr. FqRom)
FqRom 156,12
FqRom 156,11
FqRom 156,10
fine FqRom.
ms. R
c. 15r
c. 15v
....
inizio FqRom
FqRom 156,6
FqRom 156,14
FqMars 155,13 (attr. FqRom)
FqRom 156,12
GuiUss 194,11
AimPeg 10,4
GlCapest 213,1
FqMars 155,26 (attr. FqRom)
c. 51v
....
c. 52r
c. 52v
inizio FqMars
fine FqMars, inizio FqRom
FqRom 156,10
ArnMar 30,16 (attr. FqRom)
FqMars 155,2 (attr. FqRom)
FqRom 156,11
fine FqRom.
ms. V
c. 106r
c. 108r
ArnMar 30,9 (adespota ma attr. da altra mano a perdigos)
BbPal 47,4 (adespota ma attr. da altra mano a perdigos)
Perd 370,3 (adespota ma attr. da altra mano a perdigos)
FqMars 155,2 (adespota ma attr. da altra mano a folquet)
Perd 370,13 (adespota ma attr. da altra mano a perdigos)
ms. c
c. 16v
c. 21v
fine Fq Mars, inizio FqRom
FqRom 156,10
FqMars 155,17 (attr. folchet)
FqRom 156,11
FqRom 156,8 (rubr.: folchet de roman serventes)
Domna, eu preing comjat de vos di FqRom
fine FqRom (segue la c. 22r-v bianca).
FqMars 155,17 (XVI), attribuito a Peirol in D aGRS, è collocato in GRS all’interno del
canzoniere del trovatore, in Da alla fine della sezione dedicata al poeta, a c. 170r, dopo altri 5
testi.
FqMars 155,13 (XX), attribuito a PoChapt, nella sezione Riccardiana di a, alla c. 230, è
l’ultimo dei testi del canzoniere di Pons aperto a c. 214.
La posizione in f dell’alba FqMars 155,26 (XXVI), ascritta a c. 19v a en folquet, non dà
molte informazioni perché il canzoniere è uno dei gröberiani «Zusammengesetztze
Handschriften» (sui quali cfr. Avalle-Leonardi 1993, p. 69).
Scartata l’attribuzione a Folchetto, Stroński indica in FqRom il probabile
autore delle canzoni 155,2 (XIX) e 155,13 (XX), in base a tratti di ordine
stilistico per i quali Maria Luisa Meneghetti 82 ha richiamato la nozione
continiana di ‘memoria interna’ 83 e ha definito di ordine stilematico, effetto di
82
Meneghetti 1994, pp. 172-75; l’analisi è limitata a FqMars 155,13 (XX).
Su FqMars 155,2 (XIX) Stroński scrive: «Les vers courts qui constituent le trait
caractéristique de la forme de notre pièce se retrouvent dans trois autres poésies de Falquet
(156,2, 5, 13). Les vers 48-50: E sol qu’ilh agues lo mile De la dolor fer’e mortal Nos agram
partit per egual peuvent être rapprochés des vers suivants de la lettre Domna de Falquet de
Romans (qui y reprenait volontiers des motif tirés de ses propres chansons): E volgr’aguesses
la mitat O·l ters o·l quart de mal qu’ieu ai Q’adonc sabriaz co m’estai (152-4)» (p. 125*); su
FqMars 155,13 (XX): «Au vv. 17-18 le poète dit qu’il est loin de sa dame, trait qui ne se
trouve nulle part dans les poésies de Folquet de Marseille, et qui est constant dans celles de
Falquet de Romans (156,5 vv. 25-32 et 41-44, 156,8 v. 27, 156,14 v. 4). Et surtout, on trouve
dans cette chanson une mention de Tristan et d’Iseut (v. 43), et Falquet se servit avec
beaucoup de prédilection de l’exemple des deux amants célèbres qu’il nomma encore dans
trois autres pièces (156,2, 156,11 et lettre), de même qu’il invoqua Floris et Blancheflor dans
quatre poésies (156,3,8,14 et lettre)» (p. 126*).
83
rapporti intertestuali (o interdiscorsivi), gli elementi che avrebbero indotto le
false attribuzioni ad ArnMar e PoChapt 84, e allo stesso Folchetto. Il nome di
quest’ultimo sarebbe stato originato, in entrambi i testi, dalla notorietà della razo
di FqMars 155,23 (IX) 85, cui Stroński accosta l’invettiva di FqMars 155,2
(XIX), 1-2 contro i lauzenjadors e i vv. 19-20 di 155,13 (XX).
Arveiller-Gouiran 1987, pp. 195-203 nell’inserire FqMars 155,13 (XX) fra
le poesie di dubbia attribuzione di FqRom, aggiungono agli argomenti di
Stroński l’osservazione che il testo «semble répondre [...] à une poésie de
Guillem de Cabestany; la dernière chanson de Folquet étant de 1195 et M. de
Riquer [scil. Riquer 1975, II, p. 1064] situant l’œuvre de Guillem autour de
1212 [...], il est peu probable que le Marseillais ait pu imiter une chanson du
Catalan» 86.
§ 1.2.9. Fin’ amors a cui me soi datz. Anche per l’ultima canzone, FqMars
155,9 (XV), la situazione delle rubriche è favorevole a Folchetto: cinque
manoscritti la dànno al marsigliese (EMQTa), uno soltanto (C) a GsbPuic.
84
Stroński mette a confronto FqMars 155,2 (XIX), 26-28 e 51 con i vv. 59-60 della
galleria del MoMont 305,16 (XVIII), «qui fut une des principales sources d’informations sur
les troubadours»: «qu’ades clamon merce sey huelh; / on plus canta l’aiga·n dissen»; e FqMars
155,13 (XX), 19-20 con la razo PoChapt 375,14 (XIV): «Pons de Cabdueill amet [...] ma
dona N’Alazais de Mercuer [...]. Et [...] ac volontat [...] de proar s’ella li volia be, qu’el no
crezia a sos hueils ni als plazers plasens ni a las onradas honors qu’ela li fazia ni·ll dizia. E si
acorda, en son fol cor, qu’el fezes semblan qu’el s’entendes en autra dona, en N’Audriartz,
qu’era moiller del senher de Marceilla» (da Boutière-Schutz 1964, pp. 314-20). E commenta:
«Folquet et Pons sont les deux seuls troubadours dont la biographie contient une histoire assez
développe de l’ ‘amour feint’» (p. 126*); noto tuttavia che la razo di Pons è tràdita dai mss.
EPRSgb mentre l’attribuzione è nel canzoniere a.
85
Boutière-Schutz 1964, pp. 99-100; ne riporto il testo confrontato con quello delle
edizioni Stroński e Favati nel Commento all’edizione della canzone.
86
L’imitazione sarebbe di ordine metrico: lo schema strofico di GlCapest 213,6 (VI):
a10 b10 a10 b10 c10’ d10 d10 a: en, b: er, c: eja, d: ar
(Frank 1953-57, n° 418:1) sarebbe stato ripreso dall’autore di FqMars 155,13 (XX), che
avrebbe sostituito il décasyllabe femminile in -eia con due versi o un décasyllabe con rima
interna:
a10 b10 a10 b10 c10 c4 d6 d10 a: ar, b: er, c: ens, d: an
(Frank 1953-57, n° 418:1, che rimanda allo schema con rima interna [418:notes]: non ci sono
elementi per scegliere fra le due alternative, come è invece possibile fare nei casi studiati da S.
Vatteroni, Rima interna e formula sillabica: alcune annotazioni al Répertoire di I. Frank,
SMV, XXIX [1982-83], pp. 175-82). Il trovatore avrebbe inoltre mantenuto due delle rime
(ma solo una nella medesima sede) e modificato in -ens la rima in -en. La mancata
corrispondenza delle rime rende meno sicura l’imitazione; scrivono in proposito i due editori:
«On pourrait, il est vrai, objecter que le changement de rime risque de rompre le parallélisme;
il semble bien cependant que nous nous trouvions en présence d’un cas de ‘sublimation
intertextuelle’» (p. 197), e rimandano per il concetto a Gruber 1983, p. 98. Non è tuttavia
ipotizzata la possibilità contraria, cioè che sia Guilhelm a imitare lo schema di FqMars 155,13
(XX) né, considerata la mancata corrispondenza delle rime, è prospettata l’eventualità che il
parallelismo degli schemi sia meramente casuale. Comunque anche Arveiller e Gouiran
considerano solo ipotetica l’attribuzione a Falquet: «ce sont là des éléments qui méritent
considération, mais ils ne sauraient nous dispenser de le plus grande prudence. La paternité de
Falquet est vraisemblable, mais non assurée» (p. 195).
Questa volta è Stroński medesimo a togliere credito agli argomenti derivati
dall’analisi della tradizione manoscritta 87; si limita a osservare che i codici che
assegnano il testo a Folchetto, la collocano alla fine del suo canzoniere (EMQ) o
a ridosso di testi dubbi (Ta) 88: quest’ultima osservazione, discutibile se
utilizzata tout court per invalidare la testimonianza delle rubriche, può essere
recuperata in una prospettiva più generale che coinvolga l’intera tradizione
manoscritta. Il fatto che componimenti con attribuzioni disomogenee o
stilisticamente extravaganti rispetto alle altre poesie di Folchetto si trovino
ravvicinate e/o in posizioni marginali, oppure non siano testimoniati da
manoscritti che tramandano tutto il cosiddetto corpus autentico 89, può
dipendere, come ho già detto sopra, da una diffusione dei testi – in una fase
anteriore all’organizzazione dei canzonieri – indipendente dal nucleo più
attestato della produzione folchettiana. Lo stesso scarto stilistico che registra la
canzone dalla media dei componimenti del trovatore non è ragione sufficiente
per escluderne la paternità; tanto più che l’esordio primaverile
Fin’amors a cui me soi datz
·
e l gens terminis amoros,
cascuns d’aquetz m’es ochaizos
don dei esser enamoratz
«est absolutament étrangère au style de Falquet» solo se si è già esclusa
l’autenticità di FqMars 155,12 (XXIII), di cui si è già detto al § 1.2.2, che
presenta un inizio topico sugli uccelli, non lontano stilisticamente da quello della
canzone in questione; d’altro canto quella era stata considerata spuria anche
perché l’esordio sugli uccelli «n’a rien de comun avec l’art de Folquet» 90.
Rintracciate le ipotetiche cause dell’attribuzione a Folchetto 91, l’editore
conclude:
87
Si veda più sotto la Nota al testo della mia edizione.
Il ms. T tramanda la canzone all’inizio della sezione dedicata a Folchetto dopo
GrdoRos 240,4 (I), attribuita al marsigliese, e FqMars 155,17 (XVI); in a si ritrova la serie
155,17 - 155,9 (cui segue 155,20 [XXI]), le uniche poesie di Folchetto provenienti dal
canzoniere di Bernart Amoros tràdite nel cod. (le altre ci sono note attraverso glosse
interlineari nel ms. ca, il mio ls: cfr. infra il § 2.1.2.1).
89
Stroński osserva (cfr. pp. 123* e 125*) che FqMars 155,2 (XIX) e 155,13 (XX) sono
omesse dai codd. BGc, che tramandano esclusivamente componimenti autentici, assumendo la
circostanza come indizio dell’apocrifia dei testi: considerazione che si presta, così come
quella che i mss. Ta tramandano FqMars 155,9 (XV) a ridosso di testi dubbi, all’obiezione di
metodo che in sede di delimitazione del corpus autentico non è corretto considerare il corpus
stesso già definito a priori, così da ridurre a corpi estranei tutte le composizioni non
immediatamente riconducibili al gruppo meglio attestato.
90
Così Stroński a p. 127*; si consideri inoltre la ‘variazione’ del topos nella cobla V di
FqMars 155,5 (I).
91
«Quant aux motifs qui auraient pu faire penser à Folquet, on s’arrête sur la strophe III
où il y a des réflexions sur le dreit et la humilitat (grâce) comme dans la chanson VIII de
Folquet [scil. 155,14 (IV)], ainsi que sur le v. 22: Qu’aissi m’es el cor sagellatz qui rappelle
la chanson V de Folquet [scil. 155,1 (XI)]» (p. 127*).
88
Cette pièce peut bien être de Gausbert de Poicibot. Les idées qu’on trouve ressemblent à
celles de son chansonnier, le début sur la belle saison se retrouve dans 173,9, une rimerefrain, comme ici aon, est amors dans 173,11, et p.ex. pour l’idée et l’expression: et am e
dezir e reblan (v. 28) cf. Qu’enans deu trobar merce Paubres hom que blan (173,3) et
·
·
Que no us tem ni us blan (173,6).
Stroński non rileva però che il testo con l’attribuzione a GsbPuic si trova in
C verso la fine del canzoniere del trovatore, immediatamente prima di GsbPuic
173,9 (IX) tràdito solo da CR, di GsbPuic 173,3 (III) che P attribuisce a un
folket 92, di GsbPuic 173,8 (VIII) conservata in CEHV e attribuita ad Aimeric de
Peguilhan dalla tavola di C e da GrBorn 242,8 (IX), attribuita a Gausbert 93,
testo con cui si conclude la sezione dedicata al poeta: una situazione che in altri
casi lo avrebbe insospettito. Inoltre i legami indicati con il canzoniere di
GsbPuic mescolano tratti stilistici a elementi intertestuali ed è ben possibile
rintracciarne di analoghi nei testi folchettiani 94: argomenti rovesciabili, dunque.
Non trovo perciò ragioni per escludere la paternità folchettiana; al contrario è la
testimonianza isolata di C ad avere valore inferiore, ma in definitiva il testo resta
di dubbia attribuzione. Da parte sua l’editore dell’opera di Gausbert, William P.
Shepard, nel confermare i legami fra la canzone e la produzione del poeta,
aggiunge che la strofa III richiama i vv. 37-40 di GsbPuic 173,1 (I), ma ritiene
che «ces ressemblances ne sont pas probantes, et il n’est guère possible de
déterminer la paternité de cette chanson assez banale. Toutefois, je l’ai admise
comme une des pièces douteuses» 95.
§ 1.2.10. C o n c l u s i o n i . Il capitolo su Les manuscrits et leurs
attributions, è insieme tra i più ammirevoli e discutibili dell’edizione Stroński 96.
La grande autorità e decisione con cui l’editore include e, più spesso, esclude le
poesie «dubbie» dal corpus di Folchetto cela un atteggiamento pregiudiziale che
di fatto ha contribuito a limitare il trovatore sul piano dei valori poetici; se è fuor
di dubbio che la caratteristica peculiare del trovatore sia l’elaborazione retorica
dei topoi più diffusi, con cui prepara e influenza l’ultima stagione trobadorica
(cfr. infra § 3.2.2.1), non bisogna trascurare una serie di testi che contribuiscono
92
Cfr. infra § 1.2.10 e Stroński, p. 123*.
Dei 4 mss. che tramandano la canzone (CEHSg), C la dà a Gausbert, H a guiellms de
sainleisdier, gli altri due a Giraut: il testo è assegnato a quest’ultimo sia da Kolsen 1910-35
che da Sharman 1989.
94
Dell’esordio stagionale s’è già detto; quanto alla presenza di blandir in FqMars si veda
supra il § 1.2.7; l’uso della parola-rima è presente in FqMars 155,14 (IV).
95
Shepard 1924, p. X; il testo è edito alle pp. 55-56, le note sono a p. 87.
96
d’A. S. Avalle nel notare che «La questione delle divergenze di attribuzione nell’ambito
della lirica occitanica non è stata ancora affrontata metodicamente», rimanda con un «cfr.
però» al lavoro di Stroński (Avalle-Leonardi 1993, p. 51); oggi disponiamo, oltre che dei
lavori di Meneghetti 1993 e 1994 più volte citati, dell’intervento metodologico di S. Asperti,
Répertoires et attributions: une reflexion sur le systeme de classification des textes dans le
domaine de la poésie des troubadours, Atti Montpellier 1992, II, pp. 585-94; di prossima
pubblicazione (cfr. RLR, XI [1992], p. 292, n. 40) un repertorio delle attribuzioni controverse
curato da C. Pulsoni.
93
a rendere più variegata la sua attività poetica: una canzone di metro breve,
scorrevole e di breve respiro come FqMars 155,12 (XXIII), cui andranno forse
affiancate 155,9 (XV), l’alba religiosa 155,26 (XXVI) e il Bußlied in
octosyllabes come 155,19 (XXVII), un frammento di grande importanza nella
storia della poesia del Duecento come 155,4 (XXII), costituiscono insieme con
l’estribot 155,25 (XXV) 97 un aspetto della poesia di Folchetto di Marsiglia poco
rilevato nell’ed. Stroński e certamente da valorizzare.
Propongo quindi di ritornare al canone di Bartsch, 27 testi di cui 22 di
attribuzione sicura (BdT 1, 3, 4 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21,
22, 23, 24, 25, 27) e 5 di attribuzione dubbia (BdT 2, 9, 13, 17, 26).
Sono inoltre attribuiti a FqMars i seguenti componimenti (alcune ipotesi sui
motivi che hanno indotto le attribuzioni sono in Stroński, pp. 121*-23*):
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
AimBel 9,7 (XIV) in M 30
AlbSist 16,12 (XI) in C 11
ArnMar 30,3 (IX) in f 32
ArnMar 30,8 (XV) in V 82
ArnMar 30,16 (I) in Kp 104
BnVent 70,41 (XLI) in W 188
Caden 106,14 (XIII) in R 52 e tav. C (cfr. § 1.2.4)
GcFaid 167,27 (XXXVIII) in D 44
GcFaid 167,59 (XXX) in Q 21
GsrSt-Did 168,1 (Sakari 1963, p. 313) in L 27
GsbPuic 173,3 (III) in P 10
GsbPuic 173,11 (XI) in P 10
GrdoRos 240,4 (I) in T 225
Perd 370,9 (XXII) in C 5, R 51, f 23 (cfr. § 1.2.5)
RicBarb 421,5 (V) in P 10
RicBarb 421,10 (IX) in P 10,  234 [= canz. franc. C].
Per altre indicazioni si veda infra il § 2.1.3 sulla tradizione indiretta.
1.3. Cronologia del canzoniere folchettiano.
Come ho già detto nel § 1.1.3, Stroński ordina i testi considerati autentici in
successione cronologica: l’editore data più o meno precisamente le prime
diciannove composizioni servendosi caso per caso di indizi «de force probante
inégale, mais qui constituent tous ensemble un instrument d’orientation assez
sûr» (p. 69*), ovvero le allusioni storiche, la bipartizione del canzoniere
amoroso, i rapporti del trovatore con le corti, l’uso a partire da un testo dei
senhals Azimans e Tostemps, gli accenni a questioni amorose e metatestuali
nelle tornadas, i legami formali e contenutistici fra i singoli componimenti.
97
Sulla definizione di genere, mutuata da Vatteroni 1990, rimando al Commento alla mia
edizione del testo.
In base a questi criteri, Stroński elabora la cronologia del corpus
folchettiano, riassunta in una tabella che è utile qui riportare 98:
1179/80:
1180/85:
1185/6-87:
fin 1187:
vers 1188:
vers 1188-90:
mileu 1190:
1190-92:
extr.fin 1192:
vers 1193/4:
milieu 1195:
sec.moit. 1195:
i [I]
ii [II]
iii, iv, v [IX, X, XI]
ch. crois (xxvii ou perdue)
vi, vii, (?) [XVII, II]
viii, cobla xvi, ix, tenso xv [IV, XXV, V, XXIV]
x [VI]
xi, xii, xiii [VII, VIII, XII]
planh xvii [XXI]
xiv [XIII]
ch.crois.Or. xviii [XIV]
ch. crois.Esp. xix [XVIII]
In realtà soltanto una parte dei testi contiene riferimenti alla realtà che
permettono di fissarne le coordinate temporali; i restanti componimenti sono
datati attraverso gli altri criteri sopra indicati. Propongo pertanto di separare i
testi in cui la datazione si appoggia a riferimenti al contesto storico (§ 1.3.1) o
dei quali è possibile offrire una datazione relativa (§ 1.3.2) da quelli in cui non
sono reperibili indizi cronologici (§ 1.3.3); e soprattutto, di discernere e
gerarchizzare nei primi gli elementi di datazione precisi da quelli che indicano
semplicemente un terminus ante o post quem e da quelli congetturali, così da
fornire una serie di dati storicamente verificabili su cui impostare ulteriori
ricerche.
1.3.1. Testi storicamente databili.
§ 1.3.1.1. Ben an mort mi e lor. In FqMars 155,5 (I) vengono nominati
Alfonso II d’Aragona, I come conte di Provenza 99 (vv. 44-45) e «[e]N Raimon
Berengier» (v. 52’) 100, identificabile con Raimondo Berengario IV, fratello
cadetto di Alfonso: il suo vero nome era Pere, conte di Cerdagne dal 1162, ma
intorno al 1170 aveva assunto il nome di Raimondo Berengario «pour faciliter
son installation à la tête de la Provence gouvernée par des Ramon Berenguer ou
98
Cfr. p. 75*: i numeri romani in minuscolo rimandano all’ed. Stroński: intregro fra
parentesi quadre i numeri corrispondenti nella mia edizione.
99
Nato probabilmente nel 1154 (secondo la proposta di Pirot 1972, pp. 159-63 che, a
partire dalla data tradizionale [1152], discute le varie datazioni [fra il 1154 e il 1157] indotte
dalle ambiguità nella documentazione), è conte di Barcellona nel 1162 (alla morte del padre
Raimondo Berengario II e IV di Barcellona), re d’Aragona nel 1164 (ricevuta la corona dalla
madre Petronilla, erede legittima) e quindi conte di Provenza nel 1166 (alla morte di suo
cugino Raimondo Berengario III).
100
In una tornada tràdita dai soli ms. Ols e inviata a Trez: cfr. la Nota al testo della mia
edizione del componimento dove si ipotizza che l’invio appartenga a una seconda redazione
della canzone.
des Berenguer Ramon depuis 1112» 101; già dal 1168 102 infatti Alfonso lo aveva
associato alla contea di Provenza, tolta a Raimondo V di Tolosa nel 1166. Se il
terminus ante quem si può fissare al 5 aprile 1181, data dell’assassinio di
Raimondo Berengario 103, il terminus a quo può essere spostato in avanti
tenendo conto che il primo atto provenzale di Raimondo Berengario è del luglio
1173 e soprattutto che l’atto ufficiale d’investitura come conte di Provenza è del
dicembre 1178 104: questa data sarebbe inoltre prossima a quella indicata da
Stroński (cfr. pp. 10*-12*), che riferisce il v. 50 («qu’alz enemics vei que ·s fai
obezir») alle conquiste militari di Alfonso del 1179, momento culminante della
disputa con il conte di Tolosa 105.
§ 1.3.1.2. Tant m’abellis l’amoros pessamens. La canzone FqMars 155,22
(II) è inviata (cfr. vv. 45-48) a tre donne di Nems (l’odierna Nîmes), città guidata
dal visconte Bernart Athon (1159-1187), figlio postumo dell’omonimo Bernart
Athon e della viscontessa Guillaumette, della casa di Montpellier, sua tutrice
fino al 1174 e ancora vivente nel 1197; Bertrand era sposato con Garsinde,
ventenne nel 1180. Stroński, dalla cui edizione ricavo le notizie qui esposte (cfr.
pp. 12*-13*), suppone che le tre dame dedicatarie siano Guillamette, Garsinde e,
forse, una sorella sconosciuta del visconte. Nel 1187 Raimondo V di Tolosa
conquista la città per cui l’invio si giustifica solo anteriormente a questa data 106;
101
Aurell 1995, pp. 387-88.
Cfr. Aurell 1989, p. 19; la datazione non è univoca negli studi: se Jeanroy 1934, I, p.
172, F. Lecoy nella rec. a Del Monte 1955 (Rom, LXXVII [1956], pp. 387-91, a p. 378) e
Gouiran 1985, I, p. 472 confermano il 1168, Stroński, p. 10* arretra la data al 1166, mentre
Kolsen 1910-35, II, p. 275, Sharman 1989, p. 409 e W.D. Paden Jr. et alii, The Poems of the
Troubadour Bertran de Born, Berkley-Los Angeles-London, University of California Press
1986, p. 273 la pongono al 1167; si spingono più in là, al 1172, A. Cappelli, Cronologia e
calendario perpetuo, Milano, Hoepli 19886, p. 467 e U. Chevalier, Répertoire des sources
historiques du Moyen âge (Bio-bibliographie), Nouvelle édition [...], New York, Kraus
Reprint 1960, II, col. 3888, che tuttavia rimanda a luoghi non pertinenti della PL, CLV, col.
1268 e CCI, col. 1379, riferiti a Raimondo V di Tolosa.
103
Il racconto dell’imboscata mortale si legge in Milá y Fontanals 1966 [1861], p. 88.
104
Aurell 1995, pp. 388, n. 1. Naturalmente nell’ipotesi che l’accenno a Raimondo
caratterizzi una seconda redazione della canzone è a questa seconda redazione che andranno
riferiti i limiti temporali individuati; per quanto riguarda l’eventuale prima redazione non è
necessario pensarla composta anteriormente all’investitura di Raimondo (quindi ante 1166) in
quanto il testo potrebbe semplicemente essere stato ‘aggiornato’ e fornito di un nuovo invio in
occasione di una esecuzione a cospetto di Raimondo: l’ipotesi di doppia redazione è insomma
perfettamente compatibile con la datazione proposta, 1179-80.
105
Nel 1177 Alfonso aveva formato una lega con i viscontati di Nîmes e Narbona e col
signore di Montpellier; il passaggio, nel 1179, di alcuni alleati dalla parte di Raimondo,
provocò l’intervento di Alfonso che riuscì a sottomettere alla sua autorità i viscontati
meridionali.
106
Per Zingarelli 1899, pp. 27-28, n. 32 la poesia va datata post 1187 in quanto la vida
testimonia i rapporti di Folchetto con Raimondo V di Tolosa, non con Bernard Athon:
Stroński rigetta giustamente il ragionamento chiedendosi: «quelles auraient été les trois dames
à une cour qui, à vrai dire, n’existait plus après cette date, et qui aurait compris qu’une
chanson envoyée vas Nems fut destinée au comte de Toulouse?» (p. 13*, n. 1).
102
d’altra parte solo dal 1179 il viscontato di Nîmes risulta alleato di Aragona e
Provenza, per cui il testo risale al periodo fra il 1179 e il 1187. Solo in
subordine si può considerare l’osservazione di Stroński che il componimento
deve essere posteriore al 1179-80 e anteriore al 1185-86 perché in quegli anni
Folchetto aveva relazioni rispettivamente con le corti di Provenza (cfr. canz. I) e
Montpellier (cfr. il ciclo dell’emperairitz) 107.
§ 1.3.1.3. Tan mou de cortesa razo. La canzone FqMars 155,23 (IX),
costituisce insieme con 155,27 (X) e 155,8 (XI) il cosiddetto ciclo
dell’emperairitz 108, in cui Folchetto nomina Eudossia, figlia o meglio nipote,
dell’imperatore di Costantinopoli Manuele Commeno, venuta in occidente per
sposare Alfonso II d’Aragona, o piuttosto suo fratello Raimondo Berengario, e
andata in moglie a Guglielmo VIII di Montpellier (1172-1202) 109, ma ripudiata
nel 1187. L’assenza di accenni al ripudio data il testo ante 1187; Stroński
ipotizza che il testo sia stato composto «vers la fin du séjour de celle-ci [scil.
Eudossia] à Montpellier, en 1185/6 environ» (p. 14*), perché ritiene che l’intero
ciclo sia stato scritto in breve tempo e quindi che il testo preceda di poco il
successivo datato 1186-87, ma la prossimità temporale non è provata; a meno di
non valorizzare l’accenno ai lauzengiers ai vv. 13-24, che potrebbe essere,
invece di un motivo topico, un’allusione ai responsabili di eventuali maldicenze
su Eudossia, fatte circolare da Guglielmo al fine di legittimare il ripudio: si
tornerebbe, per altra via, a ridosso del 1186.
§ 1.3.1.4. Us volers outracuidatz. La cobla VI (vv. 51-60) di FqMars
155,27 (X) lamenta la mancanza di Eudossia senza accennare al successivo
matrimonio di Guglielmo con Agnès, parente del re d’Aragona, contratto
nell’aprile 1187: il testo risale quindi al 1186-87.
107
Va invece rifiutato il tentativo di Stroński di legare i vv. 26, 32-34, 35-36
rispettivamente a FqMars 155,5 (I), 2, 32-34, 40 al fine di inferire la successione immediata
fra i due testi: dubito molto che sintagmi topici come quelli in questione possano essere usati
allo scopo di datare una poesia.
108
Per ulteriori indicazioni sulla vicenda cui fa riferimento il ciclo si veda il cappello al
Commento delle tre canzoni citate.
109
Sia il legame parentale di Eudossia con l’imperatore di Bisanzio (per il quale rimando
al Commento a FqMars 155,23 [IX]), sia la persona del promesso sposo sono incerti per la
non uniformità delle fonti: Stroński (p. 153 sgg.), seguendo il racconto del Libre dels Feyts di
Jaume I d’Aragona, ritiene che Eudossia fosse venuta per sposare Alfonso e che abbia invece
sposato Guglielmo poco dopo il 18 gennaio 1174, data delle nozze fra Alfonso e Sancha,
figlia di Alfonso VII di Castiglia (cfr. HGL, VI, p. 62); tuttavia da Aurell 1995, p. 375 si
ricava che il matrimonio fra Alfonso e Sancha era stato combinato già nel 1157 e che
l’ ‘imperatrice’ era stata chiesta in moglie da Alfonso per il fratello Raimondo Berengario, per
cui data di arrivo in occidente e matrimonio con Guglielmo vanno spostare al 1179-80 e al
1181 (data quest’ultima che si legge in alcuni studi fra i quali Diez 1882 [1829], p. 198): cfr.
Aurell 1995, pp. 402-403.
§ 1.3.1.5. En chantan m’aven a membrar. Nella seconda tornada di
FqMars 155,8 (XI) chi dice io nel testo chiede perdono a Guglielmo VIII di
Montpellier per una colpa non specificata: «Chanssos, desse / vas Monpeslier
vai de part me / a don Guillem dir, sitot no·il sap bo, / sos pretz, car creis, li·m
fai querre perdo» (vv. 55-58): è certo fondata l’ipotesi di Stroński che FqMars si
riferisca all’accusa di folor contenuta in FqMars 155,27 (X), 58-60; il fatto che
non si nomini Eudossia fa pensare ad una data successiva all’aprile 1187 (nuovo
matrimonio di Guglielmo), ma non troppo perché il probabile riferimento alla
canzone precedente si giustifica solo dopo un intervallo di tempo non
eccessivo 110.
§ 1.3.1.6. Ai! quan gen vens et ab quan pauc d’afan. FqMars 155,3 (VI) è
una canzone d’amore chiusa da una cobla d’argomento politico che offre gli
elementi per la datazione: Folchetto vi celebra Riccardo Cuor di Leone in
partenza da Marsiglia per la III crociata; il re inglese, arrivato nella città il 31
luglio 1190, dopo essersi incontrato con le truppe francesi a Vézelay il 4 luglio,
attende la sua flotta, che lo raggiunge il 22 agosto; prosegue il viaggio via terra
sino a Messina dove arriva il 3 settembre; lascia la città solo il 10 aprile
dell’anno successivo. La canzone (o meglio la cobla V: cfr. la Nota al testo della
mia edizione) risale certamente al luglio o all’agosto 1190 111.
§ 1.3.1.7. Si com sel qu’es tan greujatz. FqMars 155,20 (XXI) è un planh
scritto per la morte di Raimon Jaufre Barral, visconte di Marsiglia, deceduto alla
fine del 1192: il testo sarà stato prodotto poco tempo dopo, quindi al più tardi
nei primi giorni del 1193 112.
§ 1.3.1.8. Ja non volgra q’hom auzis. La canzone FqMars 155,12 (XXIII),
esclusa da Stroński dalla produzione di Folchetto (ma vd. supra il § 1.2.2), non
fornisce elementi oggettivi di datazione, ma la sua struttura metrica e le rime
(Frank 1953-57, n° 541:2) si ritrovano in BtBorn 80,8 (XXXV), sirventese
databile all’inizio del 1194; è probabile che il nostro testo preceda di qualche
110
Cfr. p. 15*; la composizione, aggiunge Stroński alle pp. 157-58, risalirebbe agli anni
immediatamente precedenti al matrimonio fra Maria di Montpellier, figlia di Eudossia e
Guglielmo, e Barral di Marsiglia, segno dei buoni rapporti fra le due corti che Folchetto
poteva aver turbato con la sua accusa; sulla vicenda di Maria si veda il Commento a FqMars
155,23 (IX).
111
Runciman 1966, II, pp. 693-94 e 716-23 (con indicazione puntuale delle fonti
medievali da cui sono tratte le notizie); Stroński offre date diverse: 3 luglio per l’incontro di
Vézelay, 7 agosto per l’imbarco (ma Riccardo parte via terra) da Marsiglia per l’Oriente (cfr.
p. 23*; l’editore utilizza una fonte ampiamente citata anche da Runciman, Itinerarium
peregrinorum et gesta Regis Ricardi, edita da Stubbs, «Rolls Series», London 1864).
112
Il giorno della morte deve essere compreso fra il 10 novembre 1192, data di un atto di
donazione promulgato da Barral, e il 28 dicembre dello stesso anno, data di un documento
firmato da Hugo Gaufridi e Ramundus Gaufridi, signori di Tretz e visconti di Marsiglia (cfr.
Stroński, pp. 166-67).
tempo il sirventese 113. Ma poiché nella tornada viene nominato il «senhor de
Limozis», ossia Riccardo Cuor di Leone, duca d’Aquitania sin dal 1169, occorre
tener conto che dal 1192 sino al febbraio 1194 il re inglese era prigioniero
dell’imperatore Enrico VI (come si vedrà in dettaglio al § 1.3.1.10); l’assenza di
allusioni alla cattività o all’avvenuta liberazione fa ritenere la canzone anteriore
al 1192, e anzi si potrebbe risalire al 1190 quando Riccardo, in partenza per la
Terrasanta passò da Marsiglia (come visto al § 1.3.1.6) 114: lo stesso
contrafactum di BtBorn, d’altro canto, è anteriore a quella liberazione che viene
auspicata nella cobla IV (vv. 25-32) e al v. 37, almeno nella versione del ms. A,
ms.-base di Gouiran: «pois q’er vengutz d’Alemaigna» (gli altri testimoni,
DFIK, «semblent présenter une version modifiée à la suite de l’élargissement de
Richard» 115, ossia: puois uenguz es dalemaingna).
§ 1.3.1.9. Ja no·s cug hom qu’ieu camje mas chansos. Folchetto accenna
nella prima tornada di FqMars 155,11 (XIII) alla morte di Barral (cfr. vv. 4145) per cui il testo va datato post 1192; l’ipotesi verosimile che si debba
collocare il testo dopo breve tempo dalla morte è però smentita da un’altra
menzione del lutto all’inizio della canzone di crociata 155,7 (XIV), databile
(come si vedrà al paragrafo successivo) alla metà del 1195. Stroński indica come
terminus ad quem il 1195: la canzone sarebbe l’ultima canzone d’amore scritta
dopo la morte del visconte (cfr. p. 74*); inoltre il 1195 è l’anno in cui si suppone
avvenuta la monacazione di Folchetto.
§ 1.3.1.10. Chantars mi torna ad afan. Nella canzone di crociata FqMars
155,7 (XIV) il trovatore incita Riccardo Cuor di Leone e Filippo Augusto a
seguire l’esempio dell’imperatore Enrico VI che a Bari, nel giorno di Pasqua del
1195 (il 2 aprile), aveva fatto voto di partire per una nuova spedizione in
Terrasanta 116, in séguito alle rinnovate pressioni dei Turchi dopo la fine della III
crociata 117. Terminus ante quem è il 19 luglio dello stesso anno, giorno della
113
Beltrami 1989, p. 21, n. 38; sulla data del sirventese di BtBorn vd. Gouiran 1985, II,
pp. 695-97.
114
A rigore si potrebbe risalire anche a un periodo anteriore, posteriore soltanto
all’assunzione del titolo di duca di Aquitania (1169): assumo insomma che il contrafactum di
BtBorn sia stato realizzato a distanza di qualche anno dal modello, sebbene si conoscano casi
di riprese della forma metrica a grande distanza dal modello; un caso è GlSt-Greg 233,1 Be·m
platz lo gais temps de pascor (Loporcaro 1988, p. 53; BdT 80,8a come testo di BtBorn) scritto
«sul finire del 1219 o in una data non di molto posteriore» (Loporcaro 1988, p. 68; e cfr. P. G.
Beltrami, Remarques sur Guilhem de Saint Gregori, in Atti Torino 1993, I, pp. 31-43) che
prende a modello GrBorn 242,51 (XXXVII), databile al 1191-92 (sulla ripresa si vedano le
considerazioni di Loporcaro 1988, p. 64 e n. 66 e di Meneghetti 1992, p. 80).
115
Gouiran 1985, II, p. 697.
116
Il voto era già stato pronunciato in segreto il 31 marzo (cfr. Lewent 1907, p. 342, n. 3,
e Stroński, p. 178).
117
Cfr. i vv. 33-36: «mas pero la deshonor / posc dir si·l turc entre lor / son vencut ni
baissat jos, / pois tuich vencut venson nos»; in effetti, dopo la morte di Saladino (3 marzo
1193), si scatenarono lotte intestine fra i suoi figli: al-Afdal, primogenito e sultano di
disfatta cristiana ad Alarcos: l’assenza completa di allusioni ad un evento che ha
provocato un’eco rilevante fra i trovatori 118 fa ritenere il testo anteriore a quella
data. Altro indizio dell’anteriorità al luglio 1195 è la mancanza di accenni alla
guerra fra Riccardo e Filippo Augusto, che osservarono una tregua fra il
novembre 1194 e il luglio 1195 119.
§ 1.3.1.11. Oimais no·i conosc razo. Dopo la sconfitta inflitta dal califfo del
Marocco Abû-Jûsuf ad Alfonso VIII di Castiglia sotto le mura di Alarcos il 19
luglio 1195, Folchetto scrive la canzone di crociata FqMars 155,15 (XVIII) per
incitare i signori cristiani a riconquistare la Spagna. Il terminus ad quem è
fissato al 26 aprile 1196, data di morte di Alfonso II d’Aragona, nominato come
«nostre reys d’Arago» (cfr. vv. 34-37), ma è probabile che la canzone sia di
poco successiva alla sconfitta 120.
Damasco, licenziò tutti i ministri di suo padre i quali si rifugiarono in Egitto presso il secondo
figlio di Saladino, al-Aziz; questi invase la Siria nel maggio 1194 giungendo alla porte di
Damasco; solo la mediazione di al-Adil, fratello di Saladino, riuscì a porre fine al
contenzioso: la sovranità di al-Afdal fu riconosciuta in cambio di alcuni territori. Meno di un
anno dopo, proprio nel periodo di composizione di Chantars mi torn, al-Aziz attaccò di nuovo
Damasco e ancora una volta dovette intervenire al-Adil; al-Afdal riuscì a respingere in Egitto
il fratello e si propose di attaccare il Cairo, ma stavolta al-Adil gli ingiunse di tornare a
Damasco, minacciandolo di togliergli il suo appoggio. In effetti il cambio di alleanze avvenne,
constatata l’incapacità di governo del nipote, nel luglio 1196 e al-Aziz potè impadronirsi di
Damasco e del titolo di sultano (cfr. Runciman 1966, II, pp. 754-55, e Stroński, pp. 173-75).
118
La stessa canzone di crociata FqMars 155,15 (XVIII) origina da quella battaglia: si
veda di séguito il § 1.3.1.11.
119
Espone i dati qui esposti, concordando pienamente, Hölzle 1980, I, pp. 436-37. Altre
datazioni sono state proposte in base a interpretazioni diverse dei vv. 53-54 e 55-56: per i
primi versi («s’il [scil. Riccardo] a fait la messio / et autre fai la preiso») Stroński riprende la
lettura di Torraca 1897, p. 160: «‘egli ha fatto la spesa e un altro fa l’acquisto’, ovvero: ‘egli
ha seminato e un altro raccoglie’», riconosce cioè l’allusione al riscatto pagato dal re inglese a
Enrico VI per la sua liberazione: Riccardo era stato catturato presso Vienna al ritorno dalla
Crociata nel dicembre 1192 e consegnato nel febbraio successivo dopo all’imperatore che lo
libererà solo un anno più tardi, il 4 febbraio 1194 (assumo questa data già in Lewent 1907, p.
342, n. 3 e in Stroński, p. 176, ed ora confermata da Spetia 1996, p. 102, n. 2, avvertendo che
Torraca 1897, p. 159 indica invece il 9 febbraio, mentre Runciman 1966, II, pp. 749-50 pone
la liberazione in marzo). Diez 1882 [1829], p. 203 intende preiso ‘prigione’ e intende perciò
Riccardo ancora recluso, per cui data il testo al 1193; lo seguono Pratsch 1878, p. 38 e
Zingarelli 1899, p. 65. Lewent 1907, p. 342, pur ritenendo Riccardo ancora prigioniero, rifiuta
la datazione di Diez e valorizza il riferimento di Folchetto alle lotte interne all’Islam del 1194,
ma interpretando i vv. 55-56 come un’allusione ai tentativi di Enrico di conquistare la Sicilia,
data il testo al principio del 1194. Infine Schultz-Gora 1906, recensendo il lavoro di Lewent,
accetta le argomentazioni dello studioso, pur rifiutando la tesi della cattività di Riccardo; data
perciò il testo «im Laufe des Jahres 1194»; lo stesso studioso, recensendo l’ed. Stroński, ha
evidenziato alcuni problemi cronologici indotti dall’interpretazione di singoli versi: cfr.
Schultz-Gora 1921, pp. 148-50 e infra la nota 45-46 del Commento alla mia edizione del
sirventese.
120
Cfr. Lewent 1907, pp. 362-63; e Stroński, pp. 26*-27* e 183-84. Anche Hölzle 1980,
I, pp. 438-39 accetta la data.
1.3.2. Testi relativamente databili.
L’assenza di riferimenti al contesto storico rende assai difficile e talora
impossibile proporre una datazione storicamente fondata, anche solo
approssimativa, per gli altri componimenti folchettiani. Stroński, come ho già
detto data tutti i componimenti del canzoniere ritenuto autentico, ma con
l’ausilio di argomenti interni che lasciano largo spazio al dubbio. In primo luogo
la raccolta in gruppi omogenei della produzione del trovatore in relazione alle
corti cui ha inviato le proprie composizioni deve esser fatta con una certa
cautela, perché non è dimostrabile che i poeti intrecciassero rapporti con una
sola corte per volta o che dovessero necessariamente esaurire la propria
esperienza con una corte in un unico periodo. Inoltre i rapporti contenutistici o
metrico-strofici fra i testi, se individuano un legame fra loro, non dimostrano
necessariamente eventuali rapporti di successione; allo stesso modo, la presenza
costante di un senhal o il contenuto delle tornadas può implicare un legame fra i
testi, ma non determina tout court una successione cronologica. Al contrario
Stroński, rilevati rapporti contenutistici fra due testi, inferisce la loro contiguità
temporale come se non fossero possibili riprese lessicali o tematiche anche fra
testi cronologicamente lontani.
Più delicato il problema delle due ‘maniere’ in cui Stroński bipartisce il
canzoniere amoroso: alle bonas cansos, tipiche esaltazioni del servizio d’amore
e del mai appagato desiderio erotico, farebbero séguito le malas cansos, in cui
quel servizio e quel desiderio vengono rifiutati e l’amore stesso respinto 121. Ma
nello spazio lirico trobadorico queste rappresentazioni opposte e apparentemente
inconciliabili della fin’amor coesistono perfettamente: la frustrazione e
l’appagamento, la rassegnazione e la ribellione sono alcune delle varianti del
complesso sistema ricavabile dalle poesie dei trovatori, nel quale la centralità
della metafora amorosa consente una completa riformulazione del contesto cui si
fa riferimento. In questo senso la successione, se c’è, è logica più che
cronologica: lo ha detto benissimo Leo Spitzer a proposito dello sviluppo in
JfrRud del motivo dell’allontanamento: «luenh es lo castelh > amor de terra
lonhdana > amor de lonh, ce seraient trois étapes possibles (je ne veux pas
affirmer la succession chronologique des trois poésies qui contiennent ces
expressions!) de la gestation intérieure dans l’âme du poéte» 122. Fatte queste
121
Un’analisi delle due tipologie liriche è nel capitolo «Bona canso - mala canso. Zum
Abschiedslied der altprovenzalischen Lyrik» di D.Rieger 1976, pp. 303-18.
122
L. Spitzer, L’amour lontain de Jaufré Rudel et le sens de la poésie des troubadours
[1944], in Romanische Literaturstudien. 1936-1956, Tübingen, Niemeyer 1959, pp. 363-417,
alle pp. 394-95; applicabili al nostro caso le ancor più esplicite considerazioni di Guglielmo
Gorni, che, nel dichiarare il proprio «radicale agnosticismo [...] nei confronti di una
ricostruzione cronologica su basi stilistiche dell’esperienza guinizzelliana», afferma: «salvo
l’accertamento di circostanze storiche inoppugnabili, a mio avviso è anche metodologicamente
impropria ogni illazione diacronica sulle rime del Guinizzelli, presso il quale, come presso
ogni altro autore eclettico o polimorfo, convive un’ideale sincronia di registri, e per cui vale,
premesse, può essere posta in una luce diversa l’affermazione di AimPeg, che
nel polemizzare a distanza di tempo con i contenuti anti-amorosi di FqMars
155,10 (XII), su cui si veda infra il § 3.2.2.1.1, afferma in 10,40 (XL), 29-30:
«En lui par ver, qu’al comensar cantan / dis ben d’Amor, et al fenir mal gran».
Se è arbitrario voler distinguere nettamente due ‘maniere’ poetiche, come fa
Stroński che utilizza questi versi per dare sostegno alla sua tesi (cfr. p. 60*), è
invece verosimile che gli elementi anti-amorosi si siano innestati su un terreno
impregnato di ‘ortodossia’ amorosa e che insomma le malas cansos debbano, in
questo caso, seguire un certo numero di bonas cansos. Alcune considerazioni,
con conseguenze cronologiche, indirizzano in questo senso.
§ 1.3.2.1. Greu feira nuills hom faillenssa. FqMars 155,10 (XII) è una mala
canso in cui vengono espressamente citate due bonas cansos: nella cobla II si
legge infatti (vv. 14-17): «don, non aiatz mais crezenssa / qu’eu m’an, si cum
suoill, plaignen / ni moira oimais tant soven / en mas chansos...»; il richiamo è a
FqMars 155,14 (IV), 15-16 e 155,1 (V), 1 (cfr. Commento a FqMars 155,10
[XII], 15-17). Inoltre a questa mala canso ‘risponde’ PVid in 364,37 (XL), una
canzone dedicata a Barral di Marsiglia (morto alla fine del 1192) che dev’essere
posteriore al 1188-89, secondo la cronologia proposta da Avalle (cfr. infra §
3.2.1.2.4). La canzone folchettiana si può datare a qualche tempo prima della
replica vidaliana e probabilmente a non molta distanza dal 1188 e non oltre il
1192: proprio quest’ultimo sarebbe, secondo Stroński, l’anno di redazione in
quanto una canzone della ‘seconda maniera’ deve essere posteriore al 1190; in
particolare perché in FqMars 155,10 (XII) si registra un primo accenno a quel
riavvicinamento alla ‘prima maniera’ che culminerà in FqMars 155,11 (XIII),
databile, come s’è visto al § 1.3.1.9, dopo la morte di Barral. Inoltre il fatto che
la tornada riprenda «exactement» l’idea espressa in quella della canzone che la
precede nell’edizione Stroński, FqMars 155,16 (VIII), datata 1191-92, è per
l’editore sintomo di contiguità temporale. Di qui la proposta, a mio parere non
incontrovertibile, del 1192 come «date approximative» (cfr. pp. 73*-74*).
§ 1.3.2.2. Sitot me soi a tart apercebutz. FqMars 155,21 (VII) è, secondo
Stroński, la prima delle malas cansos e quindi databile al 1190 o all’anno
successivo: effettivamente, dichiarazioni come quelle ai vv. 13-16: «mas eu
m’en part e segrai altra via, / sos mal pagaz, qu’esters no m’en partria; / e segrai
l’aib de tot bon sufridor / que s’irais fort si com fort s’umelia» lasciano
intravedere un cambio di poetica; e, d’altro canto, un’affermazione come quella
riferita ad Amore ai vv. 6-7: «c’ab bel semblan m’a tengut en fadia / mais de dez
ans, a lei de mal deutor», senza volerne ricavare indicazioni troppo precise, può
essere recuperata in senso cronologico per situare la canzone agli inizi degli anni
’90. Il terminus ante quem può in questo caso essere indicato con una certa
almeno in teoria, la reversibilità delle esperienze» (Guido Guinizzelli e il Verbo d’Amore
[1976], in Il nodo della lingua e il Verbo d’Amore. Studi su Dante e altri duecentisti, Firenze,
Olschki 1981, pp. 23-45, a p. 27).
sicurezza: come si vedrà meglio al § 3.2.1.1, alle richieste contenute nelle sue
due tornadas rispondono PoChapt 375,20 (XII) e RmMir 406,21 (VIII): di
quest’ultimo è contrafactum metrico BtBorn 80,5 (XXXVI), un sirventese
databile con precisione al maggio 1194 123. Se il testo di RmMir va situato con
ogni verosimiglianza nello stesso 1194 o l’anno precedente (così Riquer 1975,
II, p. 988) e se la canzone di PoChapt «hubo de escribirse muy poco tiempo
después de la de Folquet» 124, la data del 1192-93 per il componimento
folchettiano dovrebbe essere verosimile.
1.3.3. Testi non databili.
Le altre poesie, ovvero le bonas cansos FqMars 155,18 (III), 155,6 (XVII) e
155,4 (XXII), la mala canso 155,16 (VIII), le altre canzoni d’amore di dubbia
attribuzione 155,9 (XV), 155,17 (XVI), 155,2 (XIX) e 155,13 (XX), il partimen
155,24 (XXIV), l’estribot 155,25 (XXV) e le composizioni religiose 155,26
(XXVI) e 155,19 (XXVII) non contengono elementi che consentano di datarle
anche solo relativamente 125: per molte di esse, tuttavia Stroński offre indicazioni
cronologiche fondate su ipotesi concatenate che fanno aumentare ad ogni
passaggio il grado di opinabilità del discorso.
§ 1.3.3.1. Chantan volgra mon fin cor descobrir. «Cette chanson n’offre
aucun point d’appui pour la datation»: così scrive Stroński a p. 71* di FqMars
155,6 (XVII); l’editore rileva comunque che la poesia appartiene alla ‘prima
maniera’ ed è anteriore ai testi che menzionano i senhals Azimans e Tostemps in
quanto «il est vrai qu’aucun envoi de cette chanson ne nous est parvenu 126 mais
il est à croire qu’un envoi portant ces noms caractéristiques ne se serait pas
égaré»; infine il testo è ritenuto successivo a FqMars 155,8 (XI, Stroński v),
datato 1187, per la presenza in entrambe del motivo del fuoco. La conclusione
non è, né potrebbe essere, perentoria: «Si la place de cette chanson est bien telle
que nous le supposons elle serait de 1188 environ».
§ 1.3.3.2. S’al cor plagues ben fora oimais sazos. FqMars 155,18 (III)
appartiene per Stroński al ciclo dei testi in cui vengono nominati due senhals
caratteristici di FqMars, e lo apre perché vi compare il solo Azimans (v. 55):
tuttavia che i componimenti che contengono i senhals debbano essere contigui è
123
Cfr. Gouiran 1985, II, pp. 695-97: si noti che i due sirventesi dedicati da BtBorn al
ritorno di Riccardo Cuor di Leone dalla prigionia, appunto 80,5 (XXXVI) e 80,8 (XXXV),
sono contrafacta di una canzone implicata in un dibattito con FqMars e di una canzone dello
stesso FqMars (cfr. supra § 1.3.1.8), peraltro oggetto di una ripresa quasi parodica di Palais
(cfr. infra § 3.2.1.2.2).
124
Riquer 1975, III, p. 1264.
125
L’alba religiosa 155,26 (XXVI) e il Bußlied 155,19 (XXVII), se composte da
Folchetto, potrebbero appartenere agli anni di monacazione del trovatore, 1195 ca.-1205.
126
L’editore ritiene infatti spurio quello tramandato da GLSV: cfr. infra la mia edizione.
di fatto indimostrato; vi si troverebbero inoltre accenni a motivi che verranno
sviluppati nelle canzoni successive: in particolare, la personificazione di
«Merces» al v. 31 anticiperebbe il dittico su Ragione e Mercé FqMars 155,14
(IV, Stroński viii) e 155,1 (V, Stroński ix); quest’ultima sarebbe inoltre anteriore
a FqMars 155,3 (VI, Stroński x), databile con precisione al luglio-agosto 1190
(vd. § 1.3.1.6), dove si registra un nuovo accenno a «merce» (v. 2): ne consegue
che le tre canzoni, tutte della ‘prima maniera’ risalirebbero nell’ordine al 1188,
1189, 1189-90, mentre quello che può dirsi con sicurezza è le ultime due,
155,14 e 155,1, devono precedere 155,10 (XII), come detto al § 1.3.2.1.
§ 1.3.3.3. Vermillon, clam vos faç d’un’ avol pega pemcha. L’estribot
FqMars 155,25 (XXV) contiene un’allusione a FqMars 155,14 (IV) e a questa
canzone dovrà essere di non molto tempo successivo: la data di Stroński, 118990, dipende da quella, come s’è visto poco fondata, della canzone IV.
§ 1.3.3.4. Tostemps, si vos sabetz d’amor. Il partimen con Tostemps
FqMars 155,24 (XXIV) è considerato della ‘prima maniera’ e posteriore alla
prima menzione del senhal in FqMars 155,14 (IV): di qui la datazione nello
stesso periodo della composizione precedente, 1189-90.
§ 1.3.3.5. Per Dieu, Amors, ben sabetz veramen. Appartiene invece alla
‘seconda maniera’ FqMars 155,16 (VIII), dodicesima poesia dell’ed. Stroński:
poiché condivide con FqMars 155,21 (VII) la struttura capfinida delle coblas e
la rima ura, Stroński mette in relazione le due canzoni e, ritenendo quest’ultima
la prima della ‘seconda maniera’ (cfr. § 1.3.2.2), data approssimativamente
FqMars 155,16 (VIII) al 1191-92.
§ 1.3.3.6. Per le altre poesie, FqMars 155,9 (XV), 155,17 (XVI), 155,2
(XIX), 155,13 (XX) e 155,4 (XXII), l’editore non propone alcuna data in quanto
sono classificate di dubbia attribuzione e in linea di massima ritenute estranee
alla produzione del trovatore: in effetti mancano completamente elementi di
datazione e potranno essere collocate in un qualunque momento della carriera
poetica folchettiana, all’interno (o al di fuori) degli estremi cronologici accertati:
1179-1195.
Riepilogando, risultano databili i componimenti:
155,5 (I)
155,22 (II)
155,23 (IX)
155,27 (X)
155,8 (XI)
155,3 (VI)
155,12 (XXIII)
155,14 (IV)
155,24 (XXIV)
155,1 (V)
1179-80
post 1179-ante 1187
1186 ?; comunque precede la canz. X
primi mesi del 1187
poco dopo la canz. X (1187)
luglio-agosto 1190
fra il 1190 e il 1192
ante canz. XII
poco dopo la canz. IV
ante canz. XII
155,10 (XII)
155,20 (XXI)
155,11 (XIII)
155,21 (VII)
155,7 (XIV)
155,15 (XVIII)
ante 1192 (probabilmente non molto prima il 1188)
fine 1192-primi giorni del 1193
post fine 1192 (forse ante 1195)
1192-93 (comunque ante maggio 1194)
fra aprile e luglio 1195
post luglio 1195-ante aprile 1196.
Postilla 2009
Le questioni attributive affrontate nel capitolo andrebbero ripensate alla luce
del Repertorio di Pulsoni 2001 (si vedano in partic. le pp. 2-3 sull’attribuzione
di FqMars 155,17 [XVI], qui al § 1.2.7; le pp. 26-27 sull’attribuzione di Perd
370,9, qui al § 1.2.5; le pp. 88-89 sull’attribuzione di FqMars 155,2 [XIX], qui
al § 1.2.8). Sull’attribuzione di FqMars 155,17 (XVI) si veda Zinelli 2003, pp.
523-26, che rilancia con nuovi argomenti l’ipotesi di Stroński. Sull’attribuzione
di FqMars 155,19 (XXVII) è intervenuto Di Girolamo 2005, pp. 396-97
valorizzando la tesi di Chambon. Segnalo inoltre che l’argomentazione di Poli
1997, pp. 114-17 in favore dell’attribuzione a AimBel di BdT 9,10 (qui al §
1.2.6), non ha convinto Asperti 1998, p. 202 n. 86, e che la ricostruzione della
sezione vidaliana nel ms. P (e S) in nota al § 1.1.1 è stata criticata da Zinelli
2003, p. 503, n. 6. Lo stesso Zinelli (p. 505, n. 8) segnala che la sequenza di testi
BgPal in f (9 15 5 .... 326,1), ricavata dalla tavola di Beretta Spampinato 1978,
pp. 53-54 e riprodotta nel § 1.1.2, è scorretta (il testo BdT 47,9 non è tràdito in
f), ma accetta la tesi di fondo lì proposta, accolta e generalizzata grazie alla
BEdT anche da Stefano Asperti (come esposto nel convegno internazionale La
tradizione della lirica nel medioevo romanzo. Problemi di filologia formale,
Firenze-Siena, 12-14 novembre 2009; la relazione è in corso di stampa negli
Atti).
CAPITOLO SECONDO
L’edizione
2.1. Tradizione manoscritta.
§ 2.1.1. L a t r a d i z i o n e d i r e t t a . Il mio lavoro ecdotico è fondato
sulla collazione di t u t t i i testimoni dei componimenti folchettiani: con poche
eccezioni le trascrizioni, effettuate su riproduzioni fotografiche e microfilm dei
mss. 1, sono state verificate sugli originali 2. Lo stesso non si può dire per
l’edizione Stroński: dalla p. VI dell’Avant-propos risulta che l’editore ha
collazionato direttamente soltanto i manoscritti conservati nelle biblioteche
fiorentine (FaJPQUac), alla Nazionale di Parigi (BCEIKMRTWf), all’Estense di
Modena (Da1) e all’Ambrosiana di Milano (G); ha utilizzato le edizioni
diplomatiche allora disponibili dei codici vaticani (AJO) 3 e del Chigiano (F) 4,
del canzoniere della Marciana di Venezia (V) 5 e del ms. dell’allora Königliche
Bibliothek di Berlino (N2) 6, mentre dell’allora inedito ms. vaticano L ha
visionato una riproduzione fotografica 7. Per il canzoniere già conservato a
Cheltenham (N, oggi a New York) e a Oxford (S) è dovuto ricorrere alle
trascrizioni di C. A. F. Mahn 8 e di Delius 1853; ha utilizzato infine «pour les
autres pièces une collation faite, sur les textes de Raynouard et de Mahn, par M.
Chaytor pour M. Jeanroy, qui a bien voulu me la communiquer» (p. VI),
collazione che non comprende le versioni contenute in N di FqMars 155,23 (IX)
e 155,8 (XI), che pertanto mancano nella sua edizione. Altre lacune nella
1
Eccetto il ms. VeAg, di cui ho visionato il microfilm conservato presso la biblioteca del
Dipartimento di Studi sul Medioevo e il Rinascimento dell’Università degli Studi di Firenze,
tutte le riproduzioni utilizzate sono custodite nella biblioteca del Dipartimento di Lingue e
letterature romanze (seminario di Filologia romanza e italiana) dell’Università degli Studi di
Pisa.
2
Le eccezioni riguardano codici ‘remoti’ come Kp (Copenaghen), N (New York), N 2
(Berlino), S (Oxford), VeAg (Barcellona), codici ‘riservati’ come IK, e il frammento A b,
peraltro egregiamente edito con fac-simile a fronte da Zufferey 1987, pp. 324-25.
3
A. Pakscher - C. De Lollis, Il canzoniere provenzale A (Cod. Vat. 5232), SFR, III
(1886-1891), pp. 1-670 e 721-22; P. Savj-Lopez, Il canzoniere provenzale J, SFR, IX (1903),
pp. 489-594; e De Lollis 1886 per il ms. O.
4
E. Stengel, Die provenzalische Blumenlese der Chigiana, Marbourg 1878.
5
Grüzmacher 1864.
6
Oggi Staatsbibliothek: A. Pillet, Die altprovenzalische Liederhandschrift N 2. (Cod.
Phillipps 1910 der Königkichen Bibliothek zu Berlin), ASnSL, CI (1898), pp. 111-140, 36589 e CII (1899), pp. 179-212.
7
L’edizione di Pelaez 1921 seguirà una decina d’anni dopo.
8
Non meglio specificate, ma certo quelle contenute in MG.
recensio sono state indicate da Kurt Lewent 9; ripropongo quell’elenco
aggiungendo ulteriori omissioni 10:
J 73 an. (V, 29-35); Kp 104v; V 84r - 1 248 (8-14);  86r (29-30);  224
11
(10-11) .
155,3 (VI)
Ab 88r - 3 412, 413-14 (1, 25-26);  648 (25-27).
155,5 (I)
 29453 (I, 1-10).
155,6 (XVII) Ab 88r (III, 19-27) - BdN 383 (28-31), 602 (19-24).
155,8 (XI)
N 58r.
155,10 (XII)
Kp 104r; W 200v an. (II, 10-18) - BdN 343 (1, 28-34).
155,11 (XIII)  31081 (39-40).
155,14 (IV)
O 33 an. -  29103 (II, 11-20); Regles 290-91 (9-10).
155,16 (VIII) Kp 105r; VeAg 71-72 -  31888 (10-11), 32316 (I, 1-8); 1 407 (VI, 4144);  39r (1-3, 8) , 62r (27-28), 63r (1-3).
155,17 (XVI) Ab 88v (1-41).
155,18 (III)
Kp 107v; V 85r -  29027 (II, 11-20); 3 215 (1).
12
155,19 (XXVII) Ol 25v; Pe 101v ·
155,21 (VII)
O 50 an.; VeAg 73-74; Y 1 (26-30).
155,22 (II)
O 56 an.; b 2 -  108.
155,23 (IX)
N 57r; S 37; b 6 -  297 (1-3), 302 (13), 303 (25-28);  32 (I, 1-12).
13
155,27 (X)
O 59 an.
155,1 (V)
Il contenuto del ms. Ab, reso noto nello stesso anno dell’edizione Stroński da
Parducci-Meyer 1910, è menzionato dall’editore nelle Additions et corrections
(p. 270) 14; i testi trobadorici del ms. Kp erano invece stati trascritti da Edmund
Stengel nel primo numero della «Zeitschrift» 15. Il ms. V non è utilizzato da
Stroński per le canzoni 155,18 (III) e 155,1 (V) perché Grüzmacher 1864 lo
9
Lewent 1912, coll. 330-31 (nella recensione si troveranno anche osservazioni sulle
edizioni diplomatiche non menzionate da Stroński).
10
Segnalo solo la carta (o il verso) in cui inizia la testimonianza; separo con un tratto la
tradizione diretta da quella indiretta; se il testo non è riportato integralmente, per la forma
frammentaria del supporto oppure per la natura stessa della testimonianza (citazione, strofa
isolata, testo di florilegio, ecc.) indico fra parentesi i versi trasmessi, preceduti
dall’indicazione dal numero della cobla quando è questa è tràdita integralmente; an. vale
‘testo anonimo’; indicazioni più precise sulla tradizione indiretta sono al § 2.1.3.
11
Inoltre l’incipit del testo conclude la quinta strofa della canzone à citations JfrFoixà
304,1 (I).
12
La data di scoperta dei testimoni giustifica in questo caso l’omissione di Stroński: Pe
nel 1912, Ol nel 1953.
13
Per quanto riguarda 370,9 Los mals d’Amor di Perdigon, incluso da Stroński fra i testi
dubbi (p. 101, n° XXVI), l’editore non utilizza i mss. N 205r e S 179r, oltre a  29776 (IV,
28-36).
14
Tuttavia, anche Parducci e Meyer, come risulta dalla Chronique di Rom, XXXIX
(1910), p. 414, ignorano che i frammento era stato già ‘scoperto’ da Renier 1895, che aveva a
sua volta ripreso le indicazioni di G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche
d’Italia, IV, Forlì 1894, p. 184.
15
E. Stengel, Studien über provenzalischen Liederhss. I. Die kopenhagner Sammlung
provenzalischer Lieder, ZrPh, I (1877), pp. 387-96; sottolinea l’omissione lo stesso Stengel
1911, col. 244 nel recensire l’ed. Stroński.
definisce «unleserlich» in quei punti: tuttavia i testi erano stati trascritti, pur con
qualche lacuna, da Vincenzo Crescini 16.
L’editore non segnala il fatto che una serie di incipit sono citati di séguito
alla vida nel ms. N2 22r-v, codice che menziona a p. VI. Altra imprecisione sta
nell’indicare costantemente con F quello che in realtà è un descriptus del ms.,
cioè Fa: una caduta intercorsa dopo la c. 22v in F ci ha conservato solo i vv. 1 e
31-39 di 155,18 (III), canzone che apre la sezione dedicata al trovatore nel
florilegio chigiano; per il v. 40 della canzone e per tutti gli altri testi bisogna
ricorrere al descriptus.
Ininfluente invece la mancata utilizzazione di  [= Vat. Barb. lat. 3986],
segnalato dalla BdT nella scheda del sirventese 155,15 (XVIII), perché si tratta
di un descriptus di K (per un testo di F): cfr. Zufferey 1987, pp. 10-11 e BdT, p.
XXXV; priva di conseguenze anche l’omissione di e 238 per 155,21 (VII), perché
deriva da U, come specificato nella Nota al testo della mia edizione.
§ 2.1.2. N o t e s u s i n g o l i t e s t i m o n i . Eccetto il primo paragrafo, in
cui s’intende giustificare l’introduzione di una nuova sigla per una
testimonianza, gli altri due vanno considerati semplici avvii di ricerca.
§ 2.1.2.1. I l c a n z o n i e r e d i B e r n a r t A m o r o s . La sigla ls sta a
indicare la testimonianza relativa ad alcuni testi provenienti dal perduto
canzoniere di Bernart Amoros, oggi noto attraverso una copia realizzata nel
1589 dall’amanuense francese Jacques Teissier de Tarascon per conto
dell’umanista fiorentino Pietro di Simon del Nero; all’epoca, l’antigrafo era
nelle mani di Leone Strozzi 17. La copia, siglata a da Bartsch, si presenta
smembrata in due parti: il ms. 2814 della Bibl. Riccardiana di Firenze e il ms. .
N. 8. 4: 11, 12, 13 della raccolta Càmpori (oggi nella Bibl. Estense di Modena
con la medesima segnatura). Inoltre, le cc. 160v-172r del ms. riccardiano
contengono le notizie preliminari su Bernart Amoros (le stesse che aprono il
codice), un certo numero di vidas, la formula introduttiva alla sezione delle
tenzoni e l’elenco dei poeti di cui si sono trascritti dei testi; questa parte è stata
vergata da un altro copista che secondo Stengel potrebbe essere Antonio
Martellino 18. Zufferey 1987 ha notato che le sigle di queste che non sono altro
16
Del canzoniere provenzale V (Marc. App. XI), AAL, s. IV, Rendiconti, t. VI/2 (1890),
pp. 39-49, riprodotto poi, col titolo Il canzoniere provenzale della Marciana, in V. C., Per gli
studi romanzi. Saggi e appunti, Padova, Draghi 1892, pp. 121-37 (155,18 alle pp. 134-35;
155,1 alle pp. 133-34).
17
Cfr. Bertoni 1911, curatore dell’edizione diplomatica, in partic. p. XXI.
18
Die beiden ältesten Provenzalischen Grammatiken Lo Donatz Proensals und Las
Rasos de Trobar nebst einem provenzalisch-italienischen Glossar von neuem getreu nach
den Hss. herausgegeben von E. Stengel, Marburg, Elwert 1878, p. IX: «Theil III der Hs. [scil.
ms. a] zeigt eine selbständige Blattzählung und besteht aus 40 weitläufig geschriebnen
Blättern. Die Schriftzüge scheinen dieselben zu sein, welche in einem Namens-Vermerk auf S.
166*** des ersten Theiles: Antonio Martellino vorliegen. Dies wird also der Name des
Schreibers von Theil III unserer Hs. sein. Desselben Schreibers Hand verdanken wir die
bereits erwähnten Copien von c und F (ca und Fa)».
che parti di un unico lavoro di copia separate per ragioni a noi ignote, non sono
univoche in tre importanti studi; riporto, con qualche ritocco, la tabella di
Zufferey 1987, p. 80:
Jeanroy 1916
cc. 1-132
Ricc. 2814
a1
a
cc. 160-72
Estense
a2
BdT
Favati 1961
a
a
aII
a"
a1
a'
Lo studioso ha proposto di ignorare la divisione in due sezioni e la sottodivisione del codice riccardiano e di utilizzare a come unica sigla. Tuttavia
esistono, oltre a quelli copiati dal Teissier e dall’anonimo copista dell’ultima
parte del riccardiano, 38 testi che ci sono noti attraverso le note interlineari
apposte da Pietro del Nero a due manoscritti di sua proprietà, Fa (un descriptus
di F, già appartenuto al Gaddi), e ca (un descriptus di c, già posseduto
dall’Adriani, in epoca moderna ceduto da Pietro Fanfani a Edmund Stengel e
quindi donato all’Università di Lovanio, dove un incendio l’ha distrutto nel
maggio 1940: cfr. Avalle-Leonardi 1993, p. 206). Non avendo notizie dirette,
non si possono fare che ipotesi sui motivi che hanno indotto la collazione.
Secondo la ricostruzione di Bertoni 1911, l’umanista avrebbe avuto la possibilità
di visionare l’originale del canzoniere di Bernart Amoros e quindi di
collazionare le 38 poesie prima di affidare al Teissier l’incarico di copiarlo
integralmente 19; al contrario, e indipendentemente da Bertoni, Santorre
Debenedetti ha ipotizzato che Piero abbia disposto che venissero tralasciati i
testi che si ritrovavano nei suoi due manoscritti o che risultavano illeggibili e
che, a copia ultimata, avesse collazionato le varianti delle suddette poesie 20.
L’essenziale non sta nell’individuare la successione cronologica esatta,
quanto nel riconoscere il particolare statuto del testimone in questione; non
credo sia corretta l’assimilazione, non dichiarata sebbene implicita nel lavoro di
Zufferey, delle varianti di ca alla copia del canzoniere di Bernart Amoros, non
tanto perché differisce il copista, quanto per il procedimento stesso di copia.
Realizzare una copia sistematica di un testo non è equivalente a considerarne
semplicemente le varianti rispetto ad un testo simile. In quest’ultimo caso si
deve ipotizzare che la lezione di ca coincida con quella dell’antigrafo ogni qual
volta non sia esplicitamente indicata una variante; inoltre il forzoso ricorso
all’edizione diplomatica di Edmund Stengel 21, unico testimone di ca, costituisce
un ulteriore filtro interposto fra noi e l’originale del canzoniere di Bernart
Amoros. Ancora meno corretta sarebbe l’assimilazione al ms. ca, il cui testo
19
Bertoni 1911, p. XXI; concordano con lo studioso Stroński (a p. 116*) e Jeanroy 1916,
p. 22.
20
Debenedetti 1995 [1911], p. 274.
Pubblicata a puntate col titolo Le chansonnier de Bernart Amoros nella RLR, XLI
(1898), pp. 349-80; XLII (1899), pp. 5-43, 305-44, 500-508; XLIII (1900), pp. 198-214;
XLIV (1901), pp. 213-44, 328-41, 423-42, 514-20; XLV (1902), pp. 44-64, 120-51, 211-75.
21
costituisce semplicemente la base d’innesto delle varianti. Di qui la necessità di
indicare con un’altra sigla la testimonianza costituita dalle varianti interlineari in
ca; alcune delle soluzioni proposte dagli editori dei componimenti conservati nel
testimone non paiono soddisfacenti: Avalle 1960 sigla ca, Kolsen 1910-35 sigla
c’, e così Sharman 1989, ma solo per due poesie su quattro: per le altre due,
GrBorn 242,59 (XXVI) e 242,1 (XVIII), utilizza semplicemente la sigla c;
quest’ultima è adottata, senza alcuna specificazione, dagli editori di ArnDan e di
Peirol. I più corretti sono in sostanza proprio Stroński, che nella scheda dei mss.
utilizza la sigla a(var. ca) sebbene in apparato adotti semplicemente la sigla a, e
Cavaliere 1938 nell’ed. di PRmToul, che sigla un po’ macchinosamente aI St (a’ St
in apparato) per distinguere la testimonianza da aI B, cioè dal canzoniere di
Bernart Amoros nella copia di Teissier (St sta evidentemente per Stengel, B per
Bertoni).
La scelta di una sigla doppia, ls (scil. Leone Strozzi, o Libro Strozzi), deriva
dalla necessità di sottolineare la sostanziale diversità della testimonianza rispetto
a quella usuale dei canzonieri e la giustificazione storica di essere simile a quella
(L.S.) utilizzata dallo stesso Pietro di Simon del Nero per indicare la
provenienza delle sue chiose 22. Nella mia edizione cito i testi provenienti da ca
con il numero assegnato ad ogni testo da Stengel nella sua edizione diplomatica.
L’ordine dei testi di Folchetto nel manoscritto è stato ricostruito da Stroński
in base a un elenco di poesie trobadoriche annessa al frammento di un ulteriore
descriptus di c scoperto da Pio Rajna alla Bibl. Nazionale di Firenze 23; la grafia
della tavola corrisponde a quella delle liriche risultanti dalle note interlineari di
ca, per cui l’editore conclude: «Il est donc certain que cette table nous offre la
suite (avec l’indication des pages) des chansons de Folquet dans le ms. a, c’està-dire dans l’original du chansonnier de Bernart Amoros» (p. 116 in nota).
§ 2.1.2.2. U n a p o s t i l l a d e l m s . d i O x f o r d . Nel ms. S (c. 29) i
vv. 9-12 di FqMars 155,3 (VI) «are bracketed to right and marked with No.
Then the copyist has added this gloss: cato nô mnor ê ût»: così l’editore del
canzoniere di Oxford, William P. Shepard 24. È necessario fare alcune
precisazioni su questa e le altre glosse del codice. Innanzitutto, l’espressione
«the copyist» può indurre a credere che la glossa sia opera dell’estensore del ms.
mentre è l’editore stesso a distinguere (Introduction, pp. VIII-IX) il copista veneto
di fine Duecento dal glossatore, anch’esso «evidently [...] an Italian» (lo
conferma Folena 1990, pp. 17-18); non mi pare invece condivisibile la
collocazione cronologica della mano del glossatore, definita «still later» di
22
Cfr. per es. RLR, LXIII (1900), p. 198, ma la sigla è assai diffusa.
È un ms. cartaceo del sec. XVI, segnato Magl. Pal. 1198 e siglato c b da Jeanroy 1916,
p. 22; l’elenco, limitato ai testi di Folchetto, è riportato da Stroński a p. 115*, n. 1; a ogni
incipit segue un numero compreso fra 230 e 234.
24
The Oxford Provençal Chansonnier. Diplomatic edition of the manuscript of the
Bodleian Library Douce 269 with introduction and appendices, NewYork, Princeton U. P. Paris, Les Presses Universitaires de France 1927, p. 27, n. 2.
23
quella, quattrocentesca secondo l’editore, che alle cc. 104, 109, 206 e 223 del
ms. «has either supplied a few lines left blank in the original, or has inserted on
the margin a verse omitted» (p. IX): la grafia del glossatore mi sembra invece
piuttosto vicina a quella del copista del canzoniere, quindi non più che
trecentesca. Molto affrettata è infine l’asserzione che tali glosse siano «of no
importance in themselves» (p. VIII): una più corretta trascrizione dell’ultimo
termine della glossa in questione: uit) consente in primo luogo lo scioglimento
v(ir)t(us) e soprattutto l’interpretazione della seconda parte della glossa che,
minimamente integrata, aquista un senso: no(n) m[i]nor e(st) v(ir)t(us), e una
fonte: Ars Amandi, II, 13: «nec minor est virtus, quam quaerere, parta tueri».
Quanto all’enigmatico cato è Stroński, che già aveva indicato nel passo ovidiano
appena citato la fonte dei versi folchettiani (cfr. p. 79*), a fornire la chiave per
l’identificazione: il v. 33 dei Monosticha, una raccolta di proverbi ispirati ai
Disticha Catonis, recita infatti: «Acrius appetimus nova quam iam parta
tenemus» 25.
§ 2.1.2.3. I l ‘ f r a m m e n t o ’ Y . Sono così denominate le prime 3 cc. del
ms. fr. 795 della Nazionale di Parigi, contenente, dal secondo fascicolo in poi,
due testi epici in lingua d’oïl: tramanda a c. 1v una parte (vv. 26-30) della cobla
IV di FqMars 155,21 (VII); il testimone è nel complesso poco studiato 26 e
meriterebbe maggiore attenzione. In via provvisoria, nel rilevare che per il testo
folchettiano si riscontra un rapporto fra Y e i florilegi D c e Fa 27, noto che il ms.
ha in un certo senso la struttura di un florilegio centrato su testi di Peire
Cardenal. Questo in sintesi il contenuto (i testi sono tutti privi di rubrica
attributiva): una prima mano trascrive ordinatamente sulla c. 1r [1] la prima
cobla (vv. 1-8) di PCard 335,57 (LXXV), [2] i primi 4 vv. di PCard 335,62
(LXXVIII) e [3] i vv. 5-7 di PCard 335,66 (XXXV), senza soluzione di
continuità (ma una croce è segnata sul marg. sn. a dividere [1] da [2]); dopo un
rigo bianco [4] le prime due coblas (vv. 1-16) di PCard 335,5 (XLIV); quindi
sulla col. b [6] una cobla (vv. 25-36) di PCard 335,25 (XVII). La stessa mano,
ma con scrittura più corsiva, aggiunge [5] una cobla (vv. 41-48) a PCard 335,5
[=4] e verga [7] il primo verso e metà del secondo di PCard 335,62 [=2],
arrestandosi appena notata la coincidenza (le differenze grafiche fra [2] Tont le
mond ez uestic & en braxaz. De fauz engan... e [7] Tout le mond est uesiç &
25
Cito da Poetae Latini minores, recensuit et emendavit Aemilius Baehrens, III, Leipzig,
Teubner 1881, pp. 236-40, a p. 238: indicato da Stroński fra le fonti del passo folchettiano, il
verso viene fatto risalire ai Disticha Catonis; si aggiunga, sempre su indicazione di Stroński,
Publilio Siro: «Fortunam citius reperias quam retineas».
26
Lo studio più completo è quello di Frank 1952b, da cui dipende la descrizione di
Raupach-Raupach 1979, pp. 80-82; un accenno in Gröber 1877, p. 636; cfr. anche S.
Vatteroni, Fragments of Provençal Lyrical Manuscripts: A Bibliography, Ten, XII (1996),
pp. 14-30, a p. 17.
27
I tre testimoni tramandano solo la cobla IV e hanno in comune alcune lezioni (28 neis
con DcFa e PSI e car pot esser, con DcFa e PS, 30 ni, con DcFa e PSMO’); per altre
indicazioni cfr. infra la Nota al testo alla mia edizione.
embragaç. De fals engan indicano chiaramente un cambio di fonte); una
seconda mano aggiunge [8] alla fine della col. b sempre di c. 1r i vv. 17-18, 1113 e 15-16 di PCard 355,57 [=1] e, sulla col. a di c. 1v [9] la seconda strofa
lacunosa (vv. 8-9, 11-14) della cobla dobla PCard 335,59 (XC). Quindi la prima
mano, l’unica attiva da qui in poi, trascrive [10] i vv. 49-50, 4-6, 8 e 24 del
sirventese RmCast 396,6 (Lavaud 1957, p. 388, fra le poesie di PCard col n°
LX), che i mss. DbMT dànno a PCard, [11] i vv. folchettiani, [12] i vv. 1-8 della
cobla RmRouss 395,1 (Lavaud 1957, p. 598), tràdita anche da FP, e da T fra le
poesie di PCard (cfr. BdT, n° 461,182), e due unica di Y [13] 461,64 e [14]
461,235 (Appel 1890, pp. 321 e 331); la c. 2r-v è occupata dalla versione
integrale di [15] FqRom 156,10 (IX) e [16] Pist 372,3 (IX); infine, dopo «un des
intermèdes métriques du “Tristan” en prose» (Frank 1952b, p. 87, n. 49) a c. 3r,
si leggono (parzialmente per un taglio della pergamena) [17] 5 coblas unica di Y
tutte schedate dalla BdT al n° 461,251a (edite da Frank 1950, p. 75) e altre due
tornadas di testi di PCard già trascritti sopra, [18] la prima (vv. 57-60) di 335,25
[=6] e [19] l’unica (vv. 36-38) di 335,66 [=3] 28: da un esame sommario della
tradizione dei testi emerge in primo luogo il rapporto di successione fra il
frammento folchettiano e la cobla [12], anch’essa tràdita in F e nella sezione
delle coblas esparsas di P, oltre che in T; in secondo luogo la vicinanza di Y a
M, come risulta dall’esame della tradizione di PCard 335,66 e 335,5 [3-4], gli
unici testi di Y editi sinora da Sergio Vatteroni 29: cfr. inoltre, in FqMars 155,21
(VII), la lezione 26 fa(i) desmezura che Y condivide con Mf e il già analizzato
v. 30.
§ 2.1.3. L a t r a d i z i o n e i n d i r e t t a . Indico in successione: l’opera cui
si riferisce la sigla, edizione adoperata, eventuali altre edizioni da confrontare
e/o altre note sul testo, testi folchettiani citati.

1
3
28
Breviari d’Amor di Matfre Ermengaud; cito da Richter 1976, pp. 243-53 (cfr.
Ricketts 1976 e l’ed. completa del Breviari di Azaïs 1862-81): vv. 28181-88:
155,21 (VII), 33-40; vv. 28195-202: 155,21 (VII), 9-16; vv. 28217-24: 155,16
(VIII), 9-16; vv. 29027-36: 155,18 (III), 11-20; vv. 29087-94: 155,21 (VII), 2532; vv. 29103-12: 155,14 (IV), 11-20; vv. 29453-62: 155,5 (I), 1-10; vv. 3108182: 155,11 (XIII), 39-40; vv. 31888-89: 155,16 (VIII), 10-11; vv. 32316-23:
155,16 (VIII), 1-8; vv. 33514**-33514***: 155,1 (V), 34-35.
So fo e·l temps qu’om era gais di Raimon Vidal de Besalú; cito da Field 1989-91:
vv. 248-54 (mss. LNR): 155,1 (V), 8-14; vv. 407-10 (mss. LNRr): 155,16 (VIII),
41-44; vv. 906-907, 958-61 (ms. R): 155,3 (VI), 23-24, 9-12.
Razos de trobar di Raimon Vidal de Besalú; cito da Marshall 1972: r. 215 (vers.
CL): 155,18 (III), 1; rr. 412, 413-14 (vers. B) = rr. 238-39, 240-41 (vers. H) = rr.
380-81, 382-83 (vers. CL): FqMars 155,3 (VI), 1, 25-26. Inoltre nel trattato è
L’analisi delle mani e la numerazione dei testi è derivata da Frank 1952b.
Cfr. rispett. Vatteroni 1993, p. 126 e Vatteroni 1995, p. 180: in PCard 335,66 MY sono
inseriti in un ramo isolato dello stemma (cfr. p. 128); in PCard 335,5 MY tramandano una
cobla supplementare che Vatteroni pubblica in appendice, a p. 190; si noti poi che tutti i testi
di Cardenal di Y sono tramandati in M, tranne [9] PCard 335,59, che tuttavia è aggiunta dalla
seconda delle due mani attive nel ms.
29
falsamente attribuita a FqMars una citazione tratta da GcFaid 167,18 (LXII): rr.
444-47 (vers. CL).

Documenti d’Amore di Francesco da Barberino; cito dall’edizione di F. Egidi
(Roma, Società Filologica Romana 1902-27, 4 voll.) ricontrollata sul ms.: c. 39r:
155,16 (VIII), 1-3, 8; c. 62r: 155,16 (VIII), 27-28; c. 63r: 155,16 (VIII), 41, 1-3;
c. 86r: 155,1 (V), 29-30. A quest’ultima citazione segue: et accedit illud aquel
serven ai per leials driz [da intendere: druz] et feels ch [esp.] qua donna honor
manten aquel es fols uils et quoars que mai desira qua donna conuen e mais e
traitres ueramen qui non ben sap li don cobrir que ricepet et peis mentir,
citazione non identificata.

Dell’Origine della Poesia rimata di Giovanni Maria Barbieri; cito da V. De
Bartholomaeis, Le carte di Giovanni Maria Barbieri nell’Archiginnasio di
Bologna, Bologna, Cappelli 1927: p. 32: 155,23 (IX), 1-12; pp. 108-10: 155,22
(II), tutto il testo.

Doctrina d’acort di Terramagnino da Pisa; cito da Marshall 1972 (e cfr.
Ruffinatto 1968): rr. 224-25: 155,1 (V), 10-11; rr. 297-99, 302, 303: 155,23 (IX),
1-3, 13, 25-28; rr. 648-50: 155,3 (VI), 25-27. Inoltre nel trattato sono falsamente
attribuite a FqMars alcune citazioni tratte da GcFaid 167,12 (XXXIII): rr. 57178; 167,18 (LXII): rr. 579-82 [e cfr. 3]; 167,51 (VII): rr. 583-86; e da Perd
370,13 (IV): rr. 624-28.
BdN
Mirall de trobar di Berenguer de Noya; cito da Palumbo 1955: vv. 343, 345-51:
155,10 (XII), 1, 28-34; vv. 381, 383-86: 155,6 (XVII), 1, 28-29; vv. 600, 602607: ancora in 155,6 (XVII), 1, 19-20, 22-24.
JSJ
Cant vey li temps camgar e·mbrunusir [= Passio amoris secundum Ovidium];
cito da Riquer 1955, p. 196 (n° XVIII): vv. 95-96: 155,5 (I), 1-2.
Regles Regles de trobar di Jaufre de Foixà; cito da Marshall 1972: rr. 290-91 (vers. H) =
rr. 200-201 (vers. R): FqMars 155,14 (IV), 9-10.
2.2. Criteri di edizione 30.
È un problema ben noto dell’ecdotica romanza che la tradizione manoscritta
trobadorica sia difficilmente razionalizzabile attraverso gli strumenti ecdotici
lachmanniani: a fronte della rarità, e comunque dell’insufficenza, di lezioni di
cui sia postulabile con un certo margine di sicurezza l’erroneità 31, si riscontra
una grande abbondanza di varianti adiafore. La tradizione manoscritta
folchettiana non fa certo eccezione: minimi gli errori, per la maggior parte
30
Rispetto ai Criteri anticipati in Squillacioti 1993, pp. 593-96, molte e sostanziali sono
le differenze, ferma restando l’opzione per un ‘restauro conservativo’ della tradizione
manoscritta: quell’ipotesi era però fondata su soli cinque componimenti pluriattestati, FqMars
155,5 (I), 155,8 (XI), 155,22 (II), 155,23 (IX), 155,27 (X), e comunque già allora si
affacciava la possibilità (a p. 596) che nuovi elementi avrebbero potuto, com’è stato,
modificare l’impostazione del lavoro.
31
Scrive Varvaro 1970, p. 94: «In campo romanzo [...] accade frequentemente che si
debba constatare il presentarsi di tre circostanze: 1) relativa abbondanza di errori separativi;
2) relativa rarità di errori congiuntivi a livello di archetipo o di iparchetipi e soprattutto debole
grado della loro forza congiuntiva; 3) contraddittorietà degli indizi» (cfr. anche le pp. 86-87);
per il dominio occitanico può essere ancora più drastico Perugi 1990, pp. 525-26: «Nella
pratica generalmente osservata sinora in filologia provenzale gli stemmi tradizionali non
funzionano, e non solo per la loro natura più o meno bifida, ma soprattutto per l’inconsistenza
del concetto di ‘errore’ tradizionalmente impiegato».
limitati ai piani bassi del canone descritto da Avalle, che quindi finiscono per
raggruppare solo i mss. di cui è vulgatissima la consaguineità; molto diffuse le
varianti adiafore, spesso sinonimiche e difficilmente gerarchizzabili con l’ausilio
di concetti come quello di lectio difficilior e usus scribendi; marcatissima la
contaminazione che rende difficoltosi, e spesso vanifica, gli sforzi ricostruttivi.
Ciò nonostante, è in direzione ricostruttiva che si svolge la prassi ecdotica di
Stroński: il metodo utilizzato si richiama a quello lachmanniano, senza tuttavia
rispettarne i presupposti indispensabili. Non che i risultati della critica di
Stroński siano del tutto inutilizzabili 32: scorretto, in prospettiva lachmanniana, è
il loro raggiungimento, fondato com’è su una mescolanza di errori, varianti
adiafore, lezioni buone, grafie ritenute inusuali; equivoca la loro sistemazione
grafica, lo stemma codicum, perché dà la falsa impressione che si possano
effettuare scelte meccaniche; arbitraria la ricaduta editoriale di tale
rappresentazione, il testo ricostruito, perché quelle scelte meccaniche di fatto si
effettuano.
Una razionalizzazione della tradizione s’impone comunque: gli studi ecdotici
non mancano, e tuttavia non sono molti quelli che contengono indicazioni
operative esplicite. Fra questi si segnala il saggio sulla Critica dei testi classica e
romanza di Alberto Varvaro: la tradizione manoscritta folchettiana si situa fra le
eventualità (a) e (b) distinte nel § 10 Codex optimus e manoscritto di base:
a) può darsi che la tradizione sia così profondamente contaminata da escludere la
possibilità di ricostruire l’archetipo, oppure che la tradizione comporti una tale incidenza
di interventi attivi (ed es., ma non esclusivamente, a causa di tramiti orali) da rendere vani
i concetti stessi di stemma ed archetipo. Non ci rimarrà allora che da stampare uno o più o
al limite tutti i testimoni, limitando il nostro intervento ad una parca e prudente
utilizzazione dei passi paralleli per sanare le corruttele intollerabili. [...].
b) se lo studio della tradizione permette di fissare i rapporti reciproci fra i testimoni
senza però mostrare una tale omogeneità fra di loro od offrire tali indizi da guidare con
sicurezza nella ricostruzione dell’archetipo (o dell’autografo), converrà scegliere come
base il ms. più autorevole dal punto di vista della competenza, intervenendo sul piano
della plausibilità ogni volta che la situazione lo imponga. Accadrà dunque che nel caso di
varianti equipollenti la preferenza andrà sempre al ms. di base; perché prevalga la lezione
degli altri mss. sarà necessaria la presenza di espliciti indizi contro la lezione del ms. di
33
base .
Come si vede, le indicazioni operative di Varvaro coprono un vasto spettro
di possibilità e di tipologie testuali: la specificità della tradizione e della
trasmissione della lirica trobadorica, e di quella folchettiana in particolare,
suggeriscono di adattarle a un procedimento che sulla scorta delle riflessioni
metodologiche di Cesare Segre 34 chiamo di r e s t a u r o c o n s e r v a t i v o
32
Si vedrà più oltre quanto e in che modo potranno essere recuperati.
Varvaro 1970, p. 107 (cfr. p. 96 per i concetti di competenza e plausibilità).
In particolare Metodologia dell’edizione dei testi, in Due lezioni di ecdotica, Pisa,
Scuola Normale Superiore 1991, pp. 7-32, alle pp. 30-32 (ora in Segre 1998, pp. 41-53, alle
pp. 52-53); ma si veda anche Segre 1976. Sul rapporto fra critica del testo e restauro cfr. R.
Antonelli, Interpretazione e critica del testo, in LIE, IV (L’interpretazione), Torino 1985, pp.
141-243, a p. 203, n. 91.
33
34
della tradizione manoscritta e che possa dar conto delle zone di più marcata
oscillazione della lezione del testo. Fatta l’ovvia eccezione dei componimenti a
tradizione unica e di quelli a tradizione ridotta (2-3 mss.), che presentano
problemi diversi di cui si dà conto nella Nota al testo delle singole edizioni, ed
anche del planh FqMars 155,20 (XXI), per il quale è possibile, con il vaglio di
errori quasi tutti di natura metrica, tracciare uno stemma codicum e ricostruire
un testo 35, a guidare tale restauro è negli altri casi una classificazione delle
lezioni indifferenti principali, organizzate in una t a b e l l a d e l l e v a r i a n t i
a d i a f o r e che le raccoglie insieme con i relatori. In dettaglio, va specificato
che:
i) con ‘lezioni indifferenti principali’ indico quelle varianti adiafore
attestate normalmente da 2, 3 o 4 gruppi di codici, ciascuno, o una buona
parte dei quali, costituito da un numero significativo di testimoni: la
classificazione di tutte le adiafore, anche quelle singulares o quelle limitate a
un numero ristretto di mss., sarebbe stata certo utile, ma del tutto
antieconomica;
ii) i testimoni di tali lezioni non vengono indicati, come negli apparati, in
ordine alfabetico, ma disposti in un ordine tale da evidenziare i rapporti
reciproci, e mostrare così la presenza di raggruppamenti di mss.;
iii) oltre che alla selezione di cui al punto (i), i dati presentati nella
tabella, sono quindi sottoposti ad un’analisi preliminare: di qui la
suddivisione della tabella in fasce orizzontali, individuate da lettere
maiuscole, in dipendenza dalla particolare conformazione della tradizione; la
situazione ideale di un’unica fascia orizzontale che raccolga tutte le lezioni
significative e quindi mostri nette divisioni della tradizione non si verifica
nel caso di FqMars (si vedano tuttavia le tabelle delle canzoni FqMars
155,18 [III] e 155,6 [XVII] dove la fascia B è assai ridotta rispetto alla fascia
A);
iv) un’ulteriore selezione riguarda la lezione: un asterisco segnala la sua
non omogeneità sostanziale nei relatori (ma le differenze non sono mai tali
da non permettere di riconoscerla) e presuppone un rimando all’apparato; a
questo si dovrà ricorrere per le varianti grafiche, fonetiche o morfologiche
della lezione indicata;
v) per ragioni pratiche si è limitata sempre a due lezioni concorrenti
l’indicazione completa di relatori e lezione: eventuali altre lezioni sono
raccolte in una terza colonna contenente solo i relatori, mentre le indicazioni
complete sono relegate in un’apposita fascia in calce alla tabella;
vi) questa fascia è preceduta da sintetiche indicazioni sulla tradizione
manoscritta (relatori incompleti, lacunosi, omissioni eventuali delle tornadas
ecc.) in modo da facilitare la consultazione;
35
Tale particolarità del planh potrà essere messa in relazione con la sua estravaganza
rispetto ai canali di alimentazione della tradizione folchettiana descritti al § 1.1.2.
vii) qualora un verso del componimento contenga più di una lezione
classificata nella tabella aggiungo una lettera minuscola all’indicazione
numerica del verso;
viii) esemplifico per concludere il ‘funzionamento’ della tabella
mostrando il rapporto fra i primi tre righi della fascia B della tabella di
FqMars 155,5 (I) e le rispettive indicazioni dell’apparato:
1
3
10a
10b
AB IK
LNc
AB IK
N
AB IKPS O
Q
CE TV
CE RTV
R
2
per ques taing *
uol
aizir
3
D PSG M
Q R
per quem platz Ols
D PSG M Ols L c Q
uolc
G M ls LNc
CE TV assir
D
Terza colonna: 3 Ols per ques dreitz. 10b D aussir.
Si confronti l’apparato:
3 que·s] que ques IK, quem DGMPQRS; taing] plaz DGMPQRS, dreigz Ols.
3 qeis AB; tanh CE, tainh V, tang Nc, taign T, plaç Q.
10 volc] vol ABCEIKNRTV; aizir] assir CEGLMNTVcls, aussir D.
10 uolg c; aissir IKOPS, aisir Q, ayzir R, assir da affir G.
L’asterisco nella prima casella del v. 3 implica un rimando all’apparato
da cui si apprende che IK leggono per que ques taing, ma anche in questa
forma la lezione è pienamente assimilabile a quella indicata nella tabella; non
ho invece segnalato la correzione in G 10 affir > assir, perché la lezione
corretta è un evidente errore del copista, ininfluente ai fini della
classificazione della lezione. E sono state omesse, come detto, le varianti
grafiche.
Un
primo
risultato
dell’elaborazione
delle
tabelle
consiste
nell’individuazione di un certo numero di v e r s i o n i del testo, che, secondo la
chiara formulazione continiana, «non è lecito mescolare»; ho inteso quindi
seguire l’indicazione conseguente: «Quando la recensione della tradizione
manoscritta mette in luce solo opposizioni di varianti adiafore, sono da
riconoscere più redazioni (di autore o no), che devono formare oggetto di
altrettante edizioni» 36. Il secondo e più problematico passo è quello di
‘gerarchizzare’ tali versioni, in modo da privilegiare quella di cui si può, caso
per caso e sempre con cautela, predicare la superiorità: la versione o le versioni
alternative vengono edite in apparato o nella Nota al testo, le lezioni divergenti
da quelle della versione messa a testo vengono marcate in grassetto.
Gli strumenti per operare la gerarchizzazione, dovendo fare a meno di scelte
meccaniche, possono essere indicati attraverso un vaglio delle cause che hanno
determinato la situazione sopra descritta: alla proliferazione delle varianti
potrebbe aver in qualche misura contribuito lo stesso dettato poetico
36
Contini 1977, pp. 7-8.
folchettiano, le cui difficoltà sono prevalentemente d’ordine sintattico, mentre
risultano assenti particolari asperità lessicali; le cause generali del fenomeno
sono tuttavia di più ampia portata. Il quadro è sinteticamente fotografato da
István Frank:
La tradition que constituent les chansonniers lyriques du Moyen Age apparaît pour
qui veut établir un stemma, comme grevée de tous les éléments de trouble: [1] original
multiple (réel, virtuel ou possible), [2] variations et contaminations surgies de la
transmission orale, [3] contaminations dues à l’utilisation par les copistes de plusieurs
sources divergentes, [4] l’existence, enfin, dans les chansonniers mêmes, d’éditions
résultant d’un travail réfléchi, usant de la conjecture. Que nous sommes loin de la
37
trasmission mécanique qui garantit l’efficacité du stemma!
Sintetizzando ulteriormente, gli elementi che turbano la trasmissione
verticale sarebbero [1] la presenza di varianti d’autore, [2] la trasmissione orale,
[3] la contaminazione e [4] gli interventi di copisti-rifacitori. In dettaglio.
[1] Nello specifico della tradizione trobadorica le varianti d’autore sono state
individuate quasi soltanto nelle tornadas 38: anche nel corpus folchettiano sono
ipotizzabili simili situazioni 39. Non si può inoltre escludere che la variazione
testuale sia dovuta anche a un intervento d’autore, ma è non facile dimostrarlo; è
certamente più agevole escluderlo quando si verifica che una redazione isolabile
nella tradizione manoscritta mostra di semplificare i costrutti, appianare le
difficoltà, banalizzare i concetti.
[2] Un primo aspetto della trasmissione orale è quello della contaminazione
mnemonica del processo di copia: senza entrare in una questione assai dibattuta,
mi limito a ricordare con Contini che quest’aspetto non muta la sostanza del
processo di trasmissione, aumentando soltanto la quantità degli interventi e le
difficoltà nella ricostruzione 40. Ma è totalmente mnemonica la trasmissione cui
pensa Martín de Riquer nell’introduzione a Los trovadores nel discutere delle
frequenti alterazioni dell’ordine strofico41. Anche Cesare Segre ritiene
37
I. Frank, De l’art d’éditer les textes lyriques, in Recueil de travaux offert à M. Clovis
Brunel, Paris, Société de l’École des Chartes 1955, I, pp. 463-75, alle pp. 472-73; il saggio
contiene (alle pp. 473-75) delle eclettiche indicazioni operative che tuttavia pur
presupponendo la conciliazione della «méthode combinatoire» (ossia la critica lachmanniana)
con quella «sélective» (o bédieriana), nella pratica editoriale (ho presenti le edizioni di testi
folchettiani contenute in Frank 1952) si riduce di fatto alla riproduzione di un ms. di base non
sempre emendato dagli errori né dalle «leçons (valables) isolées du manuscrit de base, surtout
si elles sont contredites par des témoins qui lui sont étroitement apparentés» (p. 473, n. 1);
l’eclettismo di Frank è sottolineato da A. Stussi nell’Introduzione ai Fondamenti di critica
testuale, Bologna, il Mulino 1998, p. 26, n. 35 (1 a ed. 1985; e cfr. Introduzione agli studi di
filologia italiana, Bologna, il Mulino 1994, p. 293, n. 14).
38
Basti un rimando a Avalle-Leonardi 1993, pp. 43-50.
39
Cfr. FqMars 155,5 (I) e 155,23 (IX).
40
Cfr. G. Contini, La critica testuale come studio di strutture [1967], in Contini 1986,
pp. 135-48, alle pp. 146-47); altra e più sintetica formulazione in Contini 1977, p. 32.
41
Riquer 1975, I, p. 18: l’argomento è stato ripreso e sviluppato da Amelia E. Van Vleck,
Memory and Re-Creation in Troubadour Lyrique, Berkeley - Los Angeles - Oxford,
University of California Press 1991; cfr. anche Zumthor 1987, che a riprova della consistenza
«verosimile la possibilità di contaminazioni fra tradizione scritta e tradizione
orale per le canzoni dei trovatori (o per quelle degli italiani, dai siciliani agli
stilnovisti), che possono bene essere state memorizzate dai giullari esecutori ed
anche da amatori di poesia e copisti professionali, favoriti in più dalla musica»;
ma aggiunge: «Tuttavia, che io sappia, a questa eventualità i provenzalisti non
hanno dato molto spazio; comunque lascio loro il problema. Certo la
memorizzazione di testi di poche decine di versi, e testi di successo,
sembrerebbe proprio naturale» 42.
Altro aspetto, altrettanto rilevante nello specifico della lirica trobadorica,
riguarda l’esecuzione dei testi: sia che gli autori abbiano compiuto modifiche
testuali in occasione di esecuzioni, sia che – come pare più probabile – gli
esecutori stessi abbiano adattato o interpretato (nel senso che si usa in musica),
oppure, più semplicemente, modificato il testo, il risultato è una situazione
difficilmente riconducibile a un ‘originale’. È tuttavia assai dubbio che di qui si
possa assumere la mouvance come condizione naturale del testo medievale ed
elaborare un’ecdotica conseguente o arrivare a posizioni estreme come quelle
espresse da Bernart Cerquiglini: «l’écriture médiévale ne produit pas de
variantes, elle est variance», e quindi rivolgersi a soluzioni macchinose come
«l’édition écranique» 43.
[3] Sulla contaminazione (e sui rimedi da opporle) molto si è scritto: fra le
modalità di contaminazione ha particolare interesse nella tradizione trobadorica
quella che deriva dalla copia di esemplari dotati di varianti alternative sui
margini o nell’interlinea. Questa procedura è infatti ricostruibile attraverso i
‘residui fossili’ di d o p p i e l e z i o n i , particolarmente abbondanti nel ms.
D 44, ovvero di varianti marginali inglobate nel testo; si dà inoltre il caso di
d o p p i e r e d a z i o n i n e g a t i v e ovvero di «luoghi in cui il copista, posto
di fronte alla scelta tra due possibili varianti adiafore, apparentemente le rifiuta
entrambe introducendo un’ipometria nel testo» 45. È noto che il sistema è alla
base dei canzonieri risalenti alla famiglia  di Avalle (definita appunto editio
variorum) e di quelli della cosiddetta «terza tradizione», che lo stesso studioso
fa risalire «ad un codice corredato di varianti alternative» 46; ma poiché il
del fenomeno della mouvance nota come: «rares sont les chansons de troubadours dont tous
les manuscrits présentent les strophes dans le même ordre» (p. 163).
42
C. Segre, Dalla memoria al codice, in Atti Messina 1993, I, pp. 5-13, a p. 10; ora in
Segre 1998, pp. 3-9, a p. 7.
43
B. Cerquiglini, Éloge de la variante. Histoire critique de la philologie, Paris, Seuil
1989 (cit. alla p. 111 e proposta editoriale alle pp. 105-16).
44
Cfr. le indicazioni di Avalle-Leonardi 1993, pp. 37-43 e prima ancora gli esempi di
«trasmissione per collazione» rintracciati nei mss. DR da G. Contini nella rec. alla Storia
della tradizione e critica del testo di G. Pasquali, AR, XIX (1935), pp. 330-40, a p. 339; ed
ora i ventuno casi studiati da Barbieri 1995. Nella tradizione folchettiana: 155,18 (III), 44;
155,14 (IV), 34; 155,23 (IX), 14; 155,10 (XII), 45.
45
Definizione di Barbieri 1995, p. 13 per una tipologia inaugurata da Maurizio Perugi
(cfr. Perugi 1978, II, p. 27); segnalo nella tradizione folchettiana: 155,23 (IX), 9; 155,8 (XI),
50.
46
Avalle-Leonardi 1993, p. 98; per  basti un rimando allo stesso volume, pp. 75-89.
fenomeno si riscontra anche in mss. come CHR, esterni ai due gruppi, si può
pensare con Luca Barbieri che «la presenza di varianti interlineari nei codici
doveva essere ben più diffusa di quanto possa apparire ora dall’esiguo materiale
sopravvissuto all’usura del tempo» 47. L’ipotesi permette dal punto di vista
ecdotico di giustificare delle deroghe al principio restaurativo che presiede al
mio lavoro, secondo il quale, come ho già detto, le diverse redazioni non vanno
mescolate; in questo caso infatti le redazioni ci sarebbero state tramandate già
‘mescolate’ in quanto chi copia da una editio variorum può evidentemente
sostituire a sua scelta le varianti alternative a quelle a testo, copiarle entrambe o
evitare di scegliere. Si dà anche il caso di luoghi del testo in cui la varia lectio
manifesti una frammentazione non riconducibile alla trasmissione verticale, né a
una qualche forma di diffrazione; distinguo tre tipi fondamentali:
[3.1] date in un verso due coppie di varianti adiafore (a vs a’ e b vs b’), i
testimoni offrono tutte le combinazioni possibili: ciò accade, per fare un
esempio, in FqMars 155,1 (V), 23: «poges el mieu tan lonc dezir assire», dove a
= pogues e a’ = uolgues, b = el e b’ = al, cosicché si hanno le combinazioni: ab
(pogues el mieu) in ABIKf + Ols, ab’ (pogues al mieu) in KpMUc + CQ, a’b
(volgues el mieu) in DGLNPS, a’b’ (volgues al mieu) in EJ + R.
[3.2] gli assetti testuali che si ricavano dalla varia lectio sono
particolarmente numerosi rispetto alla consistenza della tradizione manoscritta;
rimando, per esempio, a FqMars 155,18 (III), 41: «A so conosc qu’ieu sui nems
paoros» dove i 21 relatori del v. presentano almeno 12 (ma si può arrivare a 15)
assetti testuali: si ha un marcato isolamento delle coppie di mss. dei piani bassi,
AB, PS, IK, Cf, Uc ecc.;
[3.3] i latori delle lezioni sfuggono in quei luoghi alla classificazione ricavata
dalla tabella delle varianti adiafore e magari confermata da errori congiuntivi:
esempi in FqMars 155,22 (II), 14 e 22 e 155,21 (VII), 17-20.
Come mostra quest’ultimo esempio il fenomeno, che è solitamente limitato a
singoli versi 48, si può estendere a gruppi di versi sino a intere coblas; ha una
distribuzione variabile nel testo, sebbene si noti un’accentuazione man mano che
ci si avvicina al corpo centrale del componimento.
[4] Quanto ai rifacimenti, infine, qualcosa si è accennato al punto [2] a
proposito degli interventi degli esecutori: qui occorre ricordare le operazioni di
vera e propria r i s c r i t t u r a che caratterizzano una tradizione attiva come
quella trobadorica: esempio tipico e ben noto sono le versioni rintracciabili in
canzonieri come C ed R . Se questo primo tipo di riscrittura investe il piano
semantico, Maurizio Perugi ha richiamato l’attenzione su una forma di
r i c o d i f i c a z i o n e linguistica percepibile, per es., nei codici di origine
veneta, che intacca «sintagmi complessi, ‘ritraducendo’ interi versi nel generico
47
Barbieri 1995, p. 15 (e cfr. p. 24). Aggiungerei all’«usura del tempo» il fatto che la
stessa scelta fra due varianti alternative non lascia tracce visibili nella copia, se non,
eventualmente, nell’instabilità della tradizione.
48
Oltre ai casi citati a mo’ d’esempio, si vedano ancora: 155,22 (II), 29; 155,1 (V), 2425; 155,3 (VI), 23; 155,8 (XI), 49; 155,10 (XII), 14, 28, 38; 155,11 (XIII), 9.
e incolore linguaggio letterario che connota il provenzale da esportazione, fatto
apposta per accarezzare l’udito di un pubblico alloglotto, e in particolare
italofono» (Perugi 1990, p. 515). Campione di questa ricodificazione sarebbe il
canzoniere A, che nelle edizioni contende a C il privilegio di essere assunto
come base per la veste grafica 49; ma se si deve giustamente rigettare una
condotta editoriale «A-latrica» 50, e a fortiori ‘C-latrica’, occorre tener conto –
per dirla con Perugi 1996, p. 27 – «della distribuzione ineguale di verità
all’interno di qualunque tradizione». Restando ai due canzonieri sopra
menzionati, si consideri con Avalle-Leonardi 1993, p. 91 che «si dànno
comunque vari casi in cui il valore della testimonianza di C sembra in effetti
dipendere dall’utilizzo di fonti molto alte»; e che lo stesso A fornirebbe
sporadiche lezioni buone e addirittura la redazione migliore per il sirventese
anche in una tradizione come quella danielina nella quale è in linea di massima
svalutato da Perugi 51. Tenendo inoltre conto dei risultati dell’analisi linguistica
di Zufferey 1987, pp. 33-66, secondo la quale A risalirebbe, insieme con B e al
frammento siglato A’ (=Aa+Ab), a una tradizione alverniate, risulta evidente che
un giudizio sulla bontà di un ms. o di una tradizione non si può dare una volta
per tutte; utile in questo senso l’esortazione di Saverio Guida: «Le soluzioni
operative non devono essere astratte e generali [...], ma pragmatiche, legate ai
particolari problemi che ogni singolo canzoniere, e all’interno di questo ogni
singolo elaborato rimico, presenta» 52: di qui l’invito ad una «filologia per
componimento».
Risulta invece troppo appiattita sul ms. C, a giudicare dalle opzioni
preliminari esposte in Seto 1995 e nello specimen Seto 1995b, la proposta
editoriale di Naohiko Seto: il filologo giapponese ha al suo attivo una non
meglio precisata «thèse de doctorat à Paris dans les années 80 (sous les auspices
de Madame Suzanne Thiolier et de Monsieur Jacques Monfrin)» 53 che consiste
nell’edizione delle poesie attribuite a FqMars in C e su di esso fondata (ma con
l’ausilio dichiarato degli altri mss. parigini BEIKMRTf: cfr. Seto 1995, p. 11).
49
E, come ho direttamente sperimentato sull’edizione Stroński, il passo fra assunzione
della grafia e, quando le varianti alternative appaiano indifferenti, assunzione della lezione,
talora singolare o comunque fortemente minoritaria, del ms.-base è davvero breve. Sulla
normalizzazione attiva in A si veda l’analisi centrata su esempi danielini raccolti in Perugi
1994, in partic. pp. 135-52 (in relazione alla fortuna del ms. nell’ed. Canello), oltre alle
indicazioni in Perugi 1990 e in Perugi 1978 (nell’Introduzione al II vol., in partic. le pp. XIIXVI); esempi del «dinamismo di B rispetto al suo ‘gemello’» ricavati dalla sestina arnaldiana
sono in Perugi 1996, p. 27, n. 26.
50
Alla quale, a norma dei Criteri proposti in Squillacioti 1993, mi stavo io stesso
riducendo.
51
Secondo lo studioso il ms. risulta prezioso anche per Marcabruno: si veda per es. il III
saggio di Perugi 1995 (ed. di Marcabr 293,38); sulla ‘bontà’ di A oltre alla sintesi in Perugi
1994, pp. 140 e 142, si veda anche l’ed. di ArnDan 29,15 (I) in Perugi 1978, II, pp. 3-70 (la
scelta di ADHIK a fronte del rimaneggiamento di CR è confermata da Eusebi).
52
S. Guida, Ecdotica delle più antiche liriche oitaniche ed occitaniche, in Atti Messina
1993, I, pp. 115-29, a p. 126.
53
Seto 1995, p. 10.
Se la critica al procedimento editoriale di Stroński è pienamente condivisibile 54,
la scelta di seguire «le texte de la base C dans toute la mesure du possible» 55 si
espone al rischio di accettare non solo le lectiones singulares e le evidenti
rielaborazioni di un copista notoriamente interventista, ma anche lezioni
erronee: cfr. nell’edizione di FqMars 155,7 (XIV) in Seto 1995b le lectiones
singulares 3 mais, 5 qusquex, 6 mas, 18 qui ni, 27 meins, 29 quieu nous aus ges,
31 uei, 32 nul dia si so, 35 e pausat, 39 que, 45 mains defenden, 46 na pres
dieus e ses, 47 que ia tan cofessios, 53 na, 54 autren, 56 quab, 57 cug quel, 59
er 56; quanto alle banalizzazioni quella di v. 59 et ab tan < beis taing è
riconosciuta dallo stesso Seto a p. 60; segnalo infine il rimante razo (condiviso
con PRTUV; cfr. reiço cls), già a v. 6, messo a testo a v. 56. È probabilmente un
refuso 46 lauzor (in luogo di labor), forse per influsso di 45 lauzor.
Decisamente più interessante è la ricaduta editoriale delle più recenti
ricerche di Maurizio Perugi 57: usando le parole dello studioso, il «modello a
scarti ricodificativi» che viene utilizzato per la ricostruzione ecdotica si fonda
sull’individuazione
«dei
tratti
(prosodici,
morfofonetici,
lessicali)
caratterizzanti» attraverso i quali
si perviene a ricostruire un numero limitato di processi ricodificativi o redazioni, [...]
ciascuna redazione è caratterizzata da una propria distanza rispetto all’originale, la quale
varia in rapporto alle altre redazioni, ma anche in assoluto nel proprio interno, in base alle
aree del testo che vengono più o meno radicalmente innovate secondo i parametri previsti
dal singolo progetto, che oggi diremmo ‘editoriale’. [...] In questa ottica l’edizione critica
diventa stratigrafia prospettica delle sistemazioni testuali in cui si articola e diffrange, in
un arco cronologico abbastanza limitato, il singolo prodotto letterario nella trasmissione
lirica trovadorica. Scopo primario dell’editore è definire e descrivere ciascuna redazione
in sé e in rapporto alle altre, così da individuare il maggior numero possibile di elementi
atti ad elevare la percentuale di garanzia del testo ricostruito.
La distanza fra questa impostazione, che ricavo da Perugi 1990, pp. 526-27,
e la mia proposta editoriale è tuttavia marcata, soprattutto perché mi pare che
54
Seto 1995b, pp. 62-66, in partic. pp. 64-65: si rimarca, fra l’altro, che quello delle
«contaminations et coïncidences» che spesso chiude le discussioni stemmatiche di Stroński
altro non è che un «phénomène commode pour expliquer les contradictions éparpillées entre la
disposition des mss. de chaque vers et le stemma qu’on propose» (p. 65).
55
Seto 1995b, p. 66.
56
In due casi soltanto Seto corregge la lectio singularis ai vv. 27 aisso > so e 58 det >
rent.
57
Dopo l’edizione di ArnDan Perugi 1978, lo studioso ha iniziato un’opera di revisione
del metodo applicato e dei risultati ottenuti che ha un primo momento di sintesi in Perugi 1990
e ora in Perugi 1995 (l’elenco completo dei lavori si ricava da Perugi 1994, p. 137, n. 8,
integrato da Perugi 1996, p. 21, n. 1). Ho comunque segnalato, e talora discusso, tutte le
«soluzioni» proposte per FqMars nei due volumi di Perugi 1978: sulla metodologia ecdotica
che presiede all’edizione danielina e ai suoi Prolegomeni si veda G. Chiarini, Prospettive
translachmanniane dell’ecdotica, in Ecdotica e testi ispanici. Atti del Convegno Nazionale
della Associazione Ispanisti Italiani. Verona, 18-19-20 giugno 1981, Verona 1982, pp. 4564, alle pp. 62-63 e C. Segre - G. B. Speroni, Filologia testuale e letteratura italiana del
Medioevo, RPh, XIV (1991), pp. 44-72, alle pp. 57-59; cfr. anche la rec. molto critica di
Speroni a Perugi 1995 in RPh, L (1997), pp. 315-27.
nella tradizione folchettiana sia problematico, se non impossibile, riconoscere in
tutti i casi la direzione dell’innovazione: la variazione testuale c’è, le versioni
sono talora con nettezza isolabili, e tuttavia non si riesce nella maggioranza dei
casi a dare le coordinate di un processo ricodificativo basandosi su
argomentazioni non arbitrarie. Si può verosimilmente ipotizzare che ciò sia
dovuto alla natura del tessuto poetico folchettiano: in ogni caso ho scelto di
‘restaurare’ la tradizione lasciando visibili le sue componenti, e di isolare e
riprodurre 2-3 versioni testuali; con margini di ‘certezza’ che variano da testo a
testo ho privilegiato una di queste versioni argomentando il carattere innovativo
o corrotto dell’altra o delle altre.
Riepilogo a questo punto le linee essenziali della pratica editoriale sin qui
vagamente indicata con l’etichetta di ‘restauro conservativo della tradizione’.
Basilare è la necessità di non mescolare tradizioni irriducibili a unità, senza
tuttavia vietarsi né il «right to emend» 58, né l’intervento ‘migliorativo’ qualora si
riconosca la presenza di uno o più dei fattori sopra esaminati: tutto nel segno del
minor interventismo possibile sul testo della versione che si è scelto di mettere a
testo. In linea di massima ho preferito infatti attenermi al precetto di Segre 1976,
p. 68: «tutte le volte che non si può ricorrere all’opposizione errore/lezione
corretta, anche l’operazione ecdotica dev’essere portata nell’ambito del virtuale.
Si tratta di proporre correzioni, ma non attuarle, di abbozzare ricostruzioni, ma
lasciarle nell’ipotesi, di segnalare connessioni tra varianti, ma non concludere
drasticamente». Questa intenzione va coniugata con l’aspirazione a fornire col
massimo di completezza possibile i dati sulla tradizione manoscritta, così da
permettere un ulteriore esercizio della critica, e consentire verifiche e rettifiche
del lavoro svolto: la scelta di redigere a p p a r a t i n o n s e l e t t i v i, suddivisi
in due fasce, è motivata in primo luogo da questa esigenza. In particolare, la
prima fascia raccoglie tutte le lezioni che modificano il senso, comprese quelle
caratterizzate da assenza o presenza indebita della -s segnacaso; nella seconda
fascia trovano posto, oltre a note paleografiche su aspetti che non influiscono sul
senso, le varianti grafiche, quelle fonetiche, le forme verbali che a parità di
modo, tempo, numero e persona, presentino, per attrazioni analogiche o altro,
una diversa desinenza; e quelle forme che vengono usualmente confuse nella
scripta trobadorica (per es. gli accusativi me < ME, te < TE, se < SE dei pronomi
personali e del riflessivo e le equipollenti forme dativali mi < MIHI, ti < TIBI, si <
SIBI; nonostante la confusione sia altrettanto diffusa, mantengo invece nella
prima fascia le forme del relativo qui < QUI e que < QUEM). Comunque la
seconda fascia registra tutte le varianti non segnalate già nella prima fascia che
non apportano modifiche di senso rispetto alla lezione a testo 59; e nel dubbio
58
Cfr. T. B. W. Reid, The Right to Emend, in Medieval French Textual Studies in
Memory of T. B. W. Reid, edited by I. Short, London, Anglo-Norman Text Society 1984, pp.
1-32.
59
Per quanto concerne le varianti grafiche, non segnalo le alternanze q-/qu-, e/et < ET
(tranne quando segua vocale: nel qual caso segnalo anche le forme compendiate con il segno
&); sciolgo di norma le abbreviazioni con tituli, eccetto i casi di possibile ambiguità (per es.
che una variante possa essere sostanziale la si è inserita nella prima fascia 60. Gli
apparati completi s’impongono anche perché Stroński, poco affidabile sotto
questo profilo 61, segnala nei suoi apparati anche varianti non sostanziali: onde
evitare una complementarità poco economica degli apparati, che avrebbe
richiesto al fruitore una verifica sui codici per dirimere i dubbi in caso di
discrepanza, ho deciso di segnalare tutti i fenomeni 62.
Un accenno, per concludere, alla struttura formale dell’edizione dei
componimenti poetici: all’indicazione dei testimoni aggiungo l’attribuzione della
rubrica nei casi in cui il componimento non sia assegnato a FqMars, ma registro
comunque l’indicazione della rubrica nei testi a tradizione unica o limitata a 2-3
mss. 63; indico di séguito le edizioni precedenti, specificando in caso di
antologizzazione la fonte utilizzata dal curatore; nella Scheda metrica trascrivo
la formula metrica indicando fra parentesi quadre il numero dello schema nel
Répertoire di Frank 1953-57 e descrivo metricamente il componimento,
indicando eventuali modelli e/o riprese metriche; segnalo l’ordine delle coblas
nei mss. e nell’edizione Stroński solo nei casi in cui differisce da quello da me
quando sono presenti alternanze di n/m): in questi casi esprimo il titulus con l’accento
circonflesso o mettendo in corsivo la parte compendiata (que vale ‘q con titulus’, qua ‘q con a
soprascritta’, ecc.); uso la tilde per l’abbreviazione di r, eccetto che in ‘ñ’ che vale ‘n con
titulus’ (= non); uso il segno ‘9’ per la nota tironiana con valore cum/com.
60
Per quanto concerne le lezioni del canzoniere di Bernart Amoros ricavabili dal ms. c a
(ls: cfr. supra il § 2.1.2.1) ne indico la grafia nella 2 a fascia soltanto quando si tratta
effettivamente di una delle varianti segnate da Pietro di Simon del Nero: tali indicazioni
valgono dunque solo in positivo, nel senso che nulla si può inferire sulla grafia di ls quando
non vi è esplicita menzione.
61
Anche Avalle nota che l’apparato di FqMars 155,15 (XVIII) è «non sempre perspicuo»
(La Critica testuale, GRLMA, I, pp. 538-58, a p. 541).
62
Un elenco esaustivo di errori, imperfezioni e debolezze degli apparati della precedente
edizione è inopportuno: mi limito a proporre una sommaria tipologia degli errori più comuni
riscontrati, non prima di aver segnalato un uso incoerente della parentesi quadra negli apparati
che precede talora la lezione a testo, ma spesso una lezione rifiutata, di norma la più attestata.
Fra i semplici e r r o r i d i l e t t u r a segnalo 155,20 (XXI), 36: Stroński corregge in
sorcedor la lettura forcedor di Bertoni 1905 nel ms. Q, ma il codice legge chiaramente
forcedor; lo scioglimento in 155,7 (XIV), 40 a granz per agra(m) con -m verticale nel ms. R
(Stroński conosce quest’uso grafico come dimostra l’indicazione in apparato a p. 112); e come
talora càpita ai copisti medievali, 155,27 (X), 46: esaen in luogo di escien. Fra le
o m i s s i o n i d i l e z i o n e segnalo quella di rei di QRTUVcls al v. 50 di 155,7 (XIV),
registrata peraltro nella precedente edizione di Lewent 1905 (= Lewent 1907). Fra gli
e r r o r i n e l l a c o m p i l a z i o n e dell’apparato stesso segnalo ancora 155,7 al v. 28
dove l’editore indica la variante pron nei mss. CIKNPR, che è lezione dei soli CR, mentre
IKNP leggono pron (invece di pro) al v. 29; e la cobla II di 155,14 (IV) dove si attribuisce
sistematicamente a G la lezione di D e viceversa (tranne che al v. 20 dove G legge
effettivamente me). Fra le i n d i c a z i o n i s u p e r f l u e segnalo solo in 155,21 (VII), 24
qi S accanto a qui Wf. Più rilevanti per le conseguenze sulla ricostruzione editoriale sono la
dichiarazione che il v. 42 di 155,22 (II) è omesso in G e la mancata indicazione di varianti per
l’erroneo cen messo a testo in 155,15 (XVIII), 66, per le quali rimando al Commento delle
rispettive edizioni.
63
Trascrivo inoltre la rubrica che precede nel ms. P il planh FqMars 155,20 (XXI) perché
non si limita a indicare l’autore del componimento.
proposto. Faccio seguire nell’ordine: l’indicazione delle edizioni della melodia
musicale, una Nota al testo, la tabella delle varianti adiafore, l’edizione critica
corredata di apparati e traduzione (da leggersi come mero corredo al testo
critico), e un commento, aperto, ove necessario, da un cappello in cui trova
posto l’eventuale razo del componimento.
CAPITOLO TERZO
L’interpretazione storico-letteraria
3.1. Profilo biografico di Folchetto di Marsiglia.
La carriera religiosa e il rilevante ruolo politico in un momento intenso e
tragico per il Midi come la prima metà del secolo XIII, hanno fatto di Folchetto
un personaggio storico abbondantemente attestato nei documenti, almeno negli
ultimi 25 anni della sua vita: per gli anni precedenti, quelli dedicati alla poesia,
dobbiamo rifarci quasi esclusivamente alle tradizionali, e infide, fonti per la
biografia dei trovatori, la vida, le razos e i componimenti poetici stessi.
§ 3.1.1. A t t i v i t à p o e t i c a . Se la natura di queste testimonianze
comporta l’esistenza di problemi aperti, e risolvibili solo attraverso nuove
acquisizioni documentarie, l’ottimo lavoro storico di Stroński ha in primo luogo
risolto un paio di questioni biografiche che avevano impegnato per anni gli
studiosi, soprattutto nella prima fase della provenzalistica, quali la forma del
nome, oscillante nelle citazioni fra Folco e Folchetto 1, e l’identità fra il
trovatore e il vescovo di Tolosa.
La forma occitanica del nome più comune, rintracciabile nella vida, nelle
rubriche dei canzonieri, nelle citazioni di altri poeti, è Folquet 2, mentre il nome
con cui è menzionato come vescovo, specie in testi latini, è Fulco 3;
l’oscillazione ha creato problemi soprattutto agli studiosi italiani preoccupati di
interpretare la menzione dantesca in Par. IX, 94-95: «Folco mi disse quella
gente a cui / fu noto il nome mio» 4. Stroński ha definitivamente chiarito che «La
1
Alle due forme italiane, corrispondono quelle occitaniche Fólc, -cón e Folquet e le latine
Fulco, Folcus e Folchet(t)us.
2
Non sistematicamente: si veda la forma Folco in PVid 364,2 (III), 91 e nella vers. M di
MoMont 305,16 (XVIII), 73 (citati infra rispett. nei §§ 3.2.1.2.4 e 3.2.1.2.1).
3
Ma anche in questo caso l’uso manca di sistematicità: registro infatti la forma latina di
Robert de Sorbon («Folquetus, episcopus Tolosanus...») e quella occitanica della prima parte
della Chanson de la croisade albigeoise («L’evesques de Tholosa, Folquets cel de Maselha»);
l’editore della Chanson annota «Son vrai nom était Foulque (en latin Fulco), d’où en
provençal Folc, monosyllabe auquel on préférait substituer dans cette langue le diminutif
Folquet, plus euphonique et d’un emploi plus facile dans la versification. Au surplus, l’évêque
Foulque est appelé Fulchetus dans trois chartes écrites en 1206 et 1207 à l’abbaye de
Grandselve (Archives nationales, L 1009B)» (Martin-Chabot 1931-61, I, p. 111, n. 3).
4
Si veda in particolare Zingarelli 1899, pp. 28-29 e n. 35 (cito la Commedia dall’ed. di G.
Petrocchi, seconda edizione riveduta, Firenze, Le Lettere 1994). L’oscillazione era nota allo
stesso Dante che in Dve II VI 6 scrive «Folquetus de Marsilia»: Picone 1981-83, p. 81, n. 55,
riconosce nel «Folco» della Commedia «un’autopolemica» di Dante; sostiene per di più (pp.
82-83) la tesi, decisamente onerosa, che Dante, utilizzando nel poema lo stesso nome presente
nella redaz. M della ‘galleria satirica’ del Monaco di Montaudon ricordata alla n. 2, abbia
voluto rispondere alle ironiche accuse di spergiuro fatte a Folchetto dal monaco. L’onerosità
aumenta notando che M non può più essere considerato un ms. «di ascendenza certamente
lombarda», e perciò consultabile da Dante, essendo stata dimostrata la stesura nella Napoli
forme latine Fulco correspond à la forme vulgaire Folc (c. s.) Folcon (c. o.) dont
Folquet est un diminutif sans être un nom à part» (p. 5*) 5.
L’identificazione fra il trovatore e il Folco vescovo di Tolosa, non è sempre
stata, come oggi, scontata; lo rileva lo stesso Stroński («Tout le monde n’est pas
d’accord sur cette question»), prima di affrontare e risolvere la querelle 6: il
metodo probatorio, semplice quanto efficace, consiste nell’esposizione analitica
e cronologicamente ordinata delle fonti da cui si induce l’identità fra i due
Folchetto, ovvero la Chanson de la croisade albigeoise, la prima parte, redatta
da Guillem de Tudele nel 1212-13, e la seconda, anonima, iniziata nel 1228 7, il
De Triumphis Ecclesiae di Giovanni di Garlandia (cfr. infra § 3.1.2), la Summa
de vitiis et virtutibus di Guglielmo Peraldo (m. 1260), il Tractatus de diversis
materiis praedicabilibus di Stefano di Borbone, composto verso il 1250, l’opera
di Bernardo Gui Nomina episcoporum Tholosane sedis, scritta al principio del
XIV sec., un sermone di Robert de Sorbon (m. 1274) e, infine, la vida
occitanica. Eccone il testo 8:
angioina (cfr. A. C. Lamur-Baudreu, Aux origines du chansonnier de troubadour M [Paris,
Bibl. Nat., fr. 12474], Rom, CIX [1988], pp. 183-98) a partire da un modello elaborato in
Provenza ante 1266, attraverso la fusione di una fonte provenzale con una linguadociana
orientale e una settentrionale (cfr. F. Zufferey, A propos du chansonnier provençal M [Paris,
Bibl. Nat., fr. 12474], in Atti Liège 1991, pp. 221-43); si vedano in proposito le
considerazioni e le correzioni di Asperti 1995, cap. 3 (in partic. p. 80 sgg.).
5
Il rapporto fra le due forme era chiaro già ad Angelo Colocci (appunti sui Trionfi di
Petrarca nel cod. Vat. lat. 4832, cit. da Debenedetti 1995 [1911], p. 212) e a Giusto Fontanini,
Della eloquenza italiana, Roma, Rocco Bernabò 1736, p. 43 (su quest’ultimo si veda ora la
sintesi di E. Pistolesi, Giusto Fontanini nel dibattito sulla diplomatica e sulla nascita della
lingua italiana, «Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina» XI
[1993], pp. 219-59).
6
Nel cap. XIV (L’identité du troubadour et de l’évéque) dell’Étude preliminare
all’edizione; convinto sostenitore della diversità di persona è Pratsch 1878, pp. 47-52, mentre
si limita ad esprimere dei dubbi De Lollis 1897, pp. 127-28: gli argomenti dei due studiosi,
d’ordine negativo e di scarsa forza probante, sono sintetizzati e commentati da Stroński alle
pp. 104*-105*, n. 2 della sua edizione.
7
Cfr. per la parte I: J.-M. D’Heur, Sur la date, la composition et la destination de la
«Chanson de la Croisade albigeoise» de Guillaume de Tudèle, in Mélanges d’histoire
littéraire de linguistique et de philologie romanes offerts à Charles Rostaing, Liege 1974, I,
pp. 231-66; per la parte II: Martin-Chabot 1931-61, II, pp. XIII-XVI, che data la parte I al
1210-13 (I, pp. XI-XII).
8
Cito da Boutière-Schutz 1964, pp. 470-73 (la vida è conservata nei mss.
ABEIKN2ORa+); segnalo le principali differenze delle edizioni di Stroński (pp. 3-4) e di
Favati 1961, p. 174 (n° 14): § 1: «Folquetz de Marseilla si fo de Marseilla, fils» (Stroński e
Favati: quest’ultimo argomenta a p. 393 che «s’impone la scelta della lezione di ABN2, che
può spiegare le altre [folquetz si fo de marseille Oa, folquet de marceille si fo fils EIKR], ma
non esserne spiegata», mentre Stroński aveva notato a p. 6*, n. 2 che le parole de marseilla
«peuvent ne pas venir de l’original, car ils ne se trouvent que dans une seule branche des mss.
(x [= ABOa] et N2 qui repose sur des contaminations); l’auteur de cette rédaction, troublé, de
même que les critiques postérieurs à lui, par la mention de Gênes dans la suite, a
probablement jugé utile, pour écarter le doute, de faire cette addition, en se fondant sur le nom
seul de Folquet “de Marseille”»); § 3: «e mes se ad anar et a venir et a brigar ab les valens
homes e servir los e fo fort grazitz» (lezione ricostruita di Favati e discussa alle pp. 14-15); §
(1) Folquet de Marsseilla si fo fillz d’un mercadier que fo de Genoa et ac nom ser
Anfos. (2) E quan lo paire muric, si·l laisset molt ric d’aver. (3) Et el entendet en pretz et
en valor; e mes se a servir als valenz barons et als valenz homes, et a brigar ab lor, et a dar
et a servir et a venir et a anar.
(4) E fort fo grazitz et onratz per lo rei Richart e per lo comte Raimon de Tolosa e per
En Baral, lo sieu seingnor de Marseilla.
(5) Molt trobava ben e molt fo avinenz om de la persona. (6) Et entendia se en la
muiller del sieu seingnor En Baral. (7) E pregava la e fasia sas chansos d’ella. (8) Mas anc
per precs ni per cansos no·i poc trobar merce, qu’ella li fezes nuill ben en dreit d’amor;
per que totz temps se plaing d’Amor en soas cansos.
(9) Et avenc si que la domna muric, et En Barals, lo maritz d’ella e·l seingner de lui,
que tant li fasia d’onor, e·l bons reis Richartz, e·l bons coms Raimos de Tolosa, e·l reis
Anfos d’Arragon. (10) Don el, per tristeza de la soa domna e dels princes que vos ai ditz,
abandonet lo mon; e si se rendet a l’orde de Cistel ab sa muiller e ab dos fillz qu’el avia.
(11) E si fo faichs abas d’una rica abadia, qu’es en Proensa, que a nom Torondet. (12) E
pois el fo faichs evesques de Tolosa; e lai el muric.
Sono sostanzialmente corrette le indicazioni sul ruolo sociale, l’origine
genovese, il nome di famiglia, e quelle sulla carriera religiosa 9: è stato Cornelio
Desimoni 10 a collegare per primo Folchetto agli Anfossi di Genova, importante
famiglia di banchieri «quasi certamente discesa di Anfosso bancherius» che
«abbandonò [...] la banca per il commercio di Levante, nel quale si doveva
illustrare alla fine del Duecento» 11. Stroński rileva giustamente che le
indicazioni di Desimoni, per quanto preziose, sono tarde (XIII-XIV sec.) e non
scevre di anacronismo visto che lo storico suppone padre o avo di Folchetto un
5: «Mout trobava [e mout chantava] be» (Stroński), «Mout trobava e chantava ben» (Favati,
lezione di ABOa); § 12: «e lai el definet e moric» (Favati, lezione di AB; cfr. e lai el definet
ER); sulla conclusione della vida in R si veda supra il § 1.1.2.
9
Si veda l’analisi di Stroński alle pp. 140-43. A lungo le biografie sono state ritenute fonti
storiche del tutto esatte: negli studi storici e letterari sette-ottocenteschi (prime fra tutti l’HGL
e l’HLF), fino al fondamentale lavoro di Diez 1882 [1829] e oltre, si è concesso un
grandissimo spazio alle vidas e razos nello studio dei trovatori. Si deve proprio a Stroński
l’elaborazione del criterio a tutt’oggi valido per valutare l’attendibilità delle informazioni
biografiche; secondo lo studioso vanno prese per buone le notizie intorno al nome, al luogo
d’origine, alla condizione sociale, alla professione dei poeti, mentre vanno rifiutate quelle
sugli amori spesso romanzati con grandi nobili e mogli di protettori: si vedano le pp. 61*-68*
e 140-152 dell’edizione e la sintesi discorsiva Stroński 1943. Tale criterio, accettato fra gli
altri da A. Jeanroy, Les “biographies” des troubadours et les “razos”; leur valeur
historique, AR, I (1917), pp. 289-306 (rifuso in Jeanroy 1934, I, pp. 101-32) e BoutièreSchutz 1964, pp. XV-XVII, ha trovato la decisa opposizione di Panvini 1952, pp. 7-11 (si
vedano inoltre le pp. 27-39 su FqMars), per il quale non si possono discernere all’interno delle
biografie le informazioni corrette dalle deformazioni della realtà e tutte le notizie vanno
ritenute attendibili. L’isolamento della posizione di Panvini è rilevato da Meneghetti 1992, p.
178, n. 7.
10
Il Marchese Bonifacio di Monferrato e i trovatori provenzali alla corte di lui,
«Giornale linguistico di Archeologia, Storia e Belle Arti», V (1878), pp. 241-71, alle pp. 25354 e cfr. la rec. a un lavoro di W. Heyd, in «Archivio storico italiano», s. IV, I (1878), pp.
297-310, alle pp. 305-306.
11
R. S. Lopez, I primi cento anni di storia documentata della banca a Genova, in Studi
in onore di Armando Sapori, Milano, Ist. Edit. Cisalpino 1957, I, p. 221; e cfr. le pp. 218-22.
«Anfosso Banchiere» attestato nel 1212. Tuttavia un Anfossus bancherius è
annoverato fra i testimoni prima di un trattato di alleanza fra il Comune di
Genova e il marchese Guglielmo di Massa del novembre 1173 (CDRG, II, p.
173, nota 1), poi dell’atto del febbraio 1188 in cui i genovesi giurano di
osservare le condizioni di una futura pace con Pisa (CDRG, II, p. 325, r. 23) 12, e
quindi di un atto del 28 agosto 1198 con cui Ugo di Bas conferma delle
concessioni accordate in passato ai genovesi (CDRG, III, p. 136, r. 17) 13; un
atto rogato il 20 luglio 1190 da Oberto Scriba de Mercato nomina infine un
Anfoss(us) bancheri(us), proprietario di navi da commercio 14. Potrebbe pertanto
apparire limitativo l’appellativo di mercante attribuito dalla vida a ser Anfos: ma
nel XII secolo, come spiega Roberto S. Lopez, poteva esser presa alla lettera
un’espressione come Genuensis ergo mercator, assurta poi quasi a proverbio:
«Tout le monde, en ce siècle, s’adonne avec plus ou moins de continuité au
commerce: hommes et femmes, riches et pauvres, mineurs et veillards, nobles et
routiers» 15. L’origine nobiliare degli Anfossi, adombrata da Desimoni che
sottolinea la parentela con i Doria e i Della Volta e il possesso di una Domus
magna nella contrada degli Anfossi in Susiglia, e affermata con decisione
(«Foulque appartient sans doute à l’une de ces grandes familles de la noblesse
génoise qui ne craignent pas de pratiquer le commerce») da Biget-Pradalier
1986, p. 351, è invece esclusa da Stroński (a p. 5*) che definisce «bourgeois
marseillais» Fulco Anfos. Tuttavia, per quanto l’origine e la composizione della
classe dirigente genovese prima del Duecento sia troppo poco studiata,
l’affermazione di Biget-Pradalier va tenuta in giusta considerazione 16:
‘mercante’, va ribadito, in una repubblica marinara è mera denominazione
professionale, non certo di classe sociale. Resta inoltre aperto il problema della
possibilità di far risalire ad una sola famiglia i vari Anfosso attestati dai
documenti: per esempio, degli Anfossi, da tenere con ogni probabilità distinti da
quelli genovesi, sono attestati anche a Pisa, dove la famiglia si estinse prima
della metà del XIII sec. senza riuscire a fissare un cognome 17. Nessun problema
12
Le due attestazioni sembrerebbero note allo stesso Stroński (cfr. p. 4*, n. 1) che tuttavia
ritiene bancherius «plutôt un nom de famille que la désignation du métier».
13
Già nel giugno 1140 trovo attestato un Anfoss(us), proprietario terriero (CDRG, I, p.
127, r. 19) e quindi un Anfosso, teste in due atti rogati da Giovanni Scriba il 5 agosto 1158 e il
21 giugno 1164 (Il cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano e M. Moresco,
Roma, R. Ist. Storico per il Medioevo 1935, rispett. nel vol. I, p. 223, n° CDXXI e vol. II, p.
208, n° MCCXX).
14
Notai liguri del sec. XII. I. Oberto Scriba de Mercato (1190), a cura di M. Chiaudano e
R. Morozzo della Rocca, Torino, Editrice Libraria Italiana 1938, p. 210, n° 530.
15
R. S. Lopez, Aux origines du capitalisme génois, «Annales d’histoire economique et
sociale», IX (1937), pp. 429-54, a p. 441 (trad. it. in Storia dell’economia italiana. Saggi di
storia economica, a cura di C. M. Cipolla, vol. I, Torino, Einaudi 1959, pp. 285-312, a p.
299).
16
Tenendo presente, in ogni caso, che la tesi pare appoggiarsi soltanto al lavoro di Lopez
citato alla nota precedente, dove gli Anfossi non sono nominati.
17
Cfr. M. L. Ceccarelli Lemut, Una famiglia di giuristi e armatori pisani del XII secolo:
gli ‘Anfossi’, «Bollettino storico pisano», LXI (1992), pp. 83-94.
solleva invece la presenza di un membro di una famiglia genovese a Marsiglia:
all’origine dei ben noti e cospicui rapporti commerciali fra Genova e il Midi
della Francia c’è proprio un trattato politico-militare con Marsiglia del luglio
1138 18.
La data più alta riferibile direttamente a Folchetto è stata indicata da Stroński
(cfr. p. 3*) nel 23 gennaio 1178: un Fulco Anfos è infatti annoverato fra i
testimoni di un accordo fra i visconti e la Chiesa di Marsiglia 19. Non essendo
documentato l’anno di nascita, va, al contrario, considerata mera ipotesi
l’indicazione dell’HLF, XVIII, p. 589 («vers l’an 1160») ripresa da Paget
Toynbee 20 e sfumata in avanti da Fauriel 1846, II, p. 70 («de 1160 à 1170») o
all’indietro da Cabau 1986, p. 169 («V[ers] 1155/1160») 21.
Tra i problemi lasciati aperti da Stroński c’è quello del luogo di nascita del
trovatore: la vida, infatti, «ne nous permet point de d’établir avec certitude que
Folquet naquit à Marseille et d’écarter l’hypothèse qu’il y fût amené en bas âge
par son père» (p. 6*); né offre risposte definitive l’Ottimo, III, pp. 230-31, dove
viene riferito un racconto biografico ricavato, secondo Suitner 1980, pp. 621-24,
da una fonte parallela alla vida occitanica 22:
18
Edito in CDRG, I, pp. 102-104, n° 83; mi limito, data la vastissima portata
dell’argomento, a rimandare alla sintesi di R. S. Lopez, Le relazioni commerciali tra Genova
e la Francia nel medio evo, «Cooperazione intellettuale», VI (1936), pp. 75-86 e al ben più
ponderoso lavoro di R. Pernoud, Le commerce de Marseille depuis le haut moyen âge jusqu’a
la fin du XIIIe siècle, in AA. VV., Histoire du commerce de Marseille, I, Paris, Plon 1949,
parte II, pp. 107-382 (su Genova in partic. le pp. 181-96); si veda inoltre, ma quasi solo per le
ampie referenze bibliografiche delle pp. 530-38, G. Airaldi, Genova e la Liguria nel
Medioevo, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, vol. V, Torino, U.T.E.T. 1986, pp. 363547, in partic. pp. 401-405. Altre indicazioni in V. Vitale, Breviario della storia di Genova.
Lineamenti storici e orientamenti bibliografici, Genova, Società Ligure di Storia Patria 1955,
I, pp. 26-35 e II, pp. 23-27.
19
Il documento è edito da J.-H. Albanes, Gallia Christiana novissima. Historie des
archevêchés, évêchés et abbayes de France d’après les documents authentiques recueillis
dans les registres du Vaticain et les archives locales, complétée, annotée et publiée par U.
Chevalier. Marseille (évêques, prévots, statut), Valence, Imprimerie Valentinois 1899, coll.
693-96; un Anfossus, è citato in un atto marsigliese del 1183 (ibid., coll. 699-700). La
presenza ad Arles di un Bernard Anfos è menzionata da Stroński a p. 4*.
20
A Dictionary of Proper Names and Notable Matters in the Works of Dante, revised by
Ch. S. Singleton, Oxford, Clarendon Press 1968, s.v. Folco (p. 286).
21
La notizia apre le informatissime, ma purtroppo prive di indicazioni delle fonti,
Annexes biografiche al più recente, e forse migliore, profilo biografico di Folchetto. Si
dovrebbe invece risalire al 1150 circa per Z. Oldenbourg, L’assedio di Montségur. La
crociata contro i catari nella Francia del Medioevo [1959], trad. it. di L. Bianchi, Milano,
Garzanti 1990, poiché Folchetto sarebbe morto a ottant’anni (cfr. p. 89): tuttavia le
indicazioni relative al trovatore-vescovo non sempre sono corrette in questo lavoro.
Curiosamente Maillard 1967, p. 16 riprende quest’ultima data, sia pure preceduta da un
prudente «peut-être», ma definisce «inconnue» l’indubitabile data di morte.
22
Un racconto analogo, ma meno completo, si legge nel commento di Benvenuto da Imola
(cfr. Benvenuti de Rambaldis de Imola, Commentum super Dantis Aldigherij Comoediam,
Firenze, Barbèra 1887, tomo V, pp. 16-17). Trascurando il primo commento, Santangelo
1959, pp. 162-66 ha ipotizzato per il secondo la dipendenza da una fonte comune alla vida
occitanica e al Novellino, come ha confermato prima Panvini 1952, pp. 30-31, e ora Suitner.
Fu Folco di Marsilia, figliuolo d’uno mercatante genovese, nome Anfuso; altri dice
ch’elli fu pure di Linguadoco; il quale morendo il lasciò molto ricco. Costui istudiò in ciò
che appartiene a valore umano, e fama mondana; seguia li nobili uomini; e, come appare,
trovò in provenzale coble, serventesi, ed altri diri per rima; fu molto onorato dal re
Riccardo d’Inghilterra, e dal conte Ramondo di Tolosa, e da Barale di Marsilia, nella cui
corte conversava. Fu bello del corpo, ornato parladore, cortese donadore, ed in amare
acceso, ma coperto e savio; amò per amore Adalagia moglie di Barale suo signore; e per
ricoprirsi, facea segno d’amare Laura di santa Giulia, e Bellina di Pontevese, sirocchie di
Barale; ma più si copriva verso Laura, di che Barale li diede congìo: ma morta la moglie
di Barale, doglia maravigliosa ne prese, e rendè sè con la sua moglie e due suoi figliuoli
nell’ordine di Cestello; poi fu fatto abate di Toronello, e poi Vescovo di Marsilia, donde
cacciò molti eretici.
Oltre alla conferma dei dati della vida e alla contaminazione con materiali
testimoniati dalla razo di FqMars 155,23 (IX) 23, il testo offre, con le parole
anfibologiche «altri dice ch’elli fu pure di Linguadoco», l’attestazione della
nascita genovese di Folchetto e quindi l’indicazione di una tradizione alternativa
che lo vuole linguadociano (se «elli» si riferisce a Folchetto), oppure la semplice
segnalazione di una fonte che nega la nascita genovese del padre (se il pronome
si riferisce ad Anfuso) 24. Nel primo caso ci sarebbe un precedente della celebre
indicazione petrarchesca nel Triumphus Cupidinis, IV, 49-51: «Folco, que’ ch’a
Marsilia il nome à dato / et a Genova tolto, ed a l’extremo / cangiò per miglior
patria habito e stato» 25, che resta all’origine dei dubbi manifestati in primo
Nella nov. XXXIII del Novellino (cito dall’ed. Segre ne La prosa del Duecento, MilanoNapoli, Ricciardi 1959) è infatti messo in scena un Imberaldo del Balzo, che tuttavia è stato
identificato con Barral di Baux, podestà di Milano nel 1266 (cfr. per es. G. Favati, Il
Novellino, Genova, Bozzi 1970, p. 202, n. 1); tanto più che il titolo di signore di Baux non
poteva appartenere al Barral protettore di FqMars, in quanto il nome Barral fu utilizzato dai
membri della famiglia di Baux dopo il matrimonio fra Barrala, figlia del signore di Marsiglia,
e Ugo di Baux, a partire dallo stesso figlio di Ugo e Barrala (cfr. Stroński, p. 167, n. 1): è vero
che l’autore della novella poteva aver fatto confusione, ma occorre maggiore cautela di quella
dimostrata da Panvini 1952, p. 31, n. 1 e poi da Segre nel suo commento (p. 826, n. 7) che
identificano il personaggio con Barral di Marsiglia. Anche Anglade 1908, pp. 40, 161 e 169
chiama «Barral de Baux» il protettore di Folchetto e Stroński lo rileva ancora a p. 167, n. 1,
ma l’errore di Segre passa a L. Battaglia Ricci, Il «Novellino», in Novelle italiane. Il
Duecento. Il Trecento, Milano, Garzanti 1982, pp. 79-189, a p. 124 (che per di più unisce in
una sola persona il visconte di Marsiglia e il podestà di Milano) e a M. L. Meneghetti, Una
serrana per Marcabru?, in Atti Santiago de Compostela 1993, pp. 187-98, a p. 191; lo si
ritrova, nonostante la correzione sia stata ribadita da Avalle 1960, I, p. 19, ancora in Asperti
1990, p. 166, n. 41 e in Seto 1995, p. 24.
23
In Boutière-Schutz 1964, pp. 474-77 (ne riporto il testo più avanti nel Commento alla
canzone).
24
Cfr. Suitner 1980, p. 624 e n. 16; che l’Ottimo propenda per la nascita marsigliese si
ricava dal commento alla perifrasi geografica citata più sotto che indicherebbe «il luogo della
sua nativitade».
25
Cito dai Triunphi curati da V. Pacca, in Francesco Petrarca, Trionfi, rime estravaganti,
codice degli abbozzi, a cura di V. Pacca e L. Paolino, Milano, Mondadori 1996, pp. 3-626, a
p. 194; parafrasa il curatore: «Folco, il cui nome fu iscritto fra i cittadini di Marsiglia e tolto
da quelli di Genova [oppure ‘colui che ha dato rinomanza a Marsiglia e ne ha tolta a
Genova’]» (p. 195). Un tentativo di ricondurre a Marsiglia l’allusione petrarchesca («il
luogo dagli umanisti italiani e di conseguenza dagli eruditi settecenteschi. Apre
la serie Bembo, che nel primo libro delle Prose fa dire al genovese Federigo
Fregoso 26:
[tra gli italiani che poetarono in provenzale] tre ne furono della patria mia, di
ciascuno de’ quali ho io già letto canzoni: Lanfranco Cicala e messer Bonifazio Calvo e,
quello che dolcissimo poeta fu e forse non meno che alcuno degli altri di quella lingua
piacevolissimo, Folchetto, quantunque egli di Marsiglia chiamato fosse; il che avenne non
perché egli avesse origine da quella città, che fu di padre genovese figliuolo, ma perché vi
dimorò gran tempo.
Negli stessi anni, Mario Equicola nel suo Libro de natura de Amore si limita
agli elementi ricavabili dalla vida provenzale: «Folquet de Marseglia, il cui patre
fu Genovese» 27.
Ma anche la perifrastica indicazione del luogo di nascita di Folco, spirito
amante nel Cielo di Venere (Par. IX, 82-93):
«La maggior valle in che l’acqua si spanda»,
incominciaro allor le sue parole,
«fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
tra’ discordanti liti contra ’l sole
tanto sen va, che fa meridïano
là dove l’orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu’ io litorano
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
parte lo Genovese dal Toscano.
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ond’ io fui,
che fé del sangue suo già caldo il porto.
è variamente interpretata dai commentatori: per citare soltanto i due più
importanti dell’età moderna, Landino vi scorge giustamente un’allusione a
Petrarca forse volle significare che la gloria venuta a Marsiglia dall’essere patria di Folchetto
sarebbe stata di Genova se questi fosse nato nella terra dei suoi padri») è di Zingarelli 1899, p.
11 in nota.
26
Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, I, VIII (cito da Trattatisti del Cinquecento, a
cura di M. Pozzi, Milano-Napoli, Ricciardi 1978, I, pp. 51-284, a p. 74); annota Pozzi: «è
ovvio che il Bembo attribuisce al Fregoso i propri studi provenzali» (p. 72, n. 2). Ai lavori
citati dallo studioso sull’importante ruolo di Bembo nella diffusione della tradizione
trobadorica, si aggiungano ora, oltre a Folena 1990 (ma 1976), pp. 20-22, le indicazioni nel
cap. I di Bologna 1993 e gli studi di C. Pulsoni in CN, LII (1992), pp. 323-51 e LIV (1994),
pp. 185-87 e nella RLI, XI (1992), pp. 283-304 (cfr. anche «Aevum», LXVII [1993], pp. 50118, integrato da una nota nel vol. XVIII [1994], pp. 571-73).
27
Libro de natura de Amore di Mario Equicola [...] stampato in Venezia per Lorenzo
Lorio da Portes, Adi 23 Zugno 1525, V, p. 194r; la versione della vida utilizzata dall’umanista
è certo quella di N2 o, meglio, di una «copia approntata per lui ad opera dello stesso Camillo»,
secondo l’ipotesi di Bologna 1993, I, p. 19: questi rileva come l’Equicola «appena quattro
anni prima (1521), nella Chronaca de Mantua (fol. 37), si mostrava francamente digiuno di
letture dirette della poesia d’oc limitando i riferimenti alla tenzone di Sordello con Guilhem de
Tolosa (e che nella prima redazione volgare del Libro, corretta a più riprese, verso il 1510-15,
non conosce ancora i passi che riferirà nel ’25 [...]» (pp. 19-20).
Marsiglia 28, mentre Vellutello ritiene che Dante voglia indicare Genova,
sottolineando la novità della sua interpretazione rispetto a quella degli altri
commentatori danteschi 29.
Nel Cinquecento ribadiscono la nascita genovese Francesco Alunno,
Benedetto Varchi, Uberto Foglietta, Ludovico Castelvetro, Vincenzio Borghini e
Angelo Colocci 30; Giovanni Maria Barbieri si limita a citare i versi di
Petrarca 31. Nel secolo XVII ho notizia della posizione di Francesco Redi: «e da
Genova parimenti quel Folchetto, che Folchetto di Marsilia fece appellarsi» 32, e
all’inizio del secolo seguente la messa a punto di Giovanni Mario Crescimbeni
nei Commentarj alla sua Istoria della volgar poesia, che assume come
auctoritas, oltre ai due poeti toscani, Jehan de Nostredame 33.
Prima che Stroński manifestasse le sue perplessità la questione pareva
risolta: Oskar Schultz-Gora, notando che, oltre a Petrarca «Keine der
Biographien und keiner der alten Gewährsmänner giebt Genua als seinen
Geburtsort an», aveva escluso recisamente la nascita italiana di Folchetto 34,
cosicché Nicola Zingarelli poteva scrivere tredici anni più tardi: «Che la patria
di Folchetto sia veramente Marsiglia e non Genova, è oramai fuori quistione» 35.
28
«Volendosi manifestare Folco, descrive la terra dove nacque, cioè, Marsilia...» (Dante
con l’esposizioni di Christoforo Landino et d’Alessandro Vellutello sopra la sua Commedia
dell’Inferno, del Purgatorio, & del Paradiso [...] in Venetia, appresso Gio. Battista & Gio.
Bernardo Sasso, 1596, c. 316r).
29
«Comincia Folco, per satifar al desiderio del Poeta, a circunscrivere la sua terra di
Genova, dove nacque, e non di Marsilia, come dicono tutti gli altri espositori, dove dopo la
morte del padre andò ad habitare. [...] Costui adunque, come di sopra habbiamo detto, perché
la sua habitazione dopo la morte del padre fu sempre a Marsilia, e quivi tolse donna, & habbe
figliuoli, fu detto Folco di Marsilia, e non di Genova, donde gli altri espositori hanno preso
errore. E questo mosse il Petrarcha nel quarto del Trionfo d’Amore a dir di lui, Folchetto, ch’a
Marsilia... [segue la parafrasi dei versi]» (ibid., c. 316r-v; modifico la punteggiatura).
30
Vedi F. Alunno, La fabrica del mondo, Venezia, presso Paolo Gherardo 1557, c. 10r-v;
B. Varchi, L’Hercolano, Edizione critica a cura di A. Sorella, Pescara, Libreria
dell’Università 1995, t. II, p. 582; U. Foglietta, Clarorum Ligurum elogia, Romae apud
Vincentium & Valente Panitium Socios, 1574, pp. 205-206; Le Rime del Petrarca,
brevemente sposte per L. Castelvetro, in Basilea a istanza di Pietro de Sedabonis, 1582, parte
III, p. 233; V. Borghini, Scritti inediti o rari sulla lingua, a cura di J. R. Woodhouse,
Bologna, Commissione per i testi di lingua 1971, p. 266. Per Colocci si vedano gli appunti
petrarcheschi citati supra alla n. 5. Altre indicazioni in Vincenti 1963, p. 48.
31
Dell’origine della poesia rimata, opera di Giammaria Barbieri modenese, pubblicata
ora per la prima volta e con annotazioni illustrata dal cav. Ab. Girolamo Tiraboschi [...],
Modena, Società Tipografica 1790, pp. 103-107.
32
Bacco in Toscana, ditirambo di Francesco Redi [...] con le annotazioni, Firenze, Piero
Matini all’Insegna del Lion d’Oro 1685, pp. 100-101.
33
L’istoria della volgar poesia scritta da Gio. Mario Crescimbeni, [...] Venezia presso
Lorenzo Basegio 1730-31, vol. I, p. 336 e vol. II, pp. 33-37; anche Jehan de Nostredame
utilizza i versi dei Trionfi, affermando la nascita genovese del trovatore (Les vies des plus
célèbres et anciens poètes provençaux, nouvelle édition [...] par C. Chabeneau, Paris 1913,
pp. 34-36 e passim; nel vol. II dell’Istoria Crescimbeni traduce l’opera di Nostredame).
34
O. Schultz-Gora, Die Lebensverhältnisse der italienischen Trobadors, ZrPh, VII
(1883), pp. 177-235, a p. 179.
35
Zingarelli 1896, p. 3, n. 1 (senza modifiche in Zingarelli 1899, p. 10, n. 6).
Sono quasi tutte ricavate dalle poesie le relazioni intrecciate con i re e i
grandi nobili nominati, con l’unica eccezione di Raimondo V di Tolosa, mai
menzionato da Folchetto 36. Dall’analisi della cronologia dei testi, si ricava che:
intorno al 1179-80 il trovatore inviò la canzone 155,5 (I) a Raimondo
Berengario IV, fratello di Alfonso II d’Aragona, nella città di Trets (§ 1.3.1.1);
qualche anno dopo indirizzò a tre donne di Nîmes la canzone 155,22 (II) (§
1.3.1.2); che negli anni 1186-87 ebbe rapporti con Montpellier e il suo marchese
Guglielmo VIII, inserendo in tre poesie (le canzoni 155,23 [IX], 155,27 [X],
155,8 [XI]) accenni all’emperairitz Eudossia (§§ 1.3.1.3-5); che nel luglioagosto 1190 dedicò una cobla della canzone 155,3 (VI) a Riccardo Cuor di
Leone, che, in partenza per la Terrasanta, attese a Marsiglia le sue truppe (§
1.3.1.6); e infine, che nel 1195 in due canzoni di crociata (155,7 [XIV] e 155,15
[XVIII]) incitò prima i re di Francia e d’Inghilterra a organizzare una nuova
crociata (l’imperatore Enrico VI che aveva preso la croce il 2 aprile), poi, dopo
la sconfitta dei castigliani ad Alarcos (19 luglio), chiese ai prìncipi cristiani di
sostenere Alfonso VIII contro i mussulmani di Spagna.
Viceversa, non vanno prese sul serio le relazioni amorose intracciate con
Azalais, moglie di Barral, poi con le sorelle del visconte, quindi con la stessa
Eudossia: capitoli di «romanzo d’amore» ricavato anche questo dalle poesie e
che si sviluppa attraverso le razos delle canzoni 155,23 (IX) e 155,27 (X) e del
planh 155,20 (XXI), per cui rimando al Commento alle edizioni).
Infine, i rapporti molto significativi di Folchetto con importanti trovatori
coevi saranno esemplificati nel § 3.2.1.
§ 3.1.2. C a r r i e r a r e l i g i o s a . Le indicazioni della vida coincidono in
parte con quelle ricavabili dal De Triumphis Ecclesiae di Giovanni di Garlandia,
l’altra importante fonte per questa fase della vita di Folchetto 37:
Pravos extirpat et doctor, et ignis, et ensis;
Falcat eos Fulco, praesul in urbe sacra.
Hic dudum fuerat joculator, civis et inde
36
Riccardo Cuor di Leone è nominato in 155,3 (VI), 33 e, come «reys engles», in 155,7
(XIV), 50: cfr. 155,12 (XXIII), 33-37; Alfonso II d’Aragona è menzionato semplicemente
come «reys d’Arago» in 155,5 (I), 44-45 e nella canzone di crociata 155,15 (XVIII), 37; al
visconte di Marsiglia Raimon Jaufre Barral (morto nel 1192) Folchetto dedica il planh 155,20
(XXI), nominandolo esplicitamente in 155,7 (XIV), 2 e, come «mo senhor», in 155,11 (XIII),
43. Su Raimondo V scrive Stroński: «il est probable que le biographe ait ajouté le nom du
“bon comte Raimon”, bien connu des vidas, pour ne pas omettre, à côté du roi d’Aragon,
seigneur de Provence, et de Richard, signeur d’Aquitaine, le trosième grand prince du Midi à
cette époque» (pp. 140-41). Guida 1997, pp. 37-38 che ritiene «ammissibile» la tesi di
Stroński, nota come Uc de Saint Circ – giurisdizionalmente dipendente dalla casa dei conti di
Tolosa – si sia comportato «da buon suddito ma da cattivo storico» (p. 38). Suitner 1980, p.
622, n. 9 ipotizza «in via subordinata» che in origine Raimon fosse semplicemente il primo
nome del visconte Barral, elevato a conte da un compilatore.
37
Johannis de Garlandia, De triumphis Ecclesiae libri octo. A Latin Poem of the
Thirteenth Century, edited by T. Wright, London, Nichols & Sons 1856, libro V, pp. 93-94;
cito da Stroński, pp. 107*-108*.
Marsiliae, clarus conjuge, prole, domo.
Intrans coenobium Turoneti, veste sub alba
Certat, ut interius albior esse queat.
Factus de monacho fuit abbas, praesul et inde
Tholosae, passus pro grege multa mala,
Probra, minas, iter, exilium, suspiria, luctus,
Raptus, contemptus, insidiasque graves.
Abbates facti Fulconis sunt duo nati,
Consecrat et matrem relligionis apex.
Giovanni è un testimone diretto, avendo conosciuto personalmente
Folchetto 38; così Stroński: «L’auteur de la vida, qui donne sur l’origine de
Folquet des détails dont J. de Garlande ne parle pas, a sans doute connu sa
carrière religieuse par d’autres sources que ce poème latin; mais, puisqu’il
insiste sur les mêmes détails, il s’en est peut-être inspiré dans la rédaction de ce
passage de son récit» (p. 142). Fra i dettagli comuni, la notizia dell’entrata in
convento dei due figli (e della moglie) è confermata, oltre che dall’Ottimo e da
Benvenuto, da un atto di donazione del 1210, che annovera fra i testimoni
«frater Ildefonsus et frater Petrus, frater ejus, monachi Grandis Silve, qui dicti
sunt filii Folquet de Massilia episcopi Tolose» 39.
Per quanto riguarda l’entrata nell’ordine cistercense, la vida offre una
motivazione convenzionale e poco verosimile 40, mentre i due commenti
danteschi restringono la causa alla morte di Azalais 41: se è oggettivamente
difficile, oltre che poco interessante, determinare tale motivazione, è possibile,
con Stroński, ipotizzare la data di abbandono del secolo. L’editore indica il
1195, in primo luogo perché questo è l’anno in cui Folchetto scrive l’ultimo suo
38
Nato in Inghilterra fra il 1190 e il 1195, Giovanni è a Parigi probabilmente dopo il
1217; partecipa attivamente alla crociata e insegna all’Università di Tolosa (cfr. infra) dal
1229 al 1232: e durante il suo soggiorno in città redige i libri IV-VI del suo poema: si veda di
Y. Dossat, Les premiers maîtres à l’université de Toulouse, Jean de Garlande, Hélinard, CF,
V [1970], pp. 179-203, in partic. le pp. 179-90.
39
Del documento, edito nel Cartulaire de Bardones, publié et ann. par l’abbé Cazauran,
La Haye, Martinus Nijhoff 1905, p. 289 sgg. (n° 435), l’editore dà notizia in Stroński 1913,
pp. 274-78. La ‘conversione’ è ricordata anche in uno degli exempla (il n° 154) conservati nel
ms. 1019 della Bibl. di Arras e studiati da Isabelle Rava-Cordier: si veda per ora La proximité
comme élément de persuasion: les références géographiques, sociales et culturelles dans les
exempla d’un sachet provençal au XIII e siècle, CF, XXXII (1997), pp. 225-48, in partic. pp.
238 e 242.
40
Barral muore nel 1192, Riccardo nel 1199, Raimondo nel 1194, Alfonso nel 1196. La
data di morte Azalais va probabilmente collocata nel 1201, anno in cui la donna redige un
testamento, riportato da Stroński a p. 170, n. 1: cfr. Aurell 1986, p. 159 . Il 1191 (prima del
maggio) è l’anno del ripudio da parte di Barral, il quale probabilmente si aspettava un figlio
maschio; il visconte si risposerà forse nello stesso 1191 con Maria di Montpellier (cfr.
Stroński, pp. 168-70): l’estensore della vida può aver confuso la data del ripudio con quella
della morte, anticipando il decesso di almeno dieci anni. Trascurando questo aspetto si può
dire che per la vida l’entrata in convento deve seguire il 1199. Così solo sei anni
separerebbero l’entrata in convento dall’elezione a vescovo di Tolosa (1205), ma la cosa non
appare impossibile.
41
Commenta Benvenuto: «Mortua uxore Baralis amarissimum dolore concepit, sicut olim
Dantes de morte suae Beatricis».
testo databile, la canzone di crociata 155,15 (XVIII), probabilmente di poco
successivo alla disfatta di Alarcos 42; in secondo luogo per una constatazione di
‘buon senso’: «si on considère que dix ans seulement séparèrent sa dérnière
chanson (1195) de son élection à l’évêche de Toulouse (1205) et que son séjour
dans le cloître devait être assez long pour qu’il fût nommé abbé, on est autorisé à
supposer qu’il se fit moine peu de temps après cette chanson de 1195 qui paraît
indiquer qu’il pense à “s’incliner devant Dieu”» (p. 90*). Per di più l’intera
tornada della canzone di crociata è letta dall’editore come un invito ad Azimans
(cioè a BtBorn) a seguirlo nella scelta di entrare in convento (cfr. infra il §
3.2.1.1.3).
Con tutto ciò la data del 1195, per quanto verosimile, resta congetturale 43;
altrettanto ipotetica la data di elezione ad abate del convento di Thoronet, nella
diocesi di Fréjius 44: certamente è posteriore al 1199, anno di un documento
redatto «in praesentia et testimonio Ugonis abbatis de Floreia» 45: Stroński la
colloca posteriormente al 1201 46.
Comunque sia, l’ordine cistercense era particolarmente impegnato
nell’azione anti-eretica sin dall’epoca di Bernardo di Chiaravalle: ma è con
Innocenzo III, che papa da quattro mesi designa il monaco cistercense Rainier
quale suo legato allo scopo di avviare una campagna capillare di predicazione e
di controllo del clero meridionale, che si apre la prima fase della lotta ai catari
(21 aprile 1198); prima fase che terminerà drammaticamente il 14 gennaio 1208
quando Pierre de Castelnau, monaco cistercense di Fontfroide e sostituto di
Rainier, viene assassinato: la data segna l’inizio della crociata contro gli
albigesi, condotta all’inizio da un altro cistercense, l’abate generale di Cîteaux
Arnaud Amaury, arcivescovo di Narbona dal 1212 47. Né va dimenticato il ruolo
di Gui, abate del convento cistercense di Vaux-de-Cernay e vescovo di
42
Cfr. infra, § 1.2.1.11; non è detto comunque che si tratti dell’ultimo testo in assoluto
come vorrebbe Stroński (p. 74*): a non voler considerare le due poesie religiose 155,26
(XXVI) e 155,19 (XXVII), ascrivibili al periodo di monacazione del trovatore, non si può
escludere che qualcuno dei testi amorosi non databili possa essere posteriore al n° XVIII.
43
In base alla vida l’HGL, V, p. 91 indica il 1199, l’HLF, XVIII, p. 595 «vers 1196»,
mentre Jeanroy 1934, II, p. 148, n. 3, dà, senza specificazioni, il 1200.
44
Cenni sulla storia dell’abbazia sono in Cabau 1986, p. 156; cfr. anche Biget-Pradalier
1986, p. 369, n. 115.
45
Il nome originario, Sainte-Marie de Floreye, persistette al trasferimento del convento in
località Thoronet; la carta, edita da L. Blancard, Les chartes de Saint-Gervais-lès-Fos,
Marseille 1878, p. 32, è citata da Stroński 1910, p. 90*, n. 2. L’affermazione di Papon, ripresa
anche dall’HLF, XVIII, pp. 595-96: «Je connois en effet une charte d’Alphonse II [di
Provenza], datée du mois de janvier 1197, que Fouques signa en qualité d’abbé du Toronet»
(Histoire générale de Provence, Paris, Montard 1772-86, II, p. 395), sarebbe invece senza
fondamento: secondo Stroński Papon ha confuso i nomi degli abati.
46
Fauriel 1846, II, p. 71 indica il 1200.
47
Oltre alla sintesi di M.-H. Vicaire, Les clercs de la croisaide, CF, IV (1969), pp. 26080, sul ruolo dei cistercensi si veda il numero monografico Les Cisterciens de Languedoc
(XIIIe-XIVe s.) dei CF, XXI (1986).
Carcassonne dal 1212, predicatore attivissimo già prima dell’inizio della
crociata e zio del cronista Pierre, anche lui appartenente all’Ordine 48.
In un contesto siffatto si spiega perfettamente l’elezione di Folchetto a
vescovo di Tolosa 49: ma potrebbe non essere peregrina l’ipotesi che la passata
attività commerciale e la consuetudine con i fatti finanziari possa aver
influenzato la sua designazione. La situazione economica della diocesi di Tolosa
era infatti ben misera, se è vero che Raymond de Rabestens, il predecessore di
Folchetto, deposto alla fine del 1205 con l’accusa di simonia e di collusione con
gli eretici, aveva dilapidato per fini personali quasi l’intero patrimonio: quando,
il 5 febbraio 1206, Folchetto prende possesso del soglio si ritrova, come ricorda
lui stesso in una predica, con una rendita di soli 96 soldi tolosani (Puylaurens,
cap. VII e cfr. cap. XXXIX): di qui la definizione, più volte ripetuta dal cronista,
di «episcopatus mortuus».
Tuttavia il nome del vescovo di Tolosa è ricordato dagli storici
essenzialmente per il suo coinvolgimento nella crociata e viene intrecciato a
quello di un altro protagonista della storia religiosa e politica del Midi, San
Domenico di Caleruega. Coinvolgimento che è valso a Folchetto una fama un
tempo molto negativa 50 e oggi, dopo le opportune considerazioni di Stroński,
più equanime 51; resta comunque un’ombra su questa figura, non di rado definita
ambigua, se non inquietante 52. E ciò per un’attività pastorale e culturale, oltre
che per una certa generosità, che emerge dalle fonti accanto all’innegabile
sostegno politico, ideologico ma anche militare, alle armate di Simon de
Monfort prima, di Luigi VIII in séguito.
48
M. Zerner-Chardavoine, L’abbé Gui des Vaux-de-Cernay prédicateur de croisade, CF,
XXI (1986), pp. 183-204.
49
D’altro canto, scrive J. Duvernoy, editore di Puylaurens: «le Saint-Siège avait déjà
tenté, mais en vain, d’installer un cistercien sur le siège de Toulouse, l’abbé Henri de Marcy
(ou Marciac), qui avait décliné ce désagréable honneur» (p. 45, n. 3). Della notizia, rilanciata
da Jean de Nostredame ma, come visto, già presente in Benvenuto e nell’Ottimo, che la sede
episcopale (la prima per Nostredame, l’unica per i commenti) fosse Marsiglia, discutono gli
autori della GC, I, coll. 648-50: la communis opinio trae origine dall’errata identificazione fra
il Nostro e un altro Fulco, vescovo di Marsiglia dal 1174; per l’indicazione di Nostradamus
cfr. HGL, V, p. 91. La confusione si trova ancora in Picchio Simonelli 1974, p. 207:
«Folchetto, cattolicissimo vescovo di Marsiglia».
50
Ancora in tempi recenti càpita di leggere che «F. de Marseille, pendant la Croisade
albigeoise, s’est rendu tristement célèbre par sa cruauté à l’égard des hérétiques: on sait qu’il
fut accusé par le comte de Foix de la mort de plus de cinq cents personnes» (Bec 1979, p. 202;
«hérétiques» limita e in un certo senso attenua l’espressione «populations occitanes» che si
legge nell’ed. precedente dell’opera, Bec 1970, p. 266).
51
Anche da parte cattolica si assiste ad una moderazione dei toni: a quello apologetico di
G. Cayre, Folques, de Marseille, XLIe évêque de Toulouse, «La semaine catholique de
Toulouse» V (1866), pp. 349-50, 361-63, 373-75 e Le bienheureux Foulques, évêque de
Toulouse (1205-1231), ibid., XVI (1877), pp. 1128-40, si è sostituito un giudizio più sfumato,
per quanto inevitabilmente di parte: si veda la voce Folquet ou Foulques de Marseille (a cura
di M.-A. Dimier) nel Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, sous la
direction de R. Aubert, vol. XVII, Paris, Letouzey et Ané 1971, coll. 777-80; e cfr. Pontal
1985, pp. 183-84.
52
A titolo esemplificativo si veda Cabau 1986, p. 151.
È per di più notoria la parzialità più o meno accentuata delle fonti della
crociata 53: se è scontato il giudizio positivo sul vescovo della cronaca di Pierre
di Vaux-de-Cernay e quello negativo della seconda parte della Chanson de la
croisade albigeoise, più interessante è la posizione, piuttosto benevola, dei
cronisti più equilibrati, Guillaume de Puylaurens e Guillaume de Tudèle, autore
della prima parte della Chanson. Anche Innocenzo III, all’atto di conferirgli un
mandato speciale perché riporti l’unità nella Chiesa tolosana (cfr. Cernay, §§
401-11), ha parole molto elogiative per il vescovo di Tolosa 54:
Si vero iidem ad Ecclesiae redire desiderant unitatem, prout fuit a dictis nuntiis tuis
proppsitum [sic] coram nobis, nos venerabili fratri nostro Fulconi Tolosano episcopo, viro
integrae opinionis et vitae, qui testimonium habet non solum ab iis qui sunt intus, sed ab
iis etiam qui sunt foris, nostris damus litteris in mandatis, ut adjunctis sibi duobus
prudentibus et honestis, eos qui voluerint de corde puro et conscentia bona fide non ficta
redire, sufficienti ab isdem cautione receptae, reconciliet ecclesiasticae unitati.
Tuttavia, a causa dell’utilizzo prioritario da parte dell’Histoire générale du
Languedoc, opera di riferimento fondamentale per lo studio della crociata, di un
rimaneggiamento in prosa della Chanson 55 fortemente contrario a Folchetto, si è
avuto un fenomeno simile a quello denunciato da Achille Luchaire per il ruolo
delle milizie comunali nell’esercito francese del XII secolo: «C’est là une de ces
traditions, qui, transmises sans contrôle de génération en génération, de manuel
en manuel, sont entrées dans le courant des opinions reçues et finissent par
s’imposer aux historiens» 56. Il vaglio costante delle fonti è pertanto in questo
caso necessario più che altrove, per fornire di un qualche valore oggettivo il
ritratto di un personaggio così controverso, fermi restando i limiti che la ricerca
documentaria sempre presenta con le sue zone opache, le sue ambiguità e i suoi
vuoti.
Il rapporto con Domenico accompagna, come detto, l’intera carriera
episcopale di Folchetto, sin dall’anno d’insediamento: nel 1206 il vescovo gli
53
Per una valutazione si veda Y. Dossat, La croisade vue par les chroniquers, CF, IV
(1969), pp. 221-59, e, dello stesso, i due interventi su Guillaume de Puylaurens ora raccolti in
Eglise et hérésie en France au XIII e siècle, London, Variorum Reprints 1982, capp. II-III.
54
Lettera del 1° giugno 1213 (Potthast, n° 4741); cito da PL, CCXVI, coll. 849-52, a col.
850.
55
La versione, pubblicata per la prima volta da Dom Vaissete nell’HGL, V, pp. 455-528
(e integrata dalle Additions et notes di Al. Du Mège alle pp. 107-61), con il titolo di Histoire
de la guerre des Albigeois è stata riedita da Bouquet nei RHGF, XIX, pp. 114-92: si vedano le
considerazioni e i confronti di Stroński alle pp. 97*-99*.
56
Cit. da Belperron 1942, p. I; dagli storici ai poeti e ai romanzieri il passo è breve: a
parte Mistral che lo definisce «Fouquet l’abouminable» nel Calendau (canto I, v. 382; cito
dalle Oeuvres poétiques dirette da P. Rollet, Aix-en-Provence 1966; cfr. t. I, p. CLXXII per un
commento dello stesso Mistral), si pensi al collegamento fra Montségur, espugnato tredici
anni dopo la morte del vescovo, nel marzo 1244, e il Folco dantesco operato da Ezra Pound:
«O Anubis, guard this portal / as the cellula, Mont Ségur. / Sanctus / that no blood sully this
altar / ex aquis nata / τά εκ των υδάτων γενόμενα / “in questa lumera appresso” / Folquet, nel
terzo cielo» (Cantos, XCII); più esplicitamente W. Siti scrive: «e giù dalle mura di Montségur,
quando sono entrati i soldati del papa, colavano gocce di sangue e Folquet lo chiamava dal
pulpito il mosto della vendemmia del Signore» (Scuola di nudo, Torino, Einaudi 1994, p. 88).
avrebbe donato la chiesa di Sainte-Marie de Prouille, nei pressi di Fanjeaux,
città da dove il Santo aveva iniziato la sua attività di predicazione, ma i tre
documenti che attestano la largizione sono falsi 57: è probabile che Folchetto
abbia donato al Santo la chiesa, che dipendeva dalla sua diocesi, ma senza
redigere alcun atto, e abbia autorizzato il convento femminile di Prouille di cui
si hanno tracce documentarie dall’aprile 1207 e che costituisce il primo
insediamento di quello che sarà l’Ordine Domenicano 58. Nello stesso anno
insieme con Navarre, vescovo di Couserans, che sarà suo compagno di
predicazione durante la crociata raggiunge Domenico a Palmiers, dove si svolge
un dibattito dottrinale con gli eretici (Cernay, § 48) 59.
Ma i dibattiti saranno presto abbandonati: il 14 gennaio del 1208 viene
ucciso il legato pontificio Pierre de Castelnau; alla fine del mese Folchetto si
reca a Roma insieme col vescovo di Causerans per chiedere l’intervento di
Innocenzo III 60 che indice la crociata contro gli albigesi con la lettera del 10
57
L’inautenticità dei documenti, uno del 1206, due del 1211, è stata dimostrata da P.
Mandonnet - M.-H. Vicaire, S. Dominique. L’idée, l’homme et l’oeuvre, Paris 1938, I, p. 105,
n. 39 (il primo) e da R.J. Loenertz, Archives de Prouille, AFP, XXIV (1954), pp. 5-49, alle
pp. 37-47 (gli altri due): cfr. Vicaire 1987, p. 229 e n. 44 (cui rimando per indicazioni
ulteriori) e, dello stesso, Sources méridionales de l’histoire de Saint Dominique, nel volume
monografico dei CF su Saint Dominique en Languedoc, I [1966], pp. 34-40, alle pp. 34-35.
La donazione è affermata, ovviamente senza riserve, da Stroński a p. 91*.
58
Cfr. Vicaire 1987, cap. VIII e, dello stesso, Saint Dominique a Prouille, Montréal et
Fanjeaux, CF, I (1966), pp. 15-33, alle pp. 27-32 e L’action de saint Dominique sur la vie
régulière des femmes en Languedoc, CF, XXIII (1988), pp. 217-40 (sul problema della
fondazione vera e propria del convento, che pare doversi attribuire al vescovo Diego d’Osma,
compagno di predicazione di Domenico, si vedano le pp. 219-20). Comunque Folchetto si
attribuisce la responsabilità in un docum. del 1230: «Quod a nobis aedificatum fuit et
constructum» (cfr. Vicaire 1987, p. 250 e n. 170). Oltre alla donazione in favore della
comunità di Prouille, Folchetto si fa fautore di altre iniziative religiose: sono infatti sotto la
sua influenza (ma lo erano già della sua abbazia) i monasteri cistercensi femminili di NotreDame-de-Sion e Saint-Pons-de-Gémenos, alla cui fondazione, ancora abate di Thoronet,
assiste a Marsiglia il 28 aprile 1205 (cfr. Cabau 1986, p. 174); di quest’ultimo, una volta
diventato vescovo, è infatti uno dei principali promotori: è a lui, in quanto procuratore di
Gémenos e accompagnato da monaci di Thoronet, che Sacristiana dei Porcelet dona nel 1208
la metà del villaggio di Mollégès, dove sorgerà il monastero di Santa Maria: cfr. Aurell 1986,
p. 163 e dello stesso, Les Cisterciennes et leurs protecteurs en Provence rhodanienne, CF,
XXI (1986), pp. 235-67, alle pp. 236 e 259.
59
L’ultimo di una serie di incontri su cui si veda Belperron 1942, pp. 129-35 (in partic.
pp. 133-34) e Vicaire 1987, pp. 254-55. Negli stessi anni sono documentate le prime
conversioni e riconciliazioni di eretici operate da Folchetto, in un paio di casi insieme con
Domenico: si vedano le indicazioni di Cabau 1986, p. 178 e quelle meno ricche di Douais
1900, p. LXXV, nn. 3-4.
60
Cernay, § 67; Arnaud Aumary e Guy di Vaux-de-Cernay vanno invece in Francia per
sollecitare Filippo Augusto e i suoi baroni: Cernay, §§ 72, 103 e 128. Il viaggio a Roma è
ricordato anche dalla versione ER della vida di Pedigon (ed. Boutière-Schutz 1964, pp. 41215), scritta secondo Guida 1997, pp. 38-54 da Uc de Saint Circ, forse nel 1223-24 e
comunque negli anni ’20, con un fervore antifrancese e una partigianeria nei confronti del
conte di Tolosa che si sarebbe vietata nei primi anni ’30 redigendo la vida di FqMars; sempre
agli anni ’30 risalirebbe la rielaborazione della vida di Perd, indotta da ragioni di opportunità
politica o giudiziaria.
marzo 61. Con l’inizio del conflitto le prediche di Folchetto s’infittiscono:
«L’evesques de Tholosa, Folquets cel de Maselha, / que degus de bontat ab el no
s’aparelha, / e l’abas de Cistel [scil. Arnaud Amaury] l’us ab l’autre cosselha. /
Tot jorn van prezican la gent co no·s revelha; / del prest e del renou l’un e
l’autre s’querelha» (Tudèle, 46, 1-5). Siamo nell’inverno-primavera 1209-10.
Tolosa era sotto interdetto dal settembre 1209 (concilio di Avignone): Folchetto,
che aveva partecipato al concilio, rientra in città dopo averla liberata
dall’interdetto il 28 marzo 1210 (Cernay, § 162) installandosi nel castello
Narbonese, fortezza del conte Raimondo VI (Tudèle, 44, 18-20); aveva quindi
fondato la Confraternita bianca «ut per hoc devotionis eos Ecclesie aggregaret
atque facilius per eos ut expugnaret haereticam pravitatem et fervorem
extingueret usurarum» (Puylaurens, cap. XV), cui si contrappose presto una
Confraternita nera composta da abitanti del borgo, tradizionalmente anticattolici,
spesso in contrasto violento con la prima: d’altronde «venerat enim Dominus per
ipsum episcopum servum suum non pacem malam, sed gladium bonum mittere
inter eos» 62. È in questo clima che Domenico ottiene da Folchetto
l’autorizzazione a predicare nella città, nello spirito delle disposizioni del
concilio di Avignone del 6 settembre 1209 63.
Nell’estate del 1210 il vescovo compare sul campo di battaglia, durante
l’assedio di Minerve che, condotto da Simon de Monfort, si concluderà il 22
luglio con un rogo di almeno centoquaranta ‘perfetti’ 64. Il 10 luglio si apre il
concilio di Saint-Gilles che deve discutere le responsabilità di Raimondo VI: è
presente anche Folchetto (Cernay, § 164 e cfr. la n. 4), il quale partecipa inoltre
ai concili di Narbona nel gennaio 1211 e di Montpellier dove il 6 febbraio il
conte viene scomunicato per la seconda volta 65; il 26 febbraio chiede al conte di
lasciare la città per poter fare le ordinazioni nella cattedrale: Raimondo rifiuta e
ricambia l’invito, meritandosi la solidarietà dei tolosani su cui ricade
61
Potthast, n° 3323, cito da PL, CCXV, coll. 1354-58; sul ruolo del pontefice nella lotta
antieretica si veda R. Foreville, Innocent III et la croisade des albigeoise, CF, IV (1969), pp.
184-217.
62
Puylaurens, cap. XV e cfr. Tudèle, lassa 47. È alla Confraternita di Folchetto che si
riferisce Gavaud 174,1 (X), 15-16: «E vos, nescia gent blanca, / faretz vermelh so qu’es
blanc»: cfr. Guida 1979, pp. 57-64 e ora Guida 1997, p. 36, n. 35.
63
Cfr. in partic. il I canone: Ut episcopi frequentius vel praedicent, vel faciant praedicari
che si legge in J. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova, et amplissima collectio [...], t. XXII,
Venetiis apud Antonium Zatta 1778, coll. 783-94, alla col. 785 (tradotto in francese da Cabau
1986, p. 163); sul concilio avignonese si veda Hefele-Leclercq 1913, pp. 1283-86.
64
Cernay, § 156: «Erant autem perfecti heretici centum quadraginta vel amplius.
Preparato igitur igne copioso, omnes in ipso proiciuntur; nec tamen opus fuit quod nostri eos
proicerent, quia, obstinati in sua nequicia, omnes se in ignem ultro precipitabant».
65
Così la fonte (Cernay § 212), mentre Tudèle, 59, 5 scrive, con incertezza eloquente:
«Pois ne foro a autre [parlement], az Arles, mon escient»: l’erroneità dell’indicazione,
dimostrata da Martin-Chabot 1931-61, I, pp. 144-45, n. 3, si è tuttavia diffusa sulla scorta di
Labbe e Mansi negli strumenti moderni, come il Dizionario dei concili, diretto da P. Palazzini
e G. Morelli, I, Ist. Giovanni XXIII nella Pontificia Università Lateranense 1963, pp. 88-89;
in Hefele-Leclercq 1913 il «synode d’Arles» segue l’«assemblée tenue à Montpellier» (p.
1289).
nuovamente l’interdetto 66; di conseguenza, alla vigilia di Pasqua, il 2 aprile, il
vescovo abbandona Tolosa alla testa del clero, per raggiungere Simon de
Monfort all’assedio di Lavaur (Cernay, § 222), dove intorno alla metà di marzo
aveva inviato la sua Confraternita bianca (Puylaurens, cap. XVI). Il 3 maggio
assiste alla presa della città (Cernay, § 226) 67: due atti di donazione al
monastero di Prouille attestano la sua presenza, ma probabilmente anche di
Domenico 68 nella città espugnata ancora il 15 maggio (MDD, ni 10-11). Nel
giugno i due si ritrovano con Simon al primo assedio di Tolosa (Cernay, § 232):
Folchetto impone con intransigenza l’ultimatum ai cittadini, ordinando
nuovamente al clero, Domenico compreso, di abbandonare la città (Cernay, §
234). L’assedio dura comunque solo 12 giorni, dal 17 al 29 giugno, e si
conclude col ritiro dei crociati: il vescovo non può riprendere le sue funzioni in
città e la sua Confraternita, mero corpo militare dopo Lavaur, si scioglie.
Guillaume de Tudèle sintetizza bene il rapporto conflittuale fra Folchetto e
Tolosa: nell’estate 1210 il vescovo era stato accolto in città trionfalmente per
aver tolto l’interdetto 69; «mas poi vi», aggiunge il cronista, «qeu·s mescleron per
mot granda iror. / L’avesque anec en Fransa prezicar cascun jorn / e crozan se li
princep, li baro e·lh comdor / e·l cavaler de lai» (Tudèle, 62, 10-13): il ricorso ai
‘barbari’ del Nord, che insieme con l’intransigenza nei confronti dei tolosani sta
alla base dell’astio dell’anonimo continuatore della Chanson, va collocato alla
fine dell’anno successivo o nei primi mesi del 1212.
È probabilmente nel corso di questo viaggio in Francia (testimoniato anche
da Cernay, § 286) che Folchetto si reca per la prima volta a Liegi, come
documenta, fonte unica dell’avvenimento, il prologo della Vita Beatae Mariae
Oigniacensis, che l’autore, Jacques de Vitry, dedica al vescovo di Tolosa 70:
66
La fonte (Cernay, § 221) indica come data «sabbato videlicet post media
Quadragesima», ovvero il sabato delle Quattro Tempora, appunto il 26 febbraio nel 1211 (più
genericamente indica le Quattro Tempora Vicaire 1987, p. 282); forse per l’apparente
genericità dell’indicazione, la data è variamente indicata negli studi: per l’HGL, V, p. 168 è
«[le] samedi avant le Dimanche de la Passion», cioè il 26 marzo, per Stroński quaranta giorni
prima dell’uscita di Folchetto dalla città, cioè il 21 febbraio, per Cabau 1986, p. 174 il 19
marzo.
67
L’assedio si conclude come a Minerve: «innumerabiles etiam hereticos peregrini nostri
cum ingenti gaudio combusserunt» (Cernay, § 227); la cifra è quantificata in quattrocento da
Tudèle, 68, 19, in «circiter trecentos» da Puylaurens, cap. XVI.
68
Così ritiene Vicaire 1987, p. 283, n. 108.
69
«L’avesque de Tholosa (cui Dami-Dieus honor!) / en an dedins la vila receubut per
senhor, / a gran profecio, com un emperador. / Del devet los absols, si qu’ieu cugé laor / que
aguessan patz faita per totz temps, de bon cor» (Tudèle, 62, 5-9).
70
Acta Sanctorum, Iunii, t. IV, Anversa 1707, pp. 636-66, a p. 636 (D); l’opera
agiografica e i viaggi a Liegi di Folchetto sono ben studiati da Lejeune 1979 [1958], che
utilizza l’ed. Paris 18673, V (Iunii), pp. 547-72 (cit. a p. 547). Sulla Vita si veda André
Vauchez, Prosélytisme et action antihérétique en mileu feminin au XIIIe siècle: la Vie de
Marie d’Oignies († 1213) par Jacques de Vitry, «Problèmes d’Histoire du Christianisme»,
XVII (1987), pp. 95-110; cfr. anche G. G. Merlo, «Militare per Cristo» contro gli eretici
[1992], in G. G. M., Contro gli eretici. La coercizione all’ordotossia prima dell’Inquisizione,
Bologna, il Mulino 1996, pp. 11-49, alle pp. 21-23.
Unde cum sanctus et venerabilis Pater, Ecclesiae Tolosanae Episcopus, a civitate sua
ab haereticis depulsus, ad partes Galliae petiturus auxilium contra inimicos fidei
devenisset, et tandem usque in Episcopatum Leodii, quasi tractus odore et fama
quorumdam Deo in vera humilitate militantium, descendisset.
La fama del fervore mistico di Maria d’Oignies e delle beghine pare non
essere l’unica motivazione del viaggio: la Lejeune ipotizza che il vescovo,
pensando intimamente di avocare a sé il potere politico di Raimondo VI, fosse
molto interessato alle istituzioni di un principato ecclesiastico come Liegi 71.
A metà marzo 1212 Folchetto è a Narbona dove assiste alla consacrazione ad
arcivescovo dell’abate di Cîteaux Arnaud Aumary; il 30 aprile partecipa al
concilio provinciale, trattenendosi in città fino al 2 maggio (cfr. GC, XIII, col.
23). Lo si ritrova al fianco di Simon de Monfort durante il Blitzkrieg di SaintAntonin 72 nella notte fra il 20 e il 21 maggio (Cernay, §§ 314-17). In novembre
partecipa all’assise di Palmiers convocata dal Monfort (Cernay, §§ 362-66) e
concorre all’elaborazione degli Statuti promulgati il 1° dicembre, assai
importanti come documento giuridico 73.
Non meno importanti i risultati del concilio di Lavaur (14-21 gennaio 1213),
cui Folchetto ha parte attiva (Cernay, §§ 368-98): contro le intenzioni di
Innocenzo III 74 viene decisa la continuazione della crociata e la spoliazione
definitiva di Raimondo VI, il quale aveva tuttavia in Pietro II d’Aragona un
potente alleato 75. Compensa le forze il principe Luigi di Francia, che, senza
l’avallo del padre, prende la croce in febbraio; Filippo Augusto riunisce il 3
marzo a Parigi un parlamento, cui assiste anche Folchetto, per decidere riguardo
l’intervento del figlio (Cernay, § 418).
Fra febbraio e giugno, ovvero prima della morte di Maria d’Oignies (23
giugno 1213) cui assiste, effettua un secondo viaggio a Liegi, questa volta con
più spiccate finalità di predicazione antieretica, senza tuttavia riuscire a ottenere
risultati significativi in termini di adesione alla crociata, certo per la non
pienamente ortodossa situazione religiosa del principato 76. Tutt’altro che
fallimentari invece i risultati pastorali, fra i quali il concorso nell’insediamento
nella città dei dominicani, il cui primo convento viene tuttavia autorizzato dal
principe-vescovo Ugo di Pierrepont solo l’11 aprile 1229, in articulo mortis; ma
71
Lejeune 1979 [1958], p. 274, n. 16.
«E no cug que aguessatz a lezer un ou coit / que ilh l’agon conquis meïsma sela noit»
(Tudèle, 113, 4-5).
73
Si veda in proposito Belperron 1942, pp. 246-51.
74
Cfr. le lettere del 15 gennaio 1213 all’arciv. di Narbona (Potthast, n° 4648, in PL,
CCXVI, coll. 744-45) e del 18 gennaio a Simon de Monfort (Potthast, n° 4653, in PL,
CCXVI, coll. 741-43).
75
Figlio del «bon rei d’Arago» Alfonso II, tanto celebrato dal trovatore Folchetto ed eroe
della cristianità dopo quella vittoria sui mori di Spagna a Las Navas de Tolosa (16 luglio
1212) che lo stesso Folchetto aveva auspicato nella sua canzone di crociata 155,15 (XVIII).
76
Lejeune 1979 [1958], pp. 277-82.
72
Folchetto stesso pare aver ricavato dal confronto con l’esperienza delle beghine
una sorta di addolcimento dei suoi metodi 77.
In effetti, tornato nel Midi tra luglio e agosto si adopera per ricucire il
rapporto con i suoi fedeli (Cernay, § 443), dopo che il 1° giugno lo stesso
Innocenzo III gli aveva prescritto di assolvere i tolosani 78: il 1° settembre scrive
loro da Fanjeaux, dove aveva seguito Simon de Monfort, per ottenere la
riconciliazione, ripetendo il gesto nove giorni dopo. Intanto raggiunge Saverdun
col Monfort (11 settembre), e di qui Muret, dove tratta vanamente con Pietro II e
i tolosani pronti ad uno scontro che li vedeva sicuri vincitori (Puylaurens, cap.
XX). Il giorno della battaglia benedice i crociati:
Dum igitur comes et milites nostri mutuo loquerentur et de bello tractarent, ecce
episcopus Tolosanus advenit, habens mitram in capite, in manibus vero vivifice lignum
crucis; mox nostri ceperunt descendere de equis et singuli crucem adorare. Episcopus
autem Convenarum, vir mire sanctitatis, videns quod in ista adoratione crucis a singulis
nimia fieret mora, arripiens de manu Tolosani episcopi lignum crucis ascendensque in
locum eminentiorem, signavit omnes, dicens: «Ite in nomine Jhesu Christi! Et ego vobis
testis sum et in die Judicii fidejussor existo quod quicumque in isto glorioso occubuerit
bello absque ulla purgatorii pena statim eterna premia et martyrii gloriam consequetur,
dummodo contritus sit et confessus vel saltem firmum habeat propositum quod, statim
perfecto bello, super peccatis de quibus nondum fecit confessionem ostendet se
79
sacerdoti» .
Dopo l’inattesa vittoria 80, e la morte di Pietro, si dimostra generoso con i
tolosani; nel mese di settembre insiste per ottenere la definitiva riconciliazione
che otterrà finalmente il 25 aprile dell’anno successivo (Cernay, § 484).
Nel 1214 è nuovamente documentato il rapporto con Domenico: un atto del
25 maggio (MDD, n° 58), definisce il Santo «cappellani de Fanoiovis», titolo
concesso da Folchetto forse durante lo stesso mese di maggio: ma il documento,
che attesta inoltre la donazione di decime al monastero di Prouille, sarebbe
77
Lo rileva la Lejeune alle pp. 282-83; quanto all’esperienza mistica delle beghine, va
notato che la piena ortodossia cattolica di questa fase iniziale scivolerà di lì a pochi anni
nell’eresia, certo per il contatto con il movimento degli Spirituali francescani: sull’argomento
basti un rimando a R. Manselli, Spirituali e Beghini in Provenza, Roma, Ist. Storico Italiano
per il Medioevo 1959.
78
Si veda la lettera citata supra e la nota 54.
79
Cernay, § 461; ovviamente più sintetica la Chanson, 139, 55: «Ab tant Folquets
l’avesques los a pres a senhar».
80
Di cui, fra gli altri, Folchetto informerà il papa, con una relazione che Cernay
rimaneggia ai §§ 468-83 e che gli editori della cronaca, P. Guébin e E. Lyon, riportano
integralmente nelle Annexes, n° 3 (vol. III, pp. 200-205 della loro edizione).
falso 81. All’inizio di giugno assiste al matrimonio del primogenito di Simon,
Amaury, celebrato da Domenico a Carcassonne 82.
L’8 gennaio del 1215 Folchetto partecipa al concilio di Montpellier, che
sancisce lo spodestamento da Tolosa di Raimondo VI e di suo figlio in favore di
Simon de Monfort (Cernay, §§ 545-49); durante il mese lo si ritrova a Tolosa
col Monfort e il principe Luigi (Chanson, lassa 141 e Cernay, § 549).
Successivamente, fra gennaio e febbraio, prende possesso del castello
Narbonese, dimora del conte di Tolosa, affidatogli dopo il concilio di
Montpellier da Pietro di Benevento, cardinale di Santa Maria in Acquiro e
legato di Innocenzo III: nel castello riceve dodici consoli tolosani, ostaggi del
legato Pietro, e vi stabilisce una guarnigione militare (Cernay, § 549;
Puylaurens, cap. XXIII) 83.
Il 1215 è un anno cruciale per quello che di lì a poco sarà l’Ordo
Praedicatorum: come primo atto Folchetto concede a Domenico un ospizio e i
beni ad esso relativi perché vi possa impiantiare una comunità 84; quindi, nel
giugno-luglio, nomina ufficialmente Domenico e i suoi compagni predicatori nel
suo episcopato, stabilendo compiti e mezzi di sostentamento 85:
In nomine Domini nostri Ihesu Christi. – Notum sit omnibus presentibus et futuris
quod nos F(ulco), Dei gratia Tolosane sedis minister humilis, ad extirpandam hereticam
pravitatem et vitia expellenda et fidei regulam edocendam et homines sanis moribus
imbuendos, instituimus predicatores in episcupatu nostro fratrem Dominicum et socios
eius, qui in paupertate euuangelica pedites religiose proposuerunt incedere et veritatis
euuangelice verbum predicare.
81
Cfr. Vicaire 1987, p. 305, n. 246: solo nel 1221 Folchetto concederà le decime e
Prouille; alcune decime di Fanjeaux vennero tuttavia concesse prima del 1215 essendo
attestate in un documento dell’8 ottobre 1215 (MDD, n° 65); l’HGL2, VI, p. 645 menziona
inoltre la concessione delle decime di tre parrocchie a un amico di Domenico, Jean abate di La
Chapelle, prima del 5 luglio 1215, data di morte dell’abate.
82
Vicaire 1987, p. 273, che per la partecipazione di Folchetto rimanda a A. Rhein, La
seigneurie de Monfort. Catalougue des actes, «Mémoire de la société archéologique de
Rambouillet» XXI (1910), pp. 124-246, n° 122; cfr. Cernay, §§ 509-12.
83
Vicaire 1987 commenta: «Il problema politico della capitale era provvisoriamente
risolto: ma il problema pastorale? Possiamo pensare che il legato abbia anche indotto Folco e
Domenico a trasferire in Tolosa quella Predicazione da loro stessi appena ricostituita a
Fanjeaux grazie all’appoggio del Monfort» (p. 308): l’argomentazione prosegue alle pp. 30810. La vicenda dell’estate 1215, raccontata aneddoticamente da Puylaurens, cap. XXIII, del
rifiuto opposto al miles Raimond de Ricaud «petentem ab eo domum Hospitalis quod dicitur
Mainaderie» (cfr. la n. 5 a p. 91 dell’ed. della cronaca), documenta peraltro il pieno
reinserimento del vescovo nelle proprie funzioni.
84
Vicaire 1987, pp. 311-13, che data i documenti di donazione a inizio estate e «con ogni
probabilità» allo stesso giorno dell’atto di cui alla nota seguente (cfr. in partic. p. 311, n. 23).
85
MDD, n° 63 e cfr. Vicaire 1987, pp. 319-29, che giudica particolarmente audace l’atto
di Folchetto, in quanto la predicazione era stata sino a quel momento appannaggio dei vescovi:
si veda anche p. 359; lo studioso nota inoltre a p. 322 che il programma riprende sino al calco
la già citata lettera (cfr. supra n. 61) del 10 marzo 1208 con cui Innocenzo III indice la
crociata: «...ad expugnandam haereticam pravitatem ac fidem catholicam confirmandam,
extirpando vitia et seminando virtutes...» (PL, CCXV, col. 1356).
I primi domenicani parteciparono, durante l’estate, ai corsi di teologia tenuti
da Alexandre Stavensby nella scuola organizzata da Folchetto nella cattedrale di
Saint-Étienne, secondo le prescrizioni del III concilio ecumenico lateranense del
1179 86: la scuola rappresenta il primo passo verso la fondazione dell’Università
che sarà creata, come si vedrà, nel 1229 col concorso e per impulso del vescovo,
al fine di contrastare l’eresia anche sul piano culturale.
L’Ordine Domenicano necessitava tuttavia dell’approvazione papale: allo
scopo di ottenerla Folchetto accompagna all’inizio di settembre Domenico a
Roma 87, dove era stato convocato il grande IV concilio ecumenico lateranense:
nei primi giorni del mese successivo (cfr. bolla pontificia dell’8 ottobre in MDD,
n° 65) i due vengono ricevuti dal pontefice al quale chiedono la conferma
ufficiale dell’Ordine e dei suoi beni materiali 88.
L’11 novembre si apre il concilio lateranense: qui, secondo la II parte della
Chanson de la croisade albigeoise, fonte unica dell’evento, Folchetto si scontra
con Raimon Roger, conte di Foix e rappresentante di Raimondo VI,
rinfacciandogli l’eterodossia di sua sorella Esclarmonde (Chanson, 145, 5-25); il
conte avrebbe risposto con estrema durezza 89:
E dic vos del avesque, que tant n’es afortitz
Qu’en la sua semblansa es Dieus e nos trazitz,
Que ab cansos messongeiras e ab motz coladitz,
Dont totz hom es perdutz qui·ls canta ni los ditz,
Ez ab sos reproverbis afilatz e forbitz,
Ez ab los nostres dos, don fo enjotglaritz,
Ez ab mala doctrina es tant fort enriquitz
C’om non auza ren diire [sic] a so qu’el contraditz.
Pero cant el fo abas ni monges revestitz,
En la sua abadia fo si·l lums escurzitz
Qu’anc no i ac be ni pauza, tro qu’el ne fo ichitz.
E cant fo de Tholosa avesques elegitz,
Per trastota la terra es tals focs espanditz
Que jamais per nulha aiga no sira escantitz:
Que plus de cinq cent melia, que da grans que petitz,
I fe perdre las vidas e·ls cors e·ls esperitz.
Per la fe qu’ieu vos deg, als seus faitz e als ditz
Ez a las captenensa, sembla mielhs Antecritz
Que messatges de Roma!
86
Si veda il XVIII canone (COD, p. 196), esplicitamente ripreso dall’XI canone (De
magistris scholasticis) del Lateranense IV (COD, p. 216); e cfr. M.-H. Vicaire, L’école du
chapitre de la cathédrale et le projet d’extension de la théologie parisienne à Toulouse
(1072-1217), CF, V (1970), pp. 35-77, oltre a Vicaire 1987, p. 333.
87
Cfr. Giordano di Sassonia, Libellus de principiis ordinis praedicatorum, edidit H. Chr.
Scheeben, Roma, Istituto storico dominicano - Santa Sabina 1935, n° 40.
88
Su questa fase si veda Vicaire 1987, pp. 354-61; sul concilio Hefele-Leclercq 1913, pp.
1316-98.
89
Chanson, 145, 60-78; al di là delle valutazioni, condizionate dalla già ricordata
partigianeria dell’anonimo continuatore di Guillaume de Tudèle, i versi, spesso citati negli
studi, sono importantissimi dal punto di vista biografico, costituendo la prima testimonianza
della carriera religiosa del trovatore Folchetto.
Oltre a spodestare e diseredare definitivamente Raimondo VI in favore di
Simon de Monfort, i cui diritti Folchetto avrebbe sostenuto rivolgendosi
direttamente a Innocenzo (Chanson, 148, 1-31), così da meritarsi la definizione
di razonaire del conte di Leicester (Chanson, 150, 7-8), il concilio offre a
Domenico la promessa di una prossima conferma dell’Ordine 90.
Nel gennaio 1216 Folchetto e Domenico lasciano Roma, e in febbraio sono a
Narbona (Cernay, § 573 e cfr. ed., p. 264, n. 2): il vescovo si trattiene a causa
del contrasto che oppone l’arcivescovo Arnaud Amaury al Monfort 91, mentre
Domenico riparte per Prouille. Si ritrovano a Tolosa in marzo, allorché Simon
de Monfort prende possesso della città ricevendo il 7 il giuramento dei
magistrati e della popolazione, e prestando il proprio il giorno dopo, alla
presenza di Folchetto e di altri prelati 92.
Intorno alla metà del mese il vescovo accompagna in Francia Simon de
Monfort, che si accinge a rendere omaggio feudale a Filippo Augusto (Cernay, §
573): il 30 aprile i due sono a Parigi (Cernay, § 574). Tornato a Tolosa in
giugno, Folchetto concede la cappella Saint-Romain a Domenico e ai suoi
Predicatori (MDD, n° 73).
Nella sua attività politico-pastorale ritorna presto il momento militare: il 19
luglio dello stesso 1216 partecipa all’assedio tenuto a Beucaire da Simon de
Monfort 93; quindi, tornato nella sua città, cerca di mediare fra i tolosani ribelli e
il nuovo signore 94. All’inizio di settembre prende parte al consiglio tenuto da
Simon «en la tor antiqua», senza dubbio il Castello Narbonese di Tolosa (cfr.
Chanson, 179, 13 sgg.), facendo in modo che i tolosani ribelli vengano
condannati al solo pagamento di 30.000 marchi d’argento, cifra comunque
enorme 95.
In ottobre il vescovo concede al capitolo di Saint-Étienne le sei chiese
restituite nel mese precedente dal Monfort alla diocesi tolosana (cfr. GC, XIII,
col. 77) e ne elargisce altre due a Domenico 96. Fra ottobre e novembre chiede al
papa il permesso di rimettere la propria carica o almeno di poter suddividere il
suo troppo vasto episcopato (cfr. GC, XIII, coll. 23-24), proposte che Onorio III
rifiuta il 28 gennaio dell’anno successivo 97; sette giorni prima era invece venuto
l’atteso riconoscimento dell’Ordo di Domenico, da novembre a Roma per
90
Le disposizioni X-XIII e XXVII sono riprodotte in MDD, n° 67; e cfr. Vicaire 1987, pp.
369-73.
91
Cfr. HGL, V, pp. 253-56 (naturalmente sostiene il Monfort, come risulta a p. 254).
92
Cernay, § 573 e n. 2; cfr. Vicaire 1987, p. 374 per la presenza di Domenico.
93
Folchetto è uno dei testi di un atto emanato a Beucaire il 19 luglio da Simon de Monfort
che si può leggere nell’HGL2, VIII, col. 688, n° 189.
94
Cernay, § 585 e Chanson, 172, 27 sgg.; 173, 64-5; 175, 1 sgg.; 176, 1 sgg. e 74 sgg.;
177, 49 sgg.
95
I fatti, raccontati da Puylaurens, cap. XXVII sono modificati dalla Chanson (lasse 17179) che propone un ruolo decisamente negativo di Folchetto (cfr. Stroński, pp. 94*-95*).
96
MDD, ni 74-76 e cfr. Vicaire 1987, pp. 396-97.
97
Lo attesta una bolla pubblicata da C. A. Horoy, Honorii IIIi opera omnia, II, Paris
1879, p. 179, n° 219; e cfr. Vicaire 1987, pp. 397 e 413, per il quale Domenico era a fianco
del papa mentre questi redigeva la lettera.
sollecitarlo: nell’indirizzare la bolla del 21 gennaio 1217 ai seguaci di
Domenico, il papa stesso corresse con praedicatoribus il generico
praedicantibus, autorizzando così implicitamente l’Ordine 98. Nel luglio-agosto
viene la decisione di Domenico di trasformare la Predicazione di Tolosa in
ordine universale, cosicché da quel momento in poi dei rapporti col vescovo non
restano che un paio di attestazioni documentarie, concernenti decime concesse ai
frati 99.
Intanto la situazione politico-militare del Midi, e di Tolosa in particolare, si
era aggravata: il 13 settembre 1217 Raimondo VI era riuscito a rientrare in città
(Puylaurens, cap. XXVIII e Chanson, lasse 181-82), provocando la reazione del
Monfort: mentre questi cavalca contro Tolosa, Folchetto cerca di salvaguardare
il diritto d’asilo in chiesa per i Tolosani (Chanson, 186, 105-6). Lo ritroviamo
nel campo del conte durante il secondo assedio di Tolosa, protagonista attivo dei
consigli 100: in ottobre riceve l’incarico di predicare in Francia e di richiedere
l’aiuto di Filippo Augusto (Puylaurens, cap. XXVIII e Chanson, 194, 28 e 42
sgg.); ritornerà nel Midi nel maggio 1218, a sette mesi dall’inizio dell’assedio
(Cernay, § 606B), con un contingente di crociati francesi (Chanson, 196, 36
sgg.). «L’avesque felon», che non manca di partecipare ai consigli tenuti dal
Monfort (Chanson, 200 e 202, 55), riceve, il 25 giugno, il corpo senza vita del
conte (Chanson, 205, 143-44): ne tesserà le lodi il giorno successivo nel
consiglio tenuto al Castello Narbonese (Chanson, 206, 33 sgg.). In luglio i
crociati deliberano di levare l’assedio (Cernay, § 614): Folchetto esprime il suo
disappunto davanti al consiglio che prende la decisione (Chanson, 207, 113); il
25 del mese segue i crociati e il vescovo Amaury a Carcassonne dove viene
seppellito Simon de Monfort (Chanson, 207, 129-32 e 208, 1 sgg.): è qui che il
cardinale Bertand di Saints-Jean-et-Paul, legato di Onorio III, gli chiede di
tornare in Francia a sollecitare aiuti 101.
Nel 1219 il vescovo riprende l’attività pastorale: in agosto consacra l’abbazia
cistercense Sainte-Marie de Chaalis nella diocesi di Senlis e a metà settembre
partecipa al capitolo generale di Cîteaux; infine, il 19 febbraio 1221 viene
incaricato di riformare il monastero di Saint-Pierre de Lamanarre, nella diocesi
di Toulon 102. Il 6 luglio 1223 partecipa al concilio di Sens; il 15 luglio è a Parigi
dove assiste alle esequie di Filippo Augusto in Saint-Denis e il 6 agosto
98
Documento edito in MDD, n° 79; la correzione è illustrata da Koudelka nella prima
delle Notes sur le cartulaire de S. Dominique, AFP, XXVIII (1958), pp. 92-114, alle pp. 92100 (cfr. MDD, Notes, I, pp. 95-100 e II, p. 98); si veda anche Vicaire 1987, pp. 406-13 e in
partic. le pp. 409-10 e la n. 49.
99
Si vedano i documenti in MDD, n° 83 (Castelnaudary, 11 settembre 1217) e MDD, n°
153 (Roma, 17 aprile 1221). Il 6 agosto dello stesso 1221 Domenico muore: le sue ultime
settimane di vita sono trattate da Vicaire 1987, pp. 638-46.
100
Cernay, § 602 sgg. e Chanson, 188, 1 sgg.; 190, 1 sgg.; 192, 41 sgg.
101
Chanson, 208, 32 sgg. (risposta affermativa da v. 61); la partenza avverrà poi in
agosto.
102
Cfr. GC, XIII, col. 24, che aggiunge: «Occurrit anno 1222 in charta Bernardi comitis
Convenarum pro abbatia Fuliensi».
partecipa a Reims alla consacrazione di Luigi VIII, il re che segnerà col suo
intervento una svolta decisiva nella crociata. Nel 1225 consacra un altare
nell’abbazia Saint-Thierry di Reims (cfr. GC, XIII, col. 24) e il 30 novembre
partecipa, insieme con tutti i prelati delle Gallie, al concilio di Bourges che
doveva decidere se confermare i diritti sulla signoria di Tolosa allo scomunicato
Raimondo VII o a Aumary de Monfort, ovvero a Luigi VIII, cui il figlio di
Simon aveva ceduto tutti i suoi diritti nel febbraio 1224. A Palmiers, all’inizio di
ottobre dell’anno successivo, presta giuramento di fedeltà a Luigi VIII,
facendosi ricordare dal re per la sua generosità 103. Ritroviamo il vescovo nel
marzo 1227 al concilio provinciale di Narbona, indetto fra l’altro per prendere
misure contro eretici ed ebrei, accusati questi ultimi di praticare l’usura 104;
infine, in due atti del mese di settembre (cfr. GC, XIII, col. 24), in cui conferma
al monastero di Prouille il possesso della chiesa di Fanjeaux e all’abbazia
cistercense di Boulbonne il possesso della chiesa di Tramezaygues.
Il 1227 è l’anno in cui Folchetto ritorna sul campo di battaglia: partecipa con
i francesi all’assedio di Labécède-Lauragais, dove si fa ricordare per aver fatto
scampare alla morte le donne e i bambini della città capitolata. Nell’aprile del
1228 è a Lavilledieu-du-Temple mentre i crociati assediano Castelsarrasin. Ha
poi l’occasione di esercitare ancora le sue doti di mediatore, ottenendo clemenza
per i dodici giovani che avevano ordito un complotto per liberare Raimondo
VII; poi, fra luglio e settembre, assiste alle distruzioni provocate dai crociati
intorno a Tolosa. Dal gennaio al marzo 1229 prende parte al concilio di Meaux
che deve decidere del destino di Raimondo VII e il 12 aprile è a Parigi dove il
trattato viene ratificato e Raimondo, dopo una flagellazione pubblica, si
riconcilia con la Chiesa. Diretta conseguenza del trattato di Parigi è la
fondazione, probabilmente in maggio, dell’Università di Tolosa: una clausola
prevedeva infatti l’obbligo per Raimondo VII di pagare gli stipendi ai
professori 105: decisivo per l’organizzazione il ruolo di Folchetto.
Nella città, riconciliatasi con la Chiesa in luglio, si svolge durante il mese di
novembre un importante concilio che segna l’inizio dell’azione collettiva dei
vescovi linguadociani nella lotta antiereticale e detta in ben 17 canoni le norme
103
«Transeunte quippe rege versus Apamiam cum legato, non erat immemor largitatis
episcopus, panis et vini et carnalagii mittens exenia copiosa, postquam intrassent dyocesim
Tholosanam. Erat quippe pro sue bonitatis fama et laboris quem pro fide sustinuerat omnibus
reverendus» (Puylaurens, cap. XXXIV). Inoltre si legge in GC, XIII, col. 24: «Conventui
Appamiensi adstitit anno 1226, et de suo quandiu rex in ipsius diocesi remansit, impensam
fecit».
104
Cfr. Hefele-Leclercq 1913, pp. 1452-54; salvo avviso contrario, ricavo da Puylaurens,
capp. XXXV-XXXVIII tutte le notizie riferite agli anni 1227-1229.
105
Cfr. Y. Dossat, L’université de Toulouse, Raymond VII, les Capitouls et le roi, CF, V
(1970), pp. 58-91 (ma si veda tutto il fascicolo dedicato a Les Universités du Languedoc au
XIIIe siècle). Ampie referenze bibliografiche sull’ateneo sono in S. Guenée, Bibliographie de
l’Histoire des Universités françaises des Origines à la Révolution, tome II, Paris, Piccard
1978, pp. 423-56 (precedute da un sintetico profilo storico alle pp. 419-23); cfr. anche
Histoire des universités en France, sous la direction de J. Verger, Toulouse, Privat 1986, pp.
46-48 (bibliogr. alle pp. 49-50).
minuziose per il ristabilimento dell’Inquisizione 106. In dicembre partecipa al
concilio d’Orange, diretto dal legato pontificio, col quale il giorno 29 si trova al
castello di Mornas. Rientra a Tolosa nel gennaio del 1230, dove rende pubbliche
le decisioni del legato sugli eretici. In luglio rimprovera a Raimondo VII di non
garantire la regolare percezione delle decime e si dichiara pronto a un nuovo
esilio (Puylaurens, cap. XXXVIII).
Lo stesso Guillaume de Puylaurens ci dà un quadro delle sue ultime attività
nell’anno della morte, il 1231: è costretto a transigere sul possesso del castello
di Verfeil, che gli era stato donato da Simon de Monfort il 4 giugno 1214 e il cui
possesso gli era stato confermato nel 1229; riceve l’approvazione di Raimondo
VII per Fanjeaux; mette ordine negli affari della chiesa resuscitando un
«episcopatum quasi olim mortuum» 107. Finalmente, dopo aver fatto delle
donazioni al capitolo della cattedrale il 22 dicembre, muore a Tolosa il giorno di
Natale (Puylaurens, cap. XXXIX) 108, e viene sepolto nell’abazia cistercense di
Grandselve (Puylaurens, cap. XL) accanto a Guglielmo VIII di Montpellier 109.
È del 3 gennaio 1232 l’inventario dei suoi vestimenti e degli ornamenti
ecclesiastici.
Al suo posto, il 20 marzo 1232, viene eletto Raymond du Fauga (o de
Falgar) 110, priore provinciale dell’ordine domenicano, segno di un rapporto con
106
Cfr. Hefele-Leclercq 1913, pp. 1494-501: vengono in sostanza riprese e ampliate le
indicazioni del III canone (De haereticos) del IV concilio lateranense (COD, p. 209). Ma il
vero atto d’inizio dell’Inquizione, in Francia e in primo luogo a Tolosa, va posposto all’aprile
1233: basti un rimando a Y. Dossat, Les crises de l’Inquisition toulousaine au XIII e siècle
(1233-1273), Bordeaux, Brière 1959, pp. 105-31 e a Douais 1900 (in partic. pp. XLVI-XLVII
sul concilio tolosano e pp. LXXIV-LXXVI sull’azione antieretica di Folchetto).
107
Lotta all’usura e rigore nella riscossione delle decime le sue armi, con cui pone le basi
per lo sviluppo finanziario dell’episcopato: a fine Duecento Tolosa, con una rendita doppia
rispetto a quella di Narbona, sarà la diocesi più ricca del Midi: cfr. J.-L. Biget, Recherches
sur le financement des cathédrales du Midi au XIII e siècle, CF, IX [1974], pp. 127-64, alle
pp. 152-53. Ha così la possibilità di ricostruire la cattedrale di Saint-Etienne, il cui cantiere,
già partito tra 1214 e 1216, risulta ancora attivo durante il secondo assedio di Tolosa (BigetPradalier 1986, pp. 352-53); a lavori conclusi (intorno al 1240) il risultato è notevole: essa
«constitue le prototype du gothique méridional. [...] Sa nouveauté la plus grande réside dans
l’application de la rigueur architecturale et de la sobriété décorative à un parti spécifique,
celui de la nef unique hérité de l’époque romane» (pp. 353 e 356). Si veda ora Q. Cazes, La
cathédrale de Toulouse et son environnement (XII e-XIVe siècle), CF, XXX (1995), pp. 31-59.
Per altri avvenimenti degli anni 1227-1231 rimando a Cabau 1986, p. 117; per i rapporti fra il
vescovo e l’abbazia cistercense di Boulbonne rimando a HGL2, VIII, col. 1889, n° XL; per le
ultime concessioni all’abbazia di Prouille, nel 1230, rimando infine a HGL2, IV, p. 856.
108
Stroński segnala a p. 103* che la notizia è confermata da una cronaca provenzale dei
conti di Tolosa (pubblicata, con qualche errore nei RHGF, XIX, p. 235) dove si legge che:
«1231. Mori Folquets evesque de Tolosa lo dia de Nadal en dijous». Alcuni indicano il 1232
come anno di morte (per es. Douais 1900, p. LXXIV), ma c’è chi anticipa al 1229, come J.-L.
Déjean, Les comtes de Toulouse (1050-1250), Paris, Fayard 19882, p. 361.
109
Essendo andato distrutto il monastero, dobbiamo a Catel 1633, p. 899 la preziosa
testimonianza e due frammenti dell’epitaffio funebre: «Fouquet» e «Montpellie(r) per Mossen
Guillem»; cfr. HGL, V, pp. 385-86.
110
Su cui Pontal 1985, pp. 185-91.
i Predicatori che la morte di Domenico non aveva certo interrotto 111. Allo stesso
modo la sua morte non coincide con la fine della crociata; anzi, è nell’anno
successivo, che Montségur diviene il rifugio ufficiale della Chiesa catara 112: sarà
la sua conquista il vero atto finale, non solo simbolico, di una vicenda nella
quale Folchetto, pastore e beato per alcuni, lupo travestito e anticristo per altri,
ebbe un ruolo di assoluta centralità.
__________________
Fra i numerosi contributi biografici non citati esplicitamente in questo Profilo ricordo,
oltre al GRLMA, II, t. I, fasc. 7, pp. 94-99, B. Bolton, Fulk of Toulouse: The Escape that
Failed, in «Studies in Church History», XII (1979), pp. 83-93, le schede di Boni 1960, II, pp.
121-24 e Roubaud 1971, pp. 200-201, la voce Folquet de Marseille redatta da C. C[remonesi]
e G. B[runel]-L[obrichon] per il Dictionnaire des lettres françaises. Le Moyen Age, Paris,
Fayard 19942, pp. 455-56. Non ho invece potuto consultare J. Laffont, Le Neuvième prieur du
Thoronet, Foulque, évêque de Toulouse, Cannes 1948. La scheda del GRLMA dà inoltre
notizia di un poema epico di Nikolaus Lenau, Die Albigenser (1842) «évoquant la vie de
Folquet» (p. 98).
3.2. Il contesto letterario.
Le pagine che seguono non intendono certo affrontare tutti gli aspetti che il
titolo del capitolo evoca, né esaurire gli argomenti effettivamente affrontati, ma
piuttosto costituire un primo approccio a un’analisi complessiva del canzoniere
folchettiano. Mi limito pertanto quasi soltanto a un censimento delle questioni
che pone la poesia di Folchetto, in merito a quattro àmbiti fondamentali: i
rapporti personali e/o intertestuali con i trovatori contemporanei, la fortuna in
Occitania e nelle aree sottoposte all’influsso della poesia trobadorica, la
valutazione critica della produzione folchettiana lungo l’arco dei secoli e le
opzioni preliminari per un esame di quella produzione in una prospettiva
rinnovata.
3.2.1. Rapporti poetici.
§ 3.2.1.1. I s e n h a l s . I tre senhals usati da FqMars si ritrovano insieme
una volta soltanto, nelle tornadas della canzone rivolta contro Amore 155,21
Sitot me soi a tart apercebutz (VII), 41-44 e 45-48:
111
Nel settembre 1229 assiste alla donazione di Pons de Capdenier, ricchissimo borghese
di Tolosa, ai Frati Predicatori; il 9 ottobre introduce i Frati Predicatori nel Jardin des
Garrigues: vi celebra una messa, pianta una croce nel terreno in segno di presa di possesso del
terreno, delimita il sito della futura chiesa, posa la prima pietra dell’abside, benedice il
cimitero dei Frati e fa una predica: il 22 dicembre dell’anno successivo i Domenicani di
Tolosa s’installano nel nuovo convento (cfr. GC, XIII, col. 24).
112
Già al concilio lateranense del 1215 Folchetto, nell’accusare il conte di Foix, aveva
sostenuto che «e·l pog de Montsegur fo per aital bastiz / qu’el les [scil. gli eretici] pogues
defendre, e·ls hi a cossentitz» (Chanson, 145, 11-12).
Bels N ’ A z i ma n s , s’Amors vos destregnia,
vos ni·N T o z t e mp s , eu vos consellaria:
sol vos menbres cant eu n’ai de dolor
ni quant de be, ja plus no·us en calria.
En P l u s - L e i a l , s’ab los hueilhs vos vezia,
aissi com fatz ab lo cor tota-via,
so qu’ieu ai dich porri’ aver valor,
qu’ieu quier conseilh e conseilh vos daria.
Ai tre, evidentemente dei poeti, «Folquet chiede, e insieme offre
consiglio» 113: ed è proprio partendo dalle risposte che il trovatore riceve che è
possibile proporre delle identificazioni pressoché certe 114.
§ 3.2.1.1.1. P l u s - L e i a l . È Pons de Chapduelh, il quale risponde alle
sollecitazioni di FqMars nella tornada di 375,20 Si com sellui c’a pro de
valledors (XII), 41-44, indirizzata a sua volta a un Plus-Leial:
Mon Plus-Lejal, s’ieu vos vis plus soven,
miels m’anera mi e vos eissamen;
qu’eu saubra vos conseillar e vos me,
pero negus non sap a sos ops re.
Il legame con la tornada folchettiana, nella quale si registra l’unica menzione
del senhal e con la quale questa di Pons condivide la «pur più scettica, richiestaofferta di consiglio» 115, è evidente: l’uso del senhal reciproco, fatto notare da
Stroński alle pp. 37*-39* della sua edizione 116, è poi la prova decisiva. PoChapt
utilizza il senhal anche nella II tornada di 375,19 S’ieu fis ni dis nuilla saisso
113
Meneghetti 1992, p. 99: il volume si segnala, fra gli altri meriti, per le importanti
integrazioni a questa questione.
114
Nella seconda tornada di FqMars 155,17 (XVI), testo di attribuzione dubbia, e non
sicuramente spurio come vorrebbe Stroński (vd. supra § 1.2.7), compare anche il senhal
Bella-Guarda di cui non si conosce il referente reale (l’ipotesi di Aston 1953, p. 180: «BellaGuarda = Marqueza de Polinac?» è del tutto arbitraria): Stroński nota a p. 128* che lo si
ritrova in ArnMar 30,16 (I), ma solo nei mss. PUc: la maggior parte dei testimoni legge BelsEsgars (Jonhston 1935, non dà informazioni sull’identità e così Chambers 1971, p. 119); ma
va tenuto conto che la tornada è tràdita da due soli mss. (DaG) che attribuiscono il testo a
Peirol, oltre ad essere caratterizzati da molte lectiones singulares (cfr. la n. 43-46 del
Commento all’edizione e supra il § 1.2.7). Non è invece un senhal, come riteneva Pratsch
1878, p. 46, ma nome proprio Na Ponssa: è la dama cui viene dedicata la canz. FqMars
155,11 (XIII) e non è stata identificata, sebbene Stroński abbia notato (cfr. p. 17*, n. 1) che il
nome fu portato dai signori di Trets, città verso cui il trovatore invia un’altra canzone (cfr.
Nota al testo di FqMars 155,5 [I]).
115
Meneghetti 1992, p. 100.
116
In séguito alle drastiche obiezioni Lewent 1911, coll. 328-30 l’editore è tornato
sull’argomento in Stroński 1913, pp. 288-97, confermando quanto aveva sostenuto in
precedenza.
(VIII), almeno nella ricostruzione proposta da Stroński per una canzone a suo
parere «mal publiée» da Napolski 117:
D’En Plus-Leial, ves on q’el sia,
pert sa coindans’ e sa paria
e prec Deu qe mal los estre,
totz cels q’an loignat mi ni se.
Val la pena di citare integralmente l’elegante commento dell’editore: «Cet
envoi exprime, croyons-nous, les sentiments de Pons de Chapdueil à la nouvelle
que son ami, Folquet, s’enferma dans un monastère. Il parle de lui, mais il ne
s’adresse plus à lui, car Folquet n’est plus du siècle. D’autre part, par ces
paroles: “où qu’il soit”, Pons marque bien qu’il ne parle pas d’un ami défunt. Et
comme le brave châtelain auvergnat n’a jamais été un ami de l’Eglise, ayant eu
pendant toute sa vie maille à partir avec le clergé, il parle sans respect de ceux
qui l’ont séparé de son Plus-Leial» (pp. 59*-60*).
§ 3.2.1.1.2. T o s t e m p s . È Raimon de Miraval: la dimostrazione definitiva
si deve a Meneghetti 1992, pp. 100-101 che ha identificato la risposta alla
tornada folchettiana nella canzone 406,21 Chansoneta farai, vencut (VIII), il
cui tema appare alla studiosa:
una sorta di contrappunto giocoso al tema proposto: alle sospirose richieste di pietà di
Pons e alla risoluta intenzione di Folquet di abbandonare un servizio d’amore mal
ricompensato, Raimon oppone una semiseria mala canso contro una dama che lo ha
tradito con un altro per denaro. Così, dopo aver affermato di poter già sperare nella
prospettiva di un nuovo amore più soddisfacente («Autra n’am ieu que mais mi
guazardona», v. 13), Raimon propone scherzosamente a Folquet di metter fine ai suoi
patimenti, divertendosi con la propria ex-innamorata, sensibile solo ai doni:
Chanso, vai t’en a mon Plus Lial rendre,
e diguas li qu’ieu sai dona a vendre.
Anche qui un senhal reciproco, sia pure ‘indiretto’ 118, e quale «ulteriore
prova» la presenza al v. 50 di un’espressione come «dona a vendre», che ne
ricorda una analoga in un’altra mala canso folchettiana, 155,10 (XII), coinvolta
peraltro in altri dibattiti (cfr. infra §§ 3.2.1.2.4 e 3.2.2.1.1). E tanto basta a
svelare l’identità del Tostemps cui FqMars si rivolge nelle tornadas di otto
117
Nella cui edizione si legge nella forma: «De N’Odiart, ves on que sia, / voill
s’acoindans’ e sa paria, / c’ab rics fatz enans’ e mante / tot so q’a valen prez cove»: rimando
per l’argomentazione ecdotica di Stroński alla lunga nota fra le pp. 58*-60*.
118
Diversa l’interpretazione di Stroński: «Raimon de Miraval ne pouvait pas se servir du
sobriquet Plus-Leial sans aucun rapport avec le même sobriquet réciproque de Pons et de
Folquet: il donne certainement ce nom à l’un d’eux, naturellement plutôt à Pons de Chapdueil,
pour lequel ce pseudonyme paraît avoir été inventé, qu’à Folquet de Marseille» (p. 39*, n. 1).
Tuttavia l’editore, che «à défaut d’indices nets et décisifs» (p. 41*) rinuncia a identificare
Tostemps, azzarda in nota l’ipotesi che sia RmMir, notando fra l’altro che il senhal testimonia
comunque rapporti indiretti fra questi e FqMars.
poesie 119, sempre in coppia con Azimans 120, e col quale tenzona nel partimen
155,24 (XXIV). Cosicché si può tranquillamente rinunciare, dando ragione a
Cropp 1980, p. 93, alle considerazioni di Topsfield 1971, pp. 31-32 sulla
predilezione di RmMir per l’avverbio tostemps.
§ 3.2.1.1.3. A z i m a n s . È Bertran de Born, l’unico a non rispondere alla
richiesta di consiglio della tornada di FqMars 155,21 (VII) 121: l’identificazione
passa anche questa volta attraverso un senhal reciproco: Stroński (cfr. pp. 39*41*) lo rintraccia nella tornada di BtBorn 80,12 Dompna, puois de mi no·us cal
(VII), 71-74 122:
Papiol, mon Aziman
m’anaras dir en chantan
c’Amors es desconoguda
sai, e d’aut bas cazeguda.
Per i due poeti si potrebbe parlare di vero e proprio sodalizio, come dimostra
peraltro il frequente invio di testi poetici da parte di Folchetto al suo
‘magnete’ 123: d’altronde BtBorn frequentò la corte marsigliese di Barral ed
ebbe, come in tono minore ebbe anche Folchetto, un leggendario rapporto con
Riccardo Cuor di Leone; li divise il giudizio su Alfonso II d’Aragona, ma si
ritrovarono insieme a metà degli anni ’90 del XII sec. nella scelta di
abbandonare il secolo per entrare nell’ordine cistercense. Secondo Stroński fu
Folchetto a maturare primo la decisione e a chiedere all’amico di seguirlo: lo si
ricaverebbe dalla II tornada della canzone di crociata FqMars 155,15 (XVIII),
scritta dopo la sconfitta cristiana ad Alarcos nell’estate del 1195 (vd. vv. 62-68).
Rischia invece di restare una suggestione il legame istituito da Stroński fra i
vv. 16-22 di questa canzone di crociata e la prima tornada di una poesia
intessuta di elementi religiosi 9,19 Quan mi perpens ni m’albire, che l’editore
toglie a AimBel, cui le rubriche l’assegnano, per attribuirla proprio a BtBorn 124:
119
Ossia: FqMars 155,14 (IV); 155,1 (V); 155,3 (VI); 155,21 (VII); 155,16 (VIII);
155,10 (XII); 155,11 (XIII); 155,7 (XIV).
120
La coppia di senhals è tanto tipica che la si ritrova anche nella tornada spuria di Perd
370,9 (I): cfr. supra § 1.2.5.
121
Almeno non direttamente, perché – lo nota Meneghetti 1992, p. 101, n. 104 – nel
sirventese BtBorn 80,5 (XXXVI) il signore di Autafort riprende schema metrico, rime e
qualche contenuto proprio dalla risposta di RmMir a FqMars.
122
Cito dall’edizione di Beltrami 1996 al cui commento rimando; sul senhal rileva che «la
dedica ad un trovatore così versato nell’elaborazione retorica del discorso amoroso
converrebbe bene al carattere di questa poesia» (p. 107); si veda ora sull’uso dei senhal, P. G.
Beltrami, Per una storia trovatori: una discussione, ZfSL, CVIII (1988), pp. 27-50, alle pp.
40-41.
123
Ai testi già citati a proposito di Tostemps si aggiungano 155,5 (I); 155,18 (III); 155,23
(IX); 155,8 (XI); 155,15 (XVIII); per una possibile allusione di FqMars a BtBorn 80,15 (VI)
si veda il Commento a FqMars 155,18 (III), 55-57.
124
Cito da Poli 1997, p. 389 (n° XVIII) che contesta l’attribuzione, peraltro assai
fortunata, di Stroński (cfr. pp. 55*-58*, e poi Stroński 1913, p. 288, n. 2), per confermare il
Folquet, si ses contradire
crezetz so que·us auçi dire,
no m’agra fag paor morz.
Mas a sel en soi grazire
qui per nostra mort ausire
deignet esser en croç morz.
Un’allusione diretta, dunque, quasi uno scoprire le carte a gioco finito, a uno
scambio che, scrive Stroński, «nous revèl[e] un des moments les plus
intéressants de l’histoire des troubadours» (p. 58*).
§ 3.2.1.2. L ’ i n t e r t e s t u a l i t à . Altri e rilevanti sono i rapporti e gli
scenari che si possono, sempre sommariamente, indicare; nel rilevare in più d’un
caso intenti polemici, talora accompagnati da accenti di esplicita oscenità, andrà
sottolineato il carattere eminentemente ‘giocoso’ delle operazioni descritte, del
tutto scevre (il caso di PVid lo dimostra) da questioni personali.
§ 3.2.1.2.1. I l M o n a c o d i M o n t a u d o n . FqMars è uno dei trovatori
rappresentati nella cosiddetta ‘galleria satirica’ del MoMont 305,16 Pos Peire
d’Alvernh’a cantat (XVIII), 73-78:
E lo dotzes sera Folquetz
de Marcelha, us mercadairetz,
et a fag un folh sagramen
quan juret que canso no fetz,
ans dizon ben que fo per vetz,
que·s perjuret son escien.
Questa l’ed. Routledge; tuttavia Stroński ritiene che la versione originaria sia
quella conservata dal ms. M: ne trascrivo il testo (c. 146vb): El doçen apellom
folco. de marseilh un mercadairo. que fes un maluatz sagramen. qe non feçes
uers ni canço. e di hom qe per auer fo. e periuret sazescien. Di questa versione
l’editore propone (a p. 49*) una ricostruzione critica, in base a una serie di
osservazioni ecdotiche contestate da Routledge 1977, pp. 163-65, ma
parzialmente rivalutate da Asperti 1990, p. 18, n. 6 (e cfr. ora Asperti 1995, p.
53, n. 38):
E·l dozen apell’om Folco
de Marseill’, un mercadairo,
dato delle rubriche, aimeric de belenuei in E, willems en aimerics in Da: cfr. Poli 1997, pp.
389-92. L’attribuzione a BtBorn era stata precedentemente accettata da Dumitrescu 1935, pp.
30-32 e dagli editori di BtBorn fino a Gouiran 1985, II, p. 799 sgg. (testo n° XLIII). Segnalo
comunque che la II tornada di AimBel 9,19 è correlata da Stroński con i vv. 56-59 di FqMars
155,20 (XXI), mentre i vv. 1-5: «Quan mi perpens ni m’arbire / qui soi ni de qual part venh /
meravill me molt e·m senh / com Dieus volc esser suffrire / tan longuamen dels mieus tortz» e
i vv. 21-25: «e donx ricx per que si fenh? / es ricx? ans n’es trop a dire, / quar tant es freols
l’esforz / lo iorn c’om passa los portz / on tug van ses contradire» sono connessi proprio alla
tornada di FqMars 155,15 (XVIII), inviata come s’è visto ad Aziman.
que a fait un fol sagramen
quan juret que no fes chanso,
et anz diz om, que per ver fo,
que·s perjuret son escien.
Al di là del problema filologico, quel che importa in questa sede è la replica
che Folchetto avrebbe opposto al Monaco, nella II tornada di 155,11 (XIII), 4145: questa canzone, con cui avrebbe termine, secondo Stroński, la produzione
amorosa del trovatore, segnerebbe, dopo tre liriche scritte contro Amore, «un
retour sous de joug de l’Amour»; prosegue l’editore: «Folquet qui tenait à éviter
tout reproche, comme le montre le début de cette chanson, sentait certainement
qu’elle faisait penser à l’accusation du Moine, et il se décida à y répondre, au
moins par une riposte vigoureuse à défaut d’arguments précis» (p. 52*). Per di
più, è proprio dalla prima delle tre malas chansos, FqMars 155,21 (VII), che il
Monaco ha ricavato l’immagine centrale del suo ironico rimbrotto: si ricordino i
vv. iniziali: «Sitot me soi a tart aperceubuz, / aissi cum cel c’a tot perdut e jura /
que mais non joc...» e i vv. 13-14: «mas eu m’en part e segrai altra via, / sos mal
pagaz, qu’esters no m’en partria». Una ricostruzione quella di Stroński che non
perde di validità se la si spoglia delle implicazioni cronologiche, viziate, come
ho già mostrato, da una serie di pregiudizi.
§ 3.2.1.2.2. P a l a i s e V e r m i l l o n . È significativo che la replica al
MoMont sia affidata al giullare Palais: credo infatti che questi vada identificato
con il trovatore Palais, autore di cinque o piuttosto sei componimenti, tra i quali
la canzone 315,2 Be·m plai lo chantars e·l ris (Ricketts 1986, p. 230), nella
quale viene operata la ripresa parodica di FqMars 155,12 (XXIII) 125. Palais è
inoltre autore di un estribot, ed è a questo genere, più che alla cobla esparsa,
che andrà ricondotta la poesia stilisticamente meno elevata di Folchetto, 155,25
(XXV) 126; in essa il trovatore si lamenta con Vermillon di una «avol pega
pemcha» che «s’es vanada et feimcha / q’eu l’appellei Aut-Ram don il s’es aut
empencha» (vv. 1, 3-4). Facendosi cogliere in palese contraddizione dal
recensore Salverda de Grave 1911, p. 500, Stroński (cfr. pp. 46*-47*), altrove
reciso nel negare un referente reale agli amori trobadorici («ne cherchez pas de
femme» consiglia, parafrasando Dumas padre), vorrebbe dare uno spessore di
realtà alla donna qui oggetto del reclamo, distinguendola dalla dona mendia
falsa di RmMirav 406,24 (XIV), 45-48: l’ipotesi ovviamente non è necessaria,
come rileva anche Vatteroni 1990, pp. 66-67. Quanto a Vermillon, a tutt’oggi
non si può andare oltre le parole dello stesso Stroński: «un personnage inconnu
[...] qui pourrait être aussi bien un jongleur qu’un ami du troubadour» (p.
46*) 127.
125
Di tutto ciò mi sono già occupato in Squillacioti 1992, cui per economia rinvio.
Ulteriori indicazioni infra nel Commento all’edizione del testo.
127
Oltre a Vermillon e Palais, FqMars affida una canzone, 155,5 (I), all’altrimenti ignoto
giullare Marsan: cfr. la Nota al testo del componimento.
126
§ 3.2.1.2.3. U n i n t e r p o l a t o r e . All’episodio precedente è stata
collegata l’oscena allusione in una delle quattro coblas apocrife del ms. a
dell’altra e più antica ‘galleria satirica’, PAuv 323,11 Chantarai d’aquestz
trobadors (VIII): oltre che a Peirol, GcFaid e PVid, l’anonimo interpolatore
dedica una cobla anche a FqMars: eccone la trascrizione (c. 129): E lai de
marseillan folqet. qe chanta de fotre folet. per una butta cui saten. ca plus
ample con dun cabes. e forail meils pesqes ab ret. en mar can nô la mouolo
uent; la ricostruzione critica di Martín de Riquer 128:
E lai de Marseilla·N Folqet
qe chanta de fotr’e folet
per una brutta cui s’aten
c’a plus ample con d’un cabet,
e fora·il meils pesqes ab ret
en mar can non la movo·l ven.
e l’interpretazione di Stroński (pp. 47*-48*):
On a profité des deux pièces dont nous venons de parler: du partimen FolquetTotztemps et de la cobla à Vermillon. L’allusion: chanta de fotre est relative à l’attidude
de Folquet dans le jeu-parti, et si l’auteur de cette strophe ajoute: e folet c’est qu’il
s’empare des traits ironiques dont Folquet est accablé à la fin de partenaire. La
caractéristique de la prétendue dame de Folquet (3-4) n’est que la répétition, en d’autres
termes, de ce qu’il avait dit, lui même, dans sa “strophe” au sujet de la femme qui se
ventait d’avoir été celébrée par lui.
§ 3.2.1.2.4. P e i r e V i d a l . «Peire Vidal fut le troubadour que Folquet
rencontrait le plus souvent sur son chemin et dont les chansons croisaient
continuellement les siennes»: così Stroński a p. 52*. Effettivamente entrambi i
poeti frequentarono la corte marsigliese di Raimon Jaufre Barral ed ebbero
rapporti con Alfonso II d’Aragona e Riccardo Cuor di Leone. È noto, in primo
luogo, che PVid invia a FqMars la canzone 364,2 Ajostar e lassar (III), perché
la canti in sua vece 129:
A mon amic Folco
tramet lai ma chanso
que la chant en bon loc per me,
al tenen on joi vai e ve.
Si può aggiungere che questa tornada fa séguito a una cobla, la VI, che si
chiude con un’allusione al ripudio dell’emperairitz Eudossia, vicenda che ha
coinvolto Folchetto in prima persona: «...mas frairi / fals lauzengier gloto / m’an
moguda tenso / e lunhat del Peiro, / e’N Drogomans no m’au ni·m ve, / quar
128
Riquer 1975, I, pp. 340-41 (il testo è più fedele al ms. rispetto alla ricostruzione di
Stroński pp. 47*-48*; già portata alla luce da Appel in ZrPh, XIV [1891], pp. 166-67, la cobla
si legge anche in Appel 1930, p. 119).
129
La tornada (vv. 91-94) è tràdita dal solo ms. c: per gli invii a tradizione ridotta
rimando alla Nota al testo di FqMars 155,8 (XI).
mon car Amic part de re» (vv. 85-90), dove En Drogomans è senhal di
Guglielmo VIII di Montpellier e Amic è senhal di Eudossia 130.
Ma il momento più studiato del rapporto fra i due trovatori è la replica alla
mala chanso FqMars 155,10 (XII) di PVid 364,37 Pus tornatz sui em Proenza
(XL), una «gaia chanso» (v. 3) peraltro dedicata a Barral 131, protettore di
Folchetto: già per Stroński il testo vidaliano «paraît répondre à Folquet» (p. 52*,
n. 1); poi Frank 1952, p. 167 conferma il rapporto di dipendenza; al contrario
d’A. S. Avalle, in parte forviato dalla datazione del testo folchettiano (1192 ca.)
proposta senza fondamento da Stroński, scrive: «Le analogie fra le due canzoni
sono indubbiamente notevoli [una in più la nota lo stesso Avalle], ma nulla
prova che la canzone del Vidal sia stata scritta dopo e non prima di quella di
Folchetto» (1960, II, p. 366) 132: le analisi di Meneghetti 1992 [ma 1984], p. 97 e
di Gruber 1983, p. 220-28 hanno invece dimostrato la fondatezza della timida
proposta di Stroński. Ripercorro le argomentazioni, a partire dalla
considerazione che lo schema metrico di PVid è in sostanza un’innovazione di
quello di FqMars:
FqMars
PVid
a7’ b7 b7 a7’ a7’ b7 b7 a7’ a7’
a7’ b7 b7 a7’ c7 d7 d7 c7 c7
a: ensa, b: en
a: ensa, b: o, c: ar, d: or
[477:1]
[627:6]
A una prima parte identica, con l’eccezione della rima b che è en in FqMars,
o in PVid, corrisponde una seconda parte nella quale PVid introduce nuove rime
rispettando però lo schema: a  c e b  d. Inoltre i rimanti in
-ensa di PVid
sono tutti presenti in FqMars, eccetto 4 reconoissensa (da confrontare però con
4 desconoissenssa di FqMars) e il rimante dell’incipit «Proensa», che introduce
nell’analisi di Gruber 1983, p. 223 un modello comune ai due trovatori, PAuv
323,2 Ab fina ioia comenssa (I) 133. Venendo al livello testuale, Stroński nota
che i vv. iniziali delle coblas II e IV di PVid: «E sel que long’atendensa /
blasma, fai gran falhizo» (vv. 10-11) 134 e «Ses pechat pris penedensa» (v. 28)
alludono e rovesciano i vv. 25-27 di FqMars: «e cill sofran lo tormen / que fan,
per folla atendenssa, / anz del pechat penedenssa»; Avalle aggiunge che nella
dichiarazione di PVid: «Que ses tota retenensa / sui sieus per vendr’e per dar»
130
131
Le identificazioni sono di Avalle 1960, II, pp. 221-22 e 228-29.
Nominato col senhal Rainier: cfr. la vida di PVid in Boutière-Schutz 1964, pp. 356 e
361.
132
E prosegue: «Nel caso che si volesse dar ragione allo Stroński [...] i termini
cronologici della nostra canzone si restringerebbero evidentemente al 1192 [perché Barral
muore alla fine dell’anno]; se no, com’è più probabile dato che qui non si tratta di una risposta
ma di un annuncio o se si vuole di una commemorazione, il termine a quo si sposterebbe a c.
1188-9, data in cui [...] il bacio non gli era stato ancora “donato”».
133
Si vedano i vv. 49-50: «Als comtes mand en Proenssa / lo vers e sai a Narbona»;
inoltre, i vv. 33-34: «Ses pechat fis penedenssa / et es tortz qui no·m perdona» sono in chiara
relazione con PVid 28-29: «Ses pechat pris penedensa / e ses tort fait quis perdo»; d’altro
canto i vv. 9-12 di PAuv: «D’amor ai la sovinenssa / e·ls bels digz: ren plus no·m dona. / Mas
per bona atendenssa / esper c’alcus iois m’en veigna» e il già citato v. 33 sono considerati un
antecedente dei vv. 26-27 di FqMars.
134
Si noti che la mossa iniziale: «E sel...», è comune alla replica di AimPeg analizzata
sotto al § 3.2.2.1.1.
(vv. 49-50) si deve ravvisare una replica ai vv. 41-43 di FqMars: «mas voutz es
en viltenenssa / vost’ afars et en nien, / c’om vos sol dar, er vos ven». A mia
volta segnalo l’inizio della cobla III di PVid: «E quar anc non fis failhensa, / sui
en bona sospeisso» (19-20) che allude, in qualche modo rovesciando la
situazione, all’incipit folchettiano: «Greu feira nuills hom faillenssa» (e cfr. v. 5:
«qu’ieu faill...»); l’inizio della cobla VI di PVid: «E pos en sa mantenensa / aissi
del tot m’abando, / ja no·m deu dire de no» (vv. 46-48) che presenta analogie
con l’inizio della cobla II di FqMars: «Car en vostra mantenenssa / me mis,
Amors, franchamen, / e fora·i mortz veramen / si no fos ma conoissenssa» (vv.
10-13), distinguendosi per l’esito che l’affidarsi alla donna in un caso, ad Amore
nell’altro, produce; e, per ribadire la frequenza quasi sistematica delle allusioni
all’inizio delle singole coblas, il rimante guirensa in entrambi i testi al primo v.
della cobla V. Per concludere va citata per intero la cobla IV di PVid, costruita
su una serie di antitesi così tipicamente folchettiane (e quella al v. 34 anche in
FqMars 155,5 [I], 22: «qu’arditz sui per paor»), laddove Peire pare prediligere
piuttosto l’iterazione sinonimica 135:
Ses pechat pris penedensa
e ses tort fait quis perdo,
e trais de nien gen do
et ai d’ira benvolensa
e gaug entier de plorar
e d’amar doussa sabor,
e sui arditz per paor,
e sai perden gazanhar
e, quan sui vencutz, sobrar.
Un altro rapporto testuale fra i due trovatori è menzionato nel Commento a
FqMars 155,7 (XIV).
§ 3.2.1.2.5. R a i m b a u t d e V a q u e i r a s . Nella III cobla di 392,25 No
puesc saber per que·m sia destregz (VI), RbVaq nomina un En Folquetz che,
dopo l’incertezza di O. Schultz-Gora, che riteneva plausibile anche
un’identificazione con FqRom 136, e la scelta in favore di quest’ultimo di Zenker
1896, p. 15, Stroński ha riconosciuto essere il nostro trovatore (cfr. pp. 53*55*):
E doncx que·m val lauzenjars ni abetz?
Per l’oc reman e per lo non m’esmau;
et er m’a far lo conort del bertau,
cum selh que ditz en chantan en Folquetz,
qu’a Tortona, lai part Aleixandrina,
135
Lo nota senza entusiasmo Avalle 1960, II, p. 365: «Questa canzone [...] non è una
delle più franche e sicure del Vidal, tutta intessuta com’è sul tormentato gioco delle antitesi e
delle reminescenze letterarie più trite»; cfr. Gruber 1983, pp. 225-26.
136
O. Schultz-Gora, Le epistole del trovatore Rambaldo di Vaqueiras al Marchese
Bonifazio I di Monferrato, trad. di G. del Noce con agg. e corr. dell’autore, Firenze, Sansoni
1898, p. 155, n. 2.
queyra merce, mas say no truep refuy;
et er me grieu si·m part de lieys per bruy:
sol o comens, qu’er dans si no s’afina.
L’allusione di RbVaq è ai vv. 32-33 della canzone di crociata d’occidente
FqMars 155,15 (XVIII): «e ja no·i gart paubreira nuills hom pros: / sol que
comens, que Dieus es piatos», come hanno rimarcato F. Lecoy e V.
Bertolucci 137 e infine Linskill 1964, p. 124. Questi ritiene inoltre a p. 137
RbVaq 392,17 (VIII), 44: «per qu’ieu soi ricx, quar ieu li soi estortz» una
reminiscenza di FqMars 155,16 (VIII) 138.
3.2.2. Fortuna medievale.
La scelta di tener distinti aspetti a guardar bene indistinguibili come la
fortuna dell’opera folchettiana e la sua interpretazione critica, dipende dal fatto
che il termine fortuna, appropriato per il Medioevo e in qualche misura per
l’Umanesimo, andrebbe piuttosto mutato nel suo contrario una volta entrati nel
recinto dell’erudizione settecentesca e della filologia romanza ottonovecentesca. Vedremo meglio nel § 3.3; per ora occorre sottolineare che i
tradizionali giudizi critici sull’artificiosità e convenzionalità della poesia di
Folchetto vanno rivisti proprio partendo dal valore di modello che il poeta
assume per la generazione trobadorica successiva e per i continuatori di quella
esperienza poetica, Siciliani e Dante in modo particolare.
§ 3.2.2.1. I n O c c i t a n i a . Non si esita a riconoscere in Folchetto uno dei
principali fondatori della cosiddetta ‘vulgata cortese’: secondo Di Girolamo
1990, p. 199:
sarebbe sbagliato considerare stereotipata o di maniera, come pure è stato fatto, gran parte
della sua produzione: in realtà le generazioni trobadoriche anteriori a Folquet
conoscevano assai meno stereotipi, a parte un canone formale e retorico sostanzialmente
unitario e a parte l’identità di partenza [...] della situazione cortese.
137
F. Lecoy, Notes sur le troubadour Rambaut de Vaqueiras, in Études romanes dédiés a
Mario Roques, par ses amis, collègues et éleves de France, Paris, Droz 1946, pp. 23-38, a p.
28, dove vengono superate le obiezioni cronologiche di De Bartholomaeis 1931, p. 32, che
aveva inoltre spostato l’allusione su FqMars 155,11 (XIII), 25 sgg.; V. Bertolucci, Posizione e
significato del canzoniere di Raimbaut de Vaqueiras nella storia della poesia provenzale,
SMV, XI (1963), pp. 9-68, p. 10, n. 2, dove si aggiunge che «A Folquet [155,6 (XVII), 41]
rimanda anche senza dubbio un caso di personificazione di Amore (come un dio armato che
ferisce di lancia) che si trova nel discordo indirizzato a Engles», cioè in RbVaq 392,16
(XVII), edito ora da P. Canettieri, Il novel descort di Raimbaut de Vaqueiras (BdT 392,16), in
Studi provenzali e galeghi, Romanica vulgaria Quaderni 13-14, L’Aquila, Japadre 1994, pp.
41-80.
138
Cfr. la n. 21 del Commento alla canzone; su questi richiami cfr. A. Sakari, L’influence
des autres trouvadours sur Raimbaut de Vaqueiras, in Atti Vitoria-Gasteiz 1994, I, pp. 297306, alle pp. 301-302.
Sono proprio le indubbie capacità nella costruzione dei testi che consentono
a FqMars, attraverso l’abile tessitura retorica che avvolge elementi ricavati da
esperienze poetiche anteriori (tra cui spicca quella dell’inimitabile BnVent) di
offrire un modello pienamente imitabile ai poeti del XIII secolo 139.
§ 3.2.2.1.1. A i m e r i c d e P e g u i l h a n . In un caso, tuttavia, c’è nella
ripresa un netto intento polemico. AimPeg, nel cui canzoniere lirico Mancini
1991 ha ravvisato una «tenace, esibita difesa del servizio d’amore, come attesa
di felicità, come occasione e aizi, senza oscillazioni e senza palinodie» (p. 219),
muta a tratti la difesa in offesa con accuse che «sembrano rimandare piuttosto a
una vivace polemica tra scuole, poetiche, comportamenti contrapposti e rivali»
(p. 221). Folchetto è uno dei bersagli: nella canzone 10,40 Per razo natural
(XL), 21-30 AimPeg replica scopertamente alla IV cobla di 155,10 (XII) 140:
E selh que ditz aital
qu’elh avia crezensa
que selh que mal comensa
fenis be, digz error
e parlet contra se.
Doncx enaissi·s cove
de bon comensamen
aver mal fenimen?
En lui par ver, qu’al comensar cantan
dis ben d’Amor, et al fenir mal gran.
Mancini va oltre, riconoscendo una tendenziosità anche alla ripresa della
metafora del giocatore di FqMars 155,21 (VII), 1-8 nella cobla d’esordio di
AimPeg 10,12 Atressi·m pren quom fai al joguador (XII):
Atressi·m pren quom fai al joguador,
qu’al comensar jogua mayestrilmen
a petits juecs, pueis s’escalfa perden,
que·l fai montar tan qu’es en la folor;
aissi·m mis ieu pauc e pauc en la via,
que cujava amar ab mayestria
si qu’en pogues partir quan me volgues,
on sui intratz tan qu’issir non puesc ges.
soprattutto per il contenuto dei successivi vv. 9-12:
Autra vez fui en la preizon d’Amor,
don escapei; mas aora·m repren
ab un cortes engienh tan sotilmen
que·m fa plazer mo mal e ma dolor
139
Alcune riprese dei motivi folchettiani (soprattutto di GsbPuic) sono segnalate da
Stroński a p. 85*, n. 1; per una evidente ripresa metrica da parte di BonCalvo vd. infra la
Scheda metrica di FqMars 155,25 (XXV).
140
Il confronto era stato già istituito da Stroński alle pp. 60*-61*, ma l’editore pare
mettere in relazione la polemica con l’origine di AimPeg, ossia con l’appartenenza di questi
alla «bourgeoisie toulousaine qui n’aimait pas beaucoup l’évêque Folquet».
coi quali viene ribadita la fedeltà ad ogni costo al servizio d’amore,
diversamente da quanto scrive FqMars ai vv. 33-37 della sua canzone: «Amors,
per so m’en soi eu recresuz / de vos servir, que mais no n’aurai cura; / c’aissi
com mais prez’ hom laida pentura / de long, no fai cant es de pres venguz, /
prezava eu vos mais can no·us conoissia». A rafforzare il valore palinodico
contribuisce a mio avviso anche il raro sintagma «cortes engienh», di origine
rudeliana ma che si ritrova in FqMars 155,7 (XIV), 41 (cfr. la relativa nota del
Commento).
§ 3.2.2.1.2. G u i l h e m d ’ A n d u z a. L’unica canzone di questo poeta di
pieno Duecento, Sens ditz que·m lais de chantar e d’amor (GlAnd 203,1; ed.
Appel 1890, p. 121), è densa di elementi folchettiani. Si vedano i vv. 28-36:
...e son gualiador
vas me mei hueill; e s’ill m’an galiat,
ill prendon part en lur gualiamen,
que tals traï qu’es traitz el traïmen;
donx, s’ill m’an trait, ill compron la foudat.
tenendo a mente i primi due vv. di FqMars 155,5 (I): «Ben an mort mi e lor /
miei huoill galiador»; e poi i vv. 37-38 141:
donx no mostretz encontr’umelitat,
si·us platz, ergueill, quan plus bas deisen;
costruiti sugli stessi elementi ancora dei primi vv. di FqMars 155,16 (VIII): «Per
Dieu, Amors, ben sabetz veramen / c’on plus deisen plus poja Humilitatz / et
Orgoills chai on plus aut es pojatz» (il testo di GlAnd prosegue al v. 39 con
«pero em patz sufrirai lo turmen» che potrebbe leggersi come il risultato di un
incrocio fra FqMars 155,20 (XXI), 59: «soffrist vos la vostr’, em-patz» e 155,10
(XII), 25: «e cill sofran lo tormen»). Riproduce il testo della canzone e colloca
GlAnd nell’ambiente ricostruito nei Trovatori a Valchiusa, Perugi 1985, pp.
192-93, n. 1.
§ 3.2.2.2. N e l l a F r a n c i a d e i t r o u v è r e s . Partendo dai dati offerti
dalla tradizione manoscritta si può assumere in primo luogo che FqMars,
«largamente rappresentat[o] nei canzonieri oitanici» 142, ha goduto di certa una
fortuna nel Nord della Francia: la frase citata è di Stefano Asperti 143, che nota
come: «A partire già dagli inizi del Duecento si riducono con estrema rapidità
per poi scomparire del tutto contrafacta francesi che assumono a modello
canzoni cortesi di trovatori provenzali ancora in attività» (p. 45): anche da
141
Il v. 38 è ipometro: Appel lo segnala e propone di integrare ieu dopo «quan».
Quattro testi (più uno spurio) in Kp, cinque testi (più uno spurio) in W, uno in Y: i
componimenti sono indicati nella tavola generale al § 1.1, mentre notizie sui codici sono in
Raupach-Raupach 1979, pp. 62-73 (W) e 82-84 (Kp); su Y si veda supra il § 2.1.2.3.
143
Contrafacta provenzali di modelli francesi, Mess, n.s., VIII (1991), pp. 5-49 (cit. a p.
47, n. 1).
142
questo punto di vista FqMars è rappresentato con 155,10 (XII) di cui la poesia
religiosa anonima En la vostre mantenance 144 è un contrafactum (cfr. Battelli
1992, p. 602). Si noti che l’incipit riprende quello della II cobla della canzone
folchettiana, e in particolare quello della cobla esparsa tràdita in W (En la
uostra maintenence). Anche Thibaut di Champagne, allude nella canzone En
chantant vueil ma dolor descouvrir 145 all’incipit di FqMars 155,6 (XVII):
«Chantan volgra mon fin cor descobrir» 146.
§ 3.2.2.3. I n C a t a l o g n a . Indagare a fondo la fortuna di Folchetto in una
regione così fortemente segnata dall’esperienza trobadorica richiederebbe uno
studio specifico: mi limito pertanto a segnalare la presenza di una tradizione
manoscritta catalana per tre liriche folchettiane 147 e a ricordare le citazioni
sparse nelle opere di Berenguer de Noya, Jaufre de Foixà, Jordi de Sant Jordi 148
e Raimon Vidal de Besalú, già elencate al § 2.1.3. Dalla sintesi di Isabel de
Riquer 149 ricavo l’indicazione che Jacme March cita nel suo Libre de
concordances (1371-76) i vv. 31-32 di FqMars 155,18 (III). Segnalo infine che
il primo trattato del ms. Ripoll 129 (Barcelona, Archivo de la Corona de
Aragón) attribuisce a FqMars il sirventese PoFabre 376,1 (si veda il r. 42
dell’ed. Marshall 1972, pp. 101-103).
§ 3.2.2.4. N e l l a S i c i l i a f e d e r i c i a n a . Il primo e più importante
episodio della presenza folchettiana fra i poeti della Magna Curia è certamente
quello della traduzione-rifacimento della canzone 155,4 (XXII) da parte del
caposcuola Giacomo da Lentini nella sua Madonna, dir vo voglio: i riferimenti
bibiografici sono nel Commento all’edizione. Qui vorrei offrire i dati essenziali
di due operazioni non dissimili da quella del Notaro e di questa meno studiate,
ossia i rifacimenti di due canzoni folchettiane effettuati da Mazzeo di Ricco da
144
R229 e n° 265,624 di Linker 1979, edita da E. Järnstörm, Recueil de chansons pieuses
du XIIIe siècle, Helsinki 1910, p. 75.
145
R1397 e n° 240,25 di Linker 1979 (Wallensköld 1925, p. 51).
146
Cfr. inoltre il v. 26 «Et ne por quant je muir et nuit et jor» con il v. 35 della canz.
folchettiana: «no·us oblit jes, anz i tenc nuoich e jor», soprattutto perché ciò che ‘si tiene’
sono «los huoills del cor», espressione ricalcata da Thibaut in R315 (cfr. Commento a FqMars
155,6 [XVII], 36).
147
Oltre a FqMars 155,16 (VIII) e 155,21 (VII) vergate nel canzoniere VeAg, va
sottolineata la presenza di una tradizione catalana della poesia religiosa 155,19 (XXVII), per
la quale rimando infra all’edizione.
148
Oltre ai vv. 1-2 di FqMars 155,5 (I) citati nella Passio amoris secundum Ovidium [=
JSJ], Riquer 1955 segnala l’influsso dei vv. 17-18 della stessa canzone folchettiana sulla
«canço d’opposits» Tots jorns aprench e desaprench ensemps, 7-8: «e ço que·m fuig
incessantment acas / e·m fuig aço que·m segueix e m’afferra» (segnalazione a p. 61, ed. a p.
173, n° XV); e di FqMars 155,8 (XI), 9 e di 155,23 (IX), 21-22 sull’incipit di Jus lo front port
vostra bella semblança (segnalazione a p. 38, ed. a p. 147, n° IX).
149
Poemas catalanes con citas de trovadores provenzales y de poetas de otras lenguas,
in Atti Santiago de Compostela 1993, pp. 289-313, a p. 296
Messina e Rinaldo d’Aquino. Il primo traduce una buona porzione di FqMars
155,21 (VII) in Sei anni ho travagliato 150:
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18
Sei anni ho travagliato
in voi, madonna, amare,
e fede v’ho portato
più assai che divisare
né dire vi poria.
Ben ho caro acat[t]ato
lo vostro inamorare,
che m’ha così inganato
con suo dolze parlare
ch’i’ già no ’l mi credia.
Ben mi menò follia
di fantin veramente,
che crede fermamente
pigliar lo sol ne l’agua splendïente
e stringere si crede lo splendore
de la candela ardente,
ond’ello inmantenente
si parte e piange, sentendo l’ardore.
19 S’eo tardi mi so’ adato
20 de lo meo folleg[g]iare,
21 tegnomene beato,
6 c’ab bel semblan m’a tengut en fadia
7 mais de dez ans...
3 ...a gran bonaventura
4 m’o dei tener c’ar me soi conoguz
5 del gran enjan c’Amors vas mi fasia,
10 s’atrai vas leis fols amanz e s’atura,
11 co·l parpaillos c’a tan folla natura
151
12 que·s fer el foc per la clartat que·i lutz;
1 Sitot me soi a tart aperceubuz,
[...]
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54
150
Speranza m’ha ‘nganato
e fatto tanto er[r]are
com’omo c’ha giucato
e crede guadagnare
e perde ciò ch’avia.
Or veg[g]io ch’è provato
zo ch’aud[ï]o contare,
c’assai ha guadagnato
chi si sa scompagnare
da mala compagnia.
A meve adivenia
como avene sovente
chi ’mprota buonamente
lo suo a mal debitore e scanoscente:
imperciò ch’al malvagio pagatore
vaci omo spessamente
e non pò aver neiente,
ond’a la fine ne fa richiamore.
2 aissi cum cel c’a tot perdut e jura
3 que mais non joc...
13 mas eu m’en part e segrai altra via,
14 sos mal pagaz, qu’esters no m’en partria;
7 ...a lei de mal deutor
8 qu’ades promet mas re no pagaria.
Cito da Contini 1960, I, p. 150; è stato Torraca 1897, pp. 160-61 a mostrare il
rapporto, ampliando l’indicazione di Gaspary 1882, pp. 114-15, limitata all’incipit (e cfr.
Fratta 1996, pp. 63-64).
151
Già Torraca rilevava che il paragone con la farfalla è sostituito con quello del fanciullo
ricavato da ElCair 133,1 (I), 33-34: «a lei d’enfan – cui la candela platz, / que s’art jogan, –
sui trop entalentatz» (cfr. Fratta 1996, p. 54).
Per parte sua Rinaldo d’Aquino rielabora FqMars 155,6 (XVII) in Poi li
piace c’avanzi suo valore 152:
1
2
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6
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9
10
11
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Poi li piace c’avanzi suo valore
di novello cantare,
ònd’alegranza di gioi con paura,
per ch’io non son sì sapio laudatore
ch’io sapess’ avanzare
lo suo gran pregio infino oltra misura;
e la grande abbondanza
e lo gran bene, ch’eo ne trovo a dire,
mi fa sofretoso;
così son dubitoso,
quando vengo a ciauzire,
chi nde perdo savere e rimembranza.
[...]
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23
24
sì, come dea tuttore
laudar ben per megliore
secondo dirittura,
di lei vorrìa ritrarre meglioranza.
16 com ja pogues retraire sa valor,
17 que de bon pretz a triat lo meillor
153
e car li platz qu’ieu enans sa lauzor
en mon chantar, don ai gaug e paor,
car sos pretz vol trop savi lauzador.
Per que no·m par qu’ieu pogues devezir
son cortes pretz que tant aut es aders
c’om no·n ditz ver que non semble plazers,
e trob aitan en lieis de ben a dir
que sofraitos m’en fai trop d’aondanssa;
3 ma per dreich gaug m’es faillitz mos sabers,
4 per qu’ai paor que no·i puosca avenir
Se queste sono le punte emergenti, più ampio è il debito contratto dai poeti
siciliani con il loro «interlocutore privilegiato» 154; attraverso il repertorio di
Fratta 1996 è ora possibile, e agevole, una ricognizione sull’effettiva entità di
quel debito: presento i dati, per ora solo quantitativi, partendo dai poeti coinvolti
nelle operazioni di traduzione sopra mostrate 155:
Giacomo da Lentini:
152
Cito da Panvini 1994, p. 154 (il v. 9 è ipometro per refuso: in Panvini 1962-64, I, p. 99
si legge: «mi me fa», altro evidente refuso per «mi ne fa»: cfr. apparato); il rapporto, segnalato
ancora da Torraca 1897, pp. 162-63 (e cfr. Fratta 1996, pp. 80-81), è definito «allusione
letterale [...] limitata all’esordio» da G. Folena, Cultura e poesia dei Siciliani, in Storia della
Letteratura Italiana, diretta da E. Cecchi e N. Sapegno, vol. I, Milano, Garzanti 1965, pp.
273-347, a p. 285; segnalo inoltre l’analisi metrica di R. Antonelli nel Repertorio metrico
della scuola poetica siciliana, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani 1984,
p. LIX, n. 128 (e cfr. C. Bologna, Sull’utilità di alcuni descripti umanistici di lirica volgare
antica, in Atti Messina 1993, II, pp. 531-87, a p. 558, n. 60).
153
Più vicina al modello la versione , qui («e puis li platz qu’eu enans sa valor») e a v. 16
(«qu’eu ja pogues retraire sa lausor»), ma non a v. 8 («e mon chantar, dei n’aver gran lausor»).
154
Così Meneghetti 1992, p. 160, che aggiunge: «Non è neppure da escludere che [...] la
sintonia sia stata determinata anche da una più o meno conscia “simpatia” dovuta alla
prossimità delle situazioni sociali e delle attitudini culturali, dal momento che, come osserva
Martín de Riquer, Folquet è stato il primo “dilettante” colto di estrazione altoborghese a
cantare la fin’amor» (il riferimento è a Riquer 1975, I, pp. 584-85).
155
Per le postille di Torraca apposte all’edizione di A. D’Ancona e D. Comparetti del
canzoniere Vat. lat. 3793 (Bologna 1875-88) e all’edizione di A. Bartoli e T. Casini del
canzoniere Palatino 418 [oggi Banco rari 217] della Naz. di Firenze rimando all’introduzione
di Fratta 1996 (si rinuncia a distinguere le due serie di postille, indicate rispettivamente con
T1 e T2 da Fratta). A differenza che nelle altre pagine, e in considerazione dell’importanza di
FqMars per i Siciliani, cito anche i vv. del trovatore, in modo da facilitare i confronti.
i) Amando lungiamente (Antonelli 1979b, p. 137, n° XI), 27-30 «non
posso dir di cento parti l’una / l’amor ch’eo porto a la vostra persona. / Se
l’amor ch’eo vi porto / non posso dire in tutto»: cfr. FqMars 155,1 (V), 36
«Domna, ·l fin cor qu’ie·us ai no·us sai tot dire» (riscontro di Torraca nelle
postille);
ii) Ben m’è venuto prima cordoglienza (Antonelli 1979b, p. 81, n° VI),
27-28 «però non deggio planger penitenza, / ca nullo senza – colpa è
penitente»: cfr. FqMars 155,10 (XII), 25-27 «e cill sofran lo tormen / que
fan, per folla atendenssa, / anz del pechat penedenssa» (riscontro di Diez
1883, p. 254-55 in nota); 31-32 «ma vostr’orgoglio passa sorcoitanza, / che
dismisura contr’a umilïanza»: cfr. FqMars 155,16 (VIII), 5 «qu’ancse·m
mostres orgoill contra mesura» (riscontro di Torraca nelle postille);
iii) Donna, eo languisco e no so qua·speranza (Antonelli 1979b, p. 97,
n° VII), 9-10 «e s’altri m’adomanda ched aggio eo, / eo non so dir se non
“Merzé, per Deo!”»: cfr. FqMars 155,8 (XI), 6-7 «ni ma boca en al re non
ave / mas en: merce!» (riscontro di Torraca nelle postille); 21-30 «Donna,
gran maraviglia mi donate, / che ’n voi sembrate – sono tanto alore: / passate
di bellezze ogn’altra cosa, / come la rosa – passa ogn’altro fiore; / e
l’adornezze quali v’acompagna / lo cor mi lancia e sagna; / [e] per mi sta asai
plui, / merzé che nonn-è in voi; / e se merzé con voi, bella, statesse, /
null’altra valenza più mi valesse»: cfr. FqMars 155,12 (XXIII), 28-31 «mais
sa beltatz e·l dolz ris / mi tolon de lor bargaigna; / qar ill val tan, cho·us
plevis, / qe si sol merces i fos» (riscontro di Torraca nelle postille);
iv) La ’namoranza disïosa (Antonelli 1979b, p. 69, n° V), 1-2, 29-32 «La
’namoranza – disïosa / che dentro a l[o] mi’ cor è nata / [...] / ma tanto tarda
la speranza, / solamente per [voi] dottare / o i malparlare, / Amor non vuol
ch’io perda mia intendanza»: cfr. FqMars 155,22 (II), 1-2, 7: «Tant m’abellis
l’amoros pessamens / que s’es vengutz e mon fin cor assire / [...] / que·m
promet joi mas trop lo·m dona len» (riscontro di Torraca nelle postille) 156.
v) Madonna mia, a voi mando (Antonelli 1979b, p. 157, n° XII), 17-24
«Ben vorria, s’eo potesse, / quanti sospiri getto, / c’ogni sospiro avesse /
spirito e intelletto, / c’a voi, donna, d’amare / dimandasser pietanza, / da poi
ch’e’ per dottanza / non vo posso parlare»: cfr. FqMars 155,27 (X), 66 «Que
tans sospirs n’ai gitatz» (riscontro di Fratta 1996) e 155,1 (V), 18-21 «e quar
plainhen vo·n pregon miei sospire; / que·l cor plora quan vezes los hueilhs
rire, / mas per paor que no·us sembl’ enoios / engan mi eis e trac mal enperdos» (riscontro di Torraca nelle postille).
vi) Meravigliosa-mente (Antonelli 1979b, p. 23, n° II), 4-12 «Com’om
che pone mente / in altro exemplo pinge / la simile pintura, / così, bella,
facc’eo, / che ’nfra lo core meo / porto la tua figura. / In cor par ch’eo vi
156
Il v. 30 è ricostruito a partire da un’ipometria: Antonelli riproduce la soluzione
avanzata da G. Contini, ma meno oneroso mi pare l’intervento di Avalle nelle CLPIO:
«solamente per [a]donare» (V 006 = L 111); sulla base dei riscontri Fratta 1996, p. 39
propone: «solamente per [gioi] donare».
porti, / pinta come parete, / e non pare difore»: cfr. FqMars 155,8 (XI), 8-10
«per qu’es vertatz e sembla be / qu’inz el cor port, domna, vostra faisson /
que·m chastia qu’eu non vir ma rason» (riscontro di Picchio Simonelli 1982,
p. 225, in parte già nelle postille di Torraca) 157 e 155,23 (IX), 41-42 «qu’inz
el cor remir sa faisso / e remiran et eu languis» (riscontro di Antonelli 1977,
p. 62); 52-54 «sacciatelo per singa / zo ch’eo no dico a linga, / quando voi mi
vedite»: cfr. FqMars 155,22 (II), 37-38 «per so no·us aus mon mal mostrar ni
dire, / mas a l’esgar podetz mon cor devire» (riscontro di Torraca nelle
postille).
vii) Sì como ’l parpaglion c’à tal natura (Antonelli 1979b, p. 344, n°
XXXIII), 1-3 «Sì como ’l parpaglion c’à tal natura / non si rancura – de
ferire al foco / m’avete fatto, gentil crëatura»: cfr. FqMars 155,21 (VII), 1112 «co·l parpaillos c’a tan folla natura / que·s fer el foc per la clartat que·i
lutz» (riscontro di Diez 1883, p. 254 in nota).
Mazzeo di Ricco da Messina:
viii) Lo gran valore e lo presio amoroso (Contini 1960, I, p. 153), 27-30
«e serete sicura / che la vostra bellezze mi ci ’nvita / per forza, come fa la
calamita / quando l’aguglia tira per natura»: cfr. FqMars 155,22 (II), 8 «c’ab
bel semblan m’a trainat longamen» e 155,20 (XXI), 16-19 «qu’eissamenz
com l’azimanz / tira·l fer e·l fai levar, / fazi’ el manz cors dressas / vas pretz,
forsatz e pesanz» (riscontro, un po’ ampliato, di Torraca nelle postille); 3740 «Però, donna avenente, / per Dio vo prego, quando mi vedete, /
guardatemi: così cognoscerete / per la mia cera ciò che lo cor sente»: cfr.
FqMars 155,22 (II), 37-38 «per so no·us aus mon mal mostrar ni dire, / mas
a l’esgar podetz mon cor devire» (riscontro di Gaspary 1882, p. 59).
Rinaldo d’Aquino:
ix) In gioi mi tegno tutta la mia pena (Panvini 1994, p. 165), 1-2 «In gioi
mi tegno tutta la mia pena / e contolami in gran bonaventura»: cfr. FqMars
155,16 (VIII), 39-40 «c’adoncs era marritz, ar sui joios; / per qu’eu m’o tenc
a gran bonaventura» (riscontro di Torraca nelle postille).
x) Venuto m’è in talento (Panvini 1994, p. 149), 46-47 «e lo mio
allegramento / non si porrìa contare»: cfr. FqMars 155,13 (XX), 38-40 «car
plus me vens / vostr’ amors sospiran / qu’eu no sai dir ni retraire en chantan»
(riscontro di Torraca nelle postille).
Le indicazioni del repertorio di Fratta sono come detto più ampie, ma data la
natura delle postille riguardano anche poeti duecenteschi che non ebbero
157
Una sintetica ed acuta analisi del rapporto è in Meneghetti 1992, pp. 174-75; sul
motivo J. R. Scheiddegger, Son image peinte sur les parois de mon cœur, in Le moyen âge
dans la modernité. Mélanges offerts à Roger Dragonetti, Études recueillies et présentées par
J. R. Scheidegger avec la collaboration de S. Girardet et E. Hicks, Paris, Champion 1996, pp.
395-409 (sulla canzone folchettiana le pp. 401-14; su Giacomo da Lentini le pp. 404-405) e,
per l’ambito italiano, F. Mancini, La figura nel cuore fra cortesia e mistica: dai siciliani allo
stilnuovo, Napoli, ESI 1988.
rapporti diretti con la Magna Curia: pertanto, offro sinteticamente solo i dati
relativi ai Siciliani:
xi) Re Enzo, S’eo trovasse Pietanza (Contini 1960, I, p. 157), 37-40: cfr.
FqMars 155,17 (XVI), 34-35 (postille Torraca).
xii) Guido delle Colonne, La mia vit’è sì fort’e e dura e fera (Contini
1960, I, p. 102), 21-24: cfr. FqMars 155,1 (V), 26-27 (postille Torraca).
xiii) Jacopo Mostacci, Amor ben veio che mi fa tenire (Panvini 1994, p.
209), 31 e 36: cfr. FqMars 155,16 (VIII), 40 e 35 (postille Torraca).
xiv) Jacopo Mostacci, A pena pare ch’io saccia cantare (Contini 1960, I,
p. 142), 26: cfr. FqMars 155,6 (XVII), 14 (postille Torraca).
xv) Inghilfredi, Greve puot’on piacere a tutta gente (Marin 1978, p. 107),
34-37: cfr. FqMars 155,21 (VII), 11-12 (postille Torraca).
xvi) Inghilfredi, Poi la noiosa erranza m’ha sorpreso (Marin 1978, p.
107), 26-27: cfr. FqMars 155,5 (I), 17-18 (postilleTorraca).
xvii) Percivalle Doria, Come lo giorno quand’è dal maitino (Contini
1960, I, 162), B [= rifac. di Semprebene], 33: cfr. FqMars 155,16 (VIII), 8
(Fratta 1996, p. 70).
xviii) Pier delle Vigne, Uno piasente isguardo (Contini 1960, I, p. 123),
10-15: cfr. FqMars 155,5 (I), 1-6 (postille Torraca).
Poesie di dubbia attribuzione:
xix) Allegramente eo canto (Panvini 1962-64, I, p. 419), 22-24 e 25-30:
cfr. FqMars 155,3 (VI), 9-11 e 155,6 (XVII), 7-12 (postille Torraca).
xx) Amore, avendo interamente voglia (Panvini 1962-64, I, p. 430), 2728: cfr. FqMars 155,6 (XVII), 6 (postille Torraca).
xxi) In un gravoso affanno (Panvini 1962-64, I, p. 408), 5-7: cfr. FqMars
155,15 (IV), 1-2 (postille Torraca); 11-12 e 25-27: cfr. FqMars 155,27 (X),
1, 5-7 (Fratta 1996) e 26-30 (postille Torraca).
xxii) Poi tanta caunoscenza (Panvini 1962-64, I, p. 412), 6: cfr. FqMars
155,16 (VIII), 2 (postille Torraca).
xxiii) Vostr’orgogliosa ciera (Panvini 1962-64, I, p. 409), 14-15 e 65-66:
cfr. FqMars 155,10 (XII), 14-15 e 10-11 (postille Torraca).
Poesie anonime:
xxiv) Amor voglio blasmare (Panvini 1962-64, I, p. 478), 33-36: cfr.
FqMars 155,3 (VI), 9-12 (postille Torraca).
xxv) Donna, lo fino amore (Panvini 1962-64, I, p. 497), 39-40: cfr.
FqMars 155,13 (XX), 15-16 (postille Torraca).
xxvi) Lasso, c’assai potrei chieder merzede (Panvini 1962-64, I, p. 499),
37-48: FqMars 155,14 (IV), 8-10 (postille Torraca).
Aggiungo che i vv. 9-14 del son. anonimo Lo [mio] folle ardimento m’ha
conquiso 158: «Ché similmente – vostra gran bieltate / seguir mi face la folle
natura / del parpaglione che fere lo foco, / ché vede i·llui sì grande chiaritate /
che girando si mette ’n aventura, / ov’ha morire credendo aver gioco» sono
tradotti da FqMars 155,21 (VII), 9-12.
§ 3.2.2.5. N e l l a T o s c a n a d u e - t r e c e n t e s c a . Un poeta di cui la
rubrica dell’unico relatore, il Vat. lat. 3793, non ci fornisce il nome (un
«guittoniano fiorentino» per Contini 1960, I, p. 275) propone una tenzone a
Bonagiunta Orbicciani, così blandendolo (vv. 5-8):
Di ciausir motti Folchetto tu’ pari
non fu, né Pier Vidal né ’l buon di ’Smondo:
però m’inchino a te sì com’ fe’ Pari
a Venùs, la duchessa di lor mondo.
Bonagiunta restituisce il paragone (ancora vv. 5-8):
Però, chi vol valer, da voi impari
gli apari – che del mal fa[n] l’om rimondo,
che ’n voi commendan li due che son pari,
ma più che pari, – Folchetto né ’Smondo.
dove, spiega Contini 1960, I, p. 276, 6 gli apari, deverbale da a(p)parare, vale
«gli apprestamenti, le tecniche»; 6 rimondo «perfettamente scevro»; il v. 7 «I
quali (la cui presenza), (lodati) in voi, lodano i due che (a voi) sono uguali» (la
spiegazione è tuttavia ipotetica); 8 ma più che pari «anzi ugualissimi» (da
Parducci, il quale interpretava 7 che son pari come «fra loro uguali»; Contini
propone in alternativa di emendare in che [’m]pari «incomparabilmente
inferiori»); 8 né «e» (cfr. apr. ni).
Ma accanto a questa chiara testimonianza della fortuna di FqMars, si
possono indicare altre e ben più rilevanti influenze sulle quattro grandi figure
della letteratura volgare dei primi secoli. Completo prima il regesto delle
indicazioni ricavate da Fratta 1996:
i) Carnino Ghiberti, Luntan vi son, ma presso v’è lo core (Contini 1960,
I, p. 371), 1: cfr. FqMars 155,17 (XVI), 15 (postille Torraca)
ii) Neri Poponi, Poi l’Amor vuol ch’io dica (Panvini 1962-64, I, p. 259),
25-27: «Ubidir vince forza, / e l’agechir servendo / fa l’orgoglio bassare»:
cfr. FqMars 155,23 (IX), 59-60 (postille Torraca).
iii) Pietro Morovelli, Donna amorosa (Contini 1960, I, p. 377), 41-45:
«ben par che voi vi dilettete / di me ch’avete, / como ’l zitello / che de
l’ausello va dilettando / finché l’auzide, tanto lo tira»: cfr. FqMars 155,3
(VI), 13-16 (postille Torraca).
158
Edito fra i Sonetti anonimi del Vaticano lat. 3793, a cura di P. Gresti, Firenze,
Accademia della Crusca 1992, p. 63; il riscontro è di P. Trovato, Dante in Petrarca, Firenze,
Olschki 1979, p. 7.
§ 3.2.2.5.1. G u i t t o n e d ’ A r e z z o . L’influsso trobadorico, e in
particolare quello di FqMars, sulla produzione lirica guittoniana è stato
recentemente indagato, con esiti molto interessanti, da Lino Leonardi 159: fra i
luoghi d’incontro segnalati ha particolare rilevanza la coppia formata dai sonetti
9 (Se Deo – m’aiuti, amor, peccato fate) e 10 (Amor, per Deo, mercé, mercé,
mercede) connessi agli incipit del dittico folchettiano su Amore e Mercé,
FqMars 155,14 (IV) e 155,1 (V): riecheggiamento che potenzia il «sistema
allusivo» guittoniano allorché, nel son. 11 (Deo!, com’è bel poder quel di
mercede), l’aretino polemizza «con uno dei testi centrali del Notaio, Amor non
vole ch’io clami, il più esplicito forse nel sancire la chiusura dell’universo
cortese attuata nella ricodificazione siciliana» (p. XLIV). FqMars farebbe in
qualche modo da sponda a un superamento dell’esperienza siciliana e in
particolar modo di quella di Giacomo da Lentini; una cosa analoga succede nel
complesso sistema di rimandi allusivi che Leonardi ricostruisce a partire
dall’incipit del sonetto esordiale: «Amor m’à priso e incarnato tutto», che rinvia
per un verso alla già ricordata ‘traduzione’ del Notaro di FqMars 155,4 (XXII):
«Madonna, dir vo voglio / como l’amor m’a priso», per l’altro all’inizio della
canzone che apre il corpus guittoniano nel ms. Laurenziano: «Se de voi, donna
gente, / m’ha preso amor, no è già meraviglia», la quale allude nello stesso
tempo all’incipit della canzone di Giacomo, S’io doglio, non è meraviglia e a un
celebre testo di BnVent, Non es meravelha s’eu chan (70,31 [XXXI]).
Commenta Leonardi: «L’allusione esordiale al Notaio segnala insomma una
contrapposizione e un superamento; e nella fitta trama di questo suo assoluto
esordio Guittone sembra segnalare che il superamento avviene nel nome di
Bernart de Ventadorn» (p. XXII). Si avrebbe così, proseguendo idealmente il
ragionamento, in corrispondenza dell’affermazione della propria esperienza
poetica a scapito di quella di Giacomo, una contrapposizione dei rispettivi
modelli; e tenuto conto del fatto che FqMars, il modello superato, è una sorta di
‘imitatore-divulgatore’ di BnVent, il modello vincente, la proposta di Leonardi
oltre che interessante appare aperta a stimolanti sviluppi. Un primo,
parzialissimo passo in direzione di questa ricerca può essere l’osservazione che
anche nel son. 11, dove la polemica con il ‘traduttore’ di FqMars è più scoperta,
si scorge una traccia del modello del Notaro, e precisamente nel v. 3: «Ché
mercé vince orgoglio e lo decede», dove avverto un’eco di FqMars 155,18 (III),
35: «que Merce vol so que Razos dechai» (miei i corsivi). Segnalo infine le altre
risonanze folchettiane reperibili nel commento di Leonardi:
i) son. 18.14 «ché ‘n pover loco om non po’ aricchire»: cfr. FqMars 155,16
(VIII), 35-36 («ma il tema è vulgato»);
159
Cfr. Guittone d’Arezzo, Canzoniere. I sonetti d’amore del codice Laurenziano, a cura
di L. Leonardi, Torino, Einaudi 1994, in partic. l’Introduzione, alle pp. XIII-LIX; cito
indicando n° del sonetto e verso. Si veda poi dello stesso Leonardi, Tradizione e ironia nel
primo Guittone: il confronto con i Siciliani, in Guittone d’Arezzo nel settimo centenario della
morte. Atti del convegno intern. di Arezzo (22-24 aprile 1994), a cura di M. Picone, Firenze,
Cesati 1995, pp. 125-64.
ii) son. 20.1 «E poi lo meo penser fu sì fermato»: cfr. FqMars 155,27 (X), 21
(«Può non essere casuale che il v. 1, eco di 19.12, abbia andamento analogo
all’inizio di stanza di Folquet de Marselha [...], forse con evocazione della
conseguenza del v. 22 “que·l mensonja·m sembla vers”: si insinua assai
indirettamente qualche dubbio sulla nuova sincerità protestata dall’amante?»);
iii) son. 43.9-11 «Bene vegg’io che di partir potenza / darmi potete, s’a voi
piace bene, / sol con disabellir vostra piagenza»: cfr. FqMars 155,22 (II), 1, 2124 (riscontro già di A. Pellizzari, La vita e le opere di Guittone d’Arezzo, Pisa,
Nistri 1906, p. 92);
iv) son. 48.12 «Or pensa di tener altro vïaggio»: FqMars 155,21 (VII), 13;
v) son. 66.13 «ch’eo mi sento ver’ ciò tanto sennato»: FqMars 155,16 (VIII), 27.
Cfr. anche il commento ai sonn. 4.1 e 56.9.
§ 3.2.2.5.2. D a n t e A l i g h i e r i . Folchetto è, com’è ben noto, una delle
figure centrali del ‘provenzalismo’ dantesco; anzi per Picone 1981-83, p. 66 egli
rappresenta «il massimo poeta della tradizione romanza col quale si confronta e
nel quale si riconosce il Dante della Commedia». Un commento approfondito di
questa affermazione implicherebbe un troppo lungo discorso e soprattutto la
ripetizione di cose già dette in altra sede 160; qui basterà ricordare il valore
emblematico che ha assunto per Dante la canzone folchettiana 155,22 (II) Tant
m’abellis l’amors pensamens: annoverata in Dve II VI 5-6 (unica menzione per
FqMars) fra gli esempi di gradus constructionis «sapidus et venustus etiam et
excelsus», palese filigrana della sermocinatio occitanica di ArnDan in Purg.
XXVI, 140-47 e, come s’è proposto nella sede sopra citata, possibile modello
del sonetto Gentil pensero che parla di vui (Vita nuova XXXVIII). Un lungo
itinerario, quindi, che attraversa le tre fasi del provenzalismo dantesco 161, ma
che non oltrepassa il canto purgatoriale della palinodia, al di là del quale Dante,
nel IX canto del Paradiso, celebra non più, o non più soltanto, il trovatore
Folchetto, cantore di pensieri d’amore gioiosamente o oppressivamente
pervasivi, ma il ‘predicatore’ di crociata 162, o piuttosto il vescovo impegnato in
una decisa azione pastorale e politica contro i catari del Midi 163. Ma agli occhi
160
Cfr. Squillacioti 1993, pp. 583-90.
I tre momenti, evocati in una densa e bellissima pagina di G. Contini nell’introduzione
al classico commento delle Rime (cfr. p. LXVI della recente ristampa einaudiana del 1995,
introdotta dal bel saggio di M. Perugi Un’idea delle rime di Dante, pp. VII-XLIII), sono stati
analizzati nello strenuo, ma non sempre limpido libro di S. Santangelo, Dante e i trovatori
provenzali, Catania 19592 [ma 1921] e poi meglio specificati da Perugi 1978b.
162
È la tesi di Picone 1981-83 che scrive a p. 85: «È infatti il poeta per antonomasia
dell’idea di crociata che Dante vuole qui celebrare: Folchetto rappresenta il punto felicissimo
di incontro della parola salvifica con la sua applicazione pratica, di poesia con peregrinatio.
Qui sta, credo, la ragione più profonda della scelta di Folchetto come speculum nel quale
Dante può più compiutamente contemplare la propria imago di poeta».
163
È la tesi tradizionale, proposta da Renier 1895, p. 287, n. 5 e da allora più volte
ribadita; fra gli ultimi Suitner 1980, scrive a p. 633: «Ben conosciuto da Dante dovè invece
essere l’impegno del vescovo di Tolosa contro gli eretici. La celebrazione dantesca di un uomo
che tanto contribuì al trionfo di Simone di Montfort e alla rovinosa fine della civiltà del Sud
161
di Dante avrà soprattutto pesato lo strettissimo rapporto fra il vescovo di Tolosa
e colui che «ne li sterpi eretici percosse / l’impeto suo», quel san Domenico
protagonista poco oltre del XII canto del Paradiso 164. Questi gli episodi
decisivi, ma altri, e non tutti infondati, rapporti intertestuali sono stati indicati
dagli studiosi; fra quelli infondati, almeno a giudizio di Suitner 1980, p. 641, i
due paralleli istituiti da Zingarelli 1899, pp. 22-25 fra l’immagine del «doppiar
de li scacchi» di Par. XXVIII, 91-93 e FqMars 155,8 (XI), 53-54 165 e fra i vv.
9-10 di questa canzone e la canzone dantesca Amor, da che convien pur ch’io mi
doglia (Rime, 53 [CXVI]). Comunque sia, è ancora la medesima canzone ad
essere chiamata in causa da Jeanroy 1921 per «un rapprochement qui me paraît
plus frappant que la plupart de ceux qui ont été faits» (p. 14), fra la sua cobla II
e la II stanza de La dispietata mente, che pur mira (Rime 7 [L]), e in partic. i vv.
20-26:
E certo la sua doglia più m’incende,
quand’ i’ mi penso ben, donna, che vui
per man d’Amor là entro pinta sete:
così e voi dovete
vie maggiormente aver cura di lui;
ché Que’ da cui convien che ’l ben s’appari,
per l’imagine Sua ne tien più cari.
Lo stesso Suitner, meno scettico in questo caso 166, riconosce a sua volta nei
vv. 46-50 di FqMars 155,18 (III) una sorta di ‘anticipazione’ del tema
stilnovistico della «loda» della donna amata, e sviluppato da Dante nella Vita
nuova: cfr. XVIII, 6: «E poi che alquanto ebbero parlato tra loro, anche mi disse
questa donna che m’avea prima parlato, queste parole: “Noi ti preghiamo che tu
ne dichi ove sta questa tua beatitudine”. Ed io, rispondendo lei, dissi cotanto: “In
quelle parole che lodano la donna mia”» 167.
della Francia ha suscitato in passato non poche perplessità, originando equivoci e tentativi di
giustificazione che rischiano di distorcere la realtà dei fatti. Non vi è dubbio che l’idea della
crociata anti-ereticale è per Dante perfettamente legittima e assimilabile a quella della crociata
d’Oriente. Combattere l’eresia significava per il mondo medievale ristabilire l’ordine turbato,
recuperare l’unità».
164
Anche su questo, oltre al § 3.1.2. del Profilo biografico, si veda Suitner 1980, pp. 63740, integrabile con Squillacioti 1993, pp. 586-87.
165
Cfr. la infra nota del Commento all’edizione.
166
Sull’«influence directe de Folquet» asserita da Jeanroy scrive infatti: «È possibile.
Senza dubbio la discendenza provenzale del motivo è pacifica, e possiamo comunque limitarci
ad osservare che l’accostamento è più preciso di quelli proposti nei nostri commenti alle Rime
di Dante» (p. 642).
167
Cfr. Suitner 1980, p. 642, il quale conclude, dopo un ulteriore accostamento fra
FqMars 155,20 (XXI), 5-9 e i vv. 9-11 del son. Tanto gentile (Vita nuova XXVI):
«quest’ordine di osservazioni può interessare come sempre in funzione dello studio del
linguaggio e dell’ideologia della tradizione lirica europea. Mentre pare impossibile ricavarne
qualche indicazione sulla “lettura” di liriche di Folquet de Marselha da parte di Dante» (p.
643). Si possono infine ricordare qui, per lo stretto rapporto con l’episodio purgatoriale di
Arnaut, i vv. dedicati a FqMars dal veneziano Giovanni Girolamo Nadal nel corteo
trobadorico della Leandreride (completata intorno al 1381-82): «Qest es celuy qi se reclam de
§ 3.2.2.5.3. F r a n c e s c o P e t r a r c a . «Un Petrarca in embrione»: così,
direi con più di «una qualche esagerazione, e senz’altro facendo torto in questo
contesto al poeta italiano» 168, Thomas G. Bergin ha definito FqMars in una
lectura dantesca 169. Se è del tutto inutile discutere questa suggestione,
certamente meno inutile è raccogliere le indicazioni che l’imponente commento
di Marco Santagata ai Rvf mette ora a disposizione 170:
i) son. 19, 5-7 «et altri, col desio folle che spera / gioir forse nel foco,
perché splende, / provan l’altra vertù, quella che ’ncende»: cfr. FqMars
155,21 (VII), 9-12 (il paragone è riproposto nel son. 141, 1-4);
ii) canz. 23, 100 «Non son mio, no. S’io moro, il danno è vostro»: cfr.
155,22 (II), 31-32 (cfr. son. 221, 3-4, infra al n° x); 168-69 «...ché pur la sua
dolce ombra / ogni men bel piacer del cor mi sgombra»: cfr. FqMars 155,22
(II), 1-3 («motivo topico della lirica romanza»);
iii) ball. 55, 13 «Amor, avegna mi sia tardi accorto»: cfr. FqMars 155,21
(VII), 1 (il riscontro è di Agostino Casu, tesi di laurea, Univ. di Pisa, a.a.
1992-93);
iv) canz. 71, 102-3 «onde s’alcun bel frutto / nasce di me, da voi vien
prima il seme»: cfr. FqMars 155,2 (XIX), 37-39 (il riscontro è di A. Casu,
che cita la redazione del ms. prov. R);
v) son. 93, 4 «e ’n un momento gli fo morti et vivi»: FqMars 155,1 (V), 1;
vi) canz. 105, 27-30 «Alcun è che risponde a chi nol chiama; / altri, chi
’l prega, si delegua et fugge; / altri al ghiaccio si strugge; / altri dì et notte la
sua morte brama»: FqMars 155,5 (I), 11-20; 46-48 «Forse ch’ogni uom che
legge non s’intende: / et la rete tal tende che non piglia, / et chi troppo
assotiglia si scavezza»: FqMars 155,16 (VIII), 28; 80 «E ‘n bel ramo
m’annido...»: FqMars 155,14 (IV), 19-20;
vii) son. 134, 5-6 «Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra, / né per
suo mi riten né scioglie il laccio»: FqMars 155,18 (III), 15-17;
viii) son. 140, 14 «Ché bel fin fa chi ben amando more»: FqMars 155,4
(XXII), 6 (filtrato da G. da Lentini, Madonna, dir vo voglio, 7-8);
Spainna, / de Marseilla Folqet, qe se rancura / e pe.l’affan d’amors se ploura e lainna» (libro
IV, canto VIII, vv. 10-12: da G. G. Nadal, Leandreride, ed. critica con commento a cura di E.
Lippi, Padova, Antenore 1996, p. 132; trad. e comm. a p. 293: il v. 10 allude «quasi
certamente» a FqMars 155,15 [XVIII]): l’edizione del canto era stata anticipata da Lippi ne Il
tramonto del provenzale a Venezia: Leandreride, IV, 8, in Omaggio a Gianfranco Folena,
Padova, Editoriale Programma 1993, III, pp. 655-76; si veda anche P. Canettieri, Un episodio
della ricezione di Purgatorio XXVI: la Leandreride di Giovanni Girolamo Nadal,
«Anticomoderno» II (1996), pp. 179-200.
168
Suitner 1980, p. 643.
169
Il canto IX del «Paradiso», Roma, Signorelli 1959, p. 20.
170
Francesco Petrarca, Canzoniere, edizione commentata a cura di M. Santagata, Milano,
Mondadori 1996. Si ricordi intanto la menzione di FqMars nella sequenza dei poeti nel
Triumphus Cupidinis IV 49-51, già citata nel § 3.1.1.
ix) son. 171, 2-3 «...e s’io mi doglio, / doppia ’l martir...»: FqMars 155,1
(V), 4 («è formula provenzale»);
x) son. 221, 3-4 «...et s’io ne scampo, / meraviglia n’avro; s’i’ moro, il
danno»: FqMars 155,22 (II), 29-30;
xi) son. 236, 8 «et l’alma desperando à preso ardire»: FqMars 155,5 (I), 28;
xii) son. 273, 13 «ché mal per noi quella beltà si vide»: FqMars 155,4
(XXII), 11 («è espressione diffusa sia in ambito classico, sia romanzo»).
Aggiungo al regesto un accostamento proposto da Zingarelli 1899, p. 26 fra
la canz. 127, 43-51 «Qualor tenera neve per li colli / dal sol percossa veggio di
lontano, / come ’l sol neve, mi governa Amore, / pensando nel bel viso più che
humano / che pò da lunge gli occhi miei far molli, / ma da presso gli abbaglia, et
vince il core: / ove fra ’l biancho et l’aurëo colore / sempre si mostra quel che
mai non vide / occhio mortal, ch’io creda, altro che ‘l mio» e FqMars 155,14
(IV), 37-39.
§ 3.2.2.5.4. G i o v a n n i B o c c a c c i o . Di una presenza di Folchetto di
Marsiglia nell’opera di Boccaccio non si trova traccia negli studi dedicati agli
apporti della tradizione letteraria cortese alla produzione boccacciana: è mia
opinione tuttavia che il Folco protagonista della novella IV 3 del Decameron, di
ambientazione marsigliese, condivida con il nostro trovatore più elementi di
quanto si ricavi dalla bibliografia a me nota 171. Un primo indizio che dà
consistenza letteraria al personaggio di Folco sta nell’onomastica di evidente
origine dantesca che collega Fo lco con N’Arnald Civada, padre delle sorelle
di cui lo stesso Folco e i suoi amici Ughetto e Restagnone s’innamorano, e con
B eltr amo , conte di Rossiglione e protagonista di un’altra novella d’ambiente
provenzale, la III 9 (la terza novella ‘provenzale’ del Decameron è la IV 9,
quella del ‘cuore mangiato’, protagonisti Guiglielmo Rossiglione e Guiglielmo
Guardastagno): Bertran de Born, Arnaut Daniel e, appunto, Folchetto di
Marsiglia sono, insieme con Sordello, i trovatori rappresentati nella Commedia.
Altri elementi si ricavano dal confronto fra elementi narrativi della novella e
aspetti della biografia di FqMars: per es. la condizione socio-economica di
Folco e Ughetto: «morti i padri loro e essendo rimasi ricchissimi...» (IV 3, 10)
richiama quella di FqMars secondo la vida: «Folquet de Marsseilla si fo fillz
d’un mercadier que fo de Genoa et ac nom ser Anfos. E quan lo paire muric, si·l
laisset molt ric d’aver» (§§ 1-2). Rimando per ulteriori indicazioni a un articolo
di prossima pubblicazione, per la necessità, onerosa in questa sede, di
contestualizzare il riscontro all’interno di un più ampio discorso sul riuso della
tradizione cortese romanza da parte di Boccaccio.
171
In un passo del suo commento Vittore Branca parla di «chiaro calco letterario – certo
anche per reminiscenza dantesca (De vulgari eloquentia, II vi, 6; Par. IX 37 sgg.) se non
petrarchesca (Tr. Cupidinis, III 49-51)»; tuttavia Folco, così come gli altri nomi di origine
occitanica, resta semplice macchia di colore locale, per «meglio ambientare la novella alla
provenzale» (cfr. Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Torino, Einaudi
1992, p. 508, n. 1).
§ 3.2.2.6. N e l l a G e r m a n i a d e i M i n n e s ä n g e r . Mi limito a
indicare i contrafacta medio-alto tedeschi e gli altri rapporti rintracciati da Frank
1952 172:
i) 11c Friedrich von Hausen, Si darf mich des zîhen niet (MF 45,37): mod.
FqMars 155,8 (XI); per la str. I cfr. c. III del modello 173.
ii) 9a Rudolf von Fenis, Gewan ich ze Minnen ie guoten wân (MF 80,1):
mod. FqMars 155,21 (VII); per la str. I cfr. c. II di FqMars 155,18 (III); per la
str. II cfr. c. I di FqMars 155,21 (VII); per la str. III cfr. c. III di FqMars 155,22
(II).
iii) 11f Rudolf von Fenis, Ich hân mir selben gemachet die swære (MF
83,11): mod. GcFaid 167,46 (29) oppure Gace Brulé, Tant m’a mené force de
seignorage (R42 e n° 65,77 di Linker 1979; Rosemberg-Danon 1985, p. 139);
per str. I cfr. c. II di FqMars 155,5 (I).
iv) 11a Rudolf von Fenis, Mit sange wânde mîne sorge krenken (MF 81,30):
stesso mod. di 11f (iii); per le str. I-II cfr. c. I-II di FqMars 155,8 (V); per la str.
V cfr. c. II di FqMars 155,21 (VII).
3.3. La letteratura critica.
Il fatto che FqMars sia un trovatore di prima grandezza è in qualche modo
emerso dalle pagine precedenti: i rapporti intrattenuti durante l’attività poetica
come nella vita pubblica e l’entità del suo influsso anche fuori d’Occitania ne
sono un indizio preciso. Ma a scorrere la bibliografia critica, soprattutto dalla
fine dell’Ottocento in poi, si ottiene un quadro in parte diverso.
La conoscenza e lo studio del trovatore durante l’Umanesimo italiano
dipendono essenzialmente dalla menzione dantesca e da quella petrarchesca:
basterà qui richiamare i nomi già fatti nel § 3.1.1 e aggiungere che alcune poesie
dei ‘trovatori di Dante’ ArnDan e FqMars sono state tradotte da Bartolomeo
Casassagia, nipote di Benedetto Gareth, detto il Cariteo, e oggi conservate nel
Vat. lat. 4796 174. In Francia, oltre a Jean de Nostredame, già menzionato nel §
172
Indico nell’ordine: n° del testo tedesco nello studio di Frank, autore e incipit, numero
nella raccolta di testi di riferimento (MF = C. von Kraus, Des Minnesangs Frühling, nach K.
Lachmann, M. Haupt und F. Vogt neu bearbeitet, Leipzig / Zürich, Hirzel 195030), modello
metrico, rapporti fra i testi (con ‘str.’ indico la strofa del testo tedesco, con ‘c.’ la cobla del
testo folchettiano).
173
Di questo e dell’altro contrafactum di FqMars 155,8 (V), Rudolf von Fenis, Mit sange
wânde mîne sorge krenken, si veda l’analisi di S. Cain Van D’Elden, Diversity despite
Similarity: Two Middle High German Contrafacta of an Occitan Song, in Misc. Remy 1986,
I, pp. 323-37.
174
Cfr. Debenedetti 1995 [1911], pp. 122-25: di questa traduzione, esemplata su una
copia del ms. M, si conserva anche una copia nel Vat. lat. 7182: si tratta, come scrive
Debebendetti, delle «più antiche versioni a noi note d’un testo provenzale in prosa italiana»
(pp. 124-25); cfr. M. Careri, Bartolomeo Casassagia e il canzoniere provenzale M, in Atti
Messina 1993, II, pp. 743-52.
3.1.1, si interessa del trovatore-vescovo anche uno storico importante come
Guillaume de Catel 175: è infatti l’attività pubblica successiva all’entrata in
convento ad attirare l’interesse degli studiosi d’oltralpe, ed è proprio in relazione
all’integrità religiosa di Folchetto, che s’intende così comprovare, che Catel
trascrive alle pp. 899-901 l’alba religiosa FqMars 155,26 (XXVI), di cui le
testimonianze antiche e, in principal modo, la biografia provenzale non facevano
menzione 176. Per il resto sono vida e razos le fonti principali d’informazione; lo
stesso accade, per venire al XVIII secolo, nell’Histoire génerale du Languedoc,
almeno per quanto riguarda l’analisi dell’attività poetica del trovatore 177.
Sin qui mancano, ed è ovvio che sia così, analisi specificamente letterarie sul
trovatore: alla base di quelle che verranno nell’Ottocento, stanno due studi
fondamentali pressoché contemporanei: il capitolo dedicato a FqMars da
Friedrich Diez in Leben und Werke der Troubadours e il contributo di EméricDavid nell’Histoire littéraire de la France 178. I due lavori, strutturati in maniera
abbastanza simile, integrano i dati ricavati dalle biografie con un’estesa analisi
testuale volta per un verso a determinare in maniera particolareggiata le vicende
biografiche di Folchetto 179, e per l’altro, soprattutto in Diez, a individuare le sue
caratteristiche poetiche. Il giudizio letterario dell’HLF è quello che, corroborato
da analisi o semplicemente sottinteso, si ritrova in gran parte degli studi
successivi (cito dalle pp. 600-601):
Si nous considérons uniquement Folquet sous des rapports littéraires, il ne saurait être
placé au premier rang parmi les troubadours, dans aucun genre de poésie. Les Bernard de
Ventadour, les Rambaud de Vachères, Bertrand de Born, Pierre Vidal, Faidit, lui sont bien
supérieurs. On ne lui doit aucune de ces pastourelles où plusieurs de ses contemporains
offrent tant de grace et naïveté; mais il a de la variété, des pensées heureuse, de l’énergie.
La mancanza di naturalezza, che si ritrova anche fra i difetti attribuiti da Diez
al trovatore, va ad intaccare una valutazione per altri versi positiva della sua
poesia: «wir finden ihn [scil. nelle poesie d’amore] im Ganzen reich an feinen
Wendungen, anschaulichen Bildern und ausgeführteren Allegorien, wiewohl
nicht frei von Spitzfindigkeiten und Uebertreibungen» (p. 195). Altra
caratteristica comune ai due lavori, rintracciabile anche altrove, è l’indicazione
nella produzione di Folchetto dei componimenti esteticamente migliori: se
nell’HLF viene sottolineata l’eccellenza dell’alba religiosa (p. 602), già messa
175
Cfr. Catel 1633, pp. 892-902.
Il testo è ricavato dal ms. C che lo attribuisce a FqMars, ma si è già detto che la
paternità è controversa (cfr. supra § 1.2.4).
177
HGL, V, pp. 90-91; poco di più è contenuto nelle integrazioni ottocentesche di Du
Mège, nelle «Addition et notes» al vol. V, pp. 24-26 (molto più ricco è, come s’è visto nel §
3.1.2, il contributo alla biografia del vescovo)
178
Diez 1882 [1829], pp. 193-206 e HLF, XVIII, Paris 1835, pp. 588-603.
179
Entrambi i lavori presentano, per primi, indicazioni cronologiche precise riguardo ai
testi contenenti allusioni al contesto storico. Non sono tuttavia assenti i tentativi di svelare
l’identità del personaggio femminile rappresentato nelle canzoni d’amore: Eméric-David, per
es., interpreta il senhal Azimans come un’allusione alla moglie di Folchetto (sul senhal, che
cela invece BtBorn, cfr. supra il § 3.2.1.1.3).
176
in rilievo da Catel 1633, p. 899 e in séguito più volte ribadita, Diez valorizza
piuttosto il planh FqMars 155,20 Si com sel qu’es tan greujatz (XXI), di cui
propone anche una traduzione poetica 180.
Non meno importante il contributo di Fauriel 1846, II, pp. 69-74 (e 149-52),
e non tanto per l’informazione storico-biografica, ricavata prevalentemente dalle
biografie provenzali, quanto per la valutazione stilistica della produzione poetica
di Folchetto, sempre incerta fra il riconoscimento dell’importanza letteraria e il
rilevamento nelle sue poesie di un’affettata monotonia (cito da p. 69):
Parmi les meilleurs troubadours il n’y en a peut-être aucun qui surpasse Folquet de
Marseille en délicatesse d’esprit, en élégance et en artifice de diction. Mais on voit déjà
poindre, à travers cette élégance et cet artifice, des signes de décadence. A la simplicité
monotone, mais enthousiaste et sérieuse, des premiers troubadours, on sent déjà succéder
les raffinements du mauvais goût, les prétentions du bel esprit, la manière et les
recherches d’un art qui s’épuise, et qui, distrait du but, s’égare à la poursuite des moyens.
Anche Fauriel conferma la già ricordata tendenza degli studiosi di Folchetto
a isolare un componimento particolarmente riuscito: la scelta cade (cfr. pp. 7374) su 155,12 Ja non volgra q’hom auzis (XXIII), un’agile canzone,
stilisticamente così poco omogenea al resto della produzione del trovatore da
aver fatto dubitare della sua paternità (cfr. supra il § 1.2.2).
Nell’ultimo quarto del XIX sec. appaiono le due a tutt’oggi uniche
monografie su FqMars: la Biographie des Troubadours Folquet von Marseille di
Hugo Pratsch e il saggio di Nicola Zingarelli, La personalità storica di
Folchetto di Marsiglia nella Commedia di Dante 181: il lavoro di Pratsch, pur
ambendo ad un’analisi esaustiva della produzione poetica folchettiana e
meritando per questo attenzione, non offre per la carenza di strumenti, ma anche
per un’impostazione metodologica ampiamente superata, delle risposte
soddisfacenti alle numerose questioni sollevate 182; al contrario il contributo di
Zingarelli, che si può dire inauguri la voce preponderante della bibliografia
critica su Folchetto, quella dei rapporti del trovatore con Dante, risulta
180
«Beklagt er den Tod seines Gönners, welcher im Jahre 1192 erfolgte, auf eine Art, wie
nicht jeder Troubadours es vermochte» (Diez 1882 [1829], p. 201; la traduzione è alle pp.
201-202).
181
Il primo (= Pratsch 1878) riproduce il testo di una «Inagural-Dissertation»
all’Università di Gottinga; il secondo (= Zingarelli 1899) accresce e corregge una prima
versione pubblicata tre anni prima (Zingarelli 1896) e sottoposta a revisione in séguito ai
rilievi dei recensori.
182
Basti citare l’ordinamento cronologico delle canzoni di Folchetto in base agli sviluppi
del rapporto amoroso con Azalais, viscontessa di Marsiglia (p. 19 ss.) o il tentativo di separare
le persone del trovatore e del vescovo di Tolosa (pp. 47-52). Sul piano della valutazione
globale, Pratsch, pur sottoscrivendo il giudizio di Fauriel citato sopra, lo ritiene troppo severo:
«Fauriel spricht zwar den unserm Dichter vom rein ästhetischen Standpunkte zukommenden
Tadel bei weitem nicht so wohlwollend aus wir es thun zu müssen glaubten, aber auch er
erblickt in Folquet von Marseille einen von denjenigen Troubadours, welche kurz vor dem
Ausbruch der Albigenserkriege noch einmal herrliche Blüthen des provenzalischen
Dichtergeistes entfalteten» (p. 58).
particolarmente significativo per la gran mole di notizie fornite e la sostanziale
correttezza delle informazioni.
Il nucleo della valutazione di Fauriel e Pratsch è ripreso e argomentato da
Pätzold 1897, p. 69, che offre inoltre un ricco repertorio di immagini
convenzionali, sentenze, personificazioni che farebbero di FqMars un precursore
della lirica convenzionale e manierata dei secoli XIII e XIV:
Seine Kanzonen sind keineswegs ohne Geist geschrieben, aber er vergeudet diesen gar
zu oft in geschmacklosen Spitzfindigkeiten. Vergebens sucht man bei Folquet den
einfachen, ungezwungenen Ausdruck echter Liebesempfindung. [...] Die Lyrik wird, ein
Exerzierplatz des Scharfsinns und des Witzes, in eine traurige Schablone gezwängt und
entbehrt damit jedes freien dicterischen Schwunges.
Sino al lavoro di Stroński, tuttavia, i giudizi oltre che generici e
impressionistici, sono fondati su una conoscenza parziale e dispersa del
canzoniere folchettiano: ben cinque canzoni, ovvero 155,5 (I), 155,27 (X),
155,10 (XII), 155,11 (XIII) e 155,9 (XV), risultano infatti prive di un’edizione
che non fosse diplomatica 183. Si può dire che l’edizione Stroński segni una
svolta anche da questo punto di vista, sia perché rende disponibili i materiali
completi e affidabili da sottoporre ad analisi, sia perché vi si trova uno studio
retorico-letterario ampio e dettagliato e per certi aspetti esemplare. Il cap. XII
dell’Étude preliminare su L’art de Folquet contiene infatti un abbondante
regesto di aforismi, sentenze, personificazioni, comparazioni, antitesi e
paradossi che rendono «très artificiel» lo stile folchettiano (pp. 75*-76*);
registra inoltre i motivi letterari e i luoghi comuni reperibili nei testi del
trovatore (p. 77*), le riprese dalla tradizione classica (p. 78*-81*) 184 e dalla
183
Altre tre, cioè 155,16 (VIII), 155,17 (XVI) e 155,6 (XVII), si potevano leggere fra gli
ungedruckte provenzalische Lieder di Delius 1853 nella versione del ms. S.
184
Questo aspetto merita un approfondimento: secondo Stroński la gran parte delle riprese
da autori classici, fra i quali emergono i nomi di Ovidio e Seneca (ma il più citato è il
sentenzioso autore di mimi Publilio Siro), provengono «d’un recueil d’aphorismes, d’un
florilège tout prêt» (p. 81*), come mostra l’ultimo nome citato. In uno studio classico,
Scheludko 1934 ha contestato a Stroński la scarsa valorizzazione dell’influsso ovidiano,
assimilato a quello di altri autori classici, quelli sì fruiti attraverso raccolte di sentenze e
florilegi: infatti, a un’ipotesi iniziale su una possibile lettura diretta di un autore ‘scolastico’
come Ovidio, fa séguito una sorta di omologazione: «Mais, une fois, avertis, nous sommes
autorisés à supposer qu’il aidait sa mémoire, pour cet auteur comme pour les autres, de
quelque recueil d’extraits» (p. 81*). Secondo Scheludko, per il quale l’influenza di Ovidio
sulla tradizione trobadorica è imponente, «Dies wird besonders klar, wenn wir nicht
amputierte Sentenzenteile, sondern ganze Texte beider Dichter miteinander vergleichen» (p.
167; cfr. l’analisi dei rapporti alle pp. 167-70). Lo stesso Stroński non mancherà negli anni
dell’esilio londinese di far propria questa tesi: «Il connaît les écrivains latins, surtout leurs
sentences recueillies dans les florilèges, et il connaît directement Ovide, dont le livres
d’Amores et de l’Ars Amatoria n’ont pas de secrets pour lui» (Stroński 1943, p. 26). Resta il
merito dell’editore di aver comunque valorizzato quella presenza: il nome di FqMars era
infatti assente nel libro di W. Schroetter, Ovid und die Troubadours, Halle 1908 né lo si trova
ancora in M. A.-F. Sabot, Presence d’Ovide au XIIe siècle: poesie latine elegiaque, lyrique
provençale, in Colloque présence d’Ovide, édité par R. Chevalier, Paris, «Les Belles Lettres»
1982, pp. 241-60 (che tuttavia ignora anche il saggio di Scheludko). Apre una prospettiva più
produzione trobadorica anteriore e coeva (pp. 81*-85*). Il tutto per confermare
il giudizio vulgato sul trovatore, non senza una conclusione che introduce la
questione nuova dell’originalità di Folchetto (cito da p. 85*):
L’originalité de Folquet, qui lui a valu une renommée si considérable, en quoi
consiste-t-elle? L’aphorisme et les reminiscences des auteurs latins, la personnification,
l’antithèse et le paradoxe étaient connus dans la poésie des troubadours avant lui. Mais il
fut le premier à les appliquer dans une mesure aussi large et à leur donner des
développements aussi hardis. C’est pourquoi ses poésies se distinguèrent par leur
empreinte savante et artificielle et marquèrent un tournant. Et il fit école. La manière
simple et naïve de l’ancienne chanson provençale a vécu.
Lo spunto è molto interessante ed è certamente da qui che bisogna partire per
un’analisi della poesia folchettiana; esso non è stato evidentemente colto da
Alfred Jeanroy, che col suo autorevole giudizio negativo ha posto un’ipoteca sul
valore estetico della produzione di FqMars difficile da riscattare. Se nel 1903
Jeanroy poteva scrivere 185:
le Seicento italien, dans sa fureur de concetti, n’a rien produit de plus laborieusement
puéril [...] C’est un chapelet, une cascade d’arguties et de pointes: se fût-on attendu à
trouver ici quelque chose comme la chute du sonnet d’Oronte [...]. Dans ce monstrueux
amalgame de dialectique et de poésie, il ne reste plus ni poésie ni dialectique, ni sens
commun, ni sentiment: ce n’est plus que vaine et glaciale logomachie
dopo l’edizione Stroński non fa che ribadire, leggerermente attenuandolo, quel
giudizio troppo severo 186:
Il se plait à des concetti, dignes du pire seicento. [...] Ce logicien, et ceci est une
nouveauté, se pique d’enchaîner ses idées; le lien est au moins formel, et des plus
apparents: telle chanson n’est qu’une chaîne de syllogismes se faisant contre-poids. [...]
[Le style] de Folquet est souvent plat et sec, et les images qui le traversent ne font qu’en
rendre plus sensible le prosaïsme. [...] Je ne nie pas qu’il y ait, çà et là, quelques pensées
fines, quelques vers faciles et agréables. Mais ces gracieuses fleurettes, s’épanouissent
rarement dans ces terres arides où ne prospèrent que les chardons de la scolastique.
Che l’adesione sempre più piena alle linee interpretative dell’editore 187 e la
negatività del giudizio estetico siano alla base della limitatissima presenza di
ampia il saggio di A. L. Rossi, E pos d’amor plus no·m cal: Ovidian Exemplarity and Folco’s
Rhetoric of Love in Paradiso IX, Ten, V (1989), pp. 49-102, che a partire dalla comparazione
fra il Folco di Par. IX con Didone, Fillide ed Ercole (vv. 97-102) svolge una densa trama di
connessioni intertestuali al fine di mostrare che la posizione del trovatore nel sistema dantesco
origina dalle basi ‘ovidiane’ del suo canzoniere. Si veda ora L. Rossi, I trovatori e l’esempio
ovidiano, in Ovidius redivivus. Von Ovid zu Dante, hg. von M. Picone - B. Zimmermann,
Stuttgart, M&P 1994, pp. 105-48. Non ho visto F. Jensen, Folquet de Marselha and the
Classical Tradition, in The Influence of Classical World in Medieval Literature,
Architecture, Music and Culture, ed. by F. Fajardo and A. Leviston, New York 1992, pp. 5465.
185
Ne La poésie provençale (la Chanson), «Revue de Deux Mondes», 1.2.1903, pp. 68182 (in cui confluiscono i materiali della tesi De nostratibus medii aevi poetis, Paris 1899).
186
Cito da Jeanroy 1934, II, pp. 150-51; si vedano ancora Jeanroy 1921, pp. 19-20 e
1927, p. 94.
FqMars negli studi provenzali è peraltro la tesi espressa da Caroline Locher, in
un saggio significativamente isolato sull’arte poetica del trovatore 188:
Despite the availability of Stroński’s fine edition, Folquet’s poetry has been virtually
ignored. He is poorly represented in modern anthologies. The one major study devoted to
Folquet since Stroński’s dates back forty years and is historical rather than literary.
Scattered remarks label his style “laborieusement puéril”, or find in it “rien de bien
original”. Auerbach goes so far as to see “something tragic” in Folquet’s lack of
“spontaneity and overflowing feeling” and his “hollow and blurred” metaphors. No recent
studies have sought to correct these post-Romantic condemnations.
Si sarà riconosciuta la voce di Jeanroy, mentre il giudizio sull’originalità è di
Joseph Anglade 189; quanto a Erich Auerbach, il suo giudizio abbraccia
collettivamente «Giraut de Borneill, Folchetto di Marsiglia, Arnaldo Daniello e
altri poeti citati da Dante»: nelle loro «manieristiche» poesie viene rintracciato:
uno spiritualismo di derivazione neoplatonica, un misticismo fortemente soggettivo, che
nella reinterpretazione e sublimazione del fenomeno giunge all’idea, e che pur tuttavia si
sforza di mantenere il fenomeno nella sua singola particolarità: nessuno di loro ci è
riuscito; la loro spinta espansiva, che riguardava tanto la profondità dell’anima quanto la
colorita ampiezza del mondo esterno, non trovò soddisfazione. Il loro metaforismo scivola
continuamente, e diventa falso e inesatto, i loro pensieri rimangono nel generico oppure
non trattengono l’oggetto particolare, diventano slegati e strani; la struttura, che tende
all’unità interna, deve accontentarsi spesso di un surrogato esterno, del tutto superficiale.
Tutti hanno una loro tragicità, e questo vale soprattutto per il poeta che Dante ammirava
più degli altri, il “miglior fabbro del parlar materno”, Arnaldo Daniello.
Ho citato con ampiezza questa pagina 190 per evidenziare il montaggio, un
po’ tendenzioso e comunque semplificatorio, operato dalla Locher, nella
convinzione che il pensiero di un maestro del rigore di Auerbach possa essere
criticato solo se correttamente esposto. Definire poi «The one major study
devoted to Folquet since Stroński» il lavoro di Antonio Ricolfi 191 è fin troppo
generoso, nonostante le 49 pagine che lo compongono: Folchetto è ritratto come
un fedele d’Amore, simpatizzante degli eretici, le cui liriche amorose rivelano il
suo duplice volto «dell’innamorato (o del passionale che s’atteggia a tale), e
187
Paradigmatico in questo senso il cappello introduttivo di Riquer 1975 alle poesie
raccolte nella sua antologia (cfr. vol. I, pp. 583-87).
188
Locher 1980, pp. 192-93.
189
Nell’Histoire sommaire de la littérature méridionale au Moyen Age (des Origines a la
fin du XVe siècle), Paris, De Boccard 1921, p. 82: nelle poche righe dedicate al trovatore,
quasi tutte di argomento biografico, si ritrova il giudizio assai positivo sull’alba religiosa
«remarquable par l’élévation de la pensée et la simplicité grave de la forme», sebbene a p. 95,
n. 4 (e poi a p. 163) pare accettare l’ascrizione a FqRom proposta da Zenker (cfr. infra § 1.2.4
e il Commento a FqMars 155,26 [XXVI] per altri apprezzamenti sul componimento).
190
Dalla trad. it. di Dante als Dichter der irdischen Welt, Berlin-Leipzig 1929 contenuta
negli Studi su Dante, [a cura di D. Della Terza], Milano, Feltrinelli 1963, pp. 1-161, alle pp.
47-48; la Locher utilizza la trad. in lingua inglese di R. Manheim (Chigago U.P. 1961), pp.
52-53.
191
Il problema del servizio d’Amore provenzale studiato nelle rime di Folchetto da
Marsiglia (I suoi amici, la sua conversione, il catarismo), «Nuova Rivista Storica», XXII
(1938), pp. 183-99 e 307-37.
quello dell’affarista procacciante» (p. 197); un ‘servente’ che alla sua prima
esperienza lirica fa seguire una fase di ribellione ai troppo stretti legami con la
setta catara, in cui compone poesie contro Amore, e poi, dopo la conversione,
cerca di riscattare il suo passato predicando la vera fede e rendendosi talora
complice degli eccidi di Simon de Monfort.
Ciò nonostante la Locher ha ragione a lamentare la scarsa attenzione al
trovatore: se si eccettuano alcuni lavori di argomento musicale 192 e qualche
intervento autorevole, limitato però ad aspetti particolari 193, l’unica voce della
bibliografia folchettiana in continua crescita concerne la presenza di FqMars
nell’opera dantesca (cfr. supra il § 3.2.2.5.2). Oltre a uno studio di Glynnis M.
Cropp sul partimen con Tostemps (= Cropp 1980) e alla relazione di Wendy
Pfeffer al primo congresso dell’A.I.E.O., dedicata all’uso del proverbio da parte
del trovatore (= Pfeffer 1987; cfr. ora Pfeffer 1997, pp. 44-52) c’è veramente
poco altro. Per chiudere questa rassegna vorrei citare integralmente le sole
parole spese per il trovatore FqMars da Lafont-Anatole 1970, I, p. 105 (qualcosa
di più viene aggiunto altrove sul vescovo di Tolosa):
Un homme curieux était ce bourgeois de Marseille, FOLQUET, immensément riche, qui
se fit le protégé d’Alphonse d’Aragon, de Raymond V, de Richard Cœur de Lion, et qui
entra dans l’ordre de Cîteaux. Il fut abbé du Thoronet et donna de belles chansons
religieuses. Nous le retrouvons Evêque de Toulouse en 1205.
e ricordare le secche parole di Salvatore Battaglia: «Si pensi [...] alla poesia
studiata e arida di Folchetto di Marsiglia, anch’egli [come Peire Vidal] abile
artefice di canzoni e lucido discettatore di concetti» 194 per mostrare che anche
quando viene trattato il trovatore è tutt’altro che analizzato a fondo.
Merita perciò la massima attenzione il lavoro della Locher che si apre con
un’esplicita, e, dopo quanto si è detto, quasi sorprendente presa di posizione (p.
192):
A figure essential for our understandig of the canso’s structure is Folquet de
Marseille. In this paper I will argue that Folquet experimented with several techniques to
link as well as subordinate individual stanzas in a carefully planned structure governing
the entire canso. This study is intended to help further refine our conception of the canso,
as well as to reevaluate a neglected troubadour.
In questa prospettiva la tanto invisa propensione di FqMars all’uso di
espedienti retorici cessa di essere motivo di svalutazione per costituire invece la
ragione stessa della sua non secondaria importanza nella poesia trobadorica. La
192
Oltre a Sesini 1938 e Le Vot 1992, si vedano A. Ricolfi, Su Folchetto da Marsiglia
musicista, Con, X (1938), pp. 329-32 (a proposito dell’art. di Sesini) e J. Klobukowska,
Contribution à l’étude de la versification et du rythme dans les chansons de Folquet de
Marseille, in Actes du 5e congrès international de langue et littérature d’oc e d’études
franco-provençales, Nice, 6-12 septembre 1967, Nice, «Les Belles Lettres» 1974, pp. 414-19.
193
Penso all’articolo di R. Lejeune sul viaggio pastorale di Folchetto a Liegi (= Lejeune
1979 [1958]) e ai lavori di Au. Roncaglia, G. Folena e R. Antonelli sulla traduzionerifacimento di Giacomo da Lentini della canzone FqMars 155,4 (XXII) (= Roncaglia 1975,
Folena 1991, Antonelli 1987).
194
La coscienza letteraria nel Medioevo, Napoli, Liguori 1965, p. 299.
ripetizione morfemica 195 è il principale strumento della tecnica poetica
folchettiana: la Locher analizza sei canzoni 196 nelle quali tale ripetizione assume
un valore strutturante dell’intero testo, allo scopo di dimostrare che «It is the
particular combination of these techniques – none of which is entirely original
with Folquet – and their structural function which I believe distinguish Folquet
and constitute his contribution to Provençal poetry» (p. 194). Nel rimandare al
commento alle canzoni per ulteriori indicazioni, vorrei rimarcare che alla luce
del lavoro della Locher la convenzionalità non può più essere assunta come cifra
stilistica della poesia folchettiana: non è così, come la studiosa analiticamente
dimostra, a livello di organizzazione del discorso, ossia di forma del contenuto,
per usare la nota formula hjelmsleviana 197; lo è in parte a livello tematico, ma si
è già detto, accogliendo una suggestione di Costanzo Di Girolamo, quanto
proprio questo aspetto si riveli decisivo per il valore di modello assunto dal
trovatore 198. Non lo è, infine, se si considera in toto la sua produzione poetica:
se le mie ipotesi attributive sono corrette, il corpus del trovatore si rivela
decisamente più vario ed eterogeneo di quanto sia il canone proposto da
Stroński. Senza dire che l’estribot 155,25 (XXV) e i rapporti personali e
intertestuali con un trovatore-giullare come Palais rivelano una vena ‘giocosa’
dell’altrove austero poeta che contribuisce non poco a variegare la sua
personalità poetica 199. Un’analisi complessiva del corpus folchettiano, per
quanto si è detto sinora, è un obiettivo che occorre raggiungere al più presto: il
lavoro della Locher, che non poteva non essere limitato alle grandi canzoni
d’amore, e gli spunti sparsi in questo Studio introduttivo e nelle note di
commento ai testi editi qui di séguito possono costituirne il punto di partenza.
195
La Locher utilizza la definizione di morphemic repetition proposta da Smith 1976:
questi individua anche tre sotto-tipi fondamentali (cito la sintesi della Locher a p. 193):
«“composition” (“etymological figure by prefixation”), “morphological figure” (“different
inflections of one word”), and “etymological figure” (“a common root in different words or
parts of speech”)».
196
Nell’ordine di analisi: FqMars 155,14 (IV), in una sorta di prologo alle pp. 193-94,
quindi 155,16 (VIII): pp. 195-97; 155,3 (VI): pp. 197-99; 155,1 (V): pp. 199-202; 155,18
(III): pp. 202-203; 155,8 (XI): pp. 203-205: i primi 4 testi, in décasyllabes, non presentano
rilevanti variazioni dell’ordine strofico nella tradizione manoscritta, a riprova di una struttura
sintagmatica forte, mentre «sequence variations for the fifth are rendered unimportant by a
rime scheme which unmistakably dictates the correct order» (pp. 194-95).
197
L. Hjelmslev, I fondamenti della teoria del linguaggio, Torino, Einaudi 1968.
198
Si veda supra il § 3.2.2.1 sulla fortuna di FqMars in Occitania.
199
Per questi aspetti si vedano supra i §§ 3.2.1.2.1-3. Si ricordi che PVid invia la canzone
Ajostar e lassar a FqMars perché «la chant en bon loc per me» (cfr. § 3.2.1.2.4 e Meneghetti
1992, p. 68, n. 164).
Postilla 2009
Sulla questione dell’identificazione dell’Imberaldo del Balzo con Barral di
Baux (§ 3.1.1) si veda Meneghetti-Segre 2000, p. 316 n. 11. Su GlAnd 203,1 (§
3.2.2.1.2) Guida 2002, pp. 317 e 319. Numerosi e rilevanti sono ora gli studi sui
rapporti dei Siciliani con i trovatori, e in particolare con Folchetto, sviluppati
intorno alla nuova edizione delle liriche siciliane e siculo-toscane di AntonelliDi Girolamo-Coluccia 2008 e agli studi sui canzonieri lirici duecenteschi in
Leonardi 2001: oltre a Squillacioti 2000 e 2005 e alla bibliografia in Squillacioti
2003, pp. 49-51 (in cui sono rilevanti per Folchetto i lavori di Ramazzina 1998,
Brugnolo 1999 e 2000, Latella 1999, Giannini 1999 e 2000), segnalo ora Santini
2003. Sulle riprese folchettiane di Dante (§ 3.2.2.5.2), rinvio ancora alla
bibliografia in Squillacioti 2003, pp. 51-53, a Beltrami 2004 e a Asperti 2004, in
partic. pp. 74-81. Ho approfondito la proposta di vedere in Folchetto il
personaggio della novella IV 3 del Decameron (§ 3.2.2.5.4) in Squillacioti 2000.
Sulle riprese dei trovatori da parte dei Minnesänger si veda ora Meneghetti 2003
(su FqMars le pp. 381-82). Un primo accenno di quell’analisi della poesia
folchettiana posta come obiettivo alla fine del capitolo è nell’Introduzione a
Squillacioti 2003.