Ebolavirus - Postazione 44

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Ebolavirus - Postazione 44
Ebolavirus
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(Reindirizzamento da Ebola)
Il genere Ebolavirus, secondo la definizione
dell'International Committee on Taxonomy of Viruses,
è un raggruppamento di organismi che fanno parte
della famiglia Filoviridae, a loro volta parte dell'ordine
dei Mononegavirales.[1] Si conoscono cinque specie
appartenenti a questo genere e quattro di queste sono
responsabili della malattia da virus Ebola (in inglese
"ebola virus disease "o "EVD") che colpisce gli umani
con una febbre emorragica con un tasso di letalità
molto alto. Le cinque specie di virus riconosciute
dall'International Committee on Taxonomy of Viruses
prendono il nome dalle regioni dove sono stati
individuate per la prima volta. Le specie sono:
Bundibugyo ebolavirus, Reston ebolavirus, Sudan
ebolavirus, Taï Forest ebolavirus (originariamente
Côte d'Ivoire ebolavirus) e Zaire ebolavirus. Lo Zaire
ebolavirus è la specie di riferimento per il genere
Ebolavirus ed è costituita da un solo ceppo noto,
semplicemente chiamato "Ebola virus", il quale è
caratterizzato dal più alto tasso di letalità degli
Ebolavirus ed è anche responsabile per il maggior
numero di epidemie di Ebola attribuibili al genere,
comprese l'epidemia di febbre emorragica di Ebola in
Zaire del 1976 e l'epidemia di febbre emorragica di
Ebola in Africa Occidentale del 2014, che è quella che
ha causato finora il maggior numero di vittime.
Genere Ebolavirus
Micrografia dell'Ebola virus, l'unico ceppo dello Zaire
ebolavirus, la serie tipo per il genere
Classificazione dei virus
Gruppo V (virus a ssRNA­)
Ordine Mononegavirales
Famiglia Filoviridae
Genere Ebolavirus
Specie Zaire ebolavirus
Reston ebolavirus
Sudan ebolavirus
Taï Forest ebolavirus
Bundibugyo ebolavirus
Serie tipo
''Zaire ebolavirus''
Gli Ebolavirus sono stati descritti per la prima volta dopo
l'epidemia di febbre emorragica scoppiata nel sud del Sudan nel
giugno 1976 e nello Zaire nell'agosto 1976.[2]
Il nome Ebolavirus deriva dal fiume Ebola nello Zaire (oggi
Repubblica Democratica del Congo), un tributario del fiume
Congo dove avvenne l'epidemia del 1976, mentre il suffisso
tassonomico ­virus indica trattarsi di un genere virale.[1] Il genere è
stato introdotto nel 1998 come "genere dei virus che somigliano
all'Ebola virus".[3][4] Nel 2002 il nome del genere venne cambiato
in Ebolavirus[5][6] e nel 2010, il genere venne emendato di alcuni
appartenenti.[1] Gli Ebolavirus sono strettamente collegati con i
marburgvirus.
Albero filogenetico che effettua la
comparazione su tutta la lunghezza
del genoma degli ebolavirus con i
marburgvirus per mezzo
dell'inferenza bayesiana.
Indice
1 Note tassonomiche
2 Criteri di inclusione nel genere
3 Caratteristiche principali
4 Virologia
4.1 Morfologia
4.2 Genoma
4.3 Ciclo vitale
4.4 Riserve virali
5 Specie comprese nel genere
5.1 Zaire ebolavirus (ZEBOV)
5.2 Sudan ebolavirus (SEBOV)
5.3 Reston ebolavirus
5.4 Tai ebolavirus o Costa d'Avorio
5.5 Bundibugyo ebolavirus
6 Malattia da virus Ebola
7 Bioterrorismo
8 Utilizzo in prodotti della cultura di massa
8.1 Cinema
8.2 Narrativa di genere
9 Note
10 Bibliografia
11 Altri progetti
12 Collegamenti esterni
12.1 Ciclo vitale
12.2 Contagiosità
Note tassonomiche
In base alle norme per la nomenclatura dei taxon definite dall'International Committee on Taxonomy of
Viruses (ICTV), il nome del genere Ebolavirus va scritto sempre con inziale maiuscola e in corsivo. Non
va mai abbreviato e deve essere preceduto dalla parola "genere". Nella terminologia inglese internazionale,
quando si richiamano collettivamente i membri del genere, non si usa il maiuscolo, il corsivo e l'articolo
(ebolaviruses).[1]
Criteri di inclusione nel genere
Un virus della famiglia Donatoi è un membro del genere Ebolavirus se[1]
il suo genoma ha svariate sovrapposizioni di geni
il suo quarto gene (GP) codifica quattro proteine (sGP, ssGP, Δ­peptide e GP1,2) utilizzando un
taglio co­trascrizionale per ottenere ssGP e GP1,2 e clivaggio proteolitico per ottenere sGP e Δ­
peptide
il picco di infettività dei suoi virioni è associato con particelle di ≈805 nm di lunghezza
il suo genoma differisce da quello del Marburg virus per una quantità ≥50% e da quello dell'Ebola
virus di una quantità <50% a livello nucleotide
i suoi virioni non mostrano quasi resistenza incrociata antigenica con i virioni marburg
Caratteristiche principali
I virus di questo genere si trasmettono attraverso il contatto con i fluidi biologici di un infettato, anche
durante il suo periodo di gestazione (30 giorni prima dei sintomi); sarebbe quindi teoricamente possibile
contrarre uno di questi virus toccando il sudore, anche depositato, di una persona malata, anche se è una
probabilità piuttosto piccola.
Potenzialmente questi virus potrebbero essere utilizzati come arma biologica: come agenti di bioterrorismo,
questi virus sono classificati di categoria A.[7] L'efficacia come agente di guerra biologica dei virus di
questo genere è tuttavia compromessa proprio dall'elevata mortalità e dal livello di contagio: un'epidemia
tipica potrebbe diffondersi attraverso un piccolo villaggio o ospedale, contagiando l'intera comunità senza
poter trovare altri ospiti potenziali, morendo quindi prima di raggiungere una comunità più ampia.
Una sola delle specie note di ebolavirus possiede una trasmissibilità di tipo aereo: la specie Reston
ebolavirus (dalla città di Reston, Virginia, dove fu identificata in un tipo di scimmia).
Virologia
Morfologia
L'indagine al microscopio elettronico delle specie appartenenti al genere Ebolavirus mostra la caratteristica
struttura filamentosa dei filovirus.[8] La specie Ebola virus EBOV VP30 è costituita da una catena di 288
amminoacidi.[8] I virioni generalmente hanno una struttura tubolare variabile: possono assumere la forma di
bastone pastorale, di occhiello, di U o di 6, arrotolata, circolare o ramificata. Tuttavia le tecniche di
laboratorio di purificazione come la centrifugazione potrebbero influenzarne l'aspetto morfologico.[8] I
virioni misurano generalmente 80 nm di diametro.[8] Hanno misure variabili, tipicamente attorno ai
1000 nm, ma possono raggiungere i 1400 nm di lunghezza. Nel centro del virione è presente una struttura
chiamata nucleocapside, costituita dal RNA genomico virale e un complesso proteico NP, VP35, VP30 e
L. Il virione ha un diametro di 40­50 nm e un canale centrale di 20–30 nm di diametro. Una glicoproteina
(GP) virale è presente sulla membrana virale, derivata dalla membrana cellulare ospite. Tra membrana e
nucleocapside, nella cosiddetta matrice, sono allocate le proteine virali VP40 e VP24.
Genoma
Ciascun virione contiene una molecola lineare anti­senso di RNA, di circa 18.959 nucleotidi di lunghezza
fino anche a 18.961. L'estremità 3′ non è poliadenilata, e 5′ è priva di cappuccio. È stato accertato che 472
nucleotidi a partire dal 3' UTR, e 731 nucleotidi dal 5' UTR sono sufficienti per la replicazione.[8] È in
grado di codificare sette proteine strutturali ed una non strutturale. La regione codificante è 3′ ­ leader ­ NP
­ VP35 ­ VP40 ­ GP/sGP ­ VP30 ­ VP24 ­ L ­ trailer ­ 5′; leader e trailer essendo regioni non trascritte
trasportano segnali importanti per il controllo della trascrizione, replicazione e assemblaggio del genoma
virale nel nuovo virione. Il materiale genomico in sé non è infettivo a causa delle proteine virali, ma
all'RNA polimerasi RNA dipendente, sono necessarie per la trascrizione del genoma virale nel mRNA,
così come per la replicazione del genoma virale.
Ciclo vitale
I virus attaccano i recettori dell'ospite mediante il peplomero glicoproteico veicolandosi in vescicole
per endocitosi nella cellula ospite.
Fusione della membrana virale con la membrana vescicolare; il nucleocapside è rilasciato nel
citoplasma.
L'ssRNA anti­senso incapsidato è usato come stampo per la sintesi (3' ­ 5') di mRNA poliadenilato,
monocistronico.
Traduzione dell'mRNA nelle proteine virali utilizzando le strutture della cellula ospite.
Elaborazione post­traduttiva delle proteine virali. Dal clivaggio di GP0 (precursore glicoproteico)
derivano GP1 e GP2, che vengono abbondantemente glicosilate. L'assemblaggio di queste due
molecole, prima in eterodimeri, e poi in trimeri costituisce la superficie del peplomero. Un precursore
glicoproteico di secrezione subisce un clivaggio in SGP e delta peptide, entrambi i quali rilasciati
dalla cellula.
Con l'aumento del livello proteico virale, dalla traduzione si passa alla replicazione. Usando l'RNA
anti­senso come stampo, è sintetizzato un +ssRNA complementare, usato come stampo ulteriore per
la sintesi del nuovo (­) ssRNA genomico, rapidamente incapsidato.
Il nucleocapside neoformato e le proteine envelope si associano alla membrana plasmatica della
cellula ospite; il rilascio dei virioni avviene per gemmazione.
Riserve virali
Nonostante numerosi studi, la riserva naturale di Ebolavirus non è ancora stata identificata. Tra il 1976 e il
1998, nessun ebolavirus è stato riscontrato nelle 30.000 specie fra mammiferi, uccelli, rettili, anfibi ed
artropodi prelevate nelle regioni colpite,[9] fatta eccezione per del materiale genetico ritrovato in sei roditori
(Mus setulosus e specie Praomys) e in un toporagno (Sylvisorex ollula) reperito nella Repubblica Centro
Africana nel 1998.[10] ebolavirus furono scoperti in carcasse di gorilla, scimpanzé e gazzelle durante
l'epidemia del 2001 e del 2003 (le carcasse erano la fonte dell'epidemia umana iniziale), ma l'elevata
mortalità dell'infezione preclude a queste specie la possibilità di tramutarsi in riserva.[9]
Anche piante e uccelli sono stati considerati riserve virali; tuttavia, i pipistrelli sono considerati i candidati
migliori.[11] Taluni pipistrelli erano noti per risiedere nella fabbrica di cotone nella quale i pazienti indiziati
per le epidemie del 1976 e del 1979 lavoravano e che furono inoltre implicati nelle epidemie di Marburg
nel 1975 e nel 1980.[9] Tra le 24 specie di piante e le 19 specie di vertebrati inoculati sperimentalmente con
ebolavirus, solo nei pipistrelli si è verificata l'infezione.[12] L'assenza di segni clinici in questi pipistrelli è
caratteristica delle specie­riserva. Nel 2002­03, un'indagine su 1.030 animali provenienti dal Gabon e dalla
Repubblica del Congo che includeva 679 pipistrelli ha identificato RNA proveniente da ebolavirus in 13 di
questi (Hypsignathus monstrosus, Epomops franqueti e Myonycteris torquata).[13] I pipistrelli sono anche
noti per essere la riserva virale di numerosi virus come nipahvirus, hendravirus e lyssavirus. Di recente è
stato identificato uno dei recettori sfruttato dal virus, TIM­1, che sarebbe importante per l'attacco ad alcune
cellule epiteliali (possibili via d'ingresso del virus). Sembra che ebolavirus si siano sviluppati in alcune
caverne del Kenya.[14].
Nel 2012 è stato scoperto in Cina il primo isolamento da pipistrelli del filovirus specie Reston a seguito di
esami sierologici condotti in una popolazione di pipistrelli cinesi. La specie Reston ebolavirus, scoperta
nelle Filippine, è l'unica specie di ebolavirus identificata in Asia fino ad oggi.[15] Inoltre, in 353 oranghi
sani Borneo (Pongo pygmaeus) nell'isola Kalimantan in Indonesia, nel periodo dal dicembre 2005 al
dicembre 2006, si è trovata una posività sierologica pari al 18,4% (65/353) e al 1,7% (6/353) dei campioni
esaminati rispettivamente per EBOV (Ebola virus) e MARV (Marburg). La maggior parte dei sieri EBOV­
positivi ha mostrato una somiglianza sierologica per le specie trovate in Zaire, Sudan, Costa d'Avorio, o
per i virus Bundibugyo, che sono stati trovati finora solo in Africa. Gli autori della ricerca suggeriscono
l'esistenza di molteplici specie di filovirus, o di virus sconosciuti correlati ai filovirus, in Indonesia, alcuni
dei quali sono sierologicamente simili ai virus EBOV africani, indicando così una possibile presenza di
serbatoi di virus non ancora identificati tra le popolazioni di orango indonesiane.[16]
La ricercatrice berlinese Gretchen Vogel, dello staff editoriale della rivista Science, pubblica sulla stessa
l'11 aprile 2014 un editoriale dal titolo: (Are Bats Spreading Ebola Across Sub­Saharan Africa?) Sono i
pipistrelli che diffondono il virus di Ebola in tutta l'Africa sub­sahariana?; suggerendo, con questo
articolo, come la diffusione del virus metta a rischio le persone che vivono nelle aree boschive di tutta
l'Africa sub­sahariana.[17]
Specie comprese nel genere
I microbiologi hanno descritto diverse specie di appartenenti al genere Ebolavirus.
Zaire ebolavirus (ZEBOV)
Questa specie ha il tasso più elevato di mortalità:
oltre il 90%, con una media approssimativa dell'83%
in 27 anni. Gli indici di mortalità erano dell'88% nel
1976, 100% nel 1977, 59% nel 1994, 81% nel
1995, 73% nel 1996, 80% nel 2001­2002 e 90% nel
2003.
La prima epidemia è avvenuta il 26 agosto, 1976, a
Yambuku, una città a nord dello Zaire. Il primo caso
registrato fu un insegnante di 44 anni, Mabalo
Lokela, che era di ritorno da un viaggio nel nord
dello stato. La sua febbre era altissima e gli fu
inizialmente diagnosticata la malaria, quindi gli fu
Numero dei casi noti e dei decessi durante l'epidemia
somministrato del chinino. Lokela si recava in
di Zaire ebolavirus tra il 1976 e il 2003
ospedale ogni giorno; una settimana dopo i suoi
sintomi comprendevano vomito incontrollabile, feci
diarroiche miste a sangue, cefalea, vertigini, problemi respiratori. Più tardi cominciò a sanguinare dal naso,
dalla bocca e dall'ano. Lokela morì l'8 settembre del 1976, circa 14 giorni dopo la comparsa dei sintomi.
Successivamente, numerosi pazienti mostrarono sintomi analoghi come febbre, cefalea, dolori muscolo­
scheletrici, stanchezza, nausea e vertigini fino a mostrare i sintomi finali del primo paziente colpito.
Inizialmente si pensò che la diffusione virale fosse dovuta all'uso ripetuto degli aghi non sterili utilizzati per
Lokela. Successivamente si pensò anche allo scarso rispetto dei protocolli di sicurezza nell'assistenza dei
pazienti colpiti da malattie infettive e ai riti funebri tradizionali che prevedono, prima della sepoltura, il
lavaggio del tratto gastrointestinale. Due infermiere che lavoravano a Yambuku morirono nella medesima
epidemia.[18] Tale variante del virus sembra quella che ha scatenato nella primavera 2014 la nuova
epidemia in Guinea[19].
Sudan ebolavirus (SEBOV)
La specie Sudan ebolavirus fu la seconda ad essere
scoperta, evento accaduto nel corso dell'anno 1976.
Apparentemente sembrava originarsi tra i lavoratori
del cotone della città di Nzara, in Sudan. Il primo
caso riportato fu quello di un lavoratore esposto
probabilmente ad una riserva virale naturale
nell'azienda cotoniera. I ricercatori testarono ogni
animale ed insetto per comprovare l'ipotesi, tuttavia
nessuno risultò positivo al virus. Il portatore è tuttora
sconosciuto. Il secondo caso coinvolse il
proprietario di un nightclub a Nzara, Sudan.
L'ospedale locale, Maridi, sperimentò un tentativo
per curare il paziente che risultò inutile. L'ospedale,
Numero dei casi noti e dei decessi durante l'epidemia
comunque, non sostenne alcuna procedura di
di Sudan ebolavirus tra il 1976 e il 2003
sicurezza nella disinfezione e sterilizzazione dello
strumentario utilizzato sul paziente, facilitando il
contagio nel nosocomio. L'epidemia più recente di Sudan ebolavirus è stata nel maggio del 2004. 20 casi
di Sudan ebolavirus furono registrati a Yambio, nel Sudan, con cinque decessi. Il Centro per il controllo e
prevenzione delle malattie confermò la presenza del virus qualche giorno dopo. I paesi confinanti come
l'Uganda e la Repubblica Democratica del Congo hanno incrementato la sorveglianza dei confini per il
controllo dell'epidemia. Il tasso di mortalità per il Sudan ebolavirus è stato del 54% nel 1976, 68% nel
1979 e 53% nel 2000/2001. La media si aggira intorno al 54%.
Reston ebolavirus
La specie Reston ebolavirus è sospettata di essere sia una specie del genere Ebolavirus, che un nuovo tipo
di filovirus di origine asiatica. Fu scoperta in una specie di macaco nei Laboratori Hazleton (ora Covance)
nel 1989. Questa scoperta attrasse l'attenzione dei media e portò alla pubblicazione del libro The Hot Zone
(Area di contagio di Richard Preston). Nonostante lo stato di pericolosità biologica (livello 4), la specie
Reston ebolavirus non è patologica per gli esseri umani ed è solo mediamente mortale per le scimmie;[20] la
percezione della mortalità del virus fu alterata da una coinfezione di scimmie con il Simian virus(SHFV).
[21]
Nel corso della scoperta, sei tecnici che maneggiavano gli animali divennero sieropositivi ­ uno di loro si
tagliò mentre stava praticando una necroscopia sul fegato di una scimmia infetta. Il tecnico non si ammalò
di febbre emorragica e gli studiosi conclusero che il virus avesse una bassa patogenicità negli uomini.[22]
Altre scimmie colpite dalla specie Reston ebolavirus furono spedite nuovamente a Reston e ad Alice, nel
Texas, nel febbraio 1990. Altri casi di Reston ebolavirus presente in scimmie infette furono scoperti a
Siena, nel 1992 e ancora in Texas nel marzo 1996.
Tai ebolavirus o Costa d'Avorio
Questa specie del genere Ebolavirus fu inizialmente scoperta tra gli scimpanzé della foresta Tai in Costa
d'Avorio. Il 1º novembre 1994, i cadaveri di due scimpanzé furono trovati nella foresta. L'autopsia mostrò
che nel cuore vi era del sangue fluido e marrone, nessun segno evidente sugli organi e, inoltre, anche i
polmoni erano ripieni di sangue molto fluido. Studi sui tessuti mostrarono risultati simili ai casi umani
riportati durante l'epidemia di Ebola virus nel 1976 avvenuta in Zaïre e in Sudan. Successivamente nel
1994, furono scoperti altri cadaveri di scimpanzé positivi all'Ebola virus esaminati mediante tecniche
molecolari. Si suppose che la fonte del contagio fosse la carne infetta di scimmie del tipo Red Colobus, che
venivano predate dagli scimpanzé.[23]
Una degli scienziati che effettuò l'autopsia sugli scimpanzé infetti contrasse la malattia da virus Ebola e
sviluppò sintomi simili alla febbre dengue, approssimativamente una settimana dopo l'autopsia; fu
trasportata in Svizzera per una terapia. Dopo due settimane fu dimessa dall'ospedale e si riprese
completamente a distanza di sei settimane dall'infezione.
Bundibugyo ebolavirus
Il 24 novembre, 2007, il Ministero Ugandese per la Sanità confermò un'epidemia di ebola nel distretto di
Bundibugyo. In seguito, tramite l'esame di campioni effettuati da laboratori statunitensi, dal Centro di
Controllo per le Malattie e dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), si ebbe la conferma della
presenza di una nuova specie del genere Ebolavirus. Il 20 febbraio 2008, il Ministero ugandese
ufficialmente annunciò la fine dell'epidemia di Bundibugyo con l'ultima persona infettata dimessa l'8
gennaio 2008.[24] Funzionari ugandesi confermarono un totale di 149 casi di questo nuova specie di
ebolavirus, responsabile di 37 decessi.[25]
Malattia da virus Ebola
Per approfondire, vedi Malattia da virus Ebola.
L'infezione da virus Ebola porta a sviluppare una febbre emorragica. I sintomi di questa condizione sono
variabili e compaiono improvvisamente. La sintomatologia iniziale comprende febbre alta (almeno
38,8 °C), cefalea, mialgia, artralgia, dolori addominali, astenia, faringite, nausea e vertigini.[26] Il virus
progressivamente causa sintomi di più grave entità, come diarrea, feci scure o sanguinolente, vomito scuro
dall'aspetto a "fondo di caffè", occhi rossi dilatati con presenza di aree emorragiche sulla sclera, petecchie,
rash maculopapulare e porpora. Altri sintomi secondari includono ipotensione, ipovolemia, tachicardia,
danni agli organi (soprattutto a reni, milza e fegato) come risultato di una necrosi sistemica disseminata e
proteinuria. L'emorragia interna è causata da una reazione tra il virus e le piastrine che dà luogo a varie
rotture nelle pareti dei vasi capillari. Occasionalmente si presentano sanguinamenti interni o emorragie
esterne orali e nasali.
La malattia da virus Ebola viene generalmente diagnosticata tramite test ELISA (Enzyme­Linked
ImmunoSorbent Assay), che tuttavia fornisce risultati ambigui durante le fasi non epidemiche. L'intervallo
tra insorgenza dei sintomi e morte è intorno ai 7­14 giorni. A partire dalla seconda settimana di infezione si
assiste ad una riduzione dell'iperpiressia o all'innescarsi di una sindrome da disfunzione multiorgano. Il
tasso di mortalità è alto, tra il 50 e il 90%.[26] Le cause principali di morte sono lo shock ipovolemico e la
sindrome da disfunzione multiorgano.[27]
Tra gli esseri umani, il virus viene trasmesso mediante il contatto
diretto con i fluidi corporei infetti (anche il sudore naturalmente
sempre presente sulla pelle), oppure, in minor proporzione, per via
epidermica o per contatto con le membrane mucose. Il periodo di
incubazione può variare dai 2 ai 21 giorni, ma generalmente è di
5–10 giorni.
Le infezioni di ebolavirus su pazienti umani sono state
documentate in casi di contatto con scimpanzé infetti, gorilla e
antilopi della foresta, avvenuti in Costa d'Avorio, nella repubblica
congolese e in Gabon. Anche la trasmissione virale del tipo Reston
ebolavirus è stata registrata a causa del contatto con scimmie
cynomolgus (Macaca fascicularis).[26] I pipistrelli sono considerati
il serbatoio naturale più probabile dei virus appartenenti al genere
1976, foto di due infermiere di fronte
al caso #3 di Kinshasa (l'infermiera
Mayinga), il quale fu curato ma morì
più tardi nell'Ospedale di Ngaliema a
Kinshasa, Zaire.
Ebolavirus.[28] In passato sono state prese in considerazione anche
piante, artropodi e uccelli. I pipistrelli erano noti occupanti della
fabbrica di cotone in cui sono stati riscontrati i primi casi nei
focolai epidemici del 1976 e 1979, e sono stati anche implicati
nelle infezioni da virus Marburg nel 1975 e nel 1980.[29]
È piuttosto improbabile che gli appartenenti al genere Ebolavirus
possano svilupparsi con caratteristiche pandemiche a livello
mondiale, per via della loro difficoltà a diffondersi per via aerea e
a causa del lasso di tempo in cui questi virus assumono
caratteristiche contagiose atte alla diffusione, in confronto ad altre
malattie infettive. Inoltre, l'instaurarsi di sintomi precoci dal momento in cui la malattia diviene contagiosa
rende remota l'eventualità che un individuo colpito sia in grado di effettuare viaggi permettendo lo
spostamento del contagio. Poiché i cadaveri sono infetti, alcuni medici adottano misure preventive affinché
le sepolture avvengano in sicurezza contrariamente ai rituali funebri tradizionali diffusi in quelle aree.[30]
Al 2014 non esiste un protocollo standardizzato di trattamento per la malattia da virus Ebola. La terapia
primaria è unicamente di supporto e comprende procedure invasive ridotte al minimo: bilancio degli
elettroliti, poiché i pazienti sono frequentemente disidratati, ripristino dei fattori di coagulazione per
arrestare il sanguinamento, mantenimento dei parametri ematici e di ossigenazione, trattamento delle
complicanze infettive. La Ribavirina è inefficace. Anche l'Interferone non pare dare risultati. Nelle
scimmie, la somministrazione di un inibitore dell'emocoagulazione (rNAPc2) ha mostrato qualche
beneficio, preservando il 33% degli animali infettati da una infezione al 100% letale per le scimmie
(sfortunatamente, questa terapia è inefficace sugli umani). Agli inizi del 2006, studiosi dell'USAMRIID
(Istituto statunitense di ricerche mediche sulle malattie infettive dell'esercito) annunciarono il 75% delle
guarigioni in scimmie rhesus infettate con ebolavirus a cui era stata somministrata terapia antisenso.[31]
Bioterrorismo
L'alta mortalità e la mancanza di vaccini e terapie adeguate, classificano gli appartenenti al genere
Ebolavirus come un agente di rischio biologico di livello 4, così come agente bioterroristico di categoria
A[32].
Come arma terroristica, gli ebolavirus sono stati presi in considerazione dai membri della setta giapponese
Aum Shinrikyo, il cui leader, Shoko Asahara, inviò circa 40 membri in Zaire nel 1992 i quali si finsero di
supporto medico alle vittime dell'ebola, presumibilmente nel tentativo di acquisire un campione virale.[33]
Utilizzo in prodotti della cultura di massa
I virus di Ebola e Marburg sono stati una generosa fonte di idee e
soggetti per spettacoli e opere di vario genere della cultura di
massa e nella narrativa di genere.
Cinema
Nel film Virus letale, il virus protagonista, il fittizio "Motaba"
descritto dalla pellicola, è strettamente ispirato ai virus africani,
tanto più che il Motaba è il nome del tratto di fiume che alimenta il
fiume Ebola.[34] Anche i sintomi e l'area dell'infezione sono
pertinenti.
Esistono quattro film che trattano di un'epidemia di ebolavirus:
Virus letale (Outbreak) (1995)
Ebola: Area di contagio (Virus) (1995) Film TV
Yi boh laai beng duk (1996)
Plague Fighters (1996) Film TV
Nel videogioco Resident Evil, il Virus T è una versione modificata
del Virus Progenitore, creato modificando geneticamente il virus
ebola.[35] Nel 2009, con l'uscita del videogioco Resident Evil 5
Un peluche del virus ebola
parte della storia di Resident Evil è stata modificata e il Virus
Progenitore è diventato un virus trovato all'interno di alcuni fiori e
quindi non più un virus creato modificando geneticamente il virus ebola.
Anche in Tomb Raider: La culla della vita rappresenta un'arma biologica[36] che consiste in una forma di
ebola molto potenziata, capace di provocare la morte in pochi minuti.
Anche nel videogioco Trauma Team si manifesta un'epidemia di un virus chiamato "Rosalia", i cui effetti
sono molto simili a quelli del virus ebola.
Narrativa di genere
Nel romanzo Contagio di Robin Cook, il virus ebola è usato come una possibile arma, con intento
criminale.
Nel romanzo Nel Bianco di Ken Follett, una variante del virus ebola, dal nome Madoba­2, viene rubata,
con intento criminale, da un laboratorio di ricerca in Scozia.
La guerra biologica con virus di ebola modificati, trasportati per via aerea, è stata un tema centrale nei
romanzi di Tom Clancy Potere esecutivo e Rainbow Six. In quest'ultimo l'autore inserisce una variante più
aggressiva del virus ebola denominato "Shiva" creato artificialmente in laboratorio ed in grado di
diffondersi per via aerea.
Il virus Reston è il soggetto del libro di Richard Preston, Area di contagio. Ha anche portato allo sviluppo
del film Outbreak (1995).
Note
1. ^ a b c d e DOI: 10.1007/s00705­010­0814­x (http://dx.doi.org/10.1007/s00705­010­0814­x)
2. ^ http://whqlibdoc.who.int/bulletin/1978/Vol56­No2/bulletin_1978_56(2)_247­270.pdf
3. ^ S. V. Netesov, H. Feldmann, P. B. Jahrling, H. D. Klenk e A. Sanchez, Family Filoviridae in Virus
Taxonomy—Seventh Report of the International Committee on Taxonomy of Viruses, San Diego, USA,
Academic Press, 2000, pp. 539–48, ISBN 0­12­370200­3.
4. ^ C. R. Pringle, Virus taxonomy­San Diego 1998 in Archives of Virology, vol. 143, nº 7, 1998, pp. 1449–59,
DOI:10.1007/s007050050389.
5. ^ H. Feldmann, T. W. Geisbert, P. B. Jahrling, H.­D. Klenk, S. V. Netesov, C. J. Peters, A. Sanchez, R.
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Altri progetti
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Informazioni relative alle ricerche per un vaccino sull'Ebola
Cura Ebola (http://curaebola.com) ­ Ultimi aggiornamenti sull'Ebola
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