L`innocenza della natura

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L`innocenza della natura
L’innocenza della natura
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L’innocenza della natura
Il problema della libertà al crocevia della colpa e dell’innocenza:
dare un senso alle cose
Il corpo è soggetto alle leggi della natura, senza alcuna eccezione: siamo quindi immersi
nella natura, in essa viviamo come sua parte, godendo della stessa forma di separatezza
e di identità rispetto al mondo intorno di cui gode ogni essere vivente. Questa, infatti, è
una caratteristica importante della vita: per nulla distaccata dal fluire universale (le piante vivono della luce del sole e del nutrimento della terra, tutti gli animali assorbono
dall’ambiente ciò di cui hanno bisogno per vivere), la vita dà a ciascun vivente caratteri
individuali che ne permettono l’identità. Questo consente ai viventi un’azione che è il
frutto di un’individualità, un’azione che è descrivibile come azione di una singolarità.
Vale per gli animali, vale per gli uomini.
È già libertà questa? Gli etologi non si spingono affatto a sostenere che ciò che chiamiamo libertà sia applicabile agli animali, neppure alle forme viventi superiori e più simili all’uomo. Anche se un animale possiede un preciso carattere, se è identificabile in
modo netto e preciso nella sua individualità e la sua azione è indiscutibilmente sua, non
sappiamo se l’azione delle forze psichiche (gli istinti, innanzitutto, ciò che è iscritto nel
patrimonio genetico) ha un carattere di assoluta necessità.
Nell’azione dell’animale potrebbero essere in atto forze del tutto necessarie della natura che agiscono dall’interno. Come i movimenti della crosta terrestre generano le
montagne e l’azione delle acque e dei venti porta all’erosione, così l’azione di meccanismi genetici o di altra simile natura forse genera l’azione dell’animale, dall’interno della
sua individualità piuttosto che dall’esterno.
Gli etologi ci avvertono che, in riferimento al mondo animale, è davvero difficile dire
se vi siano forme di libertà, parallele allo sviluppo della coscienza e dell’intelligenza, e
che cosa sia ciò che chiamiamo coscienza.
La vita interiore è in parte indipendente dalla necessità naturale?
Ciascuno di noi sa invece molto bene di possedere una ricca vita interiore, anzi una vita
così ricca da costituire un mondo a parte, una sfera della vita che si presenta con caratteri del tutto propri: pur influenzata dal mondo esterno, da esso in qualche modo appare
indipendente. Certo, almeno una parte di questa vita interiore – alcuni filosofi ritengono
tutta –, è sottoposta a una necessità non dissimile da quella della natura. Questa dinamica necessaria appare spiegabile mediante gli studi su un organo del corpo, il cervello. E
tuttavia rispetto a questa vita interiore il corpo è esteriore. Questo vale per tutto il corpo,
compreso il cervello, che non ha né vita né realtà indipendente dal corpo, e dunque tutto il corpo è esteriore.
La filosofia moderna ha lungamente dibattuto sulla natura dei rapporti tra mente (interiorità) e corpo (esteriorità), sul rapporto necessario tra la vita del corpo (del cervello,
certo, ma nel corpo) e la vita della mente. Si sono seguite le ipotesi più diverse, ed estreme: con Cartesio che si tratti di sfere parallele dell’esistenza in realtà con ben pochi
rapporti diretti; con Berkeley che la vera realtà sia soltanto quella della mente, non essendo il corpo altro che un insieme ordinato di immagini; con i materialisti seisettecenteschi che la mente sia soltanto il frutto dell’azione di un particolare organo del
corpo e che non vi sia quindi alcuna indipendenza della mente dal corpo.
Ora, è possibile che l’uomo sfugga alla necessità naturale e si elevi al piano
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dell’ordine morale del mondo solo se la sua libertà è reale, cioè se esiste davvero una
qualche forma di indipendenza della mente (di quella soggettività che chiamiamo io)
dalla necessità naturale. Se, al contrario, la mente è dominata – si pensi all’estrema ipotesi cartesiana del genio maligno –, nessun bene e nessun male appartenenti a un ordine
morale sono realmente vissuti, non è possibile che l’uomo dia al mondo alcun senso.
Non è poi così certo che una simile indipendenza esista davvero. Naturalmente tutti
noi abbiamo la sensazione soggettiva di vivere in una sfera dell’esistenza indipendente,
in un’interiorità soltanto nostra, di compiere delle scelte. Tuttavia potremmo ingannarci.
Riflettendo sulle scelte del nostro passato, tutti noi forse potremmo facilmente trovare
dei casi in cui ci è parso di aver compiuto delle scelte in piena libertà ma, a distanza di
tempo, ci siamo resi conto che stavamo subendo condizionamenti di cui allora non ci
rendevamo conto. E se le cose stessero sempre così? Se le nostre scelte fossero in realtà
sempre determinate da condizionamenti interni o esterni, ce ne accorgeremmo?
Certo va chiarito il concetto di libertà, per nulla semplice da comprendere per quanto
immediata sia la nostra soggettiva sensazione di essere liberi. Infatti, sembra che in natura non si dia alcuna forma di libertà.
Per quanto imprevedibile essa sia per gli uomini, la natura appare agli occhi dei filosofi-scienziati del Sei-Settecento come un sistema meccanico rigoroso, in cui ogni evento è il frutto di eventi precedenti, a catena. Il mondo è meccanicisticamente determinato,
funziona come un orologio cui un Dio-orologiaio ha dato la corda tanto tempo fa. Le
leggi di natura sono inesorabili, un uomo che vive presso Londra alla fine del Seicento è
in grado di descrivere con l’aiuto di poche formule matematiche la posizione di ogni
corpo celeste, nel futuro, sulla base della posizione attuale, perché l’universo è una
macchina che segue leggi prive di eccezioni, e Galilei, Newton, e tanti altri, stanno cominciando a decifrarle.
Ora, l’uomo vive nella natura e l’inesorabilità di queste leggi riguarda per forza di
cose anche lui. La sua libertà va compresa e spiegata nel contesto di queste leggi, non
può certo essere intesa come un’eccezione. In natura ogni evento è determinato da eventi precedenti e dunque lo scienziato può seguire nel futuro la catena degli eventi a due
sole condizioni: che gli siano noti tutti gli eventi del passato che determineranno un evento futuro e che conosca le leggi che governano questi eventi.
Il fatto che previsioni del tutto precise spesso non siano possibili dipende per uno
scienziato dell’età moderna solo dal fatto che egli non conosce tutti gli eventi del passato e del presente, e che questo gli impedisce di ricavarne gli eventi futuri. Ma la libertà è
tutt’altra cosa. L’uomo è libero se è in grado di spezzare la catena necessaria degli eventi e di introdurne uno – determinato dalla sua scelta e dagli esiti che ne conseguono –
che non dipende dagli eventi precedenti. La libertà introduce nella natura, rispettandone
le leggi, qualcosa che oggettivamente prima non c’era, né era prevedibile sulla base di
ciò che c’era.
Di conseguenza nell’uomo c’è un principio che è indipendente, ma non contrario alle
leggi di natura. Di che si tratta?
Non potrebbe essere una semplice illusione? Non potrebbe questa libertà, questa indipendenza dalla natura, non esistere affatto? Potrebbe darsi che si abbia solo l’illusione
di essere liberi, poiché non ci rendiamo conto di tutte le forze che sono in opera in noi e
fuori di noi e sono la causa vera delle nostre scelte e dei nostri comportamenti: per esempio Spinoza fa notare quanto poco sappiamo sui poteri e sul funzionamento del corpo e di un organo come il cervello, cosa che, dopo secoli di ricerche e scoperte, potrebbe dirsi in parte anche di noi oggi.
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La nozione di realtà si può applicare a ciò che è soltanto possibile?
Si prenda il concetto di possibilità. Che cosa significa dire che è possibile che domani
piova? Significa soltanto manifestare la propria ignoranza sull’insieme delle condizioni
attuali che determineranno un evento che oggi è futuro. Se conoscessimo tutte le variabili, non diremmo mai che è possibile. Se sapessimo che non pioverà, diremmo che è
impossibile che domani piova; se sapessimo che pioverà, diremmo non che è possibile
che domani piova (questa frase infatti sarebbe semplicemente falsa, e lo sapremmo), ma
semplicemente che pioverà.
Se si intende la natura, come nel Sei-Settecento, sulla base del modello dell’orologio
come un sistema meccanico regolato da leggi che non possono variare, in natura non si
dà mai alcuna possibilità: tutto accade perché deve, non perché può. La nozione di possibilità non ci parla quindi della natura, ma solo della nostra ignoranza su tutte le variabili che la riguardano. Per noi un evento naturale futuro è possibile o no; mentre in sé
nessun evento naturale è semplicemente possibile, perché tutti sono determinati.
Se applichiamo la nozione di possibilità all’azione umana, le cose possono però
cambiare. Se Pietro al telefono chiede a Paolo: “Vai al cinema stasera?”, Paolo può rispondere: “Forse, non lo so, è possibile”. Non intende dire che non conosce tutte le variabili che determineranno l’evento che descriviamo come andare al cinema, ma che,
semplicemente, non ha ancora deciso. Le variabili non esistono ancora tutte: esiste un
film da vedere (e questa variabile è necessaria), è già in suo possesso il denaro necessario a pagare il biglietto e le sue condizioni di salute gli consentono di andare al cinema
se vuole (e anche queste variabili sono necessarie) e così via. Ma non è tutto: è un uomo
libero, e di variabili deve esserne presente un’altra che dipende solo da lui: che decida di
andare al cinema. Adesso questa variabile è ancora incerta, deciderà.
In questo caso la nozione di possibilità ha un senso che non deriva soltanto da ignoranza, ma descrive con precisione la realtà. Che cosa significa allora che un evento è
possibile perché si può decidere di fare qualcosa o di non farla?
Si osservi che non tutto dipende dalla libertà: che esistano o meno un cinema e un film
da vedere sono condizioni esterne; di simili condizioni ve ne sono davvero moltissime
perché una scelta libera sia possibile. Chiamiamo libertà soltanto il piccolo scarto che
riguarda ciò che dipende solo da noi, dalla nostra volontà, ed è dunque lasciato alla nostra scelta. È quindi possibile parlare di libertà di scelta soltanto quando è effettivamente possibile scegliere tra ipotesi diverse.
La nozione di possibilità, pertanto, ha un ruolo chiave: se una cosa nella realtà non è
possibile (per esempio se nel luogo dove abita il nostro amico e nelle sue vicinanze il
cinema non c’è) non è possibile scegliere liberamente se andare al cinema o no. La libertà opera sempre nel contesto di condizioni esterne: una totale indipendenza dell’io
non descrive la nostra realtà.
Ma una volta che l’evento si è determinato, che cosa avviene delle possibilità che
non si sono realizzate? Di esse non rimane traccia. Hanno davvero mai fatto parte della
realtà? Paolo è andato al cinema. Ha mai fatto parte della realtà che non vi andasse?
Vediamo la cosa dal punto di vista di un osservatore esterno agli eventi: questi vedrebbe
due persone parlare al telefono e qualche ora dopo uno dei due andare al cinema. Una
sequenza lineare di eventi. È cosa molto diversa rispetto a una metafora classica della
libertà qual è quella di dover scegliere tra due strade che ci si aprono dinanzi. Possiamo
seguire la via di destra o quella di sinistra: abbiamo almeno due possibilità reali. La via
di destra e quella di sinistra esistono davvero nella realtà, non sono in sé due possibilità:
piuttosto che esserlo, aprono possibilità, ciò che è possibile è solo l’evento, che si percorra l’una o l’altra. Dunque se andremo a destra non potremo più andare a sinistra. Ancora una volta un osservatore esterno vedrebbe soltanto una sequenza lineare: vedrebbe
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un’auto percorrere una via e, giunta a un incrocio, prendere a destra. Le possibilità non
sono dunque mai, in sé, realtà. Il nostro osservatore potrebbe avere il dubbio, prima di
vedere l’auto andare a destra, che possa andare a sinistra, ma questo riguarda solo uno
scenario costruito dalla sua mente. E di scenari la mente può costruirne moltissimi, senza che questo dica nulla sulla realtà.
Nella realtà degli eventi accaduti non si trova mai traccia di possibilità. Che cos’è allora
in sé una possibilità? Dobbiamo rispondere a questa domanda se vogliamo intendere la
nostra libertà. Se infatti le diverse possibilità che si compia un evento o l’altro non avessero una loro forma di realtà, ma dipendessero soltanto dalla nostra ignoranza, allora
certamente la libertà umana sarebbe un’illusione.
Ora, quando dobbiamo prendere una decisione e sappiamo che in effetti essa dipende
solo da noi perché diversi scenari sono, sulla base delle nostre conoscenze, realmente
possibili, allora noi nella nostra mente facciamo con l’immaginazione una sorta di anticipazione: vediamo questi scenari possibili con la mente come se fossero reali, poi esaminiamo quale scenario fa meglio al caso nostro e compiamo quindi la nostra scelta.
La nozione di possibilità si applica quindi senz’altro almeno al piano
dell’immaginazione. Non è un piano secondario, perché senza di esso non potremmo
scegliere con consapevolezza e quindi essere liberi: è proprio perché riusciamo a costruire immagini credibili di realtà che non ci sono ancora, e forse non ci saranno mai,
che le nostre scelte sono ben fondate.
L’immaginazione
L’immaginazione ha una posizione centrale nella nostra vita interiore; sembra consentirci una forma di indipendenza dalla necessità naturale, è una spia che nella mente forse
esiste davvero una sfera separata dal meccanismo implacabile e inesorabile della natura
e dalle sue leggi necessarie. L’immaginazione ci consente di costruire credibili mondi
paralleli, sottratti alla necessità naturale: possono, non devono, esistere. Certo, questi
scenari, questi mondi paralleli, non descrivono la realtà che c’è, ma tante possibili in alternativa tra loro.
Noi oggi sappiamo che il fatto che la mente abbia una sua sfera indipendente è una
delle condizioni indispensabili per la costruzione di un ordine morale, che si elevi sulla
semplice necessità meccanica del corso del mondo. La mente, in parte indipendente,
può attingere alle fonti della propria autonomia e creare in sé piani indipendenti sulla
realtà: può per questa via creare universi di senso.
Ma la nostra libertà è reale, incide sul mondo, se almeno in un ambito della realtà diverse possibilità sono in qualche modo reali, cioè se gli eventi futuri non sono determinati in modo necessario dagli eventi passati. Ora, nel mondo dei corpi questo non è possibile, se hanno ragione i meccanicisti sei-settecenteschi. È invece possibile nella sfera
della mente? Date diverse possibilità, la nostra volontà può davvero scegliere senza essere determinata? Se si accetta il meccanicismo, questo implica il fatto che la mente abbia una realtà indipendente dalla natura fisica.
Questa è, infatti, la posizione di Cartesio, che separa in modo radicale la res cogitans dalla res extensa. Se dunque nel nostro spirito diverse possibilità sono concrete ed
effettivamente il passaggio dalla possibilità alla realtà dipende non da stringente necessità, ma da una libera scelta, allora una sfera interiore di libertà dalla necessità naturale
esiste. Per trasferire le proprie scelte dal piano della propria interiorità a quello della realtà esterna, la nostra mente, che è senz’altro in diretto contatto con il corpo, non ha da
fare altro che intervenire sul mondo attraverso il corpo. Macchina fra macchine, sottoposto alla necessità naturale, il corpo potrà trasferire nel mondo della natura la libera
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volontà della mente rispettando le leggi di natura. L’universo meccanicistico, stando così le cose, non è infranto, perché la libertà umana appartiene a un’altra sfera, quella della
mente.
In tal modo, tuttavia, i termini della questione sono soltanto spostati e non risolti:
come può la mente, se è indipendente e di natura diversa, entrare in rapporto con il corpo? Come può la libertà modificare il mondo necessario? Per farlo deve influenzare il
corpo, che è sottoposto alla legge della necessità universale.
L’idea di progresso: la vita della mente indipendente dalla necessità
naturale consente all’uomo di migliorare il mondo?
Per tutta l’età moderna i filosofi hanno tentato di risolvere questi problemi. Il punto è
che senza la libertà come reale autonomia dello spirito umano dalla natura è impossibile
per l’uomo dare un senso alle cose.
Se è corretta l’ipotesi meccanicista, potrebbe non esistere alcun ordine morale in natura, ma solo un ordine dominato dalla necessità. Tutto sarebbe, semplicemente, natura,
un gioco di forze, non di valori, e il male non si spiegherebbe perché non c’è nulla da
spiegare. Che senso ha tutto questo? Forse nessuno. Forse la realtà è semplicemente in
sé dotata di un ordine, ma non di un senso.
A meno che, naturalmente, esista davvero un Dio, e quindi la natura – pur dominata
dalla necessità secondo le tesi del meccanicismo – riceva dall’esterno un ordine morale.
Ma allora come si spiega il male che colpisce l’innocente? Perché esiste la sofferenza?
L’esistenza del male accusa Dio, se non altro di incomprensibilità. Dire che il male è
utile all’ordine del mondo come può consolare chi soffre, se il suo soffrire non sarà utile
a lui, ma ad altri o all’ordine universale? A meno che nella sua libertà l’uomo non possa
continuare l’opera divina, migliorando il mondo e dando un senso a cose ed eventi che
in sé non ce l’hanno. Forse tocca proprio all’uomo eliminare il male dalla Terra, con il
proprio lavoro, la ricerca scientifica e medica, la comprensione delle dinamiche della
mente come di quelle del corpo.
L’idea di progresso affascina il Settecento. Tra l’altro è compatibile sia con l’ateismo
sia con la tesi dell’esistenza di un Dio buono e perfetto. Per Rousseau, ad esempio, la
natura in sé è buona, l’uomo deve imparare ad autogovernarsi; se nasce libero e buono e
si ritrova malvagio e in catene, qualcosa non è andato per il verso giusto nella sua educazione e nella società che egli stesso ha contribuito a costruire. Forse serve un radicale
ribaltamento dell’educazione, della società, della cultura. Forse, pensano i philosophes,
servono riforme illuminate, di cui è capace l’uomo uscito finalmente dallo stato di minorità; forse giunti alla fine del secolo dei Lumi, serve una rivoluzione della maniera di
pensare prima che della maniera di organizzare lo Stato, serve una rivoluzione culturale,
una rivoluzione innanzitutto politica.
Colpevoli o innocenti?
Se la libertà è un’illusione, se la natura segue in ogni caso il suo corso, ovviamente siamo nella più pura innocenza.
Se allora non esiste un ordine morale del mondo e la nostra autonomia dal mondo è
data, che colpa c’è a seguire la natura, innanzitutto la propria natura? Noi non abbiamo
alcuna responsabilità di come è il mondo: possiamo cambiarlo, se la mente è indipendente, ma possiamo anche non farlo. Siamo liberi, possiamo semplicemente rifiutarci di
costruire un ordine morale, che non è nelle cose, e limitarci ad esempio a un ordine giuridico, necessario per ragioni pratiche, come evitare o risolvere i conflitti.
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Abbiamo bisogno di una giustificazione morale per la guerra, ad esempio? Basterà
invocare l’inesorabile legge degli interessi, la legge del più forte, il diritto di conquista.
Anche se pensiamo che il mondo non abbia un ordine morale, tuttavia sembra avere un
ordine. Perché dunque modificarlo e non adattarsi a esso? Se la mente è indipendente
può modificarlo, ma certo non è colpevole se non lo fa. Tutto il resto sono discorsi edificanti, per usare l’espressione durissima di Hegel: però non si può parlare di colpa, perché non c’è un ordine morale da rispettare.
Che cosa significa colpa? C’è una legge, l’abbiamo infranta – consapevolmente – e
dunque siamo in colpa. Ma perché uno spirito libero dovrebbe seguire la legge di un altro? E se esiste una legge oggettiva, in che senso uno spirito è libero? Se è libero, la sua
volontà è legge a se stessa, individualmente o, per certi scopi, collettivamente, attraverso patti sociali liberamente sottoscritti, sulla base non di valori oggettivi, ma di valori
condivisi. Dopo averli sottoscritti la persona libera è vincolata alla legge, ma è la sua
legge. Non la legge di un altro, fossero anche Dio o l’impersonale Natura. Se la persona
è davvero libera, in che senso è colpevole se non segue la legge di un altro? Libertà non
è forse l’autonomia dalla necessità? Non è dunque altro che essere se stessi, dare a se
stessi la propria legge.
Ma l’uomo forse non è innocente: il male, sotto le vesti di una colpa, è in lui come
parte della sua natura, e non perché abbia individualmente commesso il male. Forse
l’uomo è un essere che ha una natura corrotta, forse un peccato originale rende l’uomo
malvagio: egli è colpevole prima ancora di avere compiuto la prima azione.
Si può trattare di un pregiudizio religioso: nascere nella colpa. Come può un uomo
libero nascere nella colpa? Se c’è un ordine morale infranto, egli non ha in alcun modo
contribuito né a instaurarlo né a infrangerlo. E se invece l’uomo fosse, semplicemente,
del tutto innocente? Errori, superstizioni, una cultura sbagliata, deviano piuttosto la sua
natura innocente. Ancora una volta, si tratta di eliminare errori e superstizioni, correggere o rifondare la cultura deviata, liberare l’uomo dalla colpa. Un grande compito per gli
intellettuali, i philosophes.
Da tutto questo nasce la domanda centrale: l’uomo nasce buono o malvagio? e rispetto a quale legge? o nasce semplicemente innocente, perché non esiste alcuna legge se
non quella della sua volontà, guidata dalla ragione? Impossibile studiare l’uomo reale,
troppo influenzato da cultura e società. Per sapere quale sia la vera natura dell’uomo occorrerà studiare i bambini, elaborare mondi paralleli in cui il loro sviluppo segua la loro
pura natura. Così facendo, la natura umana ci si mostrerà buona o malvagia, o semplicemente innocente?
Può una colpa essere oggettiva?
L’antica tragedia attica ci avverte che l’innocenza può non essere sufficiente per liberarsi dalla colpa. Può esistere una colpa oggettiva, un male che inesorabilmente colpisce
l’uomo per le sue azioni che non sono malvagie.
Nell’Orestea Eschilo narra le vicende di Oreste, che ha ucciso la madre su istigazione di Apollo, per vendicare la morte del padre e compiere quindi un atto di giustizia. Le
Erinni lo perseguitano per la sua colpa oggettiva – avere versato il sangue materno - anche se un dio è ispiratore della sua azione. Nell’Edipo re e nell’Edipo a Colono Sofocle
narra gli esiti delle azioni di Edipo, la cui colpa oggettiva è quella di avere, senza saperlo, ucciso il padre e sposato la madre.
Sono tragiche le situazioni senza via di uscita, in cui ci si imbatte nella colpa senza
averne coscienza, o per seguire la giustizia, come Oreste, o l’amore, come nella shakespeariana tragedia di Romeo e Giulietta. Non è forse altrettanto colpevole abbandonare
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la via della giustizia e non agire? Oppure non seguire l’amore? Non creano forse diritti,
a loro volta, la giustizia e l’amore? Così l’innocente può subire il male, perché, pur innocente, è oggettivamente colpevole.
Tanto gli umanisti del Rinascimento quanto gli illuministi hanno creduto che vi sia una
via per restare innocenti o per recuperare, attraverso il progresso, il paradiso perduto.
Soltanto il genio di scrittori, di poeti, di uomini di teatro ha continuato a battere l’antica
via dei greci: Milton, Shakespeare, Schiller, Goethe.
La fiducia illuminista si incrina già con Kant, per cui l’innocenza della libertà
dell’io, il volere libero e autonomo, non regge di fonte alla necessità naturale cui l’uomo
è sottomesso: è dunque esigenza della ragione postulare un mondo in cui la volontà
dell’io possa essere libera da colpa; è esigenza dell’uomo integrale aprire la sua vita interiore alla sfera della bellezza, che come armonia tra facoltà dell’uomo e natura è del
tutto libera da colpa, in una sfera in cui l’ordine morale del mondo è semplicemente
svanito e al suo posto sorge il libero gioco delle facoltà, l’armonia tra l’uomo e la natura.
Poi, mentre il progetto illuminista di una liberazione del mondo mediante la rigenerazione morale dell’uomo e del cittadino dava luogo al Terrore e alle guerre rivoluzionarie, il giovane Hegel mostrava le colpe dell’innocenza e dell’amore in Gesù, anima
bella. Perché il Padre non lo fa scendere dalla croce? perché un uomo che ha un messaggio d’amore suscita odio? Che cosa abbiamo capito di un mondo in cui l’amore genera l’odio?
Forse resta il sospetto che il mistero del mondo non ci sia stato per nulla svelato, anche
se la natura va svelando agli scienziati i suoi segreti. Diversi filosofi del XIX secolo si
metteranno su questa via e ne trarranno le conseguenze: Schopenhauer, Kierkegaard,
Nietzsche, Bergson, poi Heidegger, gli esistenzialisti, e in letteratura scrittori come Dostoevski.