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SI VIAGGIARE. GOETHE A NAPOLI
Laboratorio di storie e colori
PROLOGO
Viaggiare nel 700 non era cosa semplice – non c’erano né le macchine né le autostrade né gli aerei.
Eppure, si viaggiava, ma si andava molto lentamente, a cavallo o in carrozza, si riusciva a
percorrere in una settimana non più di 5-600 km. Avere tanto tempo a disposizione rendeva naturale
guardare meglio, ascoltare la gente per strada, insomma approfondire un po’ il senso del viaggio.
Una cosa che oggi a volte ci riesce difficile.
Siccome, poi, non c’erano nemmeno le macchine fotografiche, la gente sin da bambini imparava a
disegnare bene, quanto era possibile ad ognuno, così che poteva poi riportarsi dai viaggi degli
schizzi, per capire e ricordare: chi proprio non riusciva a disegnare, li acquistava sul posto. Certo,
viaggiare era un passatempo per pochi, si può dire che il 95% delle popolazioni non lasciava casa:
però proprio quei viaggi sono rimasti nella storia, forse di più di quelli di Geo&Geo, che vediamo in
una trasmissione e poi mai più. Si sono scritti tanti libri sul Grand Tour, si sono fatti tanti
acquerelli; il canonico viaggio in Italia toccava le grandi città e consentiva ai fortunati viaggiatori di
vedere cose che sinallora non aveva mai viste, visto che non c’era nemmeno la televisione, né il
cinema, né i giornali illustrati: solo i quadri, le incisioni, le opere d’arte.
Le Alpi erano sicuramente il tratto più faticoso. “I passeggeri devono spesso scendere per
consentire ai cavalli di riposarsi e, a ogni ripida salita, spingere la carrozza” (von Lüder). Ma, una
volta superate le Alpi, ecco il "Giardino Italia"! Vigneti, alberi di frutta, distese di fiori... e un cielo
straordinariamente azzurro. Nei centri urbani la gente era più vivace e allegra di quella delle città
nordeuropee. Le spiagge erano splendide... e vuote. Vuote, sì, in quanto bagnanti ancora non ce
n’erano: saltuariamente, solo qualche italiano si "avventurava" a mare...
Quando arriva Goethe in Italia passa attraverso un lungo tragitto, che lo ha portato a varcare le Alpi
passando dal Tirolo: quindi, se avesse corso sempre solo per arrivare in Sicilia avrebbe impiegato
più di una settimana: ma ci mise molto di più, si fermava, guardava, scriveva, disegnava e poi
ripartiva. Naturalmente, poteva fare questa esperienza chi aveva molto tempo e soldi a disposizione.
Visto che non aveva né il cellulare né l’IPod, trascorreva il tempo prendendo molti appunti,
scrivendo lettere (all’amica von Stein, a Herder, al duca di Weimar), facendo disegni: tutta roba
solida fatta di carta, roba preziosa che poi la gente conservava e a volte stampava (Goethe pubblicò
il suo diario nel 1829), che quindi è rimasta, dopo tanti anni, e ancora oggi ci consente di vedere
l’Italia come la vedeva lui allora. Ed era un paese per molti aspetti simile, ma anche molto diverso
da quello di oggi: Napoli allora era una capitale di sogno; da sempre era al centro degli interessi
delle nazioni d’Europa, che molte volte avevano combattuto per il possesso di questo vicereame,
sempre ritenuto ricco e nobile. Quando Goethe veniva in Italia aveva da poco finalmente il suo re, il
Re di Napoli, non più illustri vicerè che sia il popolo che la nobiltà sentivano stranieri. I Borboni
avevano messo a Napoli un re che era diventato indipendente dalla patria d’origine, la Francia, e
quando Carlo III fu mandato in Spagna come re, Ferdinando, un bambino, diventò il re di Napoli:
era il primo re di Napoli nato a Napoli e che parlava dialetto, che tutti insomma capivano quando
parlava. Perciò, fu molto amato, nonostante sia stato un re solo a volte buono, solo a volte capace di
pensare cose che facessero progredire il suo regno.
Goethe iniziò il suo viaggio dalle Alpi, era ministro di Weimar: ma era anche un artista, stava
componendo l’Ifigenia, si sentiva oberato da quel lavoro ed oppresso dalla vita di corte, partì alle tre
di notte senza avvertire nessuno il 3 di settembre del 1786. Lo attirava la liberazione dalle nebbie, la
ricerca della luce, il risveglio pagano. Arrivò a Napoli solo dopo un lungo viaggio, ma poi proseguì
anche in Sicilia, poi ritorna a Napoli e riparte per tornare a casa: trascorre a Napoli diversi mesi:
dal 25 febbraio al 29 marzo e poi dal 14 maggio al 3 giugno del 1787: Napoli sta vivendo un
periodo sereno, la discussione intellettuale è molto viva, la sua Università ha il primo professore di
economia del mondo, Antonio Genovesi. Gaetano Filangieri tiene un circolo intellettuale molto
seguito – Frankljn e Napoleone prenderanno spunto da lui per stilare le proprie invenzioni
giuridiche più importanti. Ma sono tanti i luoghi di ritrovo colto e le persone interessanti in città. La
corte parla francese, ma è molto vivace e divertente, ha i salotti in tante case che ancora oggi
possiamo visitare e vedere in tutta la loro bellezza. Il popolo appoggia il suo re. Insomma, Goethe
arriva in una città che vive una bella stagione, e che si chiuderà tra molto poco: per gli effetti che
non tarderanno a farsi sentire della Rivoluzione Francese, che sta per scoppiare a Parigi, questo bel
clima si romperà, ci saranno anche qui molti morti, rivoluzioni, sommosse, guerre. Dopo questo
periodo, i Borboni non saranno più quelli che erano al tempo di Goethe.
GOETHE: il VIAGGIO IN ITALIA - NAPOLI
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Nel verde fogliame splendono arance d'oro
Un vento lieve spira dal cielo azzurro
Tranquillo è il mirto, sereno l'alloro
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
Vorrei con te, o mio amato, andare!
Così scriveva Goethe di Napoli, di cui si era prontamente innamorato. E disegnava il Vesuvio,
montagna magica, così piena di storie che proprio allora cominciavano ad emergere con le
miracolose scoperte di Pompei ed Ercolano, che anche Goethe andò a vedere – le antichità
emergevano ovunque, Lord Hamilton come tanti altri ne era diventato collezionista, il Re adibiva
spazi nei suoi palazzi per allestire le ricchezze antiche che si scavavano a Pompei e si trasportavano
a Napoli.
Il Vesuvio allora aveva il famoso pennacchio, che ha conservato fino al 1944, segno della continua
attività del Vulcano, che ancora oggi prosegue, anche se non si vede più il fumo. Goethe in Italia
fece quasi mille disegni! Una parte, però, li confezionava il suo fedele amico Kniep, che era
deputato alla bisogna. Ma anche fu amico di tanti artisti, che a volte lo ritraggono, in modo
originale, come Tischbein e Hackert, Bury, Angelica Kauffmann, l’incisore Volpato: un giovane
molto diverso dalle immagini tarde del Vate della Poesia Tedesca
a sinistra: Goethe alla finestra della sua casa a Roma,
disegno del suo amico e pittore Tischbein.
a destra: il famoso quadro di
Tischbein: "Goethe in
Campagna"
Un viso simpatico, giovane, risulta poi nei ritratti
Questo non so di chi sia, ma certo ritrae un giovane molto simpatico, ben diverso dalla classica
immagine di Goethe. Quest’altro invece è di una pittrice che lo amò, Angelika Kauffman, che
disegnò la sua delicatezza d’animo; a Goethe il ritratto non piacque, annotò: "Angelika mi
dipinge, ma non ne esce un bel nulla. Le secca non poco che il volto ivi raffigurato non abbia
alcuna somiglianza con il mio. È di sicuro è un bel personaggio, ma di me nessuna traccia".
GOETHE:(VIAGGIO IN ITALIA): IL PRESEPE COME SVAGO
Il presepe come svago (1787)
Ecco il momento di accennare ad un altro svago caratteristico dei napoletani; vale a dire ai presepi, che a
Natale si vedono in tutte le chiese e che rappresentano propriamente l'adorazione dei pastori, degli angeli e
dei re magi, più o meno completo, in gruppi eleganti e sfarzosi. In questa Napoli gioconda, tale
rappresentazione è arrivata fin sulle terrazze delle case. Si costruisce un leggero palchetto a forma di
capanna, tutto adorno di alberi e alberelli sempre verdi; e lì si ci mette la Madonna, il Bambino Gesù e tutti i
personaggi, compresi quelli che si librano nell’aria, sontuosamente vestiti a festa: un complesso guardaroba,
per cui le famiglie spendono somme non piccole. Ma ciò che conferisce a tutto lo spettacolo una nota di
grazia incomparabile è lo sfondo, in cui s'incornicia il Vesuvio con i suoi dintorni. Non è improbabile che, un
tempo, fra questi fantocci ci siano mescolate delle figure viventi e che a poco a poco le famiglie nobili e ricche
si siano divertite soprattutto a rappresentare la sera, nei loro palazzi, anche delle scene profane, tolte alla
storia o alla poesia.
"E`vero, qui non si può fare qualche passo senza che ci si imbatta in individui mal vestiti, o
vestiti persino solo di stracci, ma non per questo loro sono perdigiorno e fannulloni! Anzi,
paradossalmente oserei dire che a Napoli il lavoro maggiore viene svolto dalle persone dei ceti
bassi."
E: "...il cosiddetto lazzarone non è meno attivo di chi appartiene a una classe agiata, e tuttavia
bisogna prendere nota che qui tutti lavorano non solo per vivere, ma anche per godersi la
vita; pure nella fatica vogliono essere felici."
"I napoletani credono di possedere un pezzo di paradiso, e del settentrione hanno un concetto
alquanto triste: 'Sempre neve, case di legno, gran ignoranza, ma danari assai.' Preferiscono perciò il
loro modo di vivere: Goethe ama la Campania, ma soprattutto ama Napoli e dice la sua
ammirazione per la città e gli abitanti. “Trovo in questo popolo un’attenzione piena di vita e di
intelligenza, non volta allo scopo di arricchirsi, ma soltanto di vivere senza tragedia”, soggiungendo
"Anche a me qui sembra di essere un altro. Dunque le cose sono due: o ero pazzo prima di giungere
qui, oppure lo sono adesso."
Dettagliata descrizione delle sue esperienze di viaggio e delle sue passeggiate, pranzi con nobili e
artisti, ad es: "Il Principe [di Waldeck] mi aveva già chiesto, nel nostro primo incontro, di che cosa
io mi occupi in questo momento. L' 'Iphigenia' mi era così impressa nella memoria che una sera
potei parlargliene con ricchezza di dettagli. Mi ascoltarono; io però credetti di notare che da me si
aspettavano qualcosa di più vitale, di più sfrenato." (Napoli, 1 marzo.) Lo stesso Principe di
Waldeck gli promette che attenderà il suo ritorno dalla Sicilia per intraprendere una sortita insieme
a lui in Dalmazia e in Grecia. Goethe rifiuta cortesemente, anche se in fondo l'idea non gli dispiace.
"Ecco a che punto un viaggiatore può estranearsi da se stesso, o addirittura arrivare ad impazzire",
rifiutando quel che gli piace.
Emma Lyon, Miss Harte, Lady Hamilton 1763-1815
"Caserta, 16 marzo 1787.
Se a Roma si studia volentieri qui si desidera soltanto vivere. Ci si scorda di noi e del mondo e
l'aver rapporti solo con chi è dedito al godimento mi dà una curiosa sensazione. l cavalier
Hamilton, che risiede qui come ambasciatore inglese, dopo essere stato a lungo un appassionato
d'arte e aver ampiamente studiato la natura, ha trovato ora le massime gioie della natura e
dell'arte sommate in una bella fanciulla: una giovane inglese sui vent'anni, molto avvenente e ben
fatta, che tiene presso di sé. (...) L'anziano cavaliere (...) è in costante adorazione (...) della sua
persona". Hamilton è un uomo di gusti universali; ha spaziato attraverso tutti i regni della
creazione artistica e finalmente è approdato al capolavoro dell'artefice sommo: una bella donna".
Il 27 maggio scriveva: Hamilton e la sua bella continuano a onorarmi della loro cordialità.
M'invitarono a pranzo e la sera Miss Harte si produsse nei suoi talenti musicali e canori". Di lei
Goethe racconta un aneddoto: una nave napoletana aveva catturato una nave turca, imprigionando i
naviganti tra cui vi era una donna, molto oro, sete preziose, caffè (il caffè era pregiatissimo nel 1700
e veniva coltivato solo in Brasile). Migliaia di persone - racconta Goethe - si erano recate sul molo
per vedere la nave, i prigionieri e soprattutto la ragazza turca. "Parecchi ammiratori avrebbe voluto
comprarla, offrivano grosse somme, ma il capitano non vuole cederla”. "Anch'io ci sono andato
ogni giorno a vederli, una volta trovai il cavalier Hamilton e Miss Harte che piangeva tutta
commossa. La mora la vide piangere e scoppiò anch'essa in lacrime; la Miss voleva comprarla ma
si scontrò con l'ostinato diniego del capitano" Lei piange per il destino, di certo infausto, della
mora - cioè della coetanea araba. Quando Goethe conobbe Emma Lyon e William Hamilton lei
aveva ventiquattro anni e lui cinquantasette. Che Lord Hamilton si fosse pazzamente innamorato di
lei è evidente, e i due vivevano tra lussi e ospiti illustri nelle due ville dell'ambasciatore
d'Inghilterra: la prima era a Napoli, la seconda a Posillipo, entrambe con magnifici panorami,
mobili di grande bellezza e preziosi ritrovamenti antichi che - insinua Goethe - Hamilton comprava
segretamente: i reperti romani venivano trafugati dagli scavi e venduti ai ricchi stranieri. Nel 1791
sposò Hamilton e diventò Lady Hamilton, e fu ricevuta a corte, dove divenne amica di Maria
Carolina, animandone le feste: nel 1799 al tempo della Rivoluzione napoletana, partì con Maria
Carolina, e aveva il principino tra le braccia, sulla nave, quando questi morì. Dalla Sicilia la regina
Maria Carolina brigò e arruolò contro la Repubblica che era sorta nel frattempo a Napoli, grazie al
cardinale Fabrizio Ruffo, che costituì un esercito di contadini e briganti, fra cui vi era Michele
Pezza, noto come Fra' Diavolo. L’"Armata della Santa Fede" commise spietate stragi, massacri e
saccheggi, ma riconquistò alla regina il suo regno, giunti a Napoli sconfissero i repubblicani. Ruffo
si era accordato per lasciare la vita a coloro che si fossero arresi: quindi i repubblicani si arresero e
furono portati al largo, sulle navi di Nelson; ma la Regina ed Emma Lyon – nel frattempo diventata
amante di Nelson - non consentirono a Ruffo di realizzare il suo patto, e tutti i patrioti furono fatti
scendere dalle navi e giustiziati a Piazza Mercato: Emma Lyon, in nome di Maria Carolina,
presenziò alle esecuzioni.
Appendice I
I viaggi nel 700
La carrozza sobbalza paurosamente. "Ihù!" grida il cocchiere incitando i cavalli, e mena intanto colpi di
frusta.
Nel Settecento, viaggiare comportava il dover sopportare vere torture fisiche. Christian Friedrich von Lüder
scrisse:
"Si dice le strade tedesche siano in ottimo stato, ma non è vero. Solo alcune di esse sono veramente agibili. I
passeggeri soffrono, e tremano quando la carrozza passa accanto ai burroni. Ci sono torrenti da guadare,
paludi inospitali... spesso non resta che scendere e proseguire a piedi" (1780).
Federico il Grande, il "Re Fritz" prussiano, lasciò peggiorare apposta lo stato delle vie di comunicazione del
suo regno: per rendere difficile l'avanzata di eventuali truppe nemiche. I suoi sudditi, soprattutto i contadini,
si rallegravano di ciò. La regola era: "Tanto peggiori sono le strade, quanto più a lungo dovranno rimanere i
forestieri nei nostri paraggi; e, più a lungo rimangono, più soldi devono sborsare".
La margravia di Bayreuth descrisse così un viaggio in quell'epoca: "Mentre discendevamo una parete a
picco, una ruota della carrozza si staccò dal suo asse. Se non fosse stato per il soccorso da parte di alcuni
pastori, che frenarono la diligenza aggrappandosi alle sue ruote posteriori, saremmo precipitati nel baratro".
E Wolfgang Amadeus Mozart si lamentava col padre: "...non si può chiudere occhio per un solo minuto.
Queste carrozze ci strattonano fin dentro all'anima! E i sedili: duri come pietra! Da Wasserburg in poi,
temevo che non sarei mai arrivato a Monaco di Baviera..."
Anche in Italia lo stato delle strade era pessimo. "La mattina del giorno fissato, dopo sette mesi di
permanenza a Verona, caricati i bagagli necessari per una assenza non brevissima, salimmo in carrozza alla
volta di Roma. Senonché, parve al Cielo che quello non fosse il giorno giusto per mettersi in viaggio, tant'è
che, appena poche miglia fuori da Verona, la diligenza centrò in pieno una buca e si rovesciò disfacendosi
completamente. [...] A casa, il Viola era furioso non solo con il padrone della diligenza, ma con gli operai che
non controllavano le strade, con i preposti che non controllavano gli operai e con i magistrati che non
controllavano i preposti." (Da: La Contessa Marianna, di Giuseppe Alù. Arnoldo Mondadori Editore, 1989.)
In Francia le cose andavano molto meglio. I grand chemins erano ben curati, accuratamente livellati col
pietrisco. Ogni anno Luigi XV stanziava la somma di sei milioni di livres per la manutenzione di piste e ponti
carrai. In questo modo le carrozze non si danneggiavano troppo in fretta e il commercio tra Parigi e
Marsiglia fioriva. In Inghilterra la situazione era invece simile a quella tedesca. Il giramondo Arthur Young
raccomandò: "Evitate le infernali piste di campagna come fossero il demonio".
In Germania e altrove, le carrozze dovevano seguire per legge degli itinerari fissi, passando non lontano da
postazioni di gendarmi: per evitare eventuali rapine. Spesso i ladri bloccavano la strada con vari ostacoli,
oppure segavano a bella posta le assi della diligenza durante una sosta. Attorno ai viaggiatori giravano come
corvi i borsaioli, e il postiglione pretendeva dai passeggeri la mancia, altrimenti li trattava in malo modo. Nel
prezzo della "corsa" erano compresi svariati dazi, quale la tassa per i ponti; spesso però sui fiumi non c’era
alcun ponte, e così dei furbi contadini costruirono enormi zattere con tavole di abete per traghettare sull'altra
sponda cavalli, carrozza e viaggiatori: a pagamento, s’intende. Nelle taverne ed osterie disseminate sulla
pista, giocatori molto esperti (veri bari) sfidavano i forestieri per alleggerirli di buona parte della pecunia.
Molte erano le cameriere che esercitavano un secondo mestiere: quello di entraineuse, come diremmo oggi
usando del tatto. Julius von Rohr consigliava: "Non dare mai confidenza alle donne non sposate che ti
rivolgono la parola alle stazioni postali, soprattutto se giovani e belle, perché ti faranno poi pagare a
profusione i loro servigi."
Nel tanto decantato Sud, si recavano solitamente uomini alla ricerca di avventure galanti. Decantato Sud?
Goethe era stato avvertito: "Sta' sempre all'erta! Nei boschetti si possono nascondere briganti. Tieni il fucile a
portata di mano!"