Fin dove i copioni - Formazione in Psicologia

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Fin dove i copioni - Formazione in Psicologia
Fin dove i copioni?
Fanita English
Wither Scripts? T.A.J. vol. 18, n. 4, 1988, ITAA permission
Traduzione di Marcella Magnino
Estratto da Neopsiche Rivista di Psicologia e Scienze Umane, anno 9, n. 15, giugno 1991
La pubblicazione del presente articolo è stata gentilmente concessa dalla direzione della
Rivista (www. aiat.it)
RIASSUNTO
La teoria del copione, a un attento esame, è diventata restrittiva, semplicistica, e inaccurata.
L'autrice sostiene che le ristrette vedute deterministiche sul copione avanzate da Berne sono
collegate all'erronea concezione berniana dei giochi. Viene descritta la Terapia dello Schema
Esistenziale (EPT) (English, 1987), che è la forma di analisi del copione elaborata dall'autrice, e che
pone l'accento sulla creatività e sul bilanciamento delle pulsioni inconsce. Si presenta poi un caso
clinico visto sotto l'ottica dell’EPT, a cui segue una valutazione delle relazioni tra le pulsioni
inconsce (di sopravvivenza, di creatività, di riposo), dell'economia delle carezze e degli stati dell'Io,
che conclude l'analisi.
ABSTRACT
Script theory, on careful examination, has become restrictive, simplistic, and inaccurate. The
author connects Berne’s narrow deterministic view of scripts to this erroneous view of games.
Existential Pattern Therapy (EPT) (English, 1987), the author’s own form of script analysis
emphasizing creativity and the balance of unconscious drives is described. A case presentation
using EPT is discussed following which an evaluation of the relationship between unconscious
drives (survival, creative, restful), stroke economy, and the ego states concludes the analysis.
Io applaudo il coraggio di Cornell (1988) che ha messo in discussione i principi restrittivi su
cui è costruita l'attuale teoria del copione. Anch'io ho notato con preoccupazione quanti terapeuti
AT siano incatenati al letto di Procuste di credenze non dimostrate, le quali suggeriscono che le
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ingiunzioni determinano copioni angusti e dal ridotto margine d'azione, da cui ci si aspetta che i
pazienti si liberino attraverso la terapia. Quando sono date per certe dai terapeuti, tali credenze
spesso generano delle profezie autoavverantesi nei pazienti suggestionabili, o conducono a false
"guarigioni dal copione" andando a coinvolgere dei problemi che non esistevano all’inizio!
Cornell afferma :
"La teoria del copione è diventata più limitante che rinvigorente. L'analisi del copione, come
si è evoluta, [...] è apertamente psicoanalitica nell'atteggiamento e apertamente riduzionista in ciò
che comunica [...] L'incorporazione della teoria evolutiva entro la teoria del copione è stata troppo
spesso semplicistica e inaccurata, ponendo l'accento primariamente sulla psicopatologia piuttosto
che sullo sviluppo psicologico" (p. 281).
Sebbene io concordi con la critica violenta contenuta nelle affermazioni di Cornell e con la
sua critica implicita dell'accentuazione psicoanalitica della fissazione agli stati evolutivi infantili,
non accetto una condanna in bianco del pensiero psicoanalitico. Chiaramente la metodologia della
psicoanalisi è ingombrante e datata, cosa che Berne riconobbe, anche se continuò a usare con certi
pazienti la psicoanalisi quasi fino alla fine della sua vita. Porre l'accento sulla linearità dello
sviluppo infantile senza notare le influenze interazioniste e credere che l'esperienza infantile sia la
causa esclusiva del comportamento successivo in età adulta, è sia limitante sia controproduttivo. Per
esempio, l'esperienza clinica dimostra che è falso assumere che una persona "fissata" a un dato
stadio evolutivo non possa progredire emotivamente a un altro stadio fino a che non siano risolti
tutti i problemi dello stadio precedente.
Perfino gli scritti di Freud (1915/1917) offrono delle aperture verso quel genere di visioni più
ampia patrocinata da Cornell. Tuttavia, sebbene io concordi che lo sviluppo psicologico può essere
meglio compreso se si prende in considerazione lo sviluppo sano piuttosto che quello patologico,
come terapeuti noi abbiamo anche bisogno di una teoria che ci aiuti a capire le distorsioni dei
processi normali.
LA RESISTENZA E LA CAPACITA’ DI RIPRESA DEL BAMBINO DAVANTI ALLE
PROPRIE ESPERIENZE
Le influenze e gli eventi della prima infanzia, come vengono compresi (o fraintesi) dal bambino che cresce, esercitano un potente impatto sia sullo sviluppo sano sia sulla patologia specifica.
Essi influenzano la formazione del carattere come pure degli atteggiamenti, dei sentimenti, delle
relazioni e delle concezioni sul futuro. Tuttavia, la capacità di resistenza dei bambini (e dell’uomo,
a qualunque età) non deve essere sottovalutata. Se così facessimo, vorrebbe dire che i bambini
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possono essere condizionati in un modo semplicistico, pavloviano. Molti individui superano con
successo delle eseperienze infantili difficili, perfino tragiche, senza l'aiuto della terapia. La vita ha
modo di offrire molte opportunità correttive. Come professionisti che si occupano della salute
mentale noi tutti ci dimentichiamo troppo spesso dello sviluppo sano, svalutando di conseguenza la
capacità umana di simbolizzare, trasformare, creare, cercare la libertà anche correndo qualche
rischio, e, in ultima analisi, di lasciarsi vivere.
CONCLUSIONI DI SOPRAVVIVENZA
I bambini sono esseri dipendenti e sentono che la loro sopravvivenza dipende da coloro che li
accudiscono. Come viene sottolineato nell'AT, le carezze positive trasmettono il messaggio
gratificante che l’accudimento è disponibile, sebbene talvolta in modo condizionato, a patto di un
adattamento da parte del bambino. Nasciamo con parecchie pulsioni, inclusa quella di
sopravvivenza. Questa pulsione dì sopravvivenza ci spinge ad adattarci e ad apprendere tutto quello
che sembra necessario ai fini di acquisire e mantenere sia l’approvazione sia nuove abilità. Quello
che impariamo diventa ciò che io chiamo "conclusioni di sopravvivenza”(English, I977c, p.332).
Queste conclusioni vengono integrate nel nostro organismo come se si trattasse di una nostra
"seconda natura", attraverso un'alternanza dei processi di assimilazione e accomodazione, mirante a
conseguire ciò che Piaget chiama "equilibrazione" o bilanciamento (Cowan, 1978, pp. 24-25).
In breve,l’assimilazione,implica di "prendere dentro" adattando ciò che sta fuori a ciò che è
già noto soggettivamente, e l’accomodazione si riferisce alla modificazione del proprio comportamento/pensiero in modo da adattarsi alla realtà, così come essa viene compresa sulla base degli
stimoli esterni e delle reazioni delle figure parentali (Cowan, 1978, pp. 22-23). L'equilibrazione
continua, durante il costante processo di crescita, tramite l'assimilazione e l'accomodazione, è un
processo complesso che non può essere ridotto a un semplice condizionamento. Alla fine di questo
processo, infatti, verranno a stabilirsi le posizioni esistenziali, la struttura fondamentale di carattere
e le modalità di relazione con gli altri, sebbene i cambiamenti continuino poi per tutto il corso della
vita.
Conclusioni di sopravvivenza vengono stabilite ad ogni stadio di sviluppo (English, 1977c).
Esse servono a compensare il fatto che i nostri geni non possiedono il programma specifico di cui
abbiamo bisogno per sopravvivere come esseri indipendenti. La pulsione di sopravvivenza opera
per tutto il corso della nostra vita, con lo scopo di suscitare le conclusioni di sopravvivenza nelle
situazioni che assomigliano a quella prima situazione che stimolò la conclusione originaria. Molte
conclusioni di sopravvivenza sono necessarie e valide per tutto il corso della vita (per esempio, il
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fatto di non inghiottire dei liquidi bollenti senza averne prima verificato la temperatura) e altre
hanno un importante valore di socializzazione anche se non servono strettamente a salvarsi la vita
(per esempio, non defecare sul pavimento del salotto). Alcune hanno un valore solo temporaneo e,
se non vengono rinforzate successivamente, rimangono latenti.
Una volta che le conclusioni di sopravvivenza siano state stabilite, la pulsione di sopravvivenza continua a provocarle senza discriminare tra quelle che salvano la vita, quelle che hanno
valore di socializzazione e quelle che non sono più applicabili. Perciò può rendersi necessaria una
terapia che riduca le conclusioni troppo potenti o troppo dannose (per esempio, le fobie, l'angoscia
irrazionale, le inibizioni, le osservazioni, le compulsioni ecc.). Sebbene l'azione svolta da queste
conclusioni di sopravvivenza possa farle assomigliare alle ingiunzioni o alle attribuzioni, esse
hanno un ambito d’azione molto più ristretto. Noi raccogliamo migliaia di conclusioni di
sopravvivenza nei vari stadi del nostro sviluppo, ed esse riguardano argomenti specifici piuttosto
che tutto il copione di vita: noi non ne adottiamo solo una o due così importanti da trasformare il
corso della nostra vita.
Inoltre, la maggior parte delle conclusioni di sopravvivenza sono utili, perfino essenziali, e
non devono essere abbandonate se non vogliamo che la nostra vita sia in pericolo. Sebbene alcune
possano rinforzarsi tra di loro o combinarsi così da formare una "sindrome" disfunzionale, nuove
conclusioni vengono continuamente integrate in tutti i successivi stadi evolutivi, compresa l'età
adulta.
Nel caso di un paziente che chiede la terapia possono essere in gioco vari schemi comportamentali, ciascuno associato a diverse conclusioni di sopravvivenza. La terapia può consistere nel
separare tra loro i fili di conclusioni diverse, alcune delle quali possono essere importanti e ancora
utili pur se intrecciate con altre che sono al presente disfunzionali. Una conclusione che è
disfunzionale per la vita attuale di una persona genera angoscia e/o proiezione, le quali a loro volta
danneggiano le capacità dell'individuo di far fronte ai problemi. Poiché in una persona adulta molte
conclusioni rimangono dormienti, un evento o una situazione particolari possono risvegliare una
conclusione che è stata inattiva per lungo tempo. In quel caso può verificarsi una contaminazione di
altre situazioni, anche nel caso in cui tali situazioni in precedenza non abbiano dato disturbo.
Tuttavia, sebbene certe conclusioni arcaiche di sopravvivenza possono generare dei problemi
che necessitano di una terapia, esse non sono le determinanti principali del copione. Non possiamo
sostenere che i copioni sono risposte condizionate di fronte a presunte ingiunzioni che esisterebbero
in un ipotetico "elettrodo" (Berne, 1972) posto nel Bambino. Come Cornell (1988) suggerisce
giustamente, esistono molti altri fattori interni ed esterni che guidano il corso della vita di un
individuo. Perciò la totale "guarigione dal copione" rappresenta una meta terapeutica ridicola,
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equivalente al pensare che trasformando le impronte digitali di un paziente, egli non correrà mai più
il rischio di farsi prendere le impronte digitali.
L'INFLUENZA DELLE TRE PULSIONI
Come già indicato, la pulsione di sopravvivenza influenza la ricerca e la risposta di carezze e
genera e provoca la maggioranza delle nostre conclusioni. Ciò non contraddice la teoria AT.
Tuttavia, trovo importante riaffermare le concezioni freudiane sulle pulsioni di base. Ho
riconcettualizzato queste pulsioni e ne ho descritti gli attributi, incluse le specifiche forme
d'influenza e le manifestazioni distintive (English, 1987). In aggiunta alla pulsione di sopravvivenza,
noi siamo influenzati da altre due pulsioni che non sono modificate dalle carezze: la pulsione
creativa e la pulsione di riposo. Queste pulsioni hanno una propria energia dinamica e prendono
parte alla creazione di schemi esistenziali che si intrecciano tra di loro e influenzano il corso della
vita e il copione (secondo la mia definizione). Esse ci influenzano attraverso improvvise esplosioni
di energia o di fatica e/o di spinte a "fare" o a "non fare" che non sono assolutamente collegate alle
carezze del passalo o del presente.
Ogni pulsione ha la propria direzione funzionale e può esprimersi tramite uno stato dell'Io,
singolo o in rotazione o in combinazione con altri. Perciò, sebbene esista un'interazione tra la
pulsione di sopravvivenza, che è influenzata dall'economia di carezze, e le altre pulsioni, la personalità nel suo complesso, con i desideri, le tendenze, le relazioni e quindi con il copione nella sua
totalità, non è influenzata in modo esclusivo e nemmeno predominante dalle carezze passate o
presenti. Quest'ottica rappresenta un radicale allontanamento dal classico assunto di AT secondo cui
tutto lo sviluppo, la comunicazione e i problemi sono connessi a scambi di carezze.
Ci sentiamo "OK" quando le nostre pulsioni utilizzano la nostra energia psichica in modo
proporzionato, cosi da combinarsi, alternarsi e/o interagire tra di loro armoniosamente. La sensazione di non essere "OK" nasce quando una pulsione tira in una direzione molto diversa dalla
direzione presa nello stesso momento da una seconda pulsione, oppure quando una o due pulsioni
competono per giungere alla coscienza dell'individuo e per ottenerne l'energia.
L'auto-aiuto e/o la terapia solitamente devono riguardare primariamente le modalità d'interazione delle nostre pulsioni, il grado in cui una pulsione inibisce l'altra, quale è il sostegno o
l'interferenza esercitati dalla terza pulsione, e così via. Tuttavia in certi casi quando si identificano
esattamente i problemi e si riconosce che essi nascono solo dalla disfunzionalità delle conclusioni di
sopravvivenza, la terapia potrebbe assomigliare all'AT come essa veniva praticata originariamente,
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accentuando cioè l'aiuto al paziente affinché egli utilizzi il suo Adulto per affrontare i conflitti tra
Genitore e Bambino.
LE RAGIONI DELLA RISTRETTA CONCEZIONE DEL COPIONE DA PARTE DI
BERNE
Prima di andare avanti e di presentare un caso clinico esemplificativo, voglio esporre certe
idee, che ammetto essere prevenute, circa le ragioni fondamentali per cui Berne formulò una
concezione restrittiva del copione. Se consideriamo la sua brillante scoperta dell'AT - specialmente
la sua formulazione funzionale degli stati dell'Io e della connessione tra carezze e comunicazione ci chiediamo: come fu possibile che Berne abbia finito per formulare la teoria del copione in modo
così restrittivo? Come è possibile che egli, che orgogliosamente dimostrò che il Bambino funziona
nel qui-e-ora e non solo nell'inconscio (come a Berne piaceva dire, "Non ha mai visto un Es che
cammina, ma posso vedere un Bambino che lo fa") abbia accettato l'idea di un elettrodo? (Io non ho
mai visto un elettrodo che cammina - nemmeno un Piccolo Professore!).
Io credo che le radici del concetto lineare di copione espresso da Berne stiano nel suo bisogno
di giustificare la sua analisi dei giochi. L'analisi dei giochi da una parte gli permise di trionfare sulla
psicoanalisi dimostrando la velocità delle "guarigioni" che si ottenevano utilizzando l'Adulto del
paziente e dall'altra parte gli permise di spiegare perché certi pazienti che funzionavano bene sotto
molti aspetti continuavano a ripetere certi comportamenti, anche quando il contratto di terapia
sembrava sensato ed essi proclamavano di voler cambiare.
Tuttavia, Berne trovò due tipi di pazienti che erano particolarmente frustranti: quelli .che
presentavano ciò che egli chiamava “rackets”'» (Berne, 1964/1976, p. 16) e quelli che presentavano ciò che la psicoanalisi chiama "coazione a ripetere". Per me è significativo che Berne abbia
usato il termine peggiorativo "rackets", piuttosto che una parola più empatica, per riferirsi a quegli
atteggiamenti e sentimenti dei pazienti che egli poteva identificare come incongruenti, mentre i
pazienti, pur concedendo che tali atteggiamenti potessero essere inappropriati, non li cambiavano
nonostante la confrontazione. Avendo deciso che certi sentimenti erano "rackets", Berne abbandonò
temporaneamente l'argomento, ammettendo che non sapeva cosa fare a loro riguardo, tranne che
spiegarli come appagamenti ripetitivi per carezze interne ed esterne.
L'ERRATA INTERPRETAZIONE DEI GIOCHI DA PARTE DI BERNE
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Berne era determinato a "sconfiggere" quella che sembrava una coazione a ripetere e che si
presentava in pazienti che avevano un Adulto perfettamente funzionante, amavano le carezze, e
tuttavia finivano per incrociare ripetutamente, sempre nello stesso modo, certe transazioni, senza
tener conto dei diagrammi di AT che dimostravano loro come si comportassero sempre in quel
modo. Berne decise che tali pazienti stavano "giocando" con lui, invece di voler guarire,
specialmente perché si era accorto che al termine di quelle transazioni incrociate il loro volto
mostrava spesso un lieve sorriso. In seguito alla frustrazione egli di nuovo scelse un termine
peggiorativo - giochi - per descrivere quel tipo di comportamento che andava a minare i suoi sforzi.
Berne, l'avvocato difensore del Bambino Libero, non poteva insultare coloro che facevano i giochi
dicendo loro che erano infantili, ma poteva ridicolizzarli classificando i giochi con dei nomi
sciocchi.
In effetti, molti dei cosiddetti giochi elencati nel suo bestseller, A che gioco giochiamo (Berne,
1964) sono transazioni complementari diadiche ripetitive, che io oggi chiamo racketeering. Esse
non sono qualificabili come giochi secondo l'ultima formula di Berne. Quello che sembra un gioco
è in realtà il risultato di un racketecring che l'individuo non riesce a portare avanti (English, 1977b).
Va a credito di Berne il fatto che egli distinse tra giochi di primo e giochi di terzo grado (Berne,
1964, p. 73) e credo che Berne prese una direzione errata proprio quando tentò di dare una
spiegazione ai giochi di terzo grado. (Ho suggerito altrove [English, 1977a, 1977b] una spiegazione
alternativa a quella di Berne).
Berne comprese correttamente che nel giocatore doveva verificarsi un processo interno che
generava quell'improvviso mutamento di stato dell'Io (scambio) che dava origine alla transazione
incrociata e poneva fine a ciò che egli chiamava gioco. Il suo errore stava nel fatto dì supporre che il
processo interno rappresentasse una transazione interna, la quale offriva carezze velenose
provenienti da un Genitore arcaico o dal Bambino del genitore cronologico. Perciò il giocatore
veniva motivato a "rovinarsi" nel qui-e-ora e a sacrificare quelle potenziali carezze che potevano
provenirgli ancora da un partner attuale a favore delle carezze arcaiche che lo spingevano a farsi del
male. Tuttavia, dopo poco, Berne si rese conto che un'analisi dei giochi basata sui suoi assunti non
funzionava proprio; la coazione a ripetere era ancora operante in coloro che facevano i giochi.
Sfortunatamente, invece di abbandonare la sua interpretazione del perché un gioco terminasse con
una transazione incrociata, Berne decise che l'analisi doveva soltanto andare più in profondità; se
l'analisi dei giochi non bastava, l'analisi del copione avrebbe spiegato perché i pazienti si
ostinassero a ripetere continuamente i loro giochi. Egli decise che i giochi erano "prove generali" di
una rappresentazione più completa e articolata e, avendo definito i giochi come autodistruttivi, ne
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conseguì che il copione di questa rappresentazione più completa doveva essere anch'esso
autodistruttivo o almeno limitante e privo di opzioni.
I COPIONI E I COPIONI PRESUNTI
Prima di ricevere quella frustazione legata all'analisi dei giochi, Berne aveva pensato ai
copioni come a un qualcosa di molto più fluido. Era affascinato dagli ampi parallelismi esistenti tra
le favole e i miti da una parte e le storia di vita dei suoi pazienti dall'altra. Era consapevole del fatto
che i bambini tra i quattro e i sette anni sono pieni di curiosità a proposito della loro relazione con il
mondo - passata, presente e futura. Assillano di domande i genitori (e Berne aveva molti bambini!)
e proclamano ciò che saranno o che faranno da adulti. I bambini sviluppano anche delle idee e delle
impressioni circa il genere di partner che vorranno, sviluppano delle preferenze riguardanti il fatto
di vivere in città o in campagna, sviluppano delle fantasie sulle loro avventure future e degli
atteggiamenti nei confronti del potere, del denaro, del successo e così via. I bambini intessono
racconti o li assorbono ansiosamente, modificando queste storie perché si accordino alla loro
immaginazione.
Sebbene sia chiaro che i bambini iniziano a sviluppare la storia della loro vita proprio in
questo stadio, ne deriva forse che tali storie siano necessariamente limitanti? Piuttosto, è il contrario.
A quest'età la storia offre una bozza, un canovaccio che deve essere sviluppato, rifinito, trasformato,
adattato, confezionato su misura, allungato, revisionato, riciclato e ricostruito in molti modi. Infatti,
la nostra capacità di riconcettualizzazione e di generare copioni è una delle manifestazioni più
affascinanti del nostro essere uomini e del fatto che abbiamo una pulsione creativa. Noi abbiamo
bisogno di un veicolo del genere, attraverso il quale proiettiamo le nostre fantasie verso il futuro.
Senza questa capacità potremmo trovarci a soffrire come degli psicotici, la cui immaginazione vaga
qua e là in modo disorganizzato, proprio perché lo psicotico non è in grado di collegare e
organizzare le fantasie all'interno della struttura offerta dal copione. Per quanto inadeguato e timido,
un copione offre la possibilità di contrastare le fantasie e la realtà su punti limitati e specifici
piuttosto che in modo totale, esagerato.
Nel periodo in cui Berne indagava su come le storie di vita potessero essere comparate alle
fiabe, ai miti o ai drammi teatrali, Claude Steiner (1966) stava sviluppandola sua idea della matrice
del copione (che Berne dichiarò di aver ideato lui stesso) per usarla con i pazienti difficili, come gli
alcoolizzati e i tossicomani, i quali in effetti operavano in modi particolarmente autodistruttivi,
spesso culminanti in finali tragici. Tuttavia la matrice del copione, che iniziò a essere usata come
concetto schematico e strumento utile nel lavoro iniziale con i pazienti amartici, ebbe la sfortuna di
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attrarre Berne, che la considerò una spiegazione elegante del perché i pazienti continuassero a
ripetere i giochi: per mantenere e per far la prova generale dei loro copioni, che erano sottostanti a
tali giochi.
La sua idea, perciò, era che le ingiunzioni negative, che potevano essere illustrate sulla chiara,
semplice matrice del copione, facevano sì che il bambino di cinque anni, sufficientemente stupido
da accettarle interamente, come oro colato, fosse nondimeno abbastanza brillante da creare un
completo copione limitante, in grado di realizzare e di adempiere queste ingiunzioni nel futuro.
Tutto questo era dovuto a quella strega miserabile, solitamente la mamma, che, senza intenzione
conscia (sebbene certamente in modo deliberato), voleva che la sua progenie soffrisse per le
ingiunzioni inserite entro un misterioso elettrodo sviluppatosi nel bambino (Berne, 1972, p. 104)
Per illustrare ancor meglio questo assunto non comprovato, venne sviluppata un'analisi
strutturale di "second'ordine" della personalità (Berne, 1961, p. 171), un'analisi ancora più
complessa, insieme all'idea che, iniziando nell'infanzia, i copioni necessariamente destinavano gli
individui a diventare "perdenti" o "vincitori" (Berne, 1972, pp. 177-178). Seguendo la metafora
della pianola adottata da Berne (citata in Cornell, 1988, p. 270), il copione deterministico potrebbe
essere visto come un rotolo di carta musicale che può essere suonato, sulla pianola meccanica della
vita, solo esattamente "così com'è". Il suonatore non può far altro che permettere lo svolgimento
della composizione prefissata, a meno di non essere in grado di "buttar via" tutto il rotolo (il
copione completo) e quindi di suonare la propria musica.
Per continuare la metafora, questo ci suggerisce che il suonatore che cerca di eseguire la
propria musica non avrà il tempo o la possibilità di crescere provando una musica o un'altra,
modulandola, armonizzandola, accompagnandola con parole, orchestrandola, eccetera. Tale assunto
contraddice tutto quello che sappiamo dello sviluppo infantile come pure tutto quello che sappiamo
dei progressi che gli esseri umani fanno a tutte le età, cioè che la crescita avviene per esperimenti e
attraverso prove ed errori. In questi termini, il suonatore che getta via il suo copione sarebbe come
una scimmia davanti al pianoforte - libero dalle costrizioni, ma senza melodia con cui cominciare,
senza note, senza pratica, senza prove generali. Il risultato sarebbe un frastuono causale, discordante!
Davanti a tale possibilità, potrebbe essere preferibile approfittare delle occasioni offerte dalla musica preregistrata, aggiungendovi un buon accompagnamento orchestrale, forse accompagnandolo
con il canto o perfino aggiungendovi delle parole.
Le nostre vite, così come evolvono, il nostro lavoro, le nostre relazioni, i nostri contributi al
mondo rappresentano l'espressione creativa della preziosa, unica persona che ciascuno di noi è. Noi
emergiamo da "ciò che ci è stato dato in partenza" e che abbiamo successivamente trasformato nei
corso del nostro sviluppo. Talvolta la musica che suoniamo si armonizza con quella di coloro che ci
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circondano, talvolta suoniamo da soli se, come Berne, abbiamo il coraggio di suonare in modi
differenti.
UNA VALUTAZIONE DELL'AUTENTICA EREDITA’ DI BERNE
È noto che Berne ripetutamente ricordava ai suoi studenti e ai colleghi dì non sovraimporre la
teoria sull'esperienza clinica. Io credo che i concetti di copione che sono correntemente sinonimi di
una pratica avanzata, prestigiosa, di AT fossero ancora delle ipotesi per Berne, e che egli li avrebbe
sottoposti a revisione se fosse vissuto più a lungo. Per esempio, all'epoca delle sua morte egli stava
ancora facendo circolare delle bozze di "Ciao!" ...e poi? (1972) proprio perché aveva progettato di
sottoporre il libro a una revisione sostanziale. La definizione di copione presente nel glossario del
libro è quella che io suggerii a Berne, e che egli accettò, ed è una definizione molto più aperta di
quelle presenti nel testo, che Berne non poté revisionare. Sebbene io non concordi più nemmeno
con la definizione data nel glossario, essa è ancora la più ampia esistente e la più vicina a quella
sostenuta da Cornell.
I COPIONI E LA TERAPIA DEGLI SCHEMI ESISTENZIALI
Negli ultimi dodici anni ho fatto riferimento alla teoria che insegno e alla pratica che io sostengo definendolo Terapia dello schema esistenziale (EPT) (English, 1987) per distanziarmi da
un'errata interpretazione della teoria del copione, in particolare per quanto riguarda i suoi aspetti
di"lettura del futuro". Molto dell'EPT è emerso dalle terapie dell’AT e della Gestalt, e io mi
considero ancora una terapeuta che pratica l’AT. I miei workshop sul copione sono attentamente
descritti come workshop che mirano a favorire la creatività, non a fornire una terapia. L'accento è
posto sull’esplorare, sullo sviluppare e allargare il punto di vista dei partecipanti... Noi lavoriamo in
gruppi a rotazione, il che permette i paragoni, le contraddizioni, le analogie, le sfide ecc. e ci
assicura che ai partecipanti più suggestionabili non vengano passate le "patate bollenti" (English,
1969).
Come risultato di questo lavoro io mi sono convinta del fatto che Jung avesse ragione a sostenere l'esistenza di certe figure archetipiche di base (citate in Berne, 1972, p. 42) e certi miti che
sono alle fondamenta della nostra immaginazione e con cui il bambino di quattro o cinque anni
inizia a cimentarsi, senza tener conto del contenuto specifico delle storie che gli vengono raccontate.
Sebbene questo implichi la partecipazione di molti elementi innati, tuttavia non significa
predestinazione. Il medesimo racconto infantile può evolvere in moltissime direzioni, proprio come
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un libro che viene trasposto in un film può implicare dei cambiamenti di sceneggiatura che portano
a una trasformazione della storia e perfino a un finale differente. Proprio come un regista di un film
ha bisogno di un copione su cui basarsi per iniziare il suo lavoro, così pare che anche a noi serva
sviluppare nell'infanzia un copione che poi arricchiamo, sviluppiamo e/o trasformiamo nel corso
della nostra vita.
Perciò, sebbene io sostenga quella descrizione estensiva del processo attraverso cui si forma
un copione (English, 1977c) citata da Cornell (1988), oggi io sottolineo che il copione è composto
da "schemi esistenziali" intrecciantisi, che riflettono differenti aree di interesse e di priorità. Questi
schemi costituiscono un tutto, come i fili si intrecciano a formare un tessuto, ma essi presentano
anche delle linee o dei colori identificabili che distinguono un filo dall'altro. Per esempio, per certe
persone la direzione del loro lavoro è più importante delle loro relazioni o del loro stile di vita; per
altri è essenziale l'ambiente o il paesaggio in cui vivono (per esempio, città o campagna). Ogni
questione ha il proprio schema esistenziale, che può essere rintracciato nella tessitura della vita di
una persona dall'infanzia fino a oggi. Proiezioni future possono essere fatte seguendo le direzioni su
cui si muovono i vari schemi, tenendo conto che sono sempre possibili dei cambiamenti di direzione
in relazione a quegli schemi che sono di particolare interesse per l'individuo.
L'altra questione a cui dò oggi un'importanza molto maggiore è il bilanciamento delle tre
pulsioni. Per esempio, quanto è prevalente la pulsione di sopravvivenza nella vita di una persona
rispetto alla pulsione creativa e/o a quella di riposo? La relazione tra queste pulsioni ha un impatto
importante sullo sviluppo del copione e sul grado di mobilità interna con cui l'individuo può operare
nel presente e nel futuro. Essa determina il fatto che l'individuo usi il copione creativamente per
scopi gratificanti, o restrittivamente per mantenere le conclusioni di sopravvivenza.
Lavorare sui copioni può avere un valore terapeutico indiretto, perché aiuta la persona a
sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri schemi di vita. Questa consapevolezza può
indurre l'individuo a voler modificare l'accentuazione posta su una particolare area di vita e a fare
esperienze di aree e di schemi esistenziali meno consueti. Tuttavia, è importantissimo sottolineare
che nel lavoro sul copione io pongo l'accento sulla consapevolezza, l'insight generale, il
riconoscimento, e il miglioramento dell'armonia tra le pulsioni. In questo lavoro io non fungo da
terapeuta, ma da osservatrice partecipe che coordina e segnala le connessioni, incoraggiando
contemporaneamente i membri del gruppo a far lo stesso nella relazione tra di loro. Tutto ciò deve
avvenire in un ambiente di rispetto e ammirazione per qualunque immagine venga presentata. Nei
casi in cui sembra importante una terapia specifica di un problema specifico, io offro una terapia
contrattuale individuale o di gruppo, o raccomando un terapeuta che non cercherà di immischiarsi
nel copione complessivo della persona.
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Sebbene l'analisi del copione, comunque definita, non sia necessaria per un buon trattamento
(e possa in effetti essere dannosa), questo non significa evitare di conoscere i fattori che
determinano l'evoluzione di un individuo. Molti dei problemi che si presentano sono dovuti all'uso
eccessivo della pulsione di sopravvivenza nell'infanzia e/o nel presente, unito a una corrispondente
repressione della pulsione creativa e a una repressione o a un cattivo uso della pulsione di riposo.
Esistono spesso anche delle conclusioni di sopravvivenza in conflitto tra di loro, relative a stadi
diversi di sviluppo, ed esistono anche delle conclusioni "dormienti" che sono riattivate da certi
eventi e che utilizzano un'energia che è disfunzionale per l'intero sistema. Perciò il metodo AT di
terapìa contrattuale continua a essere utile, come è utile la tecnica del muoversi avanti e indietro tra
il qui-e-ora e i ricordi del passato.
ESEMPI CLINICI
Una terapeuta AT venne a consulto da me con il suo paziente, "George", dopo aver discusso
brevemente il caso con me in precedenza. (Dato che ho moltissimi impegni di lavoro, di tanto in
tanto uso questo metodo di consultazione con quei terapeuti che mi conoscono grazie ai workshop,
ma che non seguono un programma di training con me).
George, un professore universitario di 45 anni, aveva intrapreso il trattamento sei mesi prima
perché aveva un senso dì costrizione alla gola ogni volta che doveva tenere una conferenza, anche
se in precedenza aveva tenuto conferenza per 13 anni senza avere problemi. Gli esami medici
confermarono che non c'era niente di organico. Sebbene varie tecniche miranti al rilassamento della
tensione in gola e al sollievo dallo stress avessero avuto un certo successo, le sensazioni di disagio
alla gola persistevano e causavano sempre più angoscia al paziente, che si chiedeva se avrebbe
dovuto smettere del tutto di tenere conferenze, abbandonando così le prospettive di una cattedra
universitaria.
La terapeuta era convinta che George avesse un'ingiunzione di non avere successo. Circa due
anni prima, più o meno all'epoca in cui iniziarono i suoi sintomi, un libro che George aveva scritto
per la gente comune divenne un bestseller. La terapeuta credeva che esistesse una chiara
connessione tra il crescente successo di George e il sintomo, che andava anche a minare
sotterraneamente la sua opportunità di avere una cattedra all'università. Tuttavia, gii sforzi della
terapeuta per far si che George operasse una ridecisione sul successo e abbandonasse il suo
"copione da perdente" incontravano una "resistenza" sempre più forte da parte di George, che
sembrava bloccato nel suo copione e non desideroso o non in grado di uscirne.
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George iniziò la consultazione congiunta in modo molto difensivo, presumibilmente partendo
dal punto in cui lui e la sua terapeuta avevano terminato la seduta precedente. Segnalò che aveva
sempre frequentato con profitto la scuola - era stato perfino lo studente che pronuncia il commiato
alla fine dei corsi - e che i suoi genitori avevano sempre dato sostegno ai suoi buoni risultati
scolastici. Non poteva credere che segretamente sua madre o suo padre avessero desiderato il suo
insuccesso. Aveva anche già pubblicato dei libri in precedenza, sebbene quest'ultimo libro fosse
certamente il suo primo bestseller per il pubblico non specialistico. Nondimeno, George temeva che
la sua terapeuta potesse avere ragione. Forse se avesse cambiato attività e avesse scelto il campo
della ricerca, che stava seriamente prendendo in considerazione, sarebbe "sceso per il sentiero del
giardino" andando verso il fallimento, particolarmente perché sua moglie avrebbe provato
disappunto se lui avesse lasciato perdere la possibilità di una cattedra universitaria.
Tuttavia, George era stanco di soffrire; non solo gli doleva la gola, ma odiava anche
l’angoscia di non sapere se sarebbe o non sarebbe stato in grado di portare a termine ogni sua conferenza. Voleva "liberarsi del suo copione", se questa era la causa del suo problema, come gli aveva
detto la sua terapeuta. Mentre parlava della possibilità di dover "rinunciare" a tenere regolari
conferenze e di dover perdere la cattedra, egli sorrideva lievemente. La terapeuta credeva che questa
fosse una risata della forca, indicante che George aveva il copione di un perdente, ma io vedevo le
cose in modo differente. Non parlai del sorriso in quel momento, ma mi riservai di capirne il
significato più avanti.
La nostra prima preoccupazione fu il sintomo della costrizione alla gola. Com’è pratica usuale
per me, ottenni una descrizione dettagliata dell'esordio del sintomo nella vita attuale di George,
perché esso avrebbe potuto corrispondere a una conclusione di sopravvivenza dormiente, riattivata
da un qualche evento. Mentre parlavamo, dunque, egli ricordò che aveva sentito per la prima volta
la costrizione quando era stato onorato per il suo libro a un pranzo ufficiale di un club di cui era
appena divenuto membro. Era l'oratore ospite, e i camerieri stavano ancora servendo i dolci e il
caffè quando egli fu presentato e invitato a parlare. Quando si alzò in piedi egli avvertì la costrizione e anche un lieve senso di mancamento; si fece forza cercando la mano di sua moglie e riuscì a
fare il suo discorso, che venne bene accolto.
Gli chiesi se da bambino gli era permesso parlare a tavola. "Naturalmente no", rispose senza
esitare. Sentendo le proprie parole, rise; aveva appena compreso qual era il punto.
George era il più giovane di sei fratelli di una famiglia molto formale. A nessuno era permesso
parlare a tavola, eccetto che ai suoi genitori. Tuttavia, egli era il favorito di sua madre e nei suoi
confronti le regole non erano così rigide. Una volta fu in effetti incoraggiato a recitare un poema
che aveva imparato a memoria. “Ma poi”, egli ricordò, "i miei fratelli si coalizzarono e mi
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picchiarono severamente per insegnarmi che le regole dovevano valere anche per me e che non
dovevo più far mostra di me stesso". George si animò molto notando la somiglianza tra questo
ricordo e la situazione del pranzo ufficiale. Il club di cui era diventato membro - un club prestigioso
che non avrebbe potuto frequentare se non fosse stato per il successo del suo libro gli rammentava
quando era stato ammesso a pranzare con tutta la famiglia invece di restare in cucina con la servitù.
Al banchetto una volta ancora egli aveva sentito un doppio legame era stato incoraggiato a "mettersi
in mostra" davanti ai "fratelli maggiori" del club, ma temeva il prezzo che avrebbe dovuto pagare
per questa sua esibizione.
Una preoccupazione ulteriore di George era stata la sua vergogna per il fatto di aver cercato e
stretto la mano della moglie. Qualcuno se n'era forse accorto? Stringere la mano della moglie (come
se si trattasse del sostegno che gli veniva dalla madre), cosa che lui aveva fatto automaticamente nel
momento del disagio, corrispondeva a un'altra conclusione di sopravvivenza, ma a una conclusione
utile in contrasto con quella che si era sviluppata come risultato dell'essere stato picchiato dai suoi
fratelli. Tuttavia, associata a questa conclusione (probabilmente in stadi successivi) era la sua sensazione che egli non voleva essere un cocco di mamma e che doveva cavarsela da solo. Sua madre era
stata in certo senso iperprotettiva; egli si era emancipato da lei durante l'adolescenza quando era
diventato capitano della squadra scolastica di basket nonostante che la madre si preoccupasse dei
possibili rischi per la sua salute. Esistevano dunque delle tracce dell'antico imbarazzo che gli
derivavo dal fatto di essere dipendente dalla madre, giustificato nell'infanzia dal fatto che egli aveva
frequenti raffreddori.
Il sintomo di George nasceva dal pensiero "magico" del Bambino. Egli temeva di essere
punito per aver portato a termine il suo discorso ufficiale e anche, forse, per aver cercato la mano di
sua moglie come sostegno, così come aveva fatto da bambino, quand'era malato, con sua madre.
Continuando a sperimentare una costrizione in gola George poteva "giustificare" il fatto di aver
bisogno di aiuto perché forse era di nuovo "malato". D'altro lato, egli divenne anche "stanco" del
sintomo, proprio come si era stancato dell'eccesso di preoccupazione materna quando era
nell'adolescenza. Tuttavia, la conclusione adolescenziale di scrollarsi di dosso la dipendenza non
era sufficiente a controbilanciare la conclusione più primitiva che era stata riattivata al banchetto e
che poi era stata generalizzata andando a contaminare tutte le altre situazioni in cui lui doveva
tenere una conferenza.
Così vediamo come un sintomo si manifesti quando una conclusione arcaica dormiente viene
riattivata da un parallelismo tra una situazione corrente e la situazione originaria in cui la
conclusione venne formulata. La conclusione in questo caso si combina con altre conclusioni di
sopravvivenza e generando angoscia nel presente essa può sviluppare tanto potere da influire
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negativamente su tutta la vita della persona. Questo processo ci rammenta l'aneddoto di Berne a
proposito di una persona che veniva ferita da una scheggia: questa scheggia creava altri problemi e
obbligava la persona a sottoporsi a terapie complesse, perché nessuno pensava semplicemente a
rimuovere la scheggia. Con George, l'analisi del copione in forma classica stava per creare ulteriori
problemi, senza giungere alla causa attuale delle sue difficoltà e senza rimuoverla.
Io fui fortunata nel caso di George. Rintracciare la connessione esistente tra una conclusione
di sopravvivenza sepolta e il sintomo non è sempre cosi facile e può richiedere un paziente lavoro
d'indagine. La chiave solitamente sta in un'esplorazione scrupolosa e dettagliata delle circostanze
che scatenarono il sintomo nella vita attuale del paziente. Quando un lavoro d'indagine puramente
verbale non basta, può essere utile applicare la tecnica gestaltica della sedia vuota o lo psicodramma,
non necessariamente per far superare l'impasse al paziente, ma per scoprire deve potrebbe esistere la
connessione tra gli eventi presenti e quelli passati. Così facendo io ricordo come Fritz Perls sottolineasse ripetutamente nei suoi seminari di formazione che è la proiezione che porta i problemi in
primo piano. Per esempio, nel caso di George il fatto di parlare durante il banchetto non avrebbe
probabilmente generato un angoscia sufficiente a produrre il sintomo; il sintomo era invece il
risultato di una combinazione tra quel tipo d'angoscia e la proiezione di George sull'uditorio, che
veniva da lui considerato come un uditorio di "fratelli maggiori".
LA RISATA DELLA "FORCA"
Quando un piccolo sorriso compare dopo una transazione incrociata, esso non è una transazione della forca (Steiner, 1967) dovuta a un'ingiunzione, ma solitamente è un riflesso dell'imbarazzo o della piccola speranza nutrita dal Bambino di un “premio di consolazione” che
compensi la sua frustrazione. Spesso, quando tale sorriso appare mentre un paziente sta raccontando
qualcosa che lo tormenta, esiste un conflitto interno tra una questione di sopravvivenza e una spinta
proveniente dalla pulsione creativa. La pulsione di sopravvivenza è più ragionevole (può esprimersi
attraverso il Bambino Adattato, il Genitore o l'Adulto); la pulsione creativa è più in sintonia con i
sentimenti, la libertà, l'eccitazione e il fatto di prendersi dei rischi, vada come vada. Perciò il sorriso
può rappresentare un desiderio segreto che sembra "irragionevole". Quando un sorriso di questo
tipo compare nel corso di una seduta, io commento dicendo che esso non è congruente con ciò che
viene detto, ma non necessariamente esprimo subito questo mio commento, perché il sorriso può
essere in relazione con un qualche altro conflitto diverso da quello che al momento è sul tappeto.
Il sorriso di George compariva quando egli esprimeva apertamente la sua preoccupazione di
dover "rinunciare" a tenere conferenze e ad avere una cattedra universitaria, e anche quando diceva
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di essere "stanco" del suo sintomo. Queste espressioni si correlavano primariamente alla pulsione di
riposo, tuttavia George sembrava molto vitale mentre parlava. Sembrava che la sua pulsione di
riposo e la sua vivace pulsione creativa si fossero alleate contro le conclusioni della pulsione di
sopravvivenza. Forse che queste pulsioni alleate lo spingevano a rilassarsi di più e/o a intraprendere
un nuovo percorso creativo, senza tener conto delle conseguenze? Oppure la pulsione di
sopravvivenza andava a rinforzare una o più conclusioni di sopravvivenza che non erano più
essenziali? Era possibile che ora il sintomo avesse acquistato un nuovo significato e che esso
potesse costituire una scusante per George, una scusante che gli permettesse di abbandonare la
speranza di una cattedra universitaria e intraprendere invece un lavoro di ricerca?
Fortunatamente la terapeuta di George era dotata e non rimase ostinatamente legata alla sua
precedente interpretazione del caso; inoltre aveva una buona conoscenza dell'EPT. Lei e George
concordarono di continuare la terapia con lo scopo di prendere in esame altri aspetti dei dilemma.
Tre mesi più tardi la terapeuta mi riferì che i sintomi alla gola erano scomparsi dopo la nostra seduta
congiunta, ma che George aveva sviluppato delle difficoltà nell'ambito del sonno. Questo fatto non
era sorprendente alla luce della nostra ipotesi. Lavorando con il problema della "rinuncia", George
rivelò di essere fortemente attratto dal lavoro di ricerca, che gli avrebbe dato sia più lavoro creativo,
sia più tempo libero. Tuttavia, sembrava "stupido" abbandonare il lavoro universitario proprio
quando lui era così vicino ad avere una cattedra, e sia George sia la moglie sentivano che il ruolo
accademico offriva più sicurezza per il futuro.
Chiaramente George non era programmato contro il fatto di avere successo. Se non altro,
parecchie delle sue conclusioni di sopravvivenza premevano a favore del successo e della sicurezza,
mentre le altre conclusioni ponevano l'accento sulla dipendenza (al presente, da sua moglie) forse
più di quanto fosse necessario. Saggiamente la terapeuta suggerì una seduta comune con George e
sua moglie. Si scoprì che la moglie non era così contraria al cambiamento come pensava George e
che le sue precedenti preoccupazioni circa il lavoro del marito erano state provocate principalmente
dai suoi sintomi alla gola. Una volta che la moglie si rese conto che George si struggeva dal
desiderio di cambiare lavoro, lei gli offrì sostegno, sottolineando che i diritti derivantigli dalla
vendita del libro fornivano loro una solida base finanziaria, che loro avevano degli ampi risparmi, e
che il lavoro di ricerca offriva più opportunità per la carriera di George di quanto non offrisse il
fatto di restare aggrappati a una cattedra universitaria.
Sei mesi più tardi George aveva concluso la terapia, senza avere più sintomi. Aveva tenuto
conferenze in alcune occasioni senza avere difficoltà ed era entusiasta del suo nuovo lavoro per le
opportunità che esso gli offriva, non perché aveva paura di tenere conferenze.
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COMMENTI SUL CASO DI GEORGE
II caso di George illustra come possa essere dannosa una falsa interpretazione di "copione",
sebbene fortunatamente George avesse opposto resistenza contro questa interpretazione. (Io mi
chiedo quanto spesso la resistenza del paziente non sia la cosa più utile che egli può fare per sé.)
Nel caso di George possiamo vedere come gli elementi del copione si collegassero tra di loro a vari
livelli attorno al sintomo della gola: 1) conclusioni fondamentali di sopravvivenza; 2) sentimenti più
tardivi di ambivalenza nei confronti del problema dipendenza e indipendenza dalla madre/moglie; 3)
riattivazione di una conclusione dormiente, riguardante il fatto di non mettersi in mostra a tavola,
che andava a contaminare un comportamento da conferenziere universitario precedentemente
vissuto con tranquillità; e poi 4) la possibilità, per la sua pulsione creativa e per quella di riposo, di
affermarsi nel qui-e-ora inducendo George, in modo preconscio, ad abbandonare il lavoro
universitario anche correndo qualche rischio, e opponendosi alle conclusioni di sopravvivenza
secondo le quali era opportuno mantenere un buon lavoro che offriva delle sicurezze.
Nel trattamento di George fu importante il fatto che la terapeuta non andasse a cercare grandi
problematiche di copione, ma lavorasse in modo sistematico sui piccoli problemi. George quindi
poté elaborare un'area importante del suo copione guardandola sotto l'ottica della creatività e
dell'eccitazione invece che sotto l'ottica, che gli dava un senso di insoddisfazione, di vecchie
conclusioni di sopravvivenza. Rendendosi conto che accogliendo le istanze della sua pulsione
creativa egli correva un rischio, George sottopose tali istanze al controllo di altri fattori della sua
realtà attuale, facilitando in tal modo un'interazione armoniosa tra la sua pulsione di sopravvivenza,
provvedendo inoltre uno spazio in più per la sua pulsione di riposo.
DEFINIZIONE DEI COPIONI
Riassumendo, io definisco i copioni come segue: i copioni contengono degli elementi genetici
e degli schemi connessi alle esperienze, alle fantasie e alle credenze passate che sono intrecciati tra
di loro nella fabbricazione di una racconto mitologico personale provvisto di molte possibili varianti.
Tali schemi possono condurre a risultati sia positivi sia negativi secondo il modo in cui si
mescolano ed evolvono, così che i copioni hanno dei finali non specifici. Un copione ha valore in
quanto è una struttura di supporto e di organizzazione che si origina nell'infanzia. Esso ci permette
di "giocare" con varie opzioni nella fantasia prima di metterle in atto nella vita reale. Perciò i nostri
copioni contribuiscono all'articolazione, all’attualizzazione e all'evoluzione del nostro potenziale
innato.
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L'analogia con un copione teatrale è valida se pensiamo a un teatro dell'improvvisazione
piuttosto che a un dramma con un copione fisso, dato che i copioni si svolgono e si evolvono
gradualmente. È attraverso l'intrecciarsi di molti fili di schemi esistenziali che ogni individuo crea la
qualità unica della propria vita. È possibile azzardare solo minime previsioni, poiché sono permessi
molti cambiamenti spontanei.
Nel descrivere come scrive un romanzo -cosa che a mio parere è simile al processo, comune a
noi tutti, di "scrivere" e vivere le nostre vite - Salman Rushdie (1986) dice quanto segue: “Per un
lungo periodo io penso di non conoscere ciò che devo scrivere. Poi gradualmente inizio a pensare a
delle storie, frammenti, eventi, o personaggi, in modo assai disarticolato, tanto che non esiste alcuna
indicazione del fatto che tutte queste cose facciano parte di una storia. Poi inizio a provare panico
perché non ho un libro da scrivere. E così cerco di formalizzare queste vaghe nozioni e inizio a
cercare di buttar giù qualcosa. E allora ho un momento di grande ottimismo quando scopro che ho
nove romanzi da scrivere e che ciò mi occuperà i prossimi venti anni. E allora provo e decido quale
romanzo scriverò per primo. E poi io muoio dalla voglia di scriverne di più, e intanto aspetto, e
allora tutto si disintegra. E allora comprendo di non avere neanche un romanzo, figurarsi nove. E
poi, a un certo momento, trovo, senza nemmeno sapere come, che tutti questi frammenti di idee in
effetti erano parte di un'idea più grande che, senza conoscerla, era quella cui stavo pensando - e
quello è il romanzo che io devo scrivere.”.
E quello è il copione che io devo vivere.
Fanita English, M.S.W., è Certified Teaching Member Instructor e Supervisor
dell’ITAA, e trascorre molto tempo in Europa, dedicandosi all'insegnamento e alla
formazione. Ha ricevuto nel 1978 il premio Eric Berne Memorial Scientific Award per il suo
lavoro sui rackets. Per ricevere copie di questo scritto scrivere a Fanita English, 724 Pine St.,
Philadclphia, Pennsylvania, 19106, U.S.A.
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