NOTA A CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE CIVILI

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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE CIVILI
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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE CIVILI,
SENTENZA 15 novembre 2016, n. 23225
A cura di GIUSEPPINA LAURA CANDITO
“La proiezione processuale della compensazione nella deducibilità dei crediti sub judice: le
Sezioni Unite rientrano nei ranghi dell’art. 1243, II° co., c.c.”
Sommario: 1. Presupposti, ratio ed effetti dell’istituto; 1.1 La compensazione legale; 1.2 La
compensazione giudiziale; 1.3 La compensazione volontaria; 2. La proiezione processuale della
compensazione; 3. Il revirement del 2013; 3.1. I fatti all’origine della controversia 3.2 La Quinta
Sezione della Corte “rispolvera” la condanna con riserva ad separatum; 4 La rimessione alle
Sezioni Unite e la riaffermazione dei consolidati principi di diritto; 5. Conclusioni.
1. La compensazione1 è un modo di estinzione delle obbligazioni diverso
dall’adempimento, che comporta l’elisione di due reciproche posizioni debitorie fino al limite della loro
concorrenza.
Tale effetto estintivo, è di carattere satisfattorio, in quanto, come sottolineato da autorevole dottrina 2
ciascuna delle parti realizza il proprio diritto conseguendo il soddisfacimento di un interesse
succedaneo a quello originario, ossia l’interesse ad essere liberato dal proprio debito, attuando uno
scambio reciproco di estinzioni.
Presupposto per il prodursi di tale effetto è che vi sia una reciprocità di crediti e debiti tra due
autonomi centri di interesse, rilevando non la dualità dei soggetti, bensì la dualità dei patrimoni, ben
potendo, infatti, più patrimoni separati essere nella titolarità di una sola persona3.
1
BIANCA, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1993; BIGLIAZZI GERI - BRECCIA – BUSNELLI - NATOLI, Diritto civile,
III, Obbligazioni e contratti, Torino, 1992; BRECCIA, Le obbligazioni, nel Trattato di diritto privato, (a cura di) IUDICA E
ZATTI, Milano, 1991; Cicero, voce «Compensazione», nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ., Agg., VII, Torino, 2012;
DE LORENZI, voce «Compensazione», in Dig. disc. priv., III, Torino, 1988, 65; DIMAJO, Le obbligazioni in generale,
Padova, 2007; DI PRISCO, Compensazione, nel Trattato (a cura di) RESCIGNO, IX, Utet, 1999, 311; GALGANO,
Obbligazioni in generale, Bologna, 1985, MAFFEIS, La compensazione, nel Trattato di diritto civile, diretto da SACCO,
Torino, 2012; MICCIO, Delle obbligazioni in generale, artt. 1173 – 1320 Commentario al codice civile, diretto da
CENDON, Torino, 1982; PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, nel
Commentario SCIALOJA-BRANCA, Bologna, 1975, sub artt. 1230-1259, 256 ss.; PETRONE, La compensazione tra
autotutela ed autonomia, Milano, 1997, 26 ss.; SCHLESINGER, voce «Compensazione», nel Noviss. Digesto it., III,
Torino, 722; ZUDDAS, voce «Compensazione», in Enc. giur. Treccani, VII, Ed. Enc. it., 1988, 1.
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BIANCA, in op. cit., 477 ss.
3
PERLINGIERI, in op cit., 258-261.
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E’ poi necessario che le obbligazioni, quale che sia il rapporto o i rapporti, da cui esse prendono
origine, siano autonome tra loro, ovvero non legate da nesso di sinallagmaticità 4, poiché in
mancanza sarebbe configurabile soltanto la cosiddetta compensazione impropria o atecnica5, in
base alla quale la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento
contabile di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca
concorrenza6.
La ratio dell’istituto7, viene di consueto radicata da un canto, nell’esigenza di speditezza degli
affari, dall’altro nell’esigenza di prevenire e contenere il moltiplicarsi delle liti. Nondimeno, vi è chi
vi ravvisa un fondamento nell’autotutela privata ovvero in un principio di carattere equitativo8.
Quanto alla ricostruzione dogmatica della natura della compensazione, secondo taluno,
l’opposizione in compensazione di un controcredito è espressione di un diritto sostanziale
potestativo che può essere esercitato o stragiudizialmente nella forma di una dichiarazione
negoziale9 o giudizialmente nella forma dell’eccezione, ed in specie delle eccezioni
riconvenzionali10, avendo quale effetto quello di ampliare il thema decidendum.
In particolare, proprio perché bisognevole di un’opposizione di parte, taluno ne ha sostenuto, la
riconduzione tra le fattispecie complesse a formazione progressiva 11, altri invece ritengono che si
tratti di un negozio di accertamento con effetti inibitori nei confronti di colui nei riguardi del quale
la compensazione è eccepita12.
Ulteriore tesi interpretativa assimila l’istituto in parola ad una “doppia confusione”13, postulando la
reciproca cessione del credito o un duplice e reciproco ordine di pagamento in manu sua.
4
Cass. n. 5024/09, n.17390/07, n. 3628/07 e n. 10629/06.
Da siffatta distinzione discendono una serie di corollari applicativi, anzitutto non si applica la disciplina processuale
ne´ quella sostanziale della compensazione, in primis il divieto di rilievo ex officio della compensazione stabilito
dall’art. 1242, 1º comma, c.c. Parimenti non si applica la peculiare regola prevista in ordine alla prescrizione ex art.
1242 c.c. né la compensazione giudiziale è subordinata alla facile e pronta liquidazione del relativo credito. In dottrina
si rinvia a: FOLLIERI, L’ossimoro giuridico della cd. compensazione impropria, in Obbl. Contr., 2008, 7, 616 ss.; DE
SANTIS, Debiti derivanti da un medesimo rapporto giuridico e applicabilità della cd. Compensazione impropria, in
Corr. Giur., 2007, 6, 808 ss.; CICERO, La compensabilità dei debiti che si originano da una medesima fonte, in Resp.
Civ. Prev., 2007, 5, 1135 ss.
6
Cass. n. 7337/04 e n. 5024/09.
7
PERLINGIERI, in op. cit., 256.
8
RAGUSA MAGGIORE, Compensazione (Voce), in Enc. dir., Milano, 1961, VIII, 17.Avverso il fondamento equitativo,
taluno ha rilevato che l’art. 56 L.F. consentendo l’opponibilità in compensazione di crediti non ancora scaduti avrebbe
quale effetto collaterale la violazione della par condicio creditorum.
9
NATOLI, In tema di compensazione legale secondo il nuovo codice civile, in Foro it., 1948, IV, 58.
10
DI PRISCO, in op cit. 405; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1966, I, 153.
11
FOSCHINI, La compensazione nel fallimento, Napoli, 1965.
12
MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, 498.
13
SACCHI, voce Compensazione, in Dig. It., VIII 3, Torino, 1896-1899,§ 13
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Meritevole di essere richiamata è anche l’impostazione caldeggiata dalla dottrina tedesca che
assimila la compensazione ad un duplice ordine delegatorio, impartito da ciascuna parte all’altra
affinché esegua il pagamento presso se stessa.
Quanto agli effetti della compensazione, l’art. 1242, I° co., c.c. prevede che “la compensazione
estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza. Il giudice non può rilevarla d'ufficio”.
In disparte dal tenore letterale, apparentemente chiaro ed inequivoco, la norma ha destato non poche
perplessità in quanti hanno paventato una pretesa contraddizione tra il prodursi dell’effetto estintivo
sin dalla coesistenza dei debiti e la preclusione al rilievo officioso.
Invero, preme anzitutto sottolineare che la coesistenza dei crediti non segna tanto l’estinzione delle
reciproche poste debitorie, quanto il momento in cui il diritto alla compensazione può esser fatto
valere.
Pertanto, dalla coesistenza dei debiti non discende l’operatività in via automatica ed immediata del
meccanismo compensativo, il quale rimane comunque subordinato all’iniziativa della parte che
intende avvalersene.
A corroborare siffatta affermazione sovviene anche il tenore letterale dell’art. 1251 c.c. ai sensi del
quale, “Chi ha pagato un debito mentre poteva invocare la compensazione non può più valersi, in
pregiudizio dei terzi, dei privilegi e delle garanzie a favore del suo credito, salvo che abbia
ignorato l'esistenza di questo per giusti motivi”.
Orbene, ove la compensazione legale operasse ex se, il pagamento di colui che versa nelle
condizioni ex art. 1251 c.c. sarebbe un pagamento non dovuto come tale ripetibile. Di converso, la
norma in commento prevede, quale unica conseguenza, la permanenza delle garanzie date dai terzi.
Inoltre, preme sgombrare il campo da un ulteriore rischio di confusione nel caso in cui uno dei
crediti sia ancora sub iudice e vanga successivamente accertato nella sua sussistenza con sentenza
passata in giudicato.
In quest’ipotesi è bene specificare che il passaggio in giudicato segna il momento in cui cessa il
carattere controverso del credito opposto, ma non incide sul prodursi dell’effetto estintivo che, a
norma dell’art. 1242 c.c., decorrerà comunque dal momento in cui la fattispecie è sorta. D’altro
canto, diversamente opinando si altererebbero i rapporti fra diritto sostanziale e processo.
1.1 Il Legislatore del’42, disciplina l’istituto declinandolo in tre sottotipi: legale, giudiziale,
volontaria.
Prendendo ora le mosse dalla compensazione legale, la stessa, ai sensi dell’art. 1243, I° co., c.c.,
ricorre tra due debiti aventi ad oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello
stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili.
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Quanto al requisito dell’omogeneità implica che le obbligazioni abbiano ad oggetto una somma di
denaro o una quantità di cose fungibili.
In particolare, come rivelato da alcuni autori, il requisito sottenderebbe tanto la caratteristica
intrinseca dell'oggetto, cioè la fungibilità, quanto quella estrinseca dell’appartenenza allo stesso
genere14. La fungibilità esprimerebbe, infatti, il rapporto di equivalenza equitativa tra i beni dedotti
in prestazione, sì che l'uno e l'altro sono intercambiabili per il soddisfacimento degli interessi dei
reciproci creditori. In merito, taluno parla anche di sostituibilità rimettendosi, dunque, al libero
apprezzamento delle parti, tuttavia estendendo eccessivamente le maglie della fungibilità, vi è il
rischio di incorrere in casi in cui, nonostante, i beni siano stati considerati sostituibili tra loro non
sono omogenei e quindi non sono suscettibili di compensazione legale.
Parimenti non lo sono i beni e le prestazioni che pur essendo omogenei, in relazione al concreto
rapporto, non sono anche fungibili.
Sul punto, peraltro, è lo stesso codice a specificare che la fungibilità non è esclusa per il solo fatto
che le prestazioni debbano essere eseguite con modalità differenti o in luoghi diversi, computandosi
in tal caso le spese necessarie al trasporto sino al luogo di pagamento ai sensi dell’art. 1245 c.c.
Il credito deve essere altresì liquido, cioè determinato nel suo ammontare o quanto meno
determinabile con una semplice operazione di calcolo. Proprio sul profilo della liquidità si è
incentrata l’attenzione della dottrina che nel tempo ha fatto riferimento ora alla dicotomia liquidità
oggettiva/liquidità soggettiva ora alla dicotomia liquidità sostanziale/liquidità processuale.
In dettaglio, mentre la liquidità oggettiva atterrebbe al quantum e all’an del titolo, quella soggettiva
sarebbe frutto di una valutazione delle parti, essendo in tal senso sufficiente anche la mancata
contestazione del credito15.
Sul secondo fronte, invece, la liquidità in senso sostanziale sarebbe, un requisito statico-esistenziale
del credito, espressione di un vincolo di origine legale o volontaria, che preesiste e prescinde dal
processo e da qualsivoglia contestazione in giudizio, sia in ordine al quantum sia in ordine all’an16.
A tale concetto si oppone quello di liquidità in senso processuale, requisito di carattere dinamicoprocessuale che si riferisce alle attività processuali istruttorie necessarie per la determinazione del
quantum della prestazione.
Seppur non espressamente richiesto dalla norma, ai fini della compensazione legale è necessario che
il credito sia certo, ovvero non contestato. Sebbene, certezza e liquidità vengano assunti talvolta
14
Il codice del ’42 è più rigoroso con riferimento al requisito dell'omogeneità della prestazione, rispetto al codice del
1865, infatti, si è soppressa la possibilità di compensare con danaro le prestazioni di grani e di derrate cfr. art. 1287, II°
co., c.c. del 1865.
15
DE LORENZI , in op cit, 65.
16
MERLIN, Compensazione e processo, I, Milano,1994, 471 ss.
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quali sinonimi17, sottendono valutazioni non sempre sovrapponibili, di tal che un credito potrebbe
essere certo, ma non liquido.
Il proprium del requisito della certezza va, infatti, colto nell’impedire la deducibilità in
compensazione di un controcredito la cui sussistenza sia incerta o comunque rimessa all’esercizio di
poteri discrezionali.
Coglie quindi nel segno, quell’orientamento giurisprudenziale che, nel fare riferimento alla c.d.
certezza processuale postula il ricorrere di rapporti non contestati o comunque accertati con
sentenza passata in giudicato, non essendo sufficiente un provvedimento provvisoriamente
esecutivo18.
Del resto, è evidente che la provvisoria esecutività facoltizza solo la temporanea esigibilità del
credito, ma non ne comporta la irrevocabile certezza 19. Ed invero, l’eventualità che il titolo
giudiziario cada o venga modificato per effetto dell’impugnazione esperita o esperibile, impedisce
l’operatività della compensazione, la quale, essendo un mezzo di estinzione delle obbligazioni,
postula il definitivo accertamento delle obbligazioni da estinguere e non è applicabile a situazioni
provvisorie20.
Infine, sovviene l’esigibilità del credito, cioè la possibilità per il creditore di agire legittimamente ed
immediatamente per l’adempimento. Pertanto, restano esclusi i crediti sorgenti da obbligazioni
naturali così come i crediti sottoposti a termine iniziale di efficacia o a condizione sospensiva.
Diversamente l’esigibilità non è esclusa dalla pendenza di una condizione risolutiva o dalla
dilazione gratuitamente accordata dal creditore.
Ancora sul punto, giova richiamare il tenore letterale dell’art. 56 L. F., ai sensi del quale “i creditori
hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso,
ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento”. La norma introduce, dunque, una
chiara deroga i principi generali che governano la compensazione ed in particolare al requisito
dell’esigibilità, ascrivendo preminenza alle ragioni di tutela del credito.
L’apertura del fallimento avrebbe, quindi, come effetto naturale ed automatico seconda una parte
della dottrina quello della decadenza dal termine di cui all’art.1186 c.c. 21, secondo altri autori quello
di rendere incontestabile il credito vantato22.
17
PELLEGRINI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Commentario del codice civile, (a
cura di) D’AMELIO FINZI, Firenze, 1948, 149.
18
Cass. n. 13208/10.
19
Cass. n. 4423/87.
20
Cass. n. 4074/74.
21
FOSCHINI, in op. cit., 57.
22
GIULIANO, La compensazione con particolare riguardo alle procedure concorsuali, Milano, 1955, 160.
5
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1.2 La compensazione giudiziale invece è regolata dall’art. 1243, II° co., c.c. ai sensi del
quale quando difetti il requisito della liquidità, ma il credito sia comunque di facile e pronta
liquidazione, la compensazione deve essere dichiarata dal giudice per la parte del debito
riconosciuta come esistente e la condanna per il credito liquido può essere sospesa sino
all’accertamento ed alla liquidazione del credito dedotto in compensazione.
In prima battuta, preme specificare che con l’espressione “di facile e pronta liquidazione”23, si fa
riferimento a valutazioni che il giudice può compiere facendo semplicemente applicazione di
parametri di agevole applicazione, in base al livello medio di cognizione tecnico scientifica o
ricorrendo a valutazioni equitative24.
Peraltro, per costante giurisprudenza, l’apprezzamento circa la facile e pronta liquidità va inteso in
senso ampio e dunque, anche in riferimento all’an debeatur25. Da tale precisazione discende altresì
un corollario di non poco momento, poiché, si soggiunge, la compensazione giudiziale prevista
dall’art. 1243, II° co., c.c. presupponendo l’accertamento del controcredito da parte del giudice
innanzi al quale la compensazione è fatta valere, non può fondarsi su di un credito la cui esistenza
dipenda dall’esito di un separato giudizio ancora in corso, in quanto tale credito non è liquidabile se
non in quella sede26.
E’ evidente quindi che, secondo tale impostazione, la compensazione giudiziale intanto può
avvenire nelle forme dell’art. 1243, II° co., c.c. se il credito principale ed il controcredito illiquido
pendano dinanzi al medesimo giudice. E tuttavia, proprio nell’ipotesi in cui ciò non ricorra si apre
uno scenario che ha da ultimo, suggerito la rimessione alle Sezioni Unite, come meglio si vedrà
infra §3 e §4.
Tanto premesso, il discrimen tra la compensazione legale e la compensazione giudiziale si sostanzia
proprio nella natura della sentenza e nella decorrenza degli effetti estintivi.
Nella compensazione legale, l’effetto estintivo si produce ope legis per il semplice riscontro della
coesistenza di debiti omogenei, liquidi, esigibili e certi. La sentenza che l’accerta ha, pertanto,
23
Cass. n. 21923/2009: “La compensazione giudiziale, prevista dall'art. 1243, secondo comma, c.c., è ammessa soltanto
se il giudice del merito, nel suo discrezionale apprezzamento, riconosce la facile e pronta liquidità del credito opposto
in compensazione, con la conseguenza che, difettando tali condizioni, egli deve disattendere la relativa eccezione e il
convenuto potrà far valere il credito in separata sede con autonomo giudizio. La verifica della sussistenza del requisito
della liquidità, risolvendosi in una valutazione di fatto, è incensurabile in sede di legittimità”.
24
Cass. n. 157/2005: “Il giudice deve decidere sul credito opposto in compensazione anche allorchè non sia di facile e
pronta liquidazione, se fatto valere con domanda riconvenzionale e non eccedente la sua competenza per materia o
valore; tuttavia, ove nella compensazione ricorra al criterio equitativo di cui agli articoli 1226 e 2056 del c.c., tale
criterio deve importare la previa individuazione delle due poste da comparare, con analitica e circostanziata
indicazione delle componenti patrimoniali, in modo da rendere palese e chiara l'individuazione dell'iter logico seguito
nella valutazione equitativa”.
25
Cass. n. 9904/03.
26
Csss. n. 10055/04.
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natura meramente dichiarativa27, poichè con essa il giudice si limita a rilevare un fatto già
verificatosi, l’avvenuta compensazione, ed opera ex tunc sin dal giorno della coesistenza dei due
debiti. Ciò è corroborato anche dal testo del II° co. dell’art. 1242 c.c. per cui la prescrizione non
impedisce la compensazione, se non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei debiti.
Nella compensazione giudiziale, invece, la pronuncia ha carattere costitutivo con efficacia ex nunc e
pertanto, l’effetto estintivo verrebbe a prodursi, secondo i più al momento dell’emanazione della
sentenza, secondo altri al momento del passaggio in giudicato.
Tuttavia, tale ricostruzione non ha trovato consenso unanime in dottrina, specie in quanti hanno
rilevato che subordinare il dispiegarsi dell’effetto estintivo all’irrevocabilità del decisum
contrasterebbe anzitutto col principio di anticipazione degli effetti della pronuncia al momento della
domanda nonché con la stessa ratio di speditezza e semplificazione dei traffici commerciali sottesa
alla norma.
Pertanto, si ritiene più confacente ravvisare la decorrenza sin dalla coesistenza dei crediti anche
nell’ipotesi di compensazione giudiziale.
1.3 In ultimo, sovviene la compensazione volontaria che, essendo espressione
dell’autonomia negoziale, non postula alcun requisito specifico ad eccezione della volontà esplicita o implicita delle parti.
Come si evince dalla Relazione al codice del Ministro Guardasigilli, tale ipotesi compensativa si
caratterizza, nel doppio senso della disponibilità successiva e preventiva delle regole concernenti i
presupposti della compensazione. Si allude, quindi, alle regole della reciprocità, della omogeneità,
della esigibilità dei crediti, e a quelle altre che possono considerarsi ugualmente stabilite per ragioni
di interesse privato.
In merito, taluno distingue tra compensazione volontaria e compensazione facoltativa, quest'ultima
consistente nella rinunzia28 di una parte in ordine al rilievo di un’eccezione che impedirebbe di
addivenire alla compensazione legale difetto di liquidità o di esigibilità.
Qualora poi l’accordo compensativo s’inserisca in un’operazione negoziale più ampia allora rimarrà
assoggettata ai requisiti previsti per tale vicenda.
2. Così ricostruiti i tratti salienti delle tre declinazioni codicistiche della compensazione, è
necessario soffermarsi anche sui rivolti processuali atteso che, proprio la dinamica triadica tra le
domande e le eccezioni delle parti ed i poteri del giudice rappresenta il terreno elettivo dell’istituto.
27
Cass. n. 22324/14: “La compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola
coesistenza dei debiti, sicché la sentenza che la accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi
e questo automatismo non resta escluso dal fatto che la compensazione non possa essere rilevata di ufficio, ma debba
essere eccepita dalla parte, poiché tale disciplina comporta unicamente che il suddetto effetto sia nella disponibilità del
debitore che se rie avvale, senza che sia richiesta una autorizzazione alla compensazione dalla controparte”.
28
BIANCA, in op. cit., 509 e 510; MESSINEO, in op. cit., 502.
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Come si è già avuto modo di sottolineare al § 1, qualora la compensazione venga opposta nella
pendenza di un giudizio assume i connotati di un’eccezione in senso stretto ed in particolare di
un’eccezione riconvenzionale qualora si opponga un controcredito illiquido, ma di facile e pronta
liquidazione.
In particolare, in quest’ultimo caso l’art. 1243, II° co., c.c. dispone che “il giudice può dichiarare la
compensazione per la parte del debito che riconosce esistente, e può anche sospendere la condanna
per il credito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione”.
Nel caso in cui la cognizione sulla sussistenza del controcredito e dei presupposti che legittimano il
ricorso alla compensazione rientri nella cognizione del giudice adito sul credito principale il giudice
potrà riunire i procedimenti e decidere unitamente su entrambi; ove ciò non sia possibile si aprono
una serie di soluzioni interpretative.
Parte della dottrina ha proposto una sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. del giudizio sulla
sussistenza delle condizioni della compensazione tra i due crediti 29. Avverso tale approccio si è però
obiettato30 che la sospensione finirebbe col pregiudicare eccessivamente le ragioni dell’attore
esposto, per tal via, a dilazioni sine die per ottenere tutela del proprio credito.
In chiave riparatorio-rimediale, altra dottrina31 ha evidenziato come l’attore ben potrebbe in sede di
prosecuzione del processo sospeso, sollevare una nuova contestazione su un fatto nuovo
sopravvenuto ad es. un pagamento successivo alla formazione del giudicato sul controcredito.
Sul fronte opposto il tradizionale orientamento 32 della Suprema Corte, secondo cui il II° co. dell’art.
1243 c.c., integra una norma speciale rispetto agli artt. 295 e 337, II° co., c.p.c., poichè la
sospensione del giudizio sul credito principale, in attesa della verifica dei requisiti di omogeneità
liquidità ed esigibilità del controcredito eccepito in compensazione, presuppone che il giudice adito
possa avere cognizione di entrambi.
Laddove, invece, altro giudice sia investito dell’accertamento del controcredito, non risultano
applicabili né la sospensione ex art. 1243, II° co., c.c. né quella ex art. 295 c.p.c. così come non è
consentito ricorrere alla disciplina ex art. 337, II° co, c.p.c.
Questa la granitica posizione assunta dai giudici di legittimità sino alla pronuncia Suprema Corte n.
23573/201333 con cui le fondamenta del su esposto impianto argomentativo sono state confutate e
ribaltate affermando che “la circostanza che l’accertamento di un credito risulti sub iudice non è di
29
BUONCRISTIANI, Compensazione in sede esecutiva per crediti nascenti da obbligazioni di pagamento di spese
processuali relative a giudizi ancora in corso: litispendenza o sospensione per pregiudizialità, in Giust. civ., 1989, I,
1927 ss.
30
MERLIN, Compensazione e processo, I, Milano, 1991, 408.
31
BORGHESI, Compensazione nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., sez civ., III, Torino, 1988, 90-93
32
Ben esplicitato in Cass. n. 325/92.
33
Per una completa analisi della pronuncia si rinvia a Masciangeli, nota a CASS. CIV., III sez., 17.10.2013, n. 23573, in
Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2014, 424 ss.
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ostacolo alla possibilità che il titolare lo opponga in compensazione al credito fatto valere in un
diverso giudizio dal suo debitore”.
3. L’effetto dirompente di tale revirement che ha suggerito la rimessione34 alle Sezioni Unite
Del quesito se sia consentita la deducibilità in compensazione di un credito sub iudice per il quale manchi il
requisito della certezza, va colto anzitutto in relazione alle peculiarità sottese al caso posto al vaglio della
quinta sezione.
3.1 La causa trae origine dal ricorso per cassazione proposto da più soggetti, tutti eredi del
medesimo de cuius G.A., avverso la sentenza della Corte d'Appello di L'Aquila35 che, in parziale
riforma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Avezzano, aveva rigettato l’opposizione
all’esecuzione promossa dal suddetto G.A., all’epoca ancora in vita, a seguito della notificazione in
data 8 marzo 2001 su istanza di Di. P. dell’atto di precetto sulla base di titolo esecutivo giudiziale
che l'aveva condannato al pagamento delle spese processuali del relativo giudizio per l'importo di £
2.903.600 (pari ad € 1.499,58).
L'opposizione era stata proposta da G.A., con la deduzione che il credito vantato dal di Di P. doveva
intendersi estinto a titolo di compensazione con un proprio maggior controcredito di £ 13.279.180
(pari ad € 6.858,12), discendente da un decreto ingiuntivo, emesso il 15 dicembre 1999 dal
Tribunale di Avezzano e dichiarato provvisoriamente esecutivo, ancorchè gravato da opposizione.
Più precisamente, la sentenza della Corte territoriale, in parziale accoglimento dell’impugnazione
incardinata avverso la decisione di primo grado, aveva ritenuto che, quanto alla somma capitale
precettata dal Di P. fosse intervenuto un effetto compensativo-estintivo a fronte del passaggio in
giudicato della sentenza con cui era stata rigettata l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo ed in
forza della quale il controcredito eccepito da G.A. era, pertanto, divenuto certo ed incontrovertibile.
La Corte d’Appello fissava la decorrenza dell’effetto estintivo soltanto dal momento del passaggio
in giudicato della sentenza di rigetto dell'opposizione al decreto, individuato nella data del 31
dicembre 2004 e non dal momento della proposizione dell'opposizione al precetto da parte del G.A.,
ditalché, non potevano ritenersi non dovute le spese esposte nel precetto, giacché al momento
dell'opposizione l'effetto estintivo non si era verificato.
Gli eredi di G.A. interponevano quindi ricorso per Cassazione, lamentando che, erroneamente, la
Corte territoriale avrebbe individuato nel passaggio in giudicato il dies a quo per il prodursi
dell’effetto estintivo.
Di converso, nella prospettazione dei ricorrenti, l’operatività della compensazione doveva farsi
risalire all’insorgere del credito del Di P., con la conseguenza che già al momento dell'intimazione
34
35
Cass. ord. 18001/15.
Corte App. L’Aquila 9 gennaio 2007.
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del precetto il diritto di procedere all'esecuzione non sarebbe stato esistente e, dunque, le spese
relative non avrebbero potuto ritenersi giustificate e dovute.
Orbene, nell’esaminare il ricorso, i giudici di legittimità hanno preso le mosse dal consolidato
insegnamento per cui, se il titolo esecutivo è di formazione giudiziale, non possono dedursi in
compensazione controcrediti che:
a) in ragione della loro fattispecie costitutiva avrebbero potuto dedursi con la formulazione di
un'eccezione di compensazione nell’ambito del giudizio che ha portato alla formazione del titolo,
compatibilmente con le preclusioni che eventualmente regolavano il giudizio che ha portato alla
formazione del titolo esecutivo, se quest'ultimo non è più in discussione nel procedimento che ha
portato alla sua formazione;
b) che eventualmente, in ragione del momento di nascita del controcredito siano ancora deducibili
quale fatto sopravenuto, nel giudizio in cui in ipotesi sia ancora in discussione il titolo esecutivo
giudiziale.
Ne discende che, qualora l’esecutato intenda avvalersi solo nella fase dell’opposizione
all’esecuzione promossa sulla base di un titolo giudiziale, di un controcredito insorto prima del
giudizio che ha dato luogo al suddetto titolo andrà incontro a una serie di preclusioni.
Ed infatti, nel caso in cui l’esecuzione poggi su un titolo definitivo, la certezza dei rapporti giuridici
per come irrevocabilmente accertati non può essere minata da fatti che avrebbero potuto e dovuto
farsi valere tempestivamente nel giudizio che ha portato alla cosa giudicata.
Nel caso di titolo ancora sub iudice, invece, i principi di concentrazione del processo e di effettività
del diritto di difesa, impongono che l'eccezione di compensazione sia sollevata nel giudizio di
cognizione.
Pertanto, in sede di esecuzione può farsi luogo a compensazione, solo allorché il debitore opponga
un credito che non avrebbe potuto opporre nel giudizio di cognizione concluso con la sentenza in
base alla quale l'esecuzione è stata promossa.
Orbene, nel caso di specie il credito precettato dal Di P. era relativo a spese giudiziali liquidate dalla
stessa Corte di Cassazione e, quindi, coperto da cosa giudicata; il controcredito opposto in
compensazione, invece aveva fonte in un decreto ingiuntivo emesso in data antecedente alla
pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione e, quindi certamente anteriore alla formazione
del giudicato sulle spese giudiziali.
Tuttavia, la Quinta Sezione invoca il risalente principio per cui: “la condanna al pagamento delle
spese giudiziali e conseguenza della soccombenza, ed il relativo credito non è, pertanto, accertato
in esito ad un contraddittorio in cui la controparte avrebbe potuto far valere in compensazione un
suo credito. Consegue che al creditore che agisce esecutivamente per il recupero delle spese
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giudiziali, in forza di sentenza passata in giudicato, l'esecutato può opporre in compensazione un
suo credito anteriore alla formazione di quel giudicato, sempre che l'esistenza di tale credito non
sia stata dedotta o non si sarebbe dovuta dedurre nel processo definito con la sentenza passata in
giudicato quale fatto estintivo in tutto o in parte del credito fatto valere in quel processo”36.
Ne consegue che la deducibilità del controcredito vantato da G.A. nel giudizio di opposizione
all’esecuzione non poteva essere preclusa dall’anteriorità al formarsi del giudicato sulla sentenza
che liquidava le spese giudiziali vantate poi con atto di precetto dal Di. P.
Tanto premesso, la Corte di Cassazione viene ad esaminare il tratto di maggiore peculiarità,
rappresentato dalla circostanza che il controcredito opposto prima da G.A. e poi dai suoi eredi era
ancora oggetto di accertamento nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Ed invero, mentre il Tribunale aveva recisamente escluso l’eccepibilità in compensazione del
controcredito in quanto ancora sub iudice, la Corte di Appello, invece, aveva opinato nel senso di
un’eccepibilità sopravvenuta alla formazione del giudicato sul rigetto dell’opposizione a decreto
ingiuntivo.
Di contro, ad avviso dei giudici di legittimità, proprio il Tribunale, investito dell'opposizione al
precetto, avrebbe dovuto considerare innanzitutto pienamente ammissibile il motivo di opposizione
basato sulla sussistenza del controcredito, pur essendo in corso il giudizio di opposizione al decreto
ingiuntivo, e disporre, quindi la riunione dei due giudizi pendendo entrambi dinanzi al medesimo
ufficio.
All’unitaria trattazione dei due giudizi sarebbe potuta poi seguire un'unica decisione su entrambe le
cause e, quindi: nel caso di rigetto dell'opposizione al decreto ingiuntivo con il riconoscimento della
eccezione di compensazione ed il rigetto anche dell'opposizione all'esecuzione oppure con la
pronuncia sull'opposizione all'esecuzione con il suo rigetto con riserva del successivo accertamento
nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo del controcredito. Tale riserva, nel caso di rigetto
dell'opposizione al decreto, implica la caducazione della pronuncia di rigetto dell'opposizione
all’esecuzione con riserva.
Se il giudizio di opposizione al decreto, invece, fosse stato pendente dinanzi ad un diverso ufficio,
essendo la questione della compensazione necessariamente pregiudicata dall'esito dell'accertamento
sul controcredito e non potendo, il Tribunale, declinare la competenza sull'opposizione a favore
dell'altro giudice ai sensi dell'art. 40 c.p.c., per essere la competenza territoriale sull'opposizione a
precetto di natura inderogabile ex art. 27 c.p.c., si sarebbe dovuta fare applicazione, previa
valutazione delle condizioni per la compensabilità, di un principio similare a quello di cui all'art. 35
c.p.c.
36
Cass. n. 2990/77.
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La Suprema Corte, quindi, evocando l’art. 35 c.p.c. mostra di non condividere il granitico
orientamento secondo cui la compensazione giudiziale, prevista dal secondo comma dell'art. 1243
c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la
compensazione è fatta valere, e non può fondarsi su di un credito la cui esistenza dipenda dall'esito
di un separato giudizio in corso e che, perciò, non è liquidabile se non in quella sede37.
3.2 Il dissenso muove, in primis, dalla riparametrazione della portata dell’art. 1243, II° co.,
c.c., suscettibile di ricomprendere diverse ipotesi.
La prima è quella in cui il credito principale non sia contestato, o comunque sia immediatamente
accertabile, ed il controcredito eccepito in compensazione sia di importo maggiore e a sua volta con
immediatezza da ritenere parzialmente esistente ad esempio, per mancata contestazione parziale o
per evidenza documentale che non ammetta ulteriore istruzione.
In questo caso, il giudice dichiara la compensazione tra i due crediti fino concorrenza per la parte
che riconosce, lasciando tuttavia aperta la questione sulla parte del suddetto controcredito non
ancora accertata.
La seconda ipotesi afferisce al caso in cui, premessa l’immediata accertabilità dei crediti, quello
opposto in compensazione è invece di importo minore rispetto a quello principale, ditalchè con
un’unica pronuncia si statuirà definitivamente su entrambi.
Infine, sovviene il caso in cui il credito principale è incontestato o comunque di facile accertabilità e
quello eccepito in compensazione, sia esso di importo minore, uguale o superiore, solo in parte è di
facile e pronta liquidazione.
In questo caso il codice prevede che qualora ricorrano le condizioni per dichiarare la
compensazione fra i due crediti solo in parte e, precisamente per un importo che non assorbe
comunque l'intero credito principale, il giudice provvede dichiarando la compensazione per la parte
di controcredito accertata, lasciando intendere, che per la parte ulteriore di credito principale deve
farsi luogo frattanto a condanna, salva la prosecuzione dell'accertamento sull'ulteriore parte del
controcredito.
Ed invero, evidenzia la Quinta Sezione, l’inciso “può sospendere la condanna per il credito
liquido”, implica una facoltà e dunque una scelta per il giudice di “soprassedere alla condanna
per la parte del credito principale riguardo alla quale la compensazione non è pronunciabile allo
stato e far viaggiare gli accertamenti sui due crediti unitariamente ovvero di non sospendere la
condanna per il credito principale per la parte riguardo alla quale la compensazione allo stato non
può operare, per essere il controcredito ancora da accertate. Ne segue, dunque, che l'art. 1243, II°
co., c.c., ammette che per il credito principale si possa, oltre a dichiarare l'estinzione fino a
37
Cass. n. 431782 e n. 4532/78.
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concorrenza della parte di controcredito di immediato accertamento, anche disporre la condanna
per il residuo”38.
A questo punto diventa dirimente intendersi sul significato di questa condanna e precisamente se sia
una condanna sic et simpliciter, cioè del tutto sganciato dall’esito del successivo accertamento della
parte residua di controcredito, con la conseguenza che ove tale parte venisse poi accertata la
compensazione, nonostante la coesistenza in toto di entrambi i controcrediti, non potrà più operare;
oppure se si tratti di una condanna con riserva dell’eventuale accertamento della parte residua del
controcredito.
Orbene, proprio il principio della domanda, impone che la condanna per il credito principale per la
parte riguardo alla quale l'effetto compensazione non può operare in limine litis non possa essere
sganciata dall'esito del successivo accertamento del controcredito.
Pertanto, i giudici di legittimità hanno ritenuto di dover propendere per la tecnica della condanna
con riserva.
In concreto, tale soluzione comporta che quando il giudice dichiara la compensazione per la parte
accertata del controcredito con una parte del credito principale e contemporaneamente fa luogo a
condanna per la parte residua, siffatta condanna sarà soggetta all'incidenza del successivo
accertamento della parte residua del controcredito e delle condizioni della compensazione.
Va infatti ricordato che il giudice investito di più domande ben può deciderne alcune e disporre la
prosecuzione sulle altre, ai sensi del sopracitato art. 274 c.p.c.
Ciò posto, i giudici di legittimità hanno altresì osservato che l'art. 1243 c.c. non si occupa di
disciplinare in alcun modo né la situazione in cui la deduzione del controcredito eccepito in
compensazione e contestato, appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello adito, né la
situazione in cui detta deduzione riguardi un controcredito che già sia oggetto di contestazione e,
dunque, accertando, in altro giudizio pendente davanti a diverso ufficio giudiziario.
In questi casi occorrerà pertanto, riferirsi alla disciplina processualistica, venendo in rilievo l’art. 35
c.p.c. che disciplina il caso in cui eccepita la compensazione, sull'accertamento del controcredito sia
competente un giudice superiore rispetto a quello competente sul credito principale.
La norma, se il valore del credito opposto in compensazione esorbita dalla competenza del giudice
della domanda principale, prevede tre alternative, la prima di non contestazione del credito eccepito
in compensazione, nel qual caso la deduzione del medesimo resta sul piano dell'eccezione e quindi,
il problema della competenza non viene in rilievo e la situazione è riconducibile allo stesso art.
1243, II° co., c.c.
38
Così in parte motiva a pagina 17 della sentenza Cass. n. 23573/13.
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La seconda, relativa al caso in cui il credito eccepito in compensazione venga contestato, da ciò
derivando la trasformazione dell'eccezione di compensazione in domanda di accertamento del
credito. In quest’ipotesi si addiverrà ad una pronuncia sul credito principale con riserva
dell'eccezione di compensazione del controcredito e la rimessione dell'accertamento su di esso al
giudice competente e ciò sempre che il titolo della domanda relativa al credito principale sia
incontroverso o facilmente accertabile. Pertanto, sarà il giudice superiore a decidere sulla
sussistenza delle condizioni ulteriori rispetto a quella relativa all'omogeneità dei due crediti.
Infine, la terza che pur presupponendo la contestazione del credito eccepito in compensazione,
opera in mancanza delle condizioni di cui all’ipotesi che precede ed impone dunque la rimessione
dell'intero cumulo di cause al giudice superiore cui competerà procedere ad una decisione unitaria.
Coì richiamata la disciplina emergente dall'art. 35 c.p.c. che ammette la possibilità che venga
dedotto un controcredito esorbitante la competenza del giudice adito competente sul credito
principale, la negazione della deducibilità del credito sub iudice evidenzierebbe “non solo
un'irragionevole disciplina di diritto sostanziale, perché situazioni aventi lo stesso presupposto,
cioè la contestazione del controcredito, verrebbero trattate diversamente, ma anche
un'irragionevole disciplina di diritto processuale, con conseguente lesione del diritto di difesa”39.
Il Collegio ritiene quindi che proprio dal combinato disposto degli artt. 1243, II° co., c.c. e 35 c.p.c.
si ricavino le regole idonee a gestire l'ipotesi di deduzione in compensazione del credito già sub
iudice, ditalchè se il controcredito è oggetto di giudizio pendente davanti allo stesso ufficio
giudiziario investito della domanda sul credito principale e sussistono le condizioni di cui all'art.
274 c.p.c., si procederà alla riunione dei processi dando luogo ad una situazione assolutamente
identica a quella supposta dall'art.1243, II° co., c.c.
Ove la riunione non possa avere luogo per lo stato in cui si trova l'altro processo, le soluzioni
saranno quelle indicate dall'art. 35 c.p.c. per l'ipotesi in cui non si debba fare luogo al simultaneus
processus e che sono, del resto, consentite dal secondo comma seconda parte dell'art. 1243, II° co.,
c.c., ma con un adattamento.
Il giudice dovrà far luogo alla condanna con riserva quanto al credito principale, ma ad essa
accompagnerà la rimessione sul ruolo della controversia riguardo all'accertamento della
compensazione, in attesa della definizione dell'altro giudizio sul controcredito
Poiché tale accertamento è necessariamente subordinato all'accertamento del controcredito si
giustificherà la conseguente sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c. del giudizio per questa parte
non definito, fino alla definizione dell'altro giudizio nel quale si accerterà la fattispecie costituiva
del controcredito.
39
Così in parte motiva a pagina 22 della sentenza n. 23573/13.
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Qualora il giudizio sul controcredito eccepito in compensazione penda davanti ad altro ufficio
giudiziario, v'è in primo luogo la possibilità di applicare l’art. 40 c.p.c., qualora non sia possibile
come nel caso di competenza inderogabile sulla domanda relativa al credito principale oppure nel
caso in cui uno dei giudizi penda in grado di impugnazione, il coordinamento dovrà avvenire
mediante la condanna con riserva sul credito principale, rimessione sul ruolo della decisione sulla
sussistenza delle condizioni della compensazione e sospensione ai sensi rispettivamente dell'art. 295
c.p.c. e dell'art. 337, II° co., c.p.c. del giudizio per questa parte, in attesa della definizione di quello
sul controcredito.
Pertanto, in base a tali principi, la Quinta Sezione concludeva affermando la deducibilità in
compensazione da parte di G.A. del controcredito ancorchè sub iudice alla quale sarebbe dovuta
seguire la valutazione di cui all'art. 274 c.p.c. e, per il caso che essa non fosse stata possibile, il
rigetto dell'opposizione all’esecuzione con riserva dell'accertamento del controcredito, seguito da
rimessione sul ruolo della sola questione di compensazione in attesa della definizione dell'altro
giudizio.
Non essendo stato seguito tale modus procedendi, una volta accertato il controcredito in via
definitiva, l'effetto estintivo avrebbe dovuto essere ritenuto operante fin dalla coesistenza delle
fattispecie costitutive, con la conseguenza che l'attività di precettazione non era sorretta in quel
momento dal diritto di procedere esecutivamente e, quindi, in alcun modo le spese ad esso relativo
avrebbero potuto essere ritenute dovute.
Volendo quindi trarre le fila della dissonante sentenza, la Suprema Corte pare aderire alla visione
chiovendiana40 di una riserva ad separatum configurando come necessaria l’instaurazione ex novo
del giudizio sull’eccezione di compensazione, così come lascia intendere l’enunciato “rimessione
sul ruolo della decisione sulla sussistenza delle condizioni della compensazione”41.
Del resto, secondo i giudici di legittimità, il ricorso all’interpretazione analogico-estensiva dell’art.
35c.p.c., sarebbe l’unica via per fugare i dubbi di costituzionalità paventati in relazione agli artt. 3 e
24 Cost., poiché pur a fronte di un medesimo presupposto, ossia la contestazione del controcredito,
si addiverrebbe ad un diverso trattamento.
La compensazione giudiziale, di cui all’art. 1243 secondo comma c.c., presuppone l’accertamento
del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione medesima è fatta valere,
mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in
corso42.
40
CHIOVENDA, Azioni sommarie. La sentenza di condanna con riserva (1915), in Id., Saggi di diritto processuale
civile, I, Milano, 1993, 123 ss.;
41
MASCIANGELO, in op. cit., 439.
42
Cass. n. 431/82 e n. 4532/78.
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In tale ipotesi, pertanto, resta esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul
credito oggetto della domanda principale, e va parimenti esclusa l’invocabilità della sospensione
contemplata in via generale dall’art. 295 o dall’art. 337, II° co., c.p.c., in considerazione della
prevalenza della disciplina speciale del citato art. 1243.
La sospensione del 2 comma dell’art. 1243 c.c., pertanto, non si concretizza nel provvedimento di
cui all’art. 295 c.p.c., bensì nel semplice ritardare di fatto la decisione
4. Così ricostruita la sentenza che ha dato luogo al contrasto, occorre ora soffermarsi sull’iter
argomentativo attraverso il quale le Sezioni Unite43, con la pronuncia n. 23225 del 15 novembre
2016, hanno ribadito i consolidati principi di diritto in tema di compensazione confutando,
anzitutto, la pretesa applicazione analogica dell’art. 35 c.p.. allorchè si versi nelle condizioni di cui
all’art. 1243 , II° co., e tuttavia il controcredito opposto sia sub judice e dunque privo del requisito
della certezza.
Tale impostazione ermeneutica, acclara la Corte nella sua massima composizione, non sarebbe
predicabile poiché la disciplina sostanziale dettata dagli artt. 1241 e ss. c.c. non s’interseca con le
norme sulla competenza cui appartiene l’art. 35 c.p.c.
Infatti, la contestazione incidente sul controcredito opposto in compensazione, cui si riferisce il
secondo comma dell’art. 1243 c.c., è solo quella attinente alla liquidità del credito e non anche
quella della sua esistenza.
Ai sensi della norma su richiamata, il giudice del credito principale solo la possibilità o di dichiarare
la compensazione per la parte di controcredito già liquida, o di sospendere, eccezionalmente, la
condanna del credito principale fino alla liquidazione di tutto il credito opposto in compensazione,
ma non anche quella di ritardare la decisione sul credito principale fino al definitivo accertamento,
da parte di egli stesso o di altro giudice, dell'esistenza di quello opposto in compensazione.
Del resto, ove così non fosse il sintagma di “pronta e facile liquidazione” avrebbe valore
meramente retorico e pleonastico nè d' altro canto può applicarsi analogicamente la disciplina
dell’art. 35 c.p.c., non potendosi ravvisare un’eadem ratio in relazione all’art. 1243, II° co., c.c..
Tanto premesso, le Sezioni Unite censurano altresì il ricorso al meccanismo della condanna con
riserva siccome non previsto dalle norme sulla modificazione della competenza per ragioni di
connessione, contenute nel libro Primo, Sezione IV, del codice di rito e non confacente al principio
sotteso all’art. 1243, II°co., c.c.
E’ immanente nella norma che ai fini dell’operare della compensazione giudiziale, il giudice
competente per il credito principale deve esserlo anche per il credito opposto in compensazione, con
43
SS. UU. n. 23225/16.
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conseguente indeducibilità dell’eccezione di compensazione fondata su un credito la cui certezza
dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso.
Tale interpretazione dell'art. 1243, 2 co., c.c. non solo non collide con la disposizione contenuta
nell'art. 35 c.p.c., ma ne costituisce conferma.
La norma processuale prevede che se il giudice non è competente sul controcredito eccepito ed
ancora sub judice ed il credito principale è fondato su titolo non controverso o facilmente
accertabile decide prontamente su di esso conformemente all'esigenza desumibile anche dall'art.
1243, 2 co., c.c., di decidere il più rapidamente possibile sul credito, se del caso subordinando la
condanna ad una cauzione, e quindi non ne sospende la decisione, nè ai sensi dell'art. 295 c.p.c., nè
ai sensi dell'art. 337, co. 2, c.p.c. e rimette la decisione sull'eccezione al giudice competente.
Se invece il credito principale non è fondato su titolo non controverso o facilmente accertabile,
rimette la decisione su entrambi i crediti al giudice competente sul credito opposto in
compensazione, a norma dell'art. 34 c.p.c., a cui rinvia l'art. 35 c.p.c., u.c., che così assume la
configurazione di eccezione riconvenzionale di compensazione.
Pertanto, sia l'art. 1243 c.c., 2 co., c.c. sia l'art. 35 c.p.c., prevedono che a decidere i contrapposti
crediti sia il giudice dinanzi al quale essi sono contemporaneamente dedotti, mentre il meccanismo
previsto dall'art. 35 c.p.c., è attivabile nel solo caso in cui il giudice del credito principale non possa
conoscere di quello opposto in compensazione.
Alla luce dell'esaminata disciplina, cade anche l'argomento contenuto nella sentenza n. 23573 del
2013 della disparità di trattamento tra credito opposto contestato nel giudizio sul credito principale e
credito opposto già contestato in giudizio pendente davanti ad altro giudice.
Si deve quindi concludere che le norme di cui agli artt. 34, 35, 36, 40, 295 e 337 c.p.c., sia che la
controversia sull'esistenza del controcredito sorga nel giudizio sul credito principale, sia che già
penda dinanzi ad un giudice di pari grado o superiore, non rilevano sulla speciale disciplina
delineata dall'art. 1243 c.c., co. 2, perchè le norme sulla competenza per accertare l'esistenza del
controcredito sono estranee alla compensazione giudiziale.
5. Ad una prima lettura della recente pronuncia delle Sezioni Unite, ciò che emerge è la netta
censura di quella commistione tra il piano sostanziale ed il piano processuale che aveva imperniato
il revirement del 2013.
Il Massimo Consesso ha ribadito, infatti, la piena autonomia tra l’art. 1243, II° co, c.c. e l’art. 35
c.p.c. negando qualunque ruolo suppletivo o vicario della seconda in relazione alla prima.
L’invocazione in via analogica della norma processuale per l’ipotesi in cui si deduca un
controcredito oggetto di contestazione in un giudizio incardinato dinanzi ad un diverso Ufficio
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Giudiziario è del tutto preclusa dalla Suprema Corte che non ravvisa un’eadem ratio tra le
disposizioni.
Del pari criticato è il meccanismo della condanna con riserva ad separatum poiché l’eccezione di
compensazione non configura un presupposto di natura logico-giuridica sui requisiti del credito
principale il cui accertamento giustifichi il sacrificio delle ragioni di tutela di questo oltre i limiti
previsti dalla stessa norma, ossia la possibilità di procrastinare, cautelativamente, la condanna ad
adempiere del debitore fino alla pronta e facile liquidazione nel medesimo processo del credito
opposto in compensazione44.
Pertanto, la facoltà di sospendere la decisione sulla causa principale fino al passaggio in giudicato
del giudizio sul controcredito, come se questo pregiudicasse, in tutto o in parte, l'esito della causa
sul credito principale integrerebbe una distorsione nel dato testuale dell’art. 1243, II° co., c.c. e dei
principi ad esso sottesi.
Ed invero, volendo leggere tra le righe da un lato della sentenza n.23573/2013 e dall’altro della
pronuncia a Sezioni Unite n. 23225/16 dello scorso novembre è possibile cogliere il tentativo di
voler contemperare le opposte esigenze nella prima a favore della parte che eccepisce un
controcredito ancora in contestazione e a favore del creditore che agisce sulla scorta di un credito
già certo nella seconda.
A fronte di queste due tensioni, pare che l’ago della bilancia debba propendere per le conclusioni
rassegnate dalle Sezioni Unite, poiché la soluzione propugnata dalla Quinta Sezione, ricavando
implicitamente dalla formula “può sospendere la condanna sul credito principale” la possibilità di
una condanna con riserva ad separatum, seppur preordinata a garantire la concentrazione dei
processi e l’effettività della tutela di chi oppone in compensazione un controcredito ancora sub
judice, si risolve in una forzatura della cornice letterale dell’art. 1243, II° co., c.c. e dunque, in
un’inammissibile interpretazione creatrice della norma.
Pertanto, se l'esistenza del controcredito opposto in compensazione è controversa in un giudizio
pendente dinanzi ad un altro ufficio giudiziario ovvero pur pendendo dinanzi al medesimo ufficio
non sia possibile la riunione o comunque il controcredito non sia di facile e pronta liquidazione, il
giudice competente per il credito principale non potrà dichiarare né la compensazione legale né
quella giudiziale.
In tali ipotesi, resta peraltro esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul
credito oggetto della domanda principale, e va parimenti esclusa l’invocabilità della sospensione
contemplata in via generale dall'art. 295 c.p.c., o dall'art. 337, I° co, c.p.c. in considerazione della
prevalenza della disciplina speciale del citato art. 1243 c.c
44
In tal senso cfr. Cass. n. 16844/12 e n. 25272/10.
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