2013 22 Giugno 2013 NOTIZIARIO
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2013 22 Giugno 2013 NOTIZIARIO
Dirigenti Scolastici NOTIZIARIO NAZIONALE N. 039/ 2013 2013 – 22 Giugno 2013 R. Ciuffreda - Coordinamento Nazionale STRUTTURA COMPARTO NAZIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI FLC IN PRIMO PIANO 01. Camusso: "Basta annunci senza scelte". Lavoro, al via la 'marcia' di Cgil-Cisl-Uil 02. Dirigenti scolastici: valutazione, i sindacati chiedono un incontro al MIUR 03. Il protocollo di intesa sottoscritto da UPI e ANP è un atto da ritirare MANOVRA - MEF – F.P. RAPPORTI STATO - REGIONI – NOTIZIE ESTERO 04. "Decreto del fare": timidi segnali positivi per le assunzioni negli enti di ricerca e università ma per le scuole continuano i tagli 05. Pubblica Amministrazione: CGIL, inaccettabile proroga del blocco della contrattazione 06. Scuola: NO al blocco dei contratti NOTIZIE NAZIONALI 07. Finanziamenti economie MOF alle scuole: firmata l’Intesa sulle 08. Finanziamenti alle scuole: in arrivo la nota del MIUR sul pagamento dei supplenti e delle ferie 09. Precari scuola. 59.000 assunzioni in 4 anni: ancora troppo poche 10. Concorso 24 mesi ATA 2012/2013: nessun rinvio all'anno successivo del riconoscimento giuridico del servizio 11. Bisogni educativi speciali: convocato l’incontro per il 26 giugno 2013 12. Emergenza infanzia: un primo segnale da Palazzo Chigi SPAZIO FAQ E GIURISPRUDENZA 13. Tribunale di Milano – Ordinanza del 12 giugno 2013 – Fusari – Diritto scolastico NAVIGANDO IN RETE 14. Se un viaggiatore finlandese in una calda giornata di giugno … A proposito di “maturità” e prima prova -di Antonio Valentino 15. Per le nuove scuole soldi e idee. Era ora - Luigi Berlinguer 16. Politicamente corretto... Note a margine delle dichiarazioni programmatiche del Ministro M.C.Carrozza alle Camere - di Giancarlo Cerini – scuola oggi 17. Tra Orwell e Young. Incubi per chi insegna - di Benedetto Vertecchi - Tuttoscuola, XXXVIII, 530, 2013 18. Scuola, per cambiarla coinvolgere tutti i protagonisti - di B. Vertecchi 19. Occorre un curricolo verticale per consentire ai giovani di conseguire le competenze di cittadinanza Maurizio Tiriticco 20. La scuola è morta, viva la scuola - Franco De Anna N.B. PER MOTIVI TECNICI, IL NOTIZIARIO NAZIONALE E GLI ALLEGATI SONO ARCHIVIATI ED ACCESSIBILI SUL SITO REGIONALE FLC LOMBARDIA Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968 • MANIFESTAZIONE 22 GIUGNO 2013 INTERVENTO INTEGRALE CAMUSSO • decreto legge del 15 giugno 2013 sviluppo semplificazione e giustizia civile • intesa miur sindacati scuola economie mof 2011 2012 e pratica sportiva 2012 2013 del 20 giugno 2013 • nota 5954 del 17 giugno 2013 concorso 24 mesi personale ata • Tribunale di Milano – Ordinanza del 12 giugno 2013 Soccombenza virtuale e rifusione delle spese giudiziali. *********** IN PRIMO PIANO 01. Camusso: "Basta annunci senza scelte". Lavoro, al via la 'marcia' di Cgil-Cisl-Uil E' la giornata della protesta unitaria nella Capitale, dopo 10 anni, dei tre sindacati di nuovo insieme: Cgil, Cisl e Uil. Oltre 100 mila persone in marcia per il lavoro e per un fisco più equo, arrivate nella capitale anche con 1.400 pullman e voli aerei e navi 'speciali'. I partecipanti si sono raccolti a piazza della Repubblica e a piazzale dei Partigiani, per poi percorrere due tragitti distinti e incontrarsi, alla fine, alle 11.30 circa, a piazza di porta San Giovanni, dove è stato allestito il palco per gli interventi finali. Presenti i tre segretari generali, Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil) per chiedere provvedimenti "urgenti e indispensabili" al governo. Per i sindacati non c'è più tempo da perdere, "bisogna frenare la caduta libera dell'economia del nostro paese" rivedendo immediatamente questioni come gli investimenti, la redistribuzione del reddito e la ripresa dei consumi. Il leader del sindacato alla manifestazione a Roma: "Siamo in piazza perché il Paese ha bisogno di risposte rapide. I provvedimenti del Governo non vanno bene: sono continui annunci che non si traducono in un vero cambiamento". Oltre 100 mila le persone arrivate da ogni parte d'Italia "Non vanno bene i continui annunci che non si traducono in una scelta che dia il senso del cambiamento". La leader della Cgil, Susanna Camusso, riassume così il senso della manifestazione unitaria a Roma. "La priorità, dice, deve essere "una restituzione fiscale a lavoratori dipendenti e pensioni". "Al Paese servono risposte rapide che lo aiutino a uscire dalla crisi, non continui annunci". "Siamo in piazza - ha continuato Camusso - perché il paese ha bisogno di risposte rapide. I provvedimenti del Governo non vanno bene: sono continui annunci che non si traducono in un vero cambiamento". "Sul terreno del lavoro - ha aggiunto - si possono fare cose importanti anche senza risorse, come la clausola sociale sugli appalti e la garanzia per i lavoratori che non perdano il posto in quelle situazioni. Invece si fa una discussione sulla flessibilità che non è utile per fare ripartire l'economia. Oggi manifestiamo e vediamo quali risposte arriveranno, ma i sindacati sono convinti che senza risposte si perde tempo e si aggrava la crisi. La situazione non sta ferma in attesa e peggiora", ha concluso Camusso. Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968 • MANIFESTAZIONE 22 GIUGNO 2013 INTERVENTO INTEGRALE CAMUSSO *********** 02. Dirigenti scolastici: valutazione, i sindacati chiedono un incontro al MIUR I sindacati intendono affrontare le questioni connesse alla partecipazione al progetto sperimentale Vales e quelle derivanti dal DPR sul sistema nazionale di valutazione. Le Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dell’Area V della dirigenza scolastica (FLC CGIL, CISL Scuola, SNALS CONFSAL, UIL Scuola) hanno chiesto al Ministro, al capo di Gabinetto ed al Direttore per il personale un incontro urgente per affrontare le questioni relative alla valutazione dei dirigenti scolastici. Questo per evitare che, mentre non è stato mai dato seguito alla valutazione prevista nell’articolo 20 del CCNL 2002/2005, tutt’ora in vigore, in modo inopportuno sia tirata in ballo la valutazione dei dirigenti scolastici in progetti quali Vales o in attuazione del DPR sul Sistema Nazionale di Valutazione. Con la richiesta di incontro, i sindacati intendono attivare sull’argomento la procedura di concertazione prevista dall’articolo 5 del CCNL dell’11 aprile 2006, poi integrato dall’articolo 3 del CCNL dell’Area V del 15 luglio 2010. ____________________ FLC CGIL - CISL SCUOLA - SNALS CONFSAL - UIL SCUOLA Roma, 17 giugno 2013 On. Maria Chiara Carrozza Ministro dell’Istruzione, della Università e della Ricerca Dott. Luigi Fiorentino Capo Gabinetto Ministero dell’Istruzione, della Università e della Ricerca Dott. Luciano Chiappetta Direttore Generale per il Personale Scolastico Ministero dell’Istruzione, della Università e della Ricerca Viale Trastevere, 76 a 00153 Roma Le scriventi Organizzazioni Sindacali rappresentative dell’Area V della Dirigenza scolastica chiedono un incontro urgente per affrontare le problematiche della valutazione dei dirigenti scolastici connesse alla partecipazione al progetto sperimentale Vales e quelle derivanti dal DPR sul sistema nazionale di valutazione. Si segnala che la stessa presentazione del progetto Vales richiama la validità sia dell’art. 25 del DLgs 165/2001 sia dell’art. 20 del CCNL 2002-2005 non modificato dal vigente CCNL 2006-09. La presente richiesta è inviata ai sensi del comma 3 dell’art.5 CCNL 2002-2005 non modificato nel punto specifico dall’art.3 del vigente CCNL2006-09. Si preannuncia l’intenzione delle scriventi Organizzazioni Sindacali di chiedere la procedura di concertazione prevista dal comma 4 del citato art.5 del CCNL 2002-05. Si resta in attesa di un cortese riscontro e si porgono distinti saluti. I Responsabili dei Dirigenti Scolastici di FLC CGIL Gianni Carlini CISL SCUOLA Mario Guglietti UIL SCUOLA Rosa Cirillo *********** SNALS CONFSAL Pasquale Ragone 03. Il protocollo di intesa sottoscritto da UPI e ANP è un atto da ritirare I sindacati maggiormente rappresentativi dei comparti della scuola e della dirigenza chiedono all’Unione delle Province d’Italia l’immediato ritiro dell’intesa. Non è ammissibile che l’UPI (Unione delle Province d’Italia), ente riconosciuto come autorevole rappresentante delle province, sottoscriva un' Intesa che riguarda le scuole superiori e i Dirigenti scolastici con una sola organizzazione sindacale non rappresentativa delle scuole autonome e minoranza nell’Area V della dirigenza scolastica. L’intesa, stipulata da un soggetto che non ha alcun potere di rappresentare le scuole, è priva di qualsivoglia fondamento giuridico ed amministrativo e si conforma ad una prospettiva di mero risparmio economico su temi di estrema importanza come la fornitura di servizi fondamentali (energia e comunicazioni) e la sicurezza e la vivibilità delle strutture scolastiche. E’ provato in modo incontestabile da tutte le rilevazioni che è necessario intervenire sulle condizioni materiali in cui viene erogato il servizio pubblico di istruzione. Nelle attuali condizioni ipotizzare che si possa intervenire con una logica di ulteriore risparmio è impensabile. Sul miglioramento è invece indispensabile tornare ad investire. E’ ora di smetterla di scaricare responsabilità sulle scuole e di aumentare le responsabilità dei dirigenti e dei lavoratori impegnati nei servizi caricandoli di incombenze che non hanno a che vedere con lo svolgimento delle funzioni istituzionali delle scuole. I Coordinamenti Nazionali dei Dirigenti Scolastici di FLC CGIL, CISL Scuola, UIL scuola e SNALS CONFSAL, organizzazioni che insieme rappresentano la maggioranza dei dirigenti scolastici, hanno analizzato in un comunicato forma e contenuti del Protocollo di Intesa ed espresso il proprio completo dissenso. I Segretari Generali delle Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori della scuola (FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e SNALS CONFSAL) hanno inoltrato una lettera all’UPI chiedendo l’immediato ritiro del Protocollo di Intesa ed un conseguente confronto di metodo e merito sull’argomento. Riportiamo di seguito il testo del comunicato dei Coordinamenti Nazionali dei Dirigenti Scolastici di FLC CGIL, CISL Scuola, UIL scuola e SNALS CONFSAL. _______________________ Il 13 giugno 2013 l’UPI (Unione delle Province d’Italia), associazione rappresentativa di tutte le province italiane, con esclusione di quelle autonome, e l’ANP (Associazione Nazionale dei Dirigenti), organizzazione sindacale dell’Area V della dirigenza scolastica che rappresenta il 36,33% dei dirigenti hanno firmato un protocollo d’intesa. Desta forte perplessità il fatto che un ente, seppure a natura associativa, ma riconosciuto come autorevole rappresentante delle province, decida di sottoscrivere un’intesa con una sola organizzazione sindacale, oltretutto minoritaria fra i dirigenti scolastici, assumendo e condividendo impegni che riguardano tutte le scuole autonome del secondo ciclo. Le scriventi Organizzazioni Sindacali dell’Area V della dirigenza scolastica, che rappresentano (ultimi dati ARAN sulla rappresentatività 2013-15) il 56,54% dei dirigenti scolastici, denunciano la falsità di quanto asserito dalle parti che hanno sottoscritto il protocollo di intesa: l’ANP non rappresenta la categoria dei dirigenti, ma ne è solamente una delle organizzazioni sindacali rappresentative. Come tale è legittimata a sedere ai tavoli contrattuali e di confronto, ma non certo a rappresentare in via esclusiva una categoria di lavoratori nelle relazioni con altri enti ed istituzioni. Tanto meno l’ANP è rappresentativa delle scuole, che sono dotate di una autonomia di rango costituzionale e si rapportano con gli interlocutori del territorio, istituzionali e non, attraverso gli strumenti delle reti o nelle conferenze di servizio previste dalla legge 241/90. Ad esprimere e rappresentare le scuole autonome sarebbero certamente più titolate associazioni territoriali rappresentative di tutte le istituzione scolastiche, legittimate dalla certezza di una costituzione elettiva e democratica e con regole di funzionamento previste dalla legge. In attesa che il legislatore riprenda il percorso di definizione delle rappresentanze delle scuole autonome, ogni tentativo di sostituirsi ad esse è inopportuno e sbagliato. Un protocollo di intesa fra l’UPI e soggetti non riconosciuti come rappresentativi delle scuole autonome non aiuta peraltro queste ultime a gestire un contesto reso sempre più difficile dalla penuria di finanziamenti e dallo stato delle strutture scolastiche. Soprattutto non è positivo che i temi dell’idoneità dei locali, della manutenzione ordinaria delle scuole e della sicurezza vengano trattati in una mera logica di risparmio, con la presunzione che sia addirittura possibile recuperare risorse per le scuole attraverso il trasferimento ad esse dei fondi, attualmente a disposizione delle province per la manutenzione ordinaria, sulla base della spesa storica. Altrettanto aleatoria è l’ipotesi di ottenere risparmi attraverso la voltura, a carico delle scuole, dei contratti per la fornitura dei servizi telefonici e dell’energia elettrica. Si tratta di risparmi il cui conseguimento appare assai incerto e non sempre, secondo il protocollo, a vantaggio delle scuole. Le scriventi Organizzazioni Sindacali dell’Area V della dirigenza scolastica ritengono invece che la questione della messa in sicurezza delle scuole e del loro mantenimento in condizioni di sicura ed efficace funzionalità richieda sia l’utilizzo di tutte le risorse economiche necessarie, sia il mantenimento in carico alle province delle responsabilità che la legge 23/1996 ha loro assegnato. Quindi non servono fondi assegnati una tantum alle scuole, a prescindere dalle esigenze che eventualmente potrebbero sopraggiungere, ma la certezza che quanto effettivamente serve venga assicurato alle scuole da parte di chi è tenuto a farlo istituzionalmente. Le scuole e i loro dirigenti devono poter indirizzare in modo prioritario il loro impegno sul versante dell’azione didattico - educativa e della sua miglior qualità, non possono esaurire la loro funzione nella ricerca di finanziamenti o nella gestione degli edifici. Il moltiplicarsi incontrollato delle incombenze assegnate alle scuole autonome, lungi dal costituire una valorizzazione del ruolo dei dirigenti e della loro professionalità rischia invece di aumentarne in modo insostenibile carichi di lavoro e responsabilità, su aspetti di prevalente carattere burocratico che non sono sicuramente al centro della loro funzione istituzionale. I coordinatori nazionali Dirigenti Scolastici FLC CGIL Gianni Carlini CISL SCUOLA Mario Guglietti UIL SCUOLA Rosa Cirillo *********** SNALS CONFSAL Pasquale Ragone MANOVRA - MEF – F.P. - RAPPORTI STATO - REGIONI – NOTIZIE ESTERO 04. "Decreto del fare": timidi segnali positivi per le assunzioni negli enti di ricerca e università ma per le scuole continuano i tagli Turn over al 50% ma riduzione, a regime, di 49 milioni di euro sugli appalti delle scuole. Per la FLC CGIL un testo da modificare. Presentiamo ai navigatori un primo commento delle norme specifiche su ricerca, istruzione e università contenute nell’ultima versione a nostra disposizione del decreto legge licenziato dal Consiglio dei Ministri con l’avviso che potrebbe non essere, incredibilmente, ancora quella definitiva. Appena il testo sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale pubblicheremo un’analisi approfondita. Nel frattempo, ci impegneremo per ottenere, tramite emendamenti, cambiamenti significativi del testo. L'articolo 57 - interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese - prevede che il MIUR conceda “contributi alla spesa nel limite del cinquanta per cento della quota relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibile nel Fondo FAR” per attività di ricerca di base, applicata e al potenziamento delle infrastrutture. Le risorse saranno individuate con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Non è quindi chiaro quali saranno i criteri per definire le priorità di questi contributi, ma soprattutto quale sia la reale entità del fondo FAR a cui si potrà attingere. Le voci finanziabili sono troppe con il rischio di una polverizzazione dei contributi. Queste voci appaiono piuttosto l'elenco di una serie di priorità del Ministro che la segnalazione di precisi interventi da attuare a breve termine. In quest'ottica le linee di intervento sono comunque condivisibili, anche se riteniamo che la principale priorità debba essere la valorizzazione della ricerca di base e al sostegno ai giovani ricercatori. L'articolo 58 comma 1 prevede che il turn over degli enti di ricerca e delle università passi dal 20% al 50%. Lo stesso articolo (comma 2) rifinanzia il fondo ordinario delle università e degli enti di ricerca vigilati dal Miur ma taglia le risorse per gli appalti dei servizi delle scuole (comma 5). Sembrerebbe che l'alleggerimento, anticipato di un anno del vincolo del turn over rispetto alla previsione attuale che prevedeva l'incremento al 50% dal 2015, valga per tutti gli enti pubblici di ricerca. Difficile comprendere perché a questo punto non sia stato portato al 100% considerando che si tratta di risorse già nella disponibilità degli enti e degli atenei. Dobbiamo però ricordare che non si tratta dell'unico limite che insiste sulle assunzioni poiché sia gli enti che le università sono penalizzate anche dal tetto di spesa per il personale sulle risorse complessive diventato più penalizzante con i tagli degli ultimi anni. Ad esempio, per le università sussistono ancora i vincoli all'impiego delle risorse liberate dal turn-over definiti dal decreto legislativo n. 49 attuativo della legge 240/2010 i cui indicatori andranno rivisti a breve. Date le difficoltà di bilancio degli atenei e le riduzioni al FFO degli ultimi anni, questi vincoli possono rendere teorico il turn-over al 50% a fronte di atenei che potranno reclutare utilizzando percentuali di molto inferiori di budget. Gli enti di ricerca, invece, sono poi spesso impossibilitati comunque ad assumere perchè hanno dotazioni organiche inadeguate o non hanno turn over come nel caso emblematico dell'INGV. È molto positivo che venga rifinanziato il Fondo per il funzionamento delle università statali per 21,4 milioni nell’anno 2014 e 42,7 milioni a decorrere dall’anno 2015 e il Fondo ordinario degli enti di ricerca per 3,6 milioni nell’anno 2014 e 7,1 milioni a decorrere dall’anno 2015. Il governo risponde così anche alle sollecitazioni contenute nei pareri approvati all'unanimità delle Commissioni cultura di Camera e Senato sulla ripartizione del FOE. Sarebbe stato opportuno rifinanziare il fondo anche degli enti non vigilati dal Miur che sono stati oggetto di tagli lineari da ultimo con la spending review. Si continua a perpetrare questa distinzione anacronistica. Serve infatti un intervento ad hoc che consenta un piano straordinario di reclutamento e stabilizzazioni come abbiamo chiesto da ultimo alle commissioni cultura della Camera e del Senato con il documento unitario di FLC CGIL, CISL FIR e UIL RUA. L’incremento delle risorse per gli Atenei e alcuni Enti Il fondo per il funzionamento delle scuole cosiddetto “capitolone” è ridotto di 25 milioni di euro per il 2014 e di 49,8 milioni di euro per il 2015 sulla parte che finanzia gli appalti delle pulizie. Qualora si dovessero verificare ulteriori risparmi questi saranno utilizzate per incrementare il funzionamento didattico e amministrativo delle scuole o per pagare le supplenze. Gravissimo quindi è che il recupero di risorse avvenga con il taglio degli appalti nelle scuole. L'effetto sarà la perdita di posti di lavoro e un peggioramento dei servizi e della cura degli ambienti scolastici. Non si esita a speculare sulla pelle dei lavoratori, mettendoli gli uni contro gli altri, dal momento che ulteriori risparmi finanzieranno il pagamento delle supplenze saltuarie. Ciò è inaccettabile e dimostra la povertà culturale di chi ha proposto e accettato tale modifica.. Le risorse si devono trovare altrove e subito. L'articolo 58 comma 3 semplifica le procedure di chiamata nel ruolo di ricercatore a tempo determinato di studiosi che siano risultati vincitori di programmi di ricerca di alta qualificazione scientifica. L'intervento era da tempo richiesto dallo stesso CUN perché appariva irragionevole che studiosi vincitori di programmi di ricerca competiti nazionali o internazionali di alta qualificazione, quali ad esempio i progetti FIRB o i bandi ERC, dovessero passare una nuova verifica, del tutto formale, da parte di una commissione nazionale nominata dal Consiglio per essere. Questo determinava l'allungamento dei tempi per il reclutamento dei ricercatori e l'impossibilità, in molti casi, di gestire tempestivamente e con efficacia i fondi di ricerca di cui erano responsabili. L’art. 59 istituisce borse di studio per la mobilità interregionale degli studenti universitari finanziate con 5 milioni di Euro. Rappresenta una inversione di tendenza necessaria. Negli ultimi anni infatti complice la riduzione delle risorse la mobilità tra gli atenei si era ridotta con gravissimo danno per tutti anche in considerazione del fatto che le università non offrono gli stessi corsi di studio. La mobilità degli studenti da sempre dovrebbe essere una precondizione dell'autonomia. Tuttavia, le risorse appaiono esigue e soprattutto sono parte del Fondo di funzionamento ordinario dell'Università che è già sottodimensionato rispetto alle esigenze ordinarie. Ma soprattutto di fronte al tracollo del fondo nazionale per il diritto allo studio sarebbe stato a nostro avviso più importante destinare risorse a quest’ultimo. L'articolo 60 (comma 1) prevede una diversa composizione del fondo ordinario degli atenei facendo confluire in esso le voci di spesa relative alla programmazione dello sviluppo del sistema universitario, il fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti, e il capitolo destinato alle borse di studio universitarie post lauream. Ciò dovrebbe consentire comunque maggiore flessibilità nella gestione del fondo ed evitare che queste risorse eventualmente non utilizzate si possano perdere. È importante, tuttavia, che le risorse in precedenza impegnate per il sostegno ai giovani e alle borse di studio post-laurea vengano confermate come voci autonome nella distribuzione del Fondo di funzionamento ordinario. Il comma 2 e 3 dello stesso articolo prevedono che l'Anvur assolva anche alla funzione di valutazione delle attività amministrative deputate alla CIVIT. Abbiamo sempre detto che il lavoro di valutazione del CIVIT costituiva una duplicazione insensata con l'entrata in funzione dell'ANVUR. Pur ribadendo la nostra contrarietà all'impianto del DLgs 150/2009 e le nostre riserve sull'operato del Anvur riteniamo comunque che non abbia senso che la Civit continui ad operare per gli enti di ricerca non vigilati dal Miur. Serve un riferimento unico per la valutazione di sistema. Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968 • decreto legge del 15 giugno 2013 sviluppo semplificazione e giustizia civile *********** 05. Pubblica Amministrazione: CGIL, inaccettabile proroga del blocco della contrattazione Nicolosi al Governo: riaprire la stagione contrattuale e affrontare le questioni economiche e normative. Da http://www.cgil.it/ Il Parlamento si appresta a varare il parere sul decreto previsto dal Governo Berlusconi e varato da quello Monti con il quale si prorogano di un ulteriore anno tutte le misure economiche e normative varate nel 2010, a partire dal blocco della contrattazione e che stanno determinando una pesante perdita del potere di acquisto delle retribuzioni di 3.300.000 dipendenti pubblici oltre che l'impossibilità di gestire i processi di riforma della Pubblica Amministrazione. Per il sindacato un ulteriore anno di proroga del blocco della contrattazione “è assolutamente inaccettabile e la manifestazione di sabato prossimo lo dimostrerà” ha dichiarato il Segretario Confederale della CGIL, Nicola Nicolosi, che ha aggiunto: “occorre che il Governo in carica si esprima su questo tema evitando le 'tante voci' che si sono sentite negli ultimi tempi, riaprendo la stagione contrattuale ed in quella sede affrontando le questioni economiche e normative”. Per Nicolosi “il blocco della contrattazione è tanto più inaccettabile mentre continuano ad essere in vigore norme introdotte per legge che intervengono pesantemente sulla contrattazione mutilandola. Si tratta di misure legislative che vanno rapidamente cassate prima dell'avvio della stagione contrattuale”. “Chiediamo - ha concluso Nicolosi - un incontro al massimo livello per affrontare queste problematiche che impegnano il Governo nella sua collegialità”. *********** 06. Scuola: NO al blocco dei contratti Lo ribadiscono in un comunicato unitario i sindacati dopo il parere favorevole all’ulteriore blocco dei contratti e delle retribuzioni dei dipendenti pubblici espresso delle Commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera dei deputati. I Segretari generali dei sindacati FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS CONFSAL e GILDA UNAMS, nel corso dell’incontro tenuto in vista del confronto con la Ministra dell’Istruzione, previsto per i prossimo 1° luglio, hanno manifestato netta contrarietà a quanto deliberato dalle Commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera dei deputati, che hanno espresso oggi parere favorevole all’ulteriore blocco dei contratti e delle retribuzioni dei dipendenti pubblici. I Sindacati scuola invitano il Governo a non emanare tale decreto e ad aprire le trattative per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Il provvedimento sarebbe per il personale della scuola doppiamente penalizzante, in quanto al blocco del contratto aggiungerebbe il blocco degli aumenti di anzianità, previsti dal Contratto vigente e quindi già finanziati. Le Organizzazioni sindacali della scuola, in relazione alle decisioni che saranno adottate dal Governo, assumeranno le necessarie iniziative di mobilitazione, che potranno avere effetti anche sull’avvio del prossimo anno scolastico. Roma, 19 giugno 2013 FLC CGIL D. Pantaleo CISL Scuola F. Scrima UIL Scuola M. Di Menna SNALS Confsal M. P. Nigi GILDA Unams R. Di Meglio *********** NOTIZIE NAZIONALI 07. Finanziamenti alle scuole: firmata l’Intesa sulle economie MOF 43 milioni di euro per integrare il FIS delle scuole. Ribadita la piena titolarità delle contrattazione integrativa nella destinazione delle economie. Il 20 giugno si è svolto il secondo incontro al MIUR sulla ripartizione delle economie del MOF 2011/2012 e 2012/2013, a conclusione del quale è stata firmata l’Intesa con le organizzazioni sindacali. Quantificazione delle economie Il totale delle economie, che integrano il FIS delle scuole, ammonta a 43,774 milioni di euro di cui 3,104 milioni di euro provenienti dai progetti per la pratica sportiva. Ripartizione delle economie L’accordo prevede la seguente distribuzione: • 10 milioni di euro ad integrazione del FIS per il pagamento delle indennità obbligatorie quali l’indennità di turno notturno e festivo, l’indennità di bilinguismo e trilinguismo e l’indennità di direzione parte fissa e variabile all’assistente amministrativo che sostituisce il DSGA (art. 88 CCNL). Su queste voci il MIUR aprirà a breve un monitoraggio per rilevare il fabbisogno delle scuole e solo successivamente procederà all’invio dei fondi entro il limite del budget assegnato. • 710.343 euro per i progetti relativi alla pratica sportiva approvati nei POF di istituto e non soddisfatti dalla precedente assegnazione. Questo fabbisogno è già stato rilevato dalla Direzione dello studente del MIUR. Pertanto sarà assegnato direttamente alle scuole interessate. • 2,93 milioni di euro per le ore eccedenti in sostituzione dei colleghi assenti; • 30,625 milioni di euro ad integrazione delle FIS delle scuole del primo ciclo, in proporzione a quanto già assegnato con l’intesa del 19 marzo 2013; • 45.000 euro a incremento del MOF della scuola di riferimento del personale docente statale impiegato presso la Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli. La nostra posizione Positivo il fatto che la parte più consistente delle economie sia stata assegnata alle scuole del primo ciclo. Una piccola operazione di riequilibrio, voluta dalla FLC CGIL, dal momento che il taglio del MOF (vedi Intesa separata sugli scatti di anzianità) aveva penalizzato maggiormente le scuole del primo in ciclo. Abbiamo riaffermato la piena titolarità della contrattazione di scuola a decidere l’uso e la destinazione delle economie. Esse serviranno, seppure in minima parte, a retribuire il lavoro in più svolto da docenti e ATA per attuare i POF di istituto. Importante essere riusciti a ristorare con risorse aggiuntive (raddoppiate rispetto agli anni precedenti) il fabbisogno delle scuole su voci di spesa obbligatorie come le indennità. Su di esse il MIUR si è impegnato a fare un’operazione di trasparenza prevedendo dei monitoraggi – come da noi richiesto – a verifica che le economie assegnate siano effettivamente quelle che necessitano alle scuole per integrare i propri bilanci. In quanto ai compensi da dare ai sostituti dei DSGA bisogna dire che questi non comprendono l’indennità di funzioni superiori che invece è a carico dei bilancio dello Stato, vale a dire del MEF. Resta l’assoluta insufficienza della copertura data alle ore eccedenti prestate dai docenti in sostituzione dei colleghi assenti. Questo annoso problema non si risolverà fino a quando non ci sarà il loro spostamento a carico del MEF sotto la voce “supplenze”. Infatti, si tratta di voci che vanno rubricate come spese non sono programmabili e non come salario accessorio. In ogni caso si tratta di spese che non possono gravare sul FIS. Il prossimo incontro è previsto il 4 luglio 2013 per l’informativa sulla circolare del MOF 2013/2014 e la destinazione delle risorse al personale della scuola comandato presso altri uffici. Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968 • intesa miur sindacati scuola economie mof 2011 2012 e pratica sportiva 2012 2013 del 20 giugno 2013 *********** 08. Finanziamenti alle scuole: in arrivo la nota del MIUR sul pagamento dei supplenti e delle ferie Prossimi chiarimenti e indicazioni dal Ministero dell'Istruzione anche sui debiti delle scuole e sul pagamento delle ore di insegnamento necessarie ad assicurare lo svolgimento dei corsi integrativi dei licei artistici. Il 20 giugno 2013 abbiamo sollecitato il MIUR ad emanare la circolare che si era impegnato ad inviare alle scuole sul pagamento delle ferie ai supplenti. Il MIUR ci ha assicurato il prossimo invio di una specifica nota. Siamo poi intervenuti per segnalare l’estrema difficoltà delle scuole e gli insopportabili ritardi con i quale si liquidano le somme che spettano ai lavoratori e per contribuire a dare trasparenza alla situazione e per migliorare tempi e modalità di erogazione delle risorse alle scuole. L’inadeguatezza complessiva delle risorse finanziarie destinate al sistema pubblico di istruzione, i continui cambiamenti delle modalità di accertamento dei fabbisogni delle scuole e del relativo finanziamento, l’inadeguatezza dei sistemi informatici dell’amministrazione e l’insufficienza delle risorse professionali dedicate dal MIUR alla gestione del rapporto con le scuole autonome producono una inaccettabile lentezza nell’assicurare il pagamento dei lavoratori. Pagamento supplenti Relativamente al pagamento dei supplenti continuano le difficoltà di un sistema che dall’anno prossimo non dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) più prevedere la liquidazione da parte delle scuole. Il pagamento dovrebbe essere effettuato da NoiPA sulla base dei contratti inseriti al sistema SIDI. Per adesso il meccanismo passa attraverso il finanziamento delle posizioni finanziarie delle scuole e sconta i gravi ritardi causati da procedimenti di controllo burocratico che autorizzano il rifinanziamento delle scuole. Succede così che tantissime scuole segnalano continuamente l’insufficienza delle risorse disponibili per pagare i supplenti e si determinano lamentele e contenziosi. Il MIUR ci ha informato che ad oggi e a partire dal primo gennaio 2013 la spesa complessiva per le supplenze ammonta a circa 530 milioni di euro, dei quali 364 lordo dipendente e il resto per oneri a carico dello Stato. Ad essi si aggiungono 82 milioni di euro inviati alle scuole per le spese delle supplenze degli ultimi mesi del 2012. Alle scuole, entro pochi giorni dovrebbero essere assegnati i fondi necessari per pagare le supplenze inserite a sistema fino al 30 giugno (comprese le ferie non godute calcolate in base al servizio prestato). Debiti delle scuole I debiti delle scuole sui quali è stata fatta la rilevazione a fine aprile, in applicazione del decreto legge n.35 del 8 aprile 2013, ammontano a 44 milioni di euro. Si è trattato di una rilevazioni fatta in tempi brevissimi ed il rischio che diverse scuole non abbiano partecipato alla rilevazione è piuttosto alto. Entro il 5 luglio 2013 i dirigenti scolastici dovranno provvedere alla definizione del piano di pagamento e dovranno comunicarlo ai creditori. Anche in questo caso per l’eventuale ritardo negli adempimenti è prevista una sanzione pecuniaria (100 euro per ogni giorno di ritardo). Il MIUR, che deve fare le operazioni propedeutiche agli adempimenti delle scuole, fornirà le indicazioni necessarie. Pagamento attività di insegnamento corsi integrativi licei artistici Si tratta di spese per il personale obbligatorie (per le ore di insegnamento necessarie ad assicurare lo svolgimento dei corsi integrativi dei licei artistici) che non sono a carico del fondo di istituto. A breve il MIUR invierà una nota agli Uffici Scolastici Regionali per rilevare il fabbisogno delle scuole; le spettanze al personale interessato saranno pagate con una rata speciale del “cedolino unico”. *********** 09. Precari scuola. 59.000 assunzioni in 4 anni: ancora troppo poche Il Ministro Carrozza risponde alla Camera. Confermato l'effetto negativo della riforma Fornero. Nel corso delle interrogazioni a risposta immediata del 19 giugno 2013 alla Camera, il Ministro Carrozza ha risposto ad un quesito relativo alle modalità con le quali intende affrontare il tema dell'assorbimento del personale attualmente precario della scuola. Nella risposta, il Ministro ha riconfermato che i dati del turnover restano limitati a sole 59.000 unità nei prossimi 4 anni ed in particolare per il 2013/2014 non sono ipotizzabili più di 15.000 assunzioni tra docenti ed ATA a causa degli effetti della riforma Fornero sui requisiti pensionistici. Si tratta di numeri limitatissimi al confronto degli oltre 130.000 supplenti attualmente in servizio e dei posti messi a concorso. Solo una reale scelta di consolidare in organico di diritto i posti dell'organico di fatto e l'introduzione dell'organico funzionale potrebbero garantire in tempi ragionevoli l'effettivo assorbimento degli attuali precari che garantiscono il funzionamento delle scuole. Abbiamo dimostrato, nel nostro Dossier "La scuola vince in quattro mosse", che con sono sufficienti alcune scelte dal costo limitatissimo per ottenere sicuri benefici per la funzionalità delle scuole e per il futuro dei lavoratori precari. Ora il Ministro passi dagli annunci ai fatti, iniziando a sbloccare le 5.300 assunzioni del personale ATA del 2012/2013. ___________________ Camera dei Deputati: interrogazioni a risposta immediata del 19 giugno 2013 MARIA CHIARA CARROZZA, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si ricorda che per garantire stabilità e continuità nell'erogazione del servizio scolastico ed educativo e per conferire il maggiore e possibile grado di certezza nella pianificazione degli organici della scuola, l'articolo 9 del decreto-legge n. 70 del 2011 ha previsto la definizione di un piano triennale di assunzioni a tempo educativo e ATA per il triennio indeterminato di personale docente, 2011-2013. L'attuazione del piano ha consentito di ridurre l'entità del personale precario della scuola, con ciò rispondendo all'esigenza di allineare il sistema nazionale alle normative comunitarie concernenti i contratti a tempo determinato, materia sulla quale si è recentemente sviluppato un significativo contenzioso davanti ai giudici del lavoro. Nell'anno scolastico 2011/2012 è stato possibile assumere 33 mila unità di personale docente ed educativo, nonché 36 mila unità di personale ATA, mentre per il successivo anno scolastico sono stati immessi in ruolo 21 mila docenti ed è stata richiesta l'autorizzazione per circa 5.300 unità di personale ATA. Nell'anno scolastico 2013/2014 il suddetto piano triennale giungerà a conclusione, con la richiesta di immissione in ruolo di 15 mila precari circa, e potrà essere avviata la programmazione delle nuove assunzioni, previa verifica delle disponibilità esistenti. Proprio per l'anno scolastico 2013/2014 le nomine saranno necessariamente limitate al numero suddetto, attesa l'incidenza preponderante dell'ultima riforma del sistema pensionistico sulle cessazioni dal servizio al prossimo 1o settembre 2013. In particolare, le stime del turnover del personale, per i prossimi anni scolastici, sono di circa 44 mila unità di personale docente e ATA. Da tali dati emerge che l'entità del personale che potrà essere assunto, in conseguenza diretta del turnover, ammonta complessivamente a circa 59 mila unità nel prossimo quadriennio. Naturalmente, tale stima vale a normativa vigente, tanto per ciò che riguarda i requisiti minimi per il pensionamento, tanto per ciò che attiene alla gestione degli organici. Al riguardo, come ho già annunciato alle VII Commissioni congiunte, è allo studio la definizione di un piano triennale di immissione in ruolo, 2014-2017, del personale precario, che consenta di ridurre il numero di soggetti che ancora prestano servizio nella scuola con contratti a tempo determinato, nonché misure per introdurre, gradualmente e compatibilmente con le risorse disponibili, l'organico funzionale del sostegno e raggiungere la sostanziale equivalenza tra organico di diritto e di fatto nel sostegno, con l'inquadramento in ruolo dei circa 30 mila docenti di sostegno che vengono utilizzati annualmente e, in prospettiva, avere l'organico funzionale come nuovo metodo di gestione degli organici. *********** 10. Concorso 24 mesi ATA 2012/2013: nessun successivo del riconoscimento giuridico del servizio rinvio all'anno Il MIUR emana un'altra nota di chiarimento che consente l'applicazione immediata e uniforme del riconoscimento giuridico del punteggio. Dietro nostre sollecitazioni il Ministero ha emanato una nuova nota 5954 del 17 giugno 2013, indirizzata agli USR, i quali vengono invitati ad adempiere all'applicazione del riconoscimento giuridico del punteggio, a partire da queste graduatorie, senza nessun rinvio all'anno successivo. Il MIUR, con la nota 2932 del 22 marzo 2013, aveva consentito il riconoscimento giuridico del punteggio al personale ATA collocato in posizione utile nelle graduatorie permanenti in modo da poterlo inserire per il concorso dei 24 mesi, affinché potesse essere tutelata la posizione di coloro che erano stati penalizzati dall'utilizzo delle graduatorie d'istituto per il conferimento delle nomine fino agli aventi diritto. A seguito della nota, alcuni USR (Uffici Scolastici Regionali) non avevano però consentito l'inclusione di tale punteggio, a causa dell'avvenuta chiusura dei termini di scadenza del concorso dei 24 mesi ed erano, trattamento degli aspiranti ATA. conseguentemente, emerse delle difformità di Siamo soddisfatti dell'intervento del MIUR poiché si erano generati non pochi problemi e difformità sulla sua applicazione e, considerata la rilevanza del riconoscimento giuridico del servizio, era essenziale procedere nella valutazione dei punteggi con uniformità per tutto il personale ATA interessato al concorso dei 24 mesi. Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968 • nota 5954 del 17 giugno 2013 concorso 24 mesi personale ata *********** 11. Bisogni educativi speciali: convocato l’incontro per il 26 giugno 2013 Il MIUR risponde positivamente alla richiesta della FLC CGIL. La FLC CGIL nei giorni scorsi aveva presentato una richiesta urgente di incontro sulla Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013 “Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali”. La FLC CGIL chiederà che si apra un tavolo di confronto permanente su tali temi e che nell’immediato siano presi alcuni impegni su: • carattere sperimentale dei contenuti della circolare • deroga del termine del 30 giugno per la definizione del piano annuale per l’inclusione • valutazione delle ricadute contrattuali delle operazioni previste dalla circolare. L’incontro è stato convocato dall’amministrazione per il giorno 26 giugno 2013. *********** 12. Emergenza infanzia: un primo segnale da Palazzo Chigi La risposta della Presidenza del Consiglio e l'invito al MIUR di dare un seguito alla nostra richiesta. La FLC CGIL ha avviato ormai da alcuni mesi una campagna nazionale sull' emergenza infanzia con la finalità di denunciare la situazione in cui versa la scuola dell'infanzia nel nostro paese e nel contempo chiedere che venga rilanciato quel processo di generalizzazione della scuola dell'infanzia statale, interrotto dalla ex ministra Gelmini nel 2008. Nei primi giorni del mese di giugno abbiamo lanciato un appello indirizzato al Presidente del consiglio dei ministri, Enrico Letta, e alla Ministra dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza per chiedere che: • si riprenda il processo di generalizzazione della scuola dell'infanzia e aumentare del 10% il numero di sezioni di scuola statale attualmente funzionanti, vale a dire 2500 sezioni, all'interno di un piano quinquennale che preveda l'apertura di 500 sezioni l'anno. • sia istituzionalizzato l'obbligo di frequenza del terzo anno per poi arrivare all'obbligatorietà di tutta la scuola dell'infanzia, secondo l’idea di un percorso di istruzione dai 3 ai 18 anni. La FLC CGIL ha chiesto inoltre di dare una risposta concreta agli enti locali in difficoltà nella gestione delle scuole comunali per effetto sia del patto di stabilità che dei minori trasferimenti di risorse. A tal proposito sottolineiamo positivamente la recente decisione della Procura regionale della Corte dei conti della Campania che ha disposto l'archiviazione della vertenza inerente le assunzioni delle maestre e delle educatrici a tempo determinato effettuate dal Comune di Napoli, nonostante i vincoli di finanza pubblica. La Procura sottolinea un aspetto che riteniamo molto coerente con le iniziative messe in campo dalla FLC a difesa della scuola pubblica e della scuola dell'infanzia in particolare, vale a dire che "non si possono comprimere diritti infungibili e funzioni fondamentali, quali sono, appunto, quelli di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi di asilo nido e quelli di assistenza scolastica refezione". Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto un primo riscontro al nostro appello: infatti il Segretariato generale della Presidenza del consiglio dei Ministri, con nota, sottopone all'attenzione del Ministro dell'Istruzione "la drammatica situazione della scuola dell'infanzia statale” sulla base dell'appello di FLC e chiede al MIUR di informare la nostra organizzazione sugli sviluppi nella trattazione della questione. E' un primo segnale di attenzione al grido di allarme che la FLC ormai da tempo ha lanciato. Importante ma non sufficiente: occorre dare risposte concrete. Anche questo sarà uno dei temi che sarà nostra cura ricordare alla Ministra Carrozza nell'incontro con i sindacati del prossimo 1 luglio. *********** SPAZIO FAQ E GIURISPRUDENZA 13. Tribunale di Milano – Ordinanza del 12 giugno 2013 – Fusari – Diritto scolastico Soccombenza virtuale e rifusione delle spese giudiziali. Il comportamento del MIUR che, dopo il deposito del ricorso giudiziale, in sede di autotutela elimini gli effetti negativi del provvedimento oggetto di ricorso, non consente di emettere una pronuncia limitata al semplice accertamento della cessazione della materia del contendere; con tale pronuncia, il Giudice dovrà infatti anche condannare alle rifusione delle spese giudiziali la parte virtualmente soccombente, sulla base di una sommaria delibazione della fondatezza della domanda (nel caso specifico, conclusosi con ordinanza del Tribunale di Milano ex art. 1, comma 49, L. 92/2012, il MIUR aveva proceduto a licenziare una docente assunta con contratto a tempo indeterminato sulla base dell’attribuzione di un punteggio nuovo e inferiore rispetto a quello con cui la docente era stata immessa in ruolo. A seguito di ricorso giudiziale, il MIUR era ritornato sui suoi passi in via di autotutela, attribuendo alla ricorrente un punteggio sufficiente a consentirle di essere riassunta con effetti ex tunc; tenuto conto, pertanto, della esplicita ammissione dell’errore da parte del Ministero, lo stesso veniva ritenuto evidentemente soccombente virtuale della causa, e, quindi, tenuto a rifondere le spese del giudizio). Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3968 • Tribunale di Milano – Ordinanza del 12 giugno 2013 Soccombenza virtuale e rifusione delle spese giudiziali. *********** NAVIGANDO IN RETE 14. Se un viaggiatore finlandese in una calda giornata di giugno … A proposito di “maturità” e prima prova -di Antonio Valentino Resto sempre e sinceramente affascinato dai temi che propongono ogni anno agli esami di stato. Esami che giornali e televisione si ostinano a chiamare “maturità”, come se non ci fosse stata una legge, più di 15 anni fa (n. 425/’97), che ne cambiava i connotati prevedendo modalità e accertamenti più puntuali e rigorosi (vi si parla per la prima volta nientemeno che di certificazione delle competenze; che decolla però - ovviamente a parole1 - solo più di un decennio dopo). Il cambiamento di pelle del ’97 stava a significare che l’esame non doveva avere alcuna pretesa di verificare e valutare la “maturità”, ma solo la preparazione del candidato, in termini di obiettivi formativi raggiunti a seguito di azioni didattiche effettivamente e intenzionalmente messe in campo dalla scuola. Di queste – nella normativa vigente - si prevede dia conto il Documento di classe che si elabora entro il 15 maggio e che riporta “i contenuti, i metodi e i mezzi, gli spazi e i tempi del percorso formatiuvo, i criteri e gli strumenti di valutazione, gli obiettivi raggiunti, nonche ogni altro elemento che i CdC ritrengano significativo ai fini dello svolgimento degli esami”. La prima prova scritta, come si legge nella normativa di riferimento, “è intesa ad accertare la padronanza della lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato…” (dm n. 41/2003). Come si vede, una cosa “concreta”, che è tutta dentro il senso e le finalità della nostra scuola e dei suoi percorsi reali Cosa propongono le tracce della prima prova? Proviamo a ripercorrele: con il brano di Claudio Magris (bellissimo, come, d’altra parte, tutti quelli scelti dalla commissione ministeriale), si richiedono spunti di riflessione sul viaggio, le frontiere e il confronto con la diversità; che costituiscono, verosimilmente (come conferma l’”indice di preferenza” delle tracce espresso dai candidato e riportato nel comunicato dal Mnistero) un sfida difficile, ma non impossibile per lo studente “medio”; ma, già con i saggi brevi, il terreno comincia a diventare accidentato, ma soprattutto “incognito”, come si dice: si propongono infatti temi - non solo particolarmente ardui, ma soprattutto estranei ai nostri 1 I diplomi allegati al dm 26/2009 sono rilasciati ai candidati che hanno superato l’ esame non contengono nessuna certificazione delle competenze ma solo il punteggio complessivo delle perove d’ esame e i crediti acquisiti. Si prevedono, in calce al punteggio, eventuali “ uleteriori specificazioni valutative della commissione con riferimento anche a prove sostenute con esito particolarmente positivo “normali” percorsi scolastici - come il rapporto tra individuo e società di massa oppure il rapporto tra stato e mercato e democrazia o anche le connessioni tra gli omicidi politici del ‘900. Con la traccia scientifica, poi, si veleggia addirittura sulle prospettive aperte dall’avanzamento degli studi sul cervello. Mentre, con la traccia sui cosiddetti BRICS (sigla che sta ad indicare i paesi in via di sviluppo: Brasile, Russia , India, Cina, Sudafrica…), si approda nientemeno che sui vasti e complicatissimi terreni della geopolitica. Per non parlare di quella scientifico-filosofica, affidata alle parole di Capra, con la quale si plana persino su tematica della vita come manifestazione di cooperazione e creatività anche sul piano strettamente biologico. Che dire di fronte a tanta erudizione e sapienza tematica? Ammirazione sincera, non c’è dubbio. Mi chiedo però cosa c’entrino queste tracce con esami di stato che non vogliono più essere – e da tempo – riti di generica e astratta/indefinita “maturità”. La domanda è: le competenze espressive e logico – critiche possono essere accertate proponendo problematiche, suggestive finché su vuole, ma lontane dai curricoli scolastici dei nostri studenti? E poi: può valere, in questo caso, il riferimento alla nozione di competenza come capacità di trasferire ad altri campi abilità e attitudini maturati attraverso le discipline di insegnamento? Quale “maturità” dello studente si intende saggiare? Detta in termini un po’ provocatori – ma non tanto – si ha l’impressione che, con scelte contenutistiche come quelle proposte, si voglia far finta di ignorare a. che le tematiche della prova – che pure dovrebbero entrare con esplicita e forte intenzionalità nell’esperienza scolastica dello studente, lasciando segni certificabili – hanno a che fare, solo molto accidentalmente e raramente, con gli effettivi “programmi” scolastici (perché, in effetti, siamo ancora lì); b. che percorsi di educazione alla riflessività, al pensiero rigorosamente critico, al pensiero trasversale e alla conoscenza di sé e del mondo che ci circonda (in altri termini, gli ingredienti di una idea moderna di cittadinanza, che pure ritroviamo nelle Raccomandazioni dell’Unione Europea e anche nella nostra più recente legislazione scolastica), che si danno per scontati in queste tracce, sono invece ben lontani da una pratica didattica diffusa, “normale” per le nostre scuole. Con queste tematiche si potrebbe fare, al limite, bella figura con un cittadino finlandese che capitasse in Italia in questo periodo e che, letti i testi della prova, sarebbe indotto ad esprimere ammirazione per il nostro sistema di istruzione, ignorando quello che effettivamente si insegna nelle nostre scuole. Ma niente di più di queste attestazioni ipotetiche. Perché allora ci si ostina in una prova siffatta? Squilibrata rispetto alla prassi comune e squilibrante per il povero candidato? Stiamo pagando ancora pegno, con riti di questo tipo, ad una cultura gentiliana che ha fatto il suo tempo? Mah. Comunque penso che bisognerebbe cominciare ad uscirne, come da più parti si auspica da diversi anni ormai. Come? Occorrerebe, probabilmente, in primo luogo, sviluppare consapevolezza diffusa, partendo da considerazioni critiche sulle tracce degli ultimi anni, che uno: chiedere agli studenti (non a quelli “fuori norma”, che sono bravi di loro o per grazia ricevuta) arrampicature sui vetri o esercizi di scrittura pseudo-creativa o finto-riflessiva, non è il massimo per una istituzione che vuole essere coerente e trasparente nelle sue finalità educative; due: prendere coscienza – come sistema - delle proprie criticità (e questo tipo di prova lo è certamente), attraverso il confronto tra risultati effettivi e risultati attesi, è condizione essenziale per la ricerca di altre vie più efficaci e credibili di accertamento e certificazione. Questo sulla prima prova. Ma discorsi altrettanto critici andrebbero fatti sulle altre prove scritte e orali. La neo-ministra, parlando della necessità di rivedere articolazione e senso degli ultimi due anni del secondo ciclo - e quindi della finalità degli esami in un’ottica orientativa -, sembra se ne sia accorta. Proviamo a sperarci. *********** 15. Per le nuove scuole soldi e idee. Era ora - Luigi Berlinguer ESULTO ED ESALTO. REAGISCO COSÌ, PROPONENDO DUE EPSILON ALLA NOTIZIA che finalmente un governo si occupa di scuola per dare e non per tagliare o per sottrarre. Merito di Chiara Carrozza e di Enrico Letta. Che finalmente si capisca che l'education non è spesa ma investimento produttivo? In particolare, ciò avviene in un settore delicato come quello dell'edilizia scolastica. L'Italia ha bisogno di rinnovare il proprio patrimonio, di uscire dalla tristezza di tante, troppe scuole (in particolare nel sud del Paese) ospitate in appartamenti o in edifici inadatti, insalubri. Cento milioni di euro nel triennio 2014-2016 oggi sono indubbiamente tanti. Possono essere volano di altri investimenti di altre istituzioni, a cominciare da quelle locali. E la notizia può (finalmente) attirare l'attenzione su come andranno riadattati o costruiti ex novo gli edifici scolastici, che dureranno decine di anni e pertanto dovranno fin d’ora essere costruiti diversamente «La mente assorbente del bambino si orienta nell'ambiente; per cui si devono prendere speciali precauzioni affinché l'ambiente offra interesse e attrattive a questa mente che deve nutrirsene per la propria costruzione». Così Maria Montessori, una delle più grandi italiane di tutti i tempi, aveva bollato la cultura espressa dalla vecchia aula e da quei banchi, «neri catafalchi», secondo un'altra sua nota definizione. Ecco la sfida anche di oggi: creare un ambiente non costrittivo, capace al contrario di sollecitare e accogliere coloro che si stanno formando. Nel mondo si è affermata l'educational architecture, una corrente che ha abbandonato i tristi edifici anonimi composti da lunghi corridoi e da aule tutte uguali. I parametri sono stati rovesciati. Esempi se ne trovano ormai ovunque, dalla Danimarca all’Austria: gli edifici si compongono di grandi e di piccole aree, di spazi di varia foggia e di varia ampiezza per favorire la diversità nella didattica delle varie materie e metodologie di insegnamento. Questa rivoluzione comincia a prendere corpo anche in Italia. Con una differenza rispetto ai Paesi evoluti. Fuori dai confini nazionali tali scelte sono fortemente determinate dalla volontà politica, mentre in Italia sono frutto di iniziative dal basso, in primo luogo volute da presidi e insegnanti. Posso fare gli esempi: la scuola elementare di Fauglia (Pisa) dove non c'è più l'aula, dove non ci sono più i banchi e le cattedre, ma gruppi di tavolini suddivisi in aree per studiare, ripetere, leggere a voce alta, discutere. Una scuola elementare che hanno voluto chiamare «scuola senza zaino» perché probabilmente troppe giovani schiene sono state inutilmente curvate in passato. E la scuola di Montemignaio (Arezzo) dove alle aule si sostituisce un’atra serie di spazi, compresa l’agorà. Sono esempi che evidenziano il cambiamento del modello educativo che i riformatori perseguono e che ancora tarda ad affermarsi. La riforma profonda della scuola di oggi deve fondarsi sulla centralità dell'apprendimento, ha bisogno di spazi che consentano la grande articolazione delle diverse discipline. Perché un conto è proporre una lezione di storia a 30 alunni, altro è fare un esperimento di fisica, altro ancora è suonare uno strumento musicale. Gli spazi devono essere flessibili. Ecco perché è una gran buona notizia quella arrivata dal Consiglio dei ministri. Nonostante il periodo di carestia si può iniziare a cambiare. Ho saputo che nel ministero si parla di linee-guida sugli edifici da costruire fondate sui modelli appena citati. Il mio auspicio è che l'inversione di rotta finanziaria si sposi con quella pedagogicoeducativa *********** 16. Politicamente corretto... Note a margine delle dichiarazioni programmatiche del Ministro M.C.Carrozza alle Camere - di Giancarlo Cerini – scuola oggi Da dove ripartire? Come non condividere le nobili dichiarazioni di principio rese dal neo ministro Maria Chiara Carrozza il 6 giugno 2013 di fronte alle Commissioni riunite di Camera e Senato: maggiori attenzioni e investimenti nell'istruzione per promuovere la “ricchezza” della nazione e delle persone, per uguali opportunità per tutti, per una scuola palestra di legalità, ecc. Come non essere d'accordo sulla vision che mette al centro del programma d'intenti i principi della credibilità, della trasparenza, della coesione sociale: quasi un mix di efficienza e di solidarietà, compatibile con la stagione delle “larghe intese”. Magari l'incipit è troppo connotato dal lessico degli economisti (allocare le risorse, accountability, budget, valutazione ex-post, stakeholder, benchmarking...), ma di necessità occorre fare virtù: un po' siamo già abituati al linguaggio e oggi per convincere i “signori del Tesoro” (in Europa e in Italia) a sfondare i confini blindati della spesa pubblica bisogna essere molto credibili e dimostrare conti alla mano che ciò che si spende in istruzione ritorna - con interessi aggiunti – per lo sviluppo del paese. Ma scavando sotto lo strato del politicamente corretto (confermato dalla richiesta di un approccio bipartisan alle riforme possibili: è necessario che i partiti parlino la stessa lingua verso la scuola) quali sono le priorità di iniziativa politica per la scuola che si intravvedono nelle dichiarazioni programmatiche del Ministro Carrozza? Una scuola “Cenerentola”? L'Europa è lì ad inchiodarci con i suoi obiettivi riferiti a Lisbona 2020, ove esibiamo ritardi clamorosi in tutti e sette gli indicatori (in particolare per il tasso di dispersione: dal 18% di insuccesso a 18 anni dovremmo scendere sotto il 10%; ma anche per la qualità delle competenze: dal 21% di criticità in lettura a 15 anni dovremmo scendere al 15%, per non parlare della matematica). Purtuttavia, alla scuola vengono richiesti compiti sempre più impegnativi: non è solo questione di un decimale in più nei punti Pisa o Invalsi, perché gli insegnanti si trovano di fronte ragazzi e famiglie disorientate da nuovi stili di vita, precarietà delle situazioni sociali, intreccio di storie, pervasività della comunicazione e con adulti che sembrano aver perso la capacità di aiutare i giovani a “venire al mondo” (e poi a “stare al mondo”) come ricorda la premessa delle Indicazioni/2012 per il curricolo della scuola di base, firmata da Profumo-Rossi Doria, non a caso ampiamente citata nelle dichiarazioni del nuovo Ministro. Però...però...dopo queste aperture di credito verso gli insegnanti, si riparte … dall'edilizia scolastica. Vediamo di capire il perché. E' pur vero che una buona struttura fa educazione (come non meravigliarsi di fronte alle buone soluzioni architettoniche adottate in alcune realtà di eccellenza del nostro paese). Prendersi cura degli spazi è dunque prendersi cura dell'educazione. Una scuola sicura, pulita, smart, tecnologicamente adeguata, esteticamente bella, si fa abitare e vivere meglio dagli allievi e dagli insegnanti. Scatta più facilmente il buon apprendimento, soprattutto se le classi diventano “ambienti di apprendimento”, luoghi per esperienze collaborative, creative, motivanti.1 Ma di fronte a questa consapevolezza sta il lungo cahier de doleance di una legislazione farraginosa in materia di edilizia scolastica (nei suoi passaggi statali, regionali, provinciali, comunali), nella scarsità delle risorse (a fronte nei nostri 42.000 edifici da riqualificare o rinnovare), delle procedure tecniche e contabili al contagocce... Qui c'è da fare uno sforzo straordinario, come ammette il Ministro, anche bussando alle istituzioni europee... Intanto emerge l'idea di “controllare” meglio una governance multilivello: la decentralizzazione del sistema educativo non può mettere a rischio l'unitarietà del progetto culturale della nostra scuola. C'è una evoluzione costituzionale incerta, molte realtà territoriali procedono da sé, rischia di venire meno la garanzia dei “livelli essenziali delle prestazioni” decisiva per un diritto fondamentale come è l'istruzione. Ci sono troppe differenze tra le regioni, sembra ricordare il Ministro, e lo stesso “dimensionamento” sta assumendo direzioni troppo asimmetriche, anche se vanno rispettate le sentenze della Corte Costituzionale2. Riparliamo degli insegnanti... Prendere sul serio l'autonomia delle scuole appare indicazione doverosa, ma già all'orizzonte incombono le proposte “hard” dei liberisti della Bocconi (Tabellini e Ichino ne hanno parlato in un recente phamplet per i corsivi del Corriere della Sera)3. Il ministro sceglie la via dell'equilibrio e riparte con l'organico funzionale di istituto. E' vero, se ne parla da ormai vent'anni -dalle prime sperimentazioni della stagione dell'autonomia negli anni '90- ma con scarso successo. C'è anche una recente legge (la n. 35 del 2012) che rilancia l'organico di istituto e quello di rete, ma un anno fa i “guardiani dei conti pubblici” dissero NO alla quantificazione dei posti-docente IN PIU' per poterlo realizzare. Intanto, però, si ragiona sull'organico di sostegno, cui vengono dedicate parecchie pagine nella relazione del ministro. Doveroso, ma rischioso: quando si parla di handicap, il Parlamento “piange” come un agnellino -mi disse qualche anno fa una saggia e autorevole sottosegretaria – ma poi le scelte politiche diventano difficili e quasi impossibili. E' doveroso stabilizzare il sostegno, ma anche qui occorrerebbe aprire un tavolo “vero” sul sostegno per tenere insieme: posti di sostegno (ormai 101.000 unità), mansioni necessarie (didattiche, ma anche sociali, riabilitative, assistenziali), gli orari del personale, le sinergie tra enti, le tipologie di disabilità (ormai spappolate tra handicap, DSA, ADHD, BES, ecc.). Terreno nobile di impegno, ma del tutto impopolare, come dimostra il silenzio attorno alla proposta intelligente della Fondazione Agnelli, sottoscritta pure da Caritas e Centro Erikcson).4 Comunque se ne riparla ed è già importante farlo. Ma è sull'intera platea degli insegnanti che si giocherà la partita vera. Sul loro numero, certamente, ma anche sulla loro qualificazione. Il fatto è che quella dell'organico funzionale rischia di diventare una sterile guerra di posizione, se non si riparte da un “tavolo” vero sul lavoro insegnante (che tenga insieme: il numero dei docenti, il loro orario di lavoro, l'abolizione delle supplenze così come sono oggi, la stabilizzazione del personale precario). Una mossa non facile, ma indispensabile, in cui governo, sindacati e insegnanti dovrebbero fare passi indietro (che sono poi passi in avanti), per riscoprire le reciproche convenienze di un accordo di solidarietà (stabilizzazione sul posto in cambio di impegno maggiore...). Fa capolino il merito Qui il ministro percepisce certamente la scivolosità del terreno ed evoca un “patto per la scuola” con i sindacati (per sottoscrivere alleanze decisive, come qualche volta si sono realizzate nelle relazioni sindacali nel nostro Paese). Un richiamo al possibile riassorbimento del precariato (44.000 posti nel triennio 2014-17) è controbilanciato dal riconoscimento che per il prossimo settembre 2013 le nomine saranno assai poche. E il turn-over non è tutto... Sottovoce si parla di carriera, di svincolo dall'anzianità, di valutazione del lavoro docente. Si evocano riconoscimenti per le figure di sistema (le “posizioni organizzative”), per chi fa funzionare la scuola, per chi si impegna in imprese innovative. L'ipotesi più concreta riguarda nuove modalità di reclutamento dei dirigenti scolastici, con un riconoscimento specifico dei ruoli di staff. Si cita anche il nuovo Regolamento sul sistema di valutazione, ma in termini guardinghi, quasi per saggiarne la consistenza (il Ministro chiede una cultura della valutazione che non si limiti a misurare le performance, ma a mettere a disposizione informazioni per migliorare il sistema educativo). Ma - date queste premesse condivisibili – le soluzioni possibili sono molte e bisogna prendere decisioni urgenti.5 Giustamente il Ministro ricorda che per ogni riforma che si rispetti è necessario dedicare risorse e impegni alla formazione dei docenti. Un primo banco di prova è rappresentato dalle Indicazioni/2012 per la scuola di base, fresche di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, perché senza un significativo piano di accompagnamento rischierebbero di rimanere lettera morta come è successo per le tante innovazioni di questi anni. Politiche per l'inclusione Ma l'Europa ci incalza sulla qualità dei risultati; la dispersione ed i livelli di apprendimento sono allarmanti. E' necessario ripartire dalla scuola dell'infanzia (ivi comprese le sezioni primavera, da potenziare), dall'estensione del tempo scuola, da un rapporto più innovativo tra la scuola e le altre agenzie educative e sociali del territorio (metodologia per cui i fondi europei sembrano più a portata di mano). Esiste già un percorso avviato nelle regioni del sud dal tandem Barca- Rossi Doria: ci si aspetta di vederne i primi frutti. Magari confrontando le metodologie: c'è che preferisce intervenire sulle condizioni “sociali” della qualità della vita dei nostri ragazzi (la coesione sociale e l'inclusione), c'è invece che spinge sulla didattica “breve” per migliorare i risultati nelle prove Ocse-Pisa. Doveroso il passaggio sul potenziamento dell'istruzione e formazione professionale, ma con aperture assai soffici rispetto a più ruvidi richiami alla realtà provenienti da alcune parti sociali del Paese. Appare intollerabile il doppio gap italiano della più alta percentuale di giovani disoccupati (addirittura NEET: not in employement education training)6, ma anche della carenza di determinati profili professionali (di basso livello formativo, si dirà...), a testimonianza di una sfasatura immensa tra percorsi formativi e uscite nel mondo del lavoro. Qui occorre riaprire a tutto campo la discussione, fino a lambire la scomoda prospettiva duale del sistema tedesco (dove una filiera formativa punta decisamente all'apprendistato e al rapporto diretto con il mercato del lavoro) o il ripensamento dell'intero percorso scolastico italiano, per mettere i nostri ragazzi 19enni a contatto diretto con il loro futuro possibile (all'Università, nella formazione di alto livello, verso l'Europa, negli stage). Ma per un programma del genere occorrono effettive “larghe intese” oltre che un pubblico confronto sulle scelte più utili. Per ora siamo alle prime pagine di una possibile Agenda di politiche per la scuola. C'è un indice abbozzato di questioni aperte. Spesso sono nodi irrisolti da decenni. Ma vale la pena crederci ancora. Soprattutto per chi si cimenta con entusiasmo nel voler intravvedere un futuro positivo per la scuola, senza farsi troppo condizionare dagli insuccessi del passato. 1 N.D'Andrea, L'importanza degli spazi nell'ambiente di apprendimento e M.Orsi, La penna, il quaderno, la LIM e la lavagna, in “Rivista dell'istruzione”, n. 3, maggio-giugno 2013, Maggioli, Rimini. 2 Il privato in istruzione c'è, ha assunto dopo la legge Berlinguer (la legge 62/2000) le sembianze di un sistema paritario, che va in un qualche modo riconosciuto dal “pubblico”. E non è corretto affermare che la scuola pubblica viene impoverita per finanziare la scuola privata. Ma cosa pretendete? Sembra incalzare nel suo report il Ministro: con l'1,2 % dei contributi di Bilancio (circa 500 ml) si dà una mano ad un sistema paritario che scolarizza circa il 12 % degli utenti. Pragmaticamente laico... 3 A.Ichino, Liberiamo la scuola, ebook Corsivi del Corriere della Sera. Forum idee per la crescita. 4 Fondazione Agnelli (Caritas e Treellle), Gli alunni con disabilità nella scuola italiana. Bilancio e proposte, Erickson, Trento, 2011. 5 G.Cerini, Riappropriamoci della cultura della valutazione, nel Dossier predisposto da Cisl Scuola in occasione del Congresso nazionale di Firenze (giugno 2013). Una analisi complessiva dell'evoluzione del sistema nazionale di valutazione è contenuta nel numero monografico 1/2013 di Voci della Scuola: G.Cerini-M.Spinosi (a cura di), Cultura e strumenti della valutazione, Tecnodid, Napoli, 2013. 6 F.Farinelli, I NEET: chi sono e cosa (non) fanno?, in “Rivista dell'istruzione”, n. 3, maggiogiugno 2012, Maggioli, Rimini. 7 M.G.Dutto, Acqua alle funi. Per una ripartenza della scuola italiana, Vita e Pensiero, Milano, 2013. Propone un approccio non rituale al cambiamento della scuola italiana, basato sul protagonismo concreto, il coraggio dell'azione e l'iniziativa professionale di tutti i soggetti chiamati a occuparsi della scuola. Con un occhio meno provinciale a ciò che accade all'estero ma anche con l'orgoglio delle eccellenze italiane. *********** 17. Tra Orwell e Young. Incubi per chi insegna - di Benedetto Vertecchi - Tuttoscuola, XXXVIII, 530, 2013 Non è l’ultima ragione del disagio degli insegnanti il progressivo svuotamento delle funzioni collegate alla loro professione. Fin quando non si è preteso di assoggettare l’attività educativa a logiche prese in prestito dal mondo della produzione, gli insegnanti potevano sviluppare la loro attività perseguendo un disegno che si sarebbe prolungato nel tempo e che comprendeva sia scelte a carattere culturale e sociale, sia determinazioni più direttamente collegate al loro compito educativo. In altre parole, era chiaro a tutti che, per essere dei buoni insegnanti, occorreva possedere un solido corredo di conoscenze in un’area determinata, al quale doveva affiancarsi il repertorio delle competenze professionali, comprendente, oltre alla capacità di organizzare e produrre messaggi di apprendimento conformi alle esigenze degli studenti, quella di analizzare e interpretare la domanda sociale di istruzione e le sue conseguenze sugli atteggiamenti e i comportamenti degli allievi. Il fatto è che il profilo tradizionale dell’insegnante, considerato insieme un intellettuale e un professionista dell’istruzione, si era venuto definendo in un quadro caratterizzato da uno squilibrio fra la domanda e l’offerta di educazione scolastica che cresceva al passaggio dall’istruzione primaria a quella secondaria inferiore e dall’istruzione secondaria inferiore a quella superiore. Si comprende che le trasformazioni introdotte nel sistema scolastico con la riforma della Scuola Media (1962) e quelle che in seguito sono derivate proprio in conseguenza di tale riforma abbiano progressivamente posto in crisi quel profilo. Con gli anni, il numero degli insegnanti è enormemente aumentato, attenuando parallelamente i tratti che in precedenza ne qualificavano il profilo. Il sistema scolastico è cresciuto supponendo che bastasse rivedere l’assetto normativo per adeguare l’educazione al mutare della domanda sociale. Non si è capito che la riforma del 1962 aveva raggiunto (almeno dal punto di vista quantitativo) i suoi intenti perché non si era limitata a prendere atto di cambiamenti più o meno diffusi negli atteggiamenti sociali verso l’istruzione, ma aveva cercato di andare oltre, ipotizzando equilibri socio-culturali ancora lontani dalla sensibilità collettiva. In altre parole, quella del 1962 era stata una riforma progettuale. In seguito, si sono avuti soprattutto interventi in direzione dell’aggiustamento dell’offerta educativa alla domanda. Il fatto è che l’aggiustamento dell’offerta costituisce una soluzione solo per esigenze che non comportino revisioni di qualche consistenza dell’assetto del sistema educativo. Quel che è mancato, dopo la riforma della Scuola Media, è stato l’impegno per ridefinire il ruolo della scuola nella società contemporanea. Si è lasciato che la popolazione scolastica crescesse in modo lineare, ma senza chiedersi fino a che punto una simile tendenza potesse essere considerata positiva. Il rinnovamento della cultura della scuola in troppi casi è avvenuto per effetto di suggestioni marginali, senza che se sia derivato un incremento reale per la conoscenza: non è un caso che le scuole siano state inondate di educazioni (alla salute, al risparmio energetico, all’ambiente eccetera), tramite messaggi nei quali le componenti ideologiche (ovvero l’esortazione ad assumere comportamenti conformi a determinati valori) sono state del tutto prevalenti su quelle capaci di sollecitare la comprensione. I modelli organizzativi del lavoro scolastico sono stati cambiati più nella fenomenologia minuta che nella struttura, con la conseguenza di sollecitare gli insegnanti ad accogliere pratiche che si sono aggiunte in modo posticcio al loro corredo professionale. Ma proprio tali pratiche hanno finito col riversarsi sulle rappresentazioni sociali del lavoro educativo, togliendo rilevanza alla componente culturale del lavoro degli insegnanti (chi qualifica oggi un insegnante come un intellettuale?), e accreditando nello stesso tempo la nozione che quella educativa sia una professione fondamentalmente subalterna. La conseguenza è che oggi gli insegnanti hanno perso le due attribuzioni centrali, quella culturale e quella professionale, sulle quali, per tradizione, si fondava il loro credito sociale. Col passaggio da un sistema scolastico a base sociale ristretta a uno a base ampia, sarebbe stato necessario un impegno politico che si sviluppasse nei diversi campi della vita sociale più immediatamente coinvolti nei processi di trasformazione del sistema educativo. È accaduto il contrario. Gli interventi politici sulla scuola sono consistiti, salvo poche eccezioni, in tentativi di razionalizzazione intesi a ridurne i costi. La cultura dell’educazione è stata mortificata dalla sua sostituzione con i cascami interpretativi e procedurali di una cultura organizzativa la cui supposta validità non è mai stata dimostrata: peggio, non si è mai neanche cercato di dimostrarla formulando inferenze che costituissero il punto d’arrivo di percorsi conoscitivi e interpretativi intrapresi nel rispetto della buona scienza galileiana. Le università, del tutto insensibili alla loro responsabilità storica e sociale nei confronti della promozione e dello sviluppo della conoscenza, si sono prestate a completare l’azione distruttiva impostata sul piano politico. L’offerta di studi per gli aspiranti all’insegnamento è crollata a livelli petroliferi. Ciò non ha impedito che si continuassero a definire soluzioni accademiche per le esigenze che di continuo si presentano. È onesto supporre che possano fornire competenza educativa a chi dovrà operare ad altri livelli del sistema educativo università che ormai si distinguono solo per le infime posizioni che occupano nelle graduatorie comparative? Si può, in altre parole, insegnare ad altri quel che non si è capaci di fare in proprio? In questo scenario da dopoguerra s’inseriscono stuoli d’improbabili soloni. Alcuni di essi sono specializzati nel giustificare i vuoti di conoscenza sistematica che si lamentano nel profilo culturale degli allievi (ma solo degli allievi?), altri sanno di preciso che cosa si debba fare per rovesciare la situazione esistente perseguendo nuovi traguardi di qualità. I primi sembrano uniformare il loro pensiero ai dettami di un Ministero della Verità che ricalca quello descritto da Orwell. Tutto l’impegno è posto nel diffondere una neolingua (ovvero, pillole di una sedicente cultura educativa) composta di poche parole, con le quali si può formulare solo un pensiero povero d’interpretazioni. Che cos’altro sono se non espressioni di una neolingua le relazioni lineari tra cause ed effetti che limitato le prime alle caratteristiche personali degli allievi e le altre ai livelli di apprendimento osservati? Certo, nessuno si sognerebbe di citare Orwell come una fonte per sostenere la pochezza di una cultura dell’educazione così poco giustificata dalla ricerca com’è quella cui fa riferimento il sistema scolastico italiano. Più fortunato di George Orwell è stato un altro scrittore del genere utopistico negativo, del quale si è presa per buona l’idea centrale e la si è riproposta senza tener conto che la parola usata per esprimerla ha un significato paradossale e grottesco. Mi riferisco a Michael Young, che nel 1958 pubblicò un libro intitolato The Rise of the Meritocracy. Nel libro si trova descritto un ordinamento sociale nel quale il destino degli individui è determinato dalle loro capacità mentali e dallo sforzo che sono disposti a produrre per affermarsi. Quella che ne deriva è una élite arrogante, il cui potere sarà rovesciato da una rivoluzione. I nostri insegnanti dovrebbero muoversi in una dimensione culturale dominata dalla neolingua, e perseguire intenti meritocratici. In breve, sono sballottati fra un incubo e l’altro. Una politica per la crescita dell’educazione non può non porsi il problema di stabilire le condizioni per affermare un profilo d’insegnante capace di interpretare le nuove esigenze dell’educazione e di elaborare le soluzioni più opportune. *********** 18. Scuola, per cambiarla coinvolgere tutti i protagonisti - di B. Vertecchi Molti tentativi di intervenire nella crisi del sistema educativo mi fanno venire in mente il paradosso di Zenone. Se la tartaruga avesse avuto un sia pur modesto vantaggio, Achille non sarebbe riuscito a superarla perché nel tempo che gli sarebbe stato necessario per raggiungere la posizione occupata dalla tartaruga all’inizio della corsa quest’ultima avrebbe percorso un segmento ulteriore. Achille avrebbe dovuto quindi percorrere un altro tratto, ma nel frattempo la tartaruga avrebbe acquisito un nuovo vantaggio. E via seguitando. Eppure, sarebbe bastato abbandonare un’argomentazione astrattamente rigorosa, e spostarsi sul piano dell’esperienza, per verificare che Achille non avrebbe avuto alcuna difficoltà a superare la tartaruga. Anzi, su tale piano, il problema non si sarebbe neanche posto. Mutatis mutandis, e sempre che si manifesti un orientamento positivo nei confronti della scuola, ci si trova di fronte a due modi del tutto diversi di affrontare le difficoltà che caratterizzano l’attuale fase di sviluppo dei sistemi educativi: il primo si limita a dare soluzioni a singoli aspetti del disagio, mentre l’altro tende a superarlo complessivamente, ridisegnando gli intenti, le strategie e le pratiche dell’educazione. Se ci si soffermasse su ciò che non soddisfa, si aprirebbe una lista da far impallidire il catalogo delle conquiste di Don Giovanni, così puntualmente aggiornato da Leporello. L’educazione continuerebbe a percorrere un cammino faticoso, ma soprattutto incerto. Niente assicura che ciò che sembra risolvere un aspetto del malfunzionamento della scuola non produca contraddizioni capaci di generare nuovo disagio. Inoltre, né le cause, né le manifestazioni del disagio resistono invariate per il tempo necessario a introdurre questa o quella modifica nel funzionamento del sistema. Di fronte ai tanti aspetti che non soddisfano nella pratica dell’educazione scolastica ci si dovrebbe prima di tutto chiedere se essi discendano da uno o più fattori specifici di malfunzionamento, o se il disagio che ne deriva non debba essere inteso come l’indice di un deterioramento che investe l’insieme dei fattori che trovano, o dovrebbero trovare, composizione nel sistema educativo. Il fatto è che gli interventi che hanno come scopo di porre rimedio a questa o quella difficoltà che le scuole incontrano nello svolgere il proprio compito rispondono a una logica interpretativa attenta ai fenomeni contingenti, ma poco consapevole delle relazioni che collegano fra loro il gran numero di elementi e determinano condizioni più o meno favorevoli per l’attività educativa. Si tratta sia dei diversi aspetti del funzionamento della scuola, sia dei fattori politici e sociali che in un contesto virtuoso facilitano il compito educativo, ma lo condizionano negativamente se il contesto non è tale. Sono elementi che non debbono essere trascurati, così come non possono essere lasciate senza risposta le manifestazioni di disagio più evidenti, quelle che hanno ripercussioni immediate sulle condizioni di esistenza di chi in vario modo è coinvolto nel funzionamento della scuola. Occorre però evitare che la ricerca di soluzioni settoriali faccia perdere di vista l’insieme delle interazioni dalle quali deriva l’orientamento complessivo dell’educazione. In altre parole, Achille non potrà superare la tartaruga fino a quando al cattivo infinito (ovvero, in termini hegeliani, all’enumerazione delle cause di disagio) non si sarà sostituita un’interpretazione unitaria. Quello che occorre superare è un certo determinismo nello stabilire il nesso tra l’individuazione del disagio e gli effetti che questo o quel provvedimento è in grado di conseguire. Può anche darsi che a breve termine si osservino gli effetti desiderati, ma nulla assicura che si tratti di effetti che permangano per un tempo abbastanza lungo da consentire di sviluppare progetti educativi di qualche consistenza. Non si deve dimenticare che le grandi trasformazioni che hanno interessato la storia dell’educazione e che hanno mutato gli atteggiamenti e il profilo culturale delle popolazioni sono avvenuti in condizioni lontanissime da quelle che sarebbero state desiderabili. Quel che era chiaro, e generalmente condiviso, era l’intento che si voleva perseguire. Fruire di educazione formale era desiderabile non tanto per i benefici che se ne sarebbero tratti nell’immediato, ma soprattutto per quelli che si sarebbero potuti attendere nel corso della vita. La forza dei cambiamenti educativi era quella necessaria a dare attuazione ai disegni utopistici (da Moro a Bacone) o politici (da Rousseau a Marx) tesi a migliorare, attraverso la conoscenza, le condizioni di vita. C’è speranza per la scuola se si ridefinisce l’intento dell’educazione formale e se tale intento sarà generalmente condiviso. Il funzionamento del sistema educativo, prima ancora di essere un problema tecnico, è una questione di coerenza dei comportamenti collettivi. Non basta preoccuparsi per l’immediato, perché ancora più importante è assicurare a bambini e ragazzi la capacità di capire le trasformazioni che interverranno nella società, nella conoscenza, nelle attività produttive. Ma, per definire un progetto di trasformazione della scuola, c’è bisogno di coinvolgere tutti i soggetti interessati, promuovendo un grande dibattito nazionale. *********** 19. Occorre un curricolo verticale per consentire ai giovani di conseguire le competenze di cittadinanza Maurizio Tiriticco Com’è noto, l’obbligo di istruzione decennale è stato istituito nel nostro Paese solo alla fine del 2006, in seguito a una scelta del governo di centro-sinistra, con la legge finanziaria relativa al 2007. Il decreto applicativo è del medesimo anno (dm 139/07) e il modello di certificazione, estremamente necessario per dare gambe e corpo all’innovazione, è stato varato ben tre anni dopo (dm 9/10), con il governo di centro-destra. Va, comunque, ricordato che, in effetti, l’obbligo non termina a 16 anni in quanto, a norma di quanto sancito dall’articolo 2, comma 2 della legge 53/03 (alias “riforma Moratti”, governo di centro-destra), “è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al compimento di una qualifica entro il 18° anno di età”. Come spesso avviene nel nostro Paese, l’eccesso della norma non corrisponde poi alla normalità dei fatti, per cui possiamo dire che, per quanto riguarda l’adempimento dell’obbligo di istruzione, la prevista certificazione delle competenze in moltissimi casi è solo un’operazione formale e, per quanto riguarda il diritto/dovere all’istruzione, è noto che sono migliaia i giovani che non posseggono alcun titolo di studio oltre il diploma di licenza media che, com’è noto, dopo l’innalzamento dell’obbligo, di fatto non ha più alcun valore formale. Va anche detto che il Parlamento europeo e il Consiglio hanno provveduto, con una Raccomandazione del 23 aprile 2008, a definire un Quadro Europeo delle Qualifiche – EQF, European Qualifications Framework – scandite in otto livelli, e ciascun Paese membro avrebbe dovuto dichiarare a quali livelli corrispondessero i propri titoli di studio. Il che avrebbe reso più facile la circolazione dei titoli, e ovviamente degli studenti e dei lavoratori, all’interno dell’UE. Il nostro Governo ha assunto le sue decisioni in merito all’EQF con notevole ritardo, con un provvedimento del 20 dicembre 2012. Si veda al proposito l’“Accordo sulla referenziazione del sistema italiano delle qualificazioni al Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008”. Da tale accordo risulta che il titolo della nostra scuola media corrisponde al primo livello europeo e la certificazione dell’obbligo decennale al secondo. Va anche considerato che ormai in ambito europeo la conclusione di ogni ciclo di studio è scandita in conoscenze, abilità e competenze. Per quanto riguarda la conclusione del primo ciclo italiano, gli esiti di apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti: conoscenze generali di base; abilità di base necessarie per svolgere mansioni o compiti semplici; competenze, lavorare o studiare sotto supervisione diretta in un contesto strutturato. Ovviamente l’attività lavorativa non interessa il nostro quattordicenne, in quanto la norma prescrive che l’accesso al mondo del lavoro è possibile solo dopo aver assolto l’obbligo di istruzione, dopo i 16 anni di età, o dopo i 15, se si accede all’apprendistato di primo livello. Per quanto riguarda il conseguimento dell’obbligo di istruzione decennale, gli esiti di apprendimento indicati dall’Unione europea sono i seguenti: conoscenze pratiche di base in un ambito di lavoro e di studio; abilità cognitive e pratiche di base necessarie per utilizzare le informazioni rilevanti al fine di svolgere compiti e risolvere problemi di routine, utilizzando regole e strumenti semplici; competenze, lavorare o studiare sotto supervisione diretta con una certa autonomia. Da quanto detto, emerge che nella nostra scuola la progettazione di un curricolo verticale decennale che proceda dal primo ciclo (se non dalla stessa scuola per l’infanzia) alla conclusione del biennio obbligatorio non è sempre agevole, almeno per due motivi: a) la cesura tra il primo e il secondo ciclo è sottolineata da un esame di Stato di dubbia legittimità; non ha senso un esame che non conclude un percorso di studi effettivo e che resta in vita solo perché l’articolo 33 della Costituzione prevede che al termine di ciascun ciclo di studi vi sia un esame di Stato; occorre anche considerare che l’effettivo primo ciclo oggi è decennale; b) una certificazione dell’obbligo decennale è in larga misura vanificata, almeno per due motivi: 1) il biennio non è mai percepito come “unitario” e conclusivo di un percorso, come prevede il dm 139/07, ma come “propedeutico” a un successivo e specifico triennio; 2) le competenze di cittadinanza funzionali all’apprendimento permanente, di cui al citato EQF, sono di fatto ignorate dal dm 139/07, istitutivo dell’obbligo di istruzione decennale (figurano in parentesi come un ingombrante accessorio!!!), per cedere il posto a quattro assi culturali pluridisciplinari, pur necessari, ovviamente. Da quanto detto, ci si attende che in un prossimo futuro venga adottato un provvedimento che si muova in verticale e in orizzontale, se si può dire così: a) in verticale, perché si decida che un percorso obbligatorio decennale non può non avere una sua continuità didattica, pur nel pieno rispetto dei diversi livelli di maturazione che vanno dall’infanzia alla preadolescenza e all’adolescenza (ma queste sono questioni pedagogico-didattiche, non ordinamentali!); b) in orizzontale perché nell’ultimo biennio obbligatorio “l’equivalenza formativa di tutti i percorsi” – come si legge all’articolo 2 del dm 139/07 – sia effettivamente garantita. A queste condizioni, un effettivo curricolo verticale, continuo e progressivo sarebbe quindi possibile, anche perché permetterebbe ai nostri giovani “obbligati” di conseguire competenze di cittadinanza finalizzate anche e soprattutto a un apprendimento permanente da condurre in un concorso civile e culturale con i giovani europei. Il che permetterebbe al nostro Sistema di istruzione di compiere quel necessario salto di qualità che è nell’auspicio di tutti. *********** 20. La scuola è morta, viva la scuola - Franco De Anna Note a margine del nuovo libro di Bottani. Il nocciolo di una analisi realistica: i sistemi di istruzione pubblica nazionale hanno fallito sia per quanto attiene ai risultati di apprendimento, sia e soprattutto per quanto attiene alla sfida della "equità" sociale e del superamento delle disuguaglianze. Requiem per la scuola. Così titola il libro. Il secolo in cui sono nato incomincia con le carrozze a cavalli e i lumi a petrolio e finisce con la microelettronica, la rete, l’ingegneria genetica, le nanotecnologie. Ho avuto la fortuna di nascere a metà di quel secolo e dunque la mia vita si è sviluppata a cavallo con il nuovo millennio; si è saturata, nella sua adultità, di tutte le novità della tecnologia che con la loro velocità di diffusione, pervasività di applicazioni a tutti gli aspetti del vivere quotidiano, hanno modificato profondamente quest’ultimo e per tutti.. Per altro non saprei dire se la pressione innovativa di tali fenomeni sulla mia vita e la loro influenza materiale e psicologica su di me, sulla mia configurazione di persona, soggetto, individuo, sia stata più o meno elevata di quanto accaduto per esempio a mio nonno. Lui era nato nel 1882, l’anno della morte di Garibaldi (a dirlo così fa più impressione…) ed è morto poco dopo la mia nascita. Quale sfida della Storia sulle nostre reciproche storie personali è stata più radicale? Mio nonno ha visto generalizzarsi l’uso quotidiano, produttivo e domestico dell’energia elettrica, le strade riempirsi progressivamente di automobili, i cieli di aeroplani, l’etere di voci ed immagini scambiate a distanza di migliaia di chilometri; è passato attraverso due guerre mondiali che possono in realtà considerarsi come due tappe di una medesima lunghissima guerra dei trent’anni… Se dovessi enumerare " i cambiamenti" vissuti da mio nonno sotto il profilo della loro quantità e portata non avrei dubbi ad assegnare la palma della sfida a quale sia più radicale. Bisogna invece considerare altre circostanze per capire l’effettiva portata dei mutamenti della Storia su quelli delle storie individuali. Per esempio, per quanto riguarda il rapporto tra lo sviluppo e diffusione della tecnologia e la sua influenza innovativa nella vita quotidiana delle persone, contano lo sguardo, le attese e le disponibilità soggettive (curiosità, speranze, aperture) che le persone stesse mettono in campo rispetto all’innovazione. Il Paese nel quale si è formato, cresciuto e vissuto mio nonno per gran parte della sua vita era sostanzialmente un Paese di analfabeti e di contadini, largamente legato alle rappresentazioni ed ai valori della vita agricola. Poche le isole di sviluppo industriale ed urbano negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia: quando la cultura ad esse legata ha cominciato a generalizzarsi ed a irrobustirsi a sufficienza per "marcare" il senso comune, mio nonno era già adulto, e andava in guerra. Vivere direttamente in prima persona il generalizzarsi della disponibilità domestica di energia elettrica deve avere avuto un impatto formidabile sulla sua testa e sui suoi pensieri: non aveva seguito alcun curricolo scolastico che gli avesse insegnato cosa fosse quella forma di energia che si propagava nella sua casa. La prima lavatrice nella mia famiglia entrò quando avevo già compiuto e per intero, l’istruzione primaria. La sua portata innovatrice, particolarmente nella vita di mia madre, fu formidabile. Ma io ne ero preparato: non solo la disponibilità di elettricità era ormai cosa consolidata, ma avevo imparato a scuola che cosa fosse. La mia "testa" aveva già introiettato una "curvatura" di curiosità, disponibilità, informazioni, attese che assicuravano una diversa mediazione dell’impatto delle innovazioni tecnologiche e scientifiche. La generazione di mio nonno visse in un tempo in cui l’attesa di vita media era al di sotto dei 50 anni (e le carneficine belliche produssero, nei fatti, inveramenti più che realistici delle previsioni statistiche). La "piramide della popolazione" era davvero una piramide: classi di età giovanili molto popolate e restringimenti progressivi verso un vertice non particolarmente elevato. Le "memorie", le consapevolezze della Storia, non potevano che seguire tale distribuzione, in almeno due aspetti. Il primo: la "quantità" di innovazione che ogni persona incontrava nella sua vita materiale era contenuta nella maggiore brevità (media) della stessa. Insomma uno "stress innovativo" forzatamente limitato sotto il profilo quantitativo. Il secondo: la base molto larga della piramide della popolazione e il vertice abbassato definivano condizioni particolari alla "riproduzione della memoria". Pochi anziani, molti cuccioli da portare nella foresta per insegnare loro a cacciare. Una "struttura" adeguata (!?) a compiti "conservativi, nella trasmissione delle memorie tra generazioni (Come fu per gran parte della Storia di gran parte dell’umanità). Ma totalmente inadeguata a fare fronte a tensioni innovative sostenute dallo sviluppo della scienza e dalla tecnologia e capaci di modificare la vita quotidiana di masse sempre più larghe di popolazione e con velocità sempre più elevata. Scienza, tecnologia, economia capaci di imprimere un ritmo di innovazione che poneva le popolazioni di fronte a "oggetti" sempre nuovi, ma che le condizioni tradizionali della riproduzione culturale intergenerazionale non garantivano di socializzare adeguatamente e collocare nella "biblioteca personale" disponibile alle menti ed all’esercizio di padronanza dei singoli e delle comunità.. Ovviamente non un problema per le elite sociali: l’istruzione, come funzione sociale "specializzata" a ciò, assolveva per loro a tale compito di "riproduzione delle memorie e del senso" che si ritrovava compressa nella struttura della distribuzione "naturale" delle generazioni. Chi oggi ha una età simile alla mia (ultrasessantenne) ed è laureato come me, dovrebbe sempre ricordare alcune "verità" strutturali che a volte suonano "scomode", soprattutto quando si tratti di discutere di politica scolastica. L’80% (ottanta!) della popolazione di coloro che nel 1963 (scuola Media Unica) avevano più di 10 anni (quorum ego: non ho fatto la media unificata..) ha frequentato solo le scuole elementari. Questa parte di popolazione ha vissuto una vita intera nella quale benessere progressivo e cultura dei consumi (pervasività della tecnologia nella vita quotidiana compresa) si sono accompagnati a condizioni di semianalfabetismo o di analfabetismo di ritorno. Una condizione che non può non avere pesato anche sui suoi figli e nipoti, sia pure sottratti a ciò da una scolarizzazione di massa cresciuta impetuosamente lungo gli anni ’70 del secolo scorso. Ciò significa che a metà degli anni Novanta la stragrande maggioranza degli ultraquarantenni erano figli di una Italia premoderna, che pur non esistendo più nella realtà non poteva però che alimentare stratificazioni profonde (memorie, attese, disponibilità, padronanze) della loro identità/personalità. Tutto questo fa di me ( e di quelli come me) un privilegiato. Ricordarlo non serve ovviamente per alimentare sensi di colpa, ma certamente per dare alle nostre opinioni, ai nostri argomenti, alle nostre analisi piegate sull’oggi, (e su qualche deriva "funzionalista" o ideologia postmoderna come quella della "società della conoscenza") la corretta prospettiva, capace di respirare il futuro e non solo di invocarlo. L’istruzione pubblica, la scuola di massa per il nostro Paese ha avuto questo fondamentale significato storico (una sfida/scommessa in realtà): ridistribuire socialmente, oltre la disuguaglianza sociale, le condizioni di una riproduzione culturale capace di creare le condizioni per superare la contraddizione specifica del nostro Paese: tra la "struttura profonda" premoderna e lo sviluppo economico da grande paese industrializzato. La vera domanda oggi sarebbe circa quanto in quella direzione è stato fatto e quanta di quella sfida scommessa sia ancora attuale e come fare per "giocarsela" nelle condizioni attuali (cosa è morto, cosa occorre rivitalizzare, cosa far nascere) E’ chiaro che qui mi riferisco ad una "istruzione di base" socializzata ed unitaria (vedi dettato costituzionale nella sua letterale espressione). Altro ragionamento ed approccio occorrerebbe sviluppare, pur partendo da qui, per l’istruzione superiore e terziaria. Su questo piano il dato più preoccupante in termini di "risultati" non sono le "misure" delle prestazioni degli studenti, ma la non "equità" del sistema, la permanenza di una varianza interna non accettabile e che contravviene l’assunto di base, il permanere ed acuirsi di differenze territoriali e di contesto ancora prima, e non solo, che socio economiche. Non è certo la scuola a doversi fare carico di combattere, da sola, le disuguaglianze sociali. Esse si riflettono al suo interno, come ovvio. Ma è legittima la domanda se lungo gli anni di permanenza al suo interno, essa sappia contribuire ad attenuare il peso che le variabili di tipo economico e sociale assumono nella crescita di una persona, se questa rappresenta una missione dichiarata e praticata dalle politiche pubbliche, e condivisa e socializzata da un ceto professionale che a partire da essa configura il proprio profilo, le proprie competenze, i propri "attrezzi di lavoro". Se un attenta analisi critica dei dati (a questo servono le valutazioni) fornisce risposte negative o quanto meno dubitative, il problema non è dichiarare fallimento e morte. Ma capire cosa e come cambiare ciò che pareva consolidato e dato per scontato da scarsa cura nelle letture valutative. Se guardo ancora a me e a mio nonno mi riesce difficile pronunciare un requiem. Quando sono nato oltre il 50% dei lavoratori italiani era impiegato (!?) nell’agricoltura. Lungo la mia vita tale dato si è ridotto a meno di un decimo. Ed è evidente che non si tratta solamente di un dato occupazionale: significa emigrazione interna ed esterna, inurbamento, mutazione di modelli culturali e di vita… La massificazione della scuola di base ha accompagnato tutto questo. Ed è un risultato storico . Tutto questo è certamente finito: altri compiti, altre soluzioni, altre modalità e strumenti per affrontarle. Ma, proprio perciò, e proprio per l’istruzione di base (con quei significati, nella riproduzione delle generazioni che ho cercato di indicare) non un requiem, ma un altro assetto di compiti e priorità. E se si misura il fallimento proprio in termini di equità ed uguaglianza, da lì occorre ridefinire politiche e strumenti. Prima di tutto facendo proprio dell’istruzione di base la priorità della politica pubblica. (Si raccomanda, personalmente, con priorità per l’infanzia…). Riconoscere che il compito è diverso dal passato è però non solo un attributo di onestà politica ed intellettuale (e ben vengano da questo punto di vista anche le affermazioni tranchant sui requiem necessari) ma anche una condizione per definire politiche pubbliche sensatamente verificabili. Per esempio, come si ridefiniscono condizioni di riproduzione delle memorie, del senso comune, delle capacità di padronanza tra generazioni, a fronte di una "piramide della popolazione" che è oggi tutt’altro che una piramide e assomiglia invece ad una "cupola orientale", con una base ristretta, un rigonfiamento mediano ed una punta che si assottiglia verso l’alto? Anziani numerosi, e ancor più le età di mezzo. Pochi cuccioli da portare nella foresta per insegnare loro a cacciare, ma con compiti assai più complessi di un tempo. La foresta è più intricata e la caccia è più difficile. Bastano in proposito anche i volenterosi e apprezzabili sforzi di innovare curricoli e contenuti (pardon… "indicazioni"), O al contrario sono le condizioni "strutturali" da cambiare (durate, tempi, scansioni, ambienti, contenuti e distribuzione del lavoro, protagonisti…)? Pensiamo per esempio all’interrogativo specifico, rispetto all’istruzione di massa, rappresentato dal rigonfiamento intermedio della piramide della popolazione e ai fenomeni acclarati di semi analfabetismo o di analfabetismo di ritorno: forse si potrebbe azzardare che possano cambiare i riferimenti generazionali dell’opera di istruzione della scuola, a parità di suoi significati sociali di fondo.(la scommessa dell’uguaglianza…). D’altra parte, a proposito di coerenza di politiche pubbliche e di priorità sociali, non posso non ricordare che nel nostro Paese quella che oggi si chiama "formazione per tutta la vita" ha acquisito qualche cittadinanza solo sulla scorta di un impegno "sindacale" ( le 150 ore…). L’Ordinamento, in quanto tale (dal decisore politico, all’Amministrazione) ha sempre avuto (ha?) "pensieri lontani" da tali obiettivi di fondo. (si vedano, al di là delle affermazioni di principio, le vicende relative agli assetti dei Centri Territoriali di istruzione permanente…) La grande affermazione dell’istruzione come "bene comune", non può significare mantenere ciò che è stato. Né quei fallimenti presentati da Bottani sono un dato contingente legato ai limiti di risorse. Questi certo aggravano la situazione, ma i cattivi risultati rispetto alla scommessa storica dell’equità hanno radici ben più lontane. L’argomentazione precedente muove dallo spunto iniziale costituito dalla innovazione, diffusione, pervasività dello sviluppo tecnologico e della funzione dell’istruzione di massa come strumento di socializzazione culturale adeguata ad esso e finalizzata allo sviluppo di sensate condizioni di "padronanza" dei suoi effetti lungo la riproduzione delle generazioni. Ma argomentazioni analoghe (o meglio simmetriche) si possono fare rispetto ad altri aspetti relativi allo sviluppo dell’istruzione pubblica di massa nel nostro Paese che danno specificità al processo anche rispetto alla comparata internazionale. I sistemi di istruzione pubblica accompagnano, nel loro sviluppo, l’affermarsi e consolidarsi degli stati nazionali. La loro articolazione di funzioni, le scale di valori, gli assetti, la "significazione sociale" che accompagna il loro costituirsi istituzionale sono connesse in una permanente dialettica con gli stessi caratteri del "costituirsi" degli Stati nazionali. La comparata sui "risultati" è dunque analisi fondamentale e necessaria (si misurano e valutano le "politiche pubbliche); ma certamente non né sufficiente, né esaustiva. Solo alcuni esempi. L’alfabetizzazione si pose come obiettivo storico fondamentale nei paesi della Riforma perché ad essa era legata alla "lettura del Libro" esercitata personalmente. Più tardi, la "riproduzione culturale" propriamente detta (il modello di "cultura nazionale", la Kultur) è legata alla "nazionalizzazione delle masse", o alla "civilisation", e possiamo assumere tanto Bismark, quanto la Republique come riferimenti storici (con modelli diversi, certamente). Ma le correlazioni tra sviluppo dei Sistemi di istruzione pubblica e lo sviluppo e consolidamento degli Stati nazionali, sotto il profilo sia delle "funzioni" sia delle "significazioni sociali" riguardano in particolare i livelli superiori di istruzione. E’ infatti a questo livello che agiscono con più significativa efficacia entrambi gli "operatori di significazione sociale" legati alla istituzione pubblica del sistema nazionale di istruzione: la riproduzione delle elite (politiche, amministrative, culturali, scientifiche, sociali) e la (più tarda) riproduzione dei "talenti economici" (ingegneri, tecnici, agronomi, economisti…). Su questo piano i miei distinguo rispetto alle diagnosi di requiem di Bottani si attenuano alquanto per lasciare posto ad una corrispondenza di pensieri: "quel" sistema è al tramonto conclamato. Primo: il decadere di significato, potestà deliberativa, rappresentanza di interessi e volontà politiche degli Stati nazionali rappresenta un tratto specifico di questa era. C’è chi pensa, anche per sincera preoccupazione, alla possibilità di opporsi a tale processo. Ma se appena volge lo sguardo per capire chi abbia intorno come alleato, non può che desistere. Non pare ci sia alternativa autenticamente democratica nel rifluire a negare la fase della Storia che vede declinare la funzione degli Stati nazionali, a meno di ritrovarsi in pessima compagnia. Si può solamente al contrario spingere per trasferire sul piano sopranazionale le istanze di democrazia, cittadinanza, deliberazione. Ma ciò significa operare per "far convergere" nella loro strutturalità i diversi apparati un tempo autoparametrati sul monopolio statuale. Non sono sufficienti (anzi a volte dannosi nella loro funzione mistificante) le sole definizioni di "parametri" di risultato: occorre la convergenza dei processi e delle strutture reali. Il rapporto PIL/deficit non significa nulla (è parametro "stupido" diceva Prodi) se la struttura dei diversi bilanci pubblici non tende a convergere nella sua composizione, e dunque se non convergono, nella loro operatività i sottosistemi di spesa pubblica, dalle pensioni, alla sanità, alla scuola… Ciò vale dunque per quei sottosistemi istituzionali fondamentali che sono i sistemi di istruzione nazionale…Occorrono altri obiettivi comuni, altre significazioni unificanti, altre decisioni di investimento coordinato sull’istruzione superiore… Secondo: la suggestione della "società della conoscenza" rischia di occultare una mistificazione ideologica se non si considera che i caratteri dello sviluppo economico, nazionale e mondiale, hanno bensì una necessità sempre rinnovata di disporre di talenti di alto livello di competenze (da qui la suggestione citata e quella spesso insieme declinata del "merito"). Ma i caratteri stessi dello sviluppo implicano che 1) le competenze richieste abbiano un elevatissimo tasso di obsolescenza, e dunque decadano con ritmi assai più rapidi di quelli generazionali e che 2) il sistema ha bisogno di talenti sempre più qualificati, ma è in grado di valorizzarli solo in modo sempre più selettivo (altro che ascensore sociale: o meglio, si tenga conto, per valutare le metafore, che l’ascensore è sempre un contenitore di assai esigue dimensioni… è in grado di contenere assai poche persone…). Rimando, per comprendere la portata "ideologica" del paradigma di "società della conoscenza" alle analisi di L. Gallino sulle stratificazioni del lavoro connesse alla globalizzazione e sul valore "falsificato" di un indicatore come il "titolo di studio" nel determinare tale stratificazione. Terzo: se si guarda allo specifico della istruzione superiore italiana, le diagnosi nefaste si fanno molto realistiche. Senza dilungarmi in complesse analisi (del resto ampiamente disponibili…) uso come paradigmatico il confronto tra i tedeschi che, dopo la tragedia bellica e del nazismo seppero spostare il baricentro dell’istruzione secondaria dalla Kultur del Gymnasium all’istruzione professionale e tecnica (senza nulla perdere, anzi, sul piano della cultura umanistica) e il caso italiano di contraddittoria permanenza di una scala di gerarchie e valori incentrata sull’istruzione liceale; resa obsolescente in termini reali e conclamati da una crescita di massa dell’istruzione tecnica e professionale (in certe fasi storiche coerente con lo stesso sviluppo economico), e però mantenuta comunque operativa nelle scelte di ordinamento (non una "sopravvivenza", cosa che già sarebbe grave, ma una permanenza fin entro alle "nuove" (!?) indicazioni per la secondaria superiore). E quanto alla riproduzione delle elites sociali e politiche…. La filiera di Presidenti francesi che, di qualunque colore politico, provenivano tutti dall’ENA è stata bensì interrotta da Sarkosy, ma si è subito ripresa…In Gran Bretagna Cameron convalida la funzione essenziale (nei fatti anche se non codificata come per l’ENA) svolta da un paio di università nell’alimentare le elites politiche. In Germania la continuità nazionale della cultura è riuscita a darsi in questi anni un (una) premier che si è formata nell’est durante una divisione storica più che drammatica. In Italia…. Beh! È sempre possibile consolarsi guardando al numero di avvocati (e di licei classici dunque) presenti in Parlamento ed ai magnifici risultati di quel "modello di cultura". Su altro il tacere è bello. Altrove ho scritto: abbiamo il Liceo, abbiamo l’Accademia,peccato ci manchi la Stoa. Più seriamente, a proposito di correlazione tra Stato nazionale e sistemi di istruzione. Io e mio nonno (per tornare all’approccio) abbiamo condiviso una idea "formativa" di fondo: lo Stato rappresentava il coronamento e l’ispirazione di un percorso formativo "dal soggetto alla cittadinanza"; dalla individuazione alla "professione" (ciò che un soggetto dà e sa al contesto sociale di riferimento). Il coronamento del percorso di cittadinanza era costituito dallo Stato. Così per me come per mio nonno. Ma non è più così: l’idea (e l’ideale) stesso di cittadinanza si complessificano e declinano più livelli. Lo Stato e i suoi ordinamenti rimangono come una "intelaiatura" di inquadramento ma entro la quale operano istanze plurime di cittadinanza "societaria" che si parametrano sulla società civile e le sue autonomie (di dimensione non meno "pubblica" degli ordinamenti statali) e contemporaneamente istanze che travalicano la dimensione nazionale e che richiedono parimenti esercizio di cittadinanza (la deliberazione e le appartenenze) su una scala sopranazionale. Per me una sfida che arriva in tarda età. Ma le nuove generazioni nascono "dentro" questa sfida. In altre parole, la "formazione" delle nuove generazioni (e non solo), acquista altri riferimenti e manda in obsolescenza antiche significazioni che delineavano le funzioni sociali dei sotto insiemi istituzionali costituiti dai sistemi di istruzione. Qui sono francamente d’accordo con Bottani: bisognerebbe avere il coraggio di intonare un requiem. Ma, senza esagerare, credo si possa delineare una conclusione operativa. Focalizzare gli obiettivi di politica pubblica sull’istruzione di base: durata, organizzazione, scansioni, ambienti, obiettivi, qualità del lavoro impegnato, condivisone di una mission forte e fondata costituzionalmente. Qui deve "consistere" il sistema di istruzione e il suo "ordinamento", il suo interpretare un "bene comune" e la sua capacità di interpretare la sfida di "questa" Storia. Per l’istruzione superiore, al contrario, occorre superare il paradigma stesso di "ordinamento" (e le scale di valori e gerarchie implicite connesse). Portare a effettiva consequenzialità una intuizione pure presente nei tentativi di riforma della secondaria: la flessibilità dei percorsi, liberando tale opzione dai lacci e laccioli che la imprigionano. Arrivare ad una assennata composizione tra (poche) prescrizioni generali e "mirate" scelte opzionali, vocazionali, personali, in relazione a contesti socio economici e produttivi diversi e con diversa domanda sociale. ***********