la metamorfosi del camion
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la metamorfosi del camion
1 EDITORIALE LA METAMORFOSI DEL CAMION di Dino Falconio Il 19 maggio il volo Egiptair da Parigi al Cairo si inabissa nel Mediterraneo facendo trovare tracce di esplosivo sui 66 morti: nessuno rivendica. Il camion come arma letale non convenzionale: del 2016 rimarrà questa metamorfosi macabra. Il bisonte della strada é divenuto, zeppo di esplosivi, strumento preordinato di morte. É successo sulla promenade di Nizza il 14 luglio, festa nazionale francese in memoria della presa della Bastiglia. Ed é successo il 19 dicembre a Berlino nei mercatini di Natale. Due stragi feroci in occasioni di festa popolare, pensate dagli attentatori jihadisti per colpire la "normalità" dell'Occidente e i suoi momenti identitari. In quello stesso giorno pre-natalizio un attentato, oltre la fantasia di qualsiasi spy story e film thriller, l'ambasciatore russo Karlov veniva assassinato ad Ankara da un combattente islamico a viso aperto durante la cerimonia inaugurale di una esposizione, mentre a Zurigo un uomo apriva il fuoco sulla folla presso il centro mussulmano. La scia di sangue del camion parte da inizio anno. Ma la scia di intolleranza e di sangue di questo anno appena trascorso é partita dall'inizio: la notte di Capodanno, proprio in Germania, a Colonia, oltre cento donne subivano violenza sessuale da gruppi di migranti; a metà dello stesso mese a Istanbul morivano dieci persone uccise da un kamikaze che si faceva saltare in aria. Il 22 marzo sotto attacco è Bruxelles con due esplosioni dell'Isis fra l'aeroporto e la metropolitana che provocano 32 morti, a quattro giorni di distanza dall'arresto di Salah il terrorista ideatore degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi. Il 12 giugno un cittadino statunitense di origini afghane, simpatizzante dell'estremismo islamico, spara all'impazzata all'interno del locale gay Pulse di Orlando in Florida, causando la strage di 50 avventori. Di nuovo ad Istanbul all'aeroporto Ataturk un commando di kamikaze, accusato dal governo turco di agire per il Califfato, si fa esplodere causando la morte di 48 persone. A Dacca, in Bangla Desh, il primo luglio giovanissimi terroristi legati all'Isis irrompono in un ristorante "a la pàge" uccidendo 24 persone, fra cui 9 italiani; due giorni dopo a Karrada, quartiere sciita di Baghdad, l'Isis provoca la mattanza di 341 persone nel campo di quella guerra strisciante dimenticata da Dio e dagli uomini. A luglio dopo Nizza, una settimana di fuoco anche in Germania con una escalation di fatti cruenti: un diciassettenne afgano sostenitore dell'Isis sale su un treno a Wuzburg e con un'accetta ferisce cinque persone, prima d'essere ucciso; un siriano di 27 anni, che aveva giurato fedeltà al Califfato, si fa esplodere al festival musicale di Ansbach; a Monaco di Baviera un adolescente di origini iraniane in un centro commerciale prima uccide 9 persone e poi si toglie la vita. Ancora orrore in Francia il 26 luglio due uomini legati all'Isis fanno irruzione in una chiesa a Saint-Etienne-de-Rouvray, nel nord del paese, uccidendo un anziano sacerdote di 85 anni, padre Jacques Hamel, per il quale a settembre il Vaticano ha iniziato il processo di beatificazione. E intanto perdura ininterrotto il Calvario di Aleppo, dove migliaia di esseri umani N. 6 novembre - dicembre 2016 2 EDITORIALE LA METAMORFOSI DEL CAMION di Dino Falconio lottano fra la morte, la fame e la guerra e dove i bambini defunti a gruppi di 40 alla volta non fanno più compassione al mondo. La terza guerra mondiale a pezzi Il susseguirsi di tanta violenza e di così copioso sangue sta producendo una assuefazione da temere quanto la psicosi di massa generata dagli attentati. Nell'era dell'insicurezza dominante e dell'inquietudine permanente, sta morendo la solidarietà. La reazione del riccio che si chiude in se stesso sta proiettando ombre sinistre sulla convivenza delle comunità internazionali e interne. Papa Francesco la chiama "Terza Guerra Mondiale a pezzi". Può darsi che non sia un conflitto mondiale secondo le tradizionali categorie novecentesche, ma é fuor di dubbio che in questa dannata filiera di stragi terroristiche vi siano coinvolgimenti di diversi continenti e ricadute transfrontaliere tipiche di un evento bellico planetario. Vi é anche un'altra similitudine con il clima di Grande Depressione che precedette dal 1929 la seconda guerra mondiale, nel quale si generarono i protezionismi e i nazionalismi che deflagrarono nello scontro che durò dal 1939 al 1945. Oggi i tempi di reazione della storia si sono accorciati e in meno di dieci anni dalla macro-crisi economica del 2007 siamo giunti non a caso a forme più recenti guardacaso- di protezionismo in materia economica, nazionalismo in campo politico e xenofobia (versione contemporanea di un certo razzismo fiorito negli anni '30) in campo sociale. Al di là delle chiavi di lettura contingenti bisogna registrare un'onda lunga che porta nel pianeta intero un orientamento che sarebbe troppo sbrigativo definire populismo. Ci sono nuovi bisogni di massa che bisogna imparare a conoscere e ad intercettare. Non può ridursi tutto al giudizio superbo che si tratta di atteggiamenti di pancia, dimenticando che esiste anche una razionalità di pancia. Perché se non si ha di cosa mangiare giocoforza bisogna obbedire alla pancia e trovare come soddisfarla. In realtà la globalizzazione (che pure ha prodotto un innalzamento medio delle condizioni di vita generali e dei salari su scala mondiale) ha dato la stura alle "nuove povertà", che reagiscono su piani multipli: in economia si acuiscono le forme di indigenza, in campo relazionale si accentuano gli egoismi, nella cultura prevale l'omologazione e nel lavoro tornano prepotenti moderne alienazioni. Il miraggio mitopoietico della decrescita felice non assorbe le paure e le incertezze di una "new generation" che si trova la prospettiva di un avvenire meno florido di quello che attendeva i propri genitori quando erano suoi coetanei. La difficoltà di fondare nuclei familiari in uno status di precariato imperante di fronte alla macroscopica ingiustizia della detenzione del 90% della ricchezza mondiale nelle mani dell'1% della popolazione planetaria spinge a un sentimento comune contro gli "establishment" che non può essere liquidato con sufficienza o, peggio, negato in uno "storytelling" di autoreferenziali successi apparenti e "happy ending" a tanto al chilo. Il fil rouge N. 6 novembre - dicembre 2016 3 EDITORIALE LA METAMORFOSI DEL CAMION di Dino Falconio tecnologie, l'automazione e la rete fossero capaci di sostituirli. Gli addii In una simile ottica suonano come più che allarmanti i responsi elettorali che hanno condotto democrazie mature a dire No alle direttive dei gruppi di comando al potere. Non per il contenuto oggettivo delle scelte in sè, ma per il messaggio di discontinuità che hanno invocato. C'è un fil rouge che cuce il voto inglese su Brexit aperto dal prologo efferato dell'omicidio della deputata laburista Jo Cox, l'elezione non pronosticata di Donald Trump alla Casa Bianca, il testa a testa alle presidenziali austriache tra il verde Alexander Van del Bellen e il nazionalista Norbert Hofer, per fortuna confermato nella vittoria del primo al replay del voto il 4 dicembre, la stessa data in cui l'Italia referendaria rigettava a gran forza (60% contro 40%) una riformetta costituzionale da due soldi improvvidamente spacciata per l'anno zero di una nuova "Grandeur". Questo fil rouge è la chiamata dei titolari delle nuove povertà: "vox clamans in deserto". Una chiamata affamata, indignata, disorientata, spaventata, per certi versi scomposta e addolorata, ma che qualcuno qui sulla terra ha il dovere di ascoltare. Se determinate "elites" e segnatamente quelle di potere- sono sorde a quella chiamata, occorre ridare spazio e tempo ai corpi intermedi della società che il comodo format della disintermediazione ha richiesto di spazzar via e di fatto ha cominciato a demolire, lasciando un vuoto fra le basi e i vertici nell'illusione che le nuove Anno bisesto, questo 2016, e -come vuole la superstizione- anno funesto. Se ne sono andati Fidel Castro e David Bowie, Bud Spencer e Carlo Azeglio Ciampi, Cassius Clay e Marco Pannella, Gian Roberto Casaleggio e Dario Fo, Shimon Peres e Prince. Ma soprattutto abbiamo detto addio a Umberto Eco, che con coraggio controcorrente sul limitar della sua vita aveva scritto circa le "legioni di imbecilli" che sentenziano su facebook. E ogni settimana in fondo al mare fra Lesbo e Lampedusa si fabbrica un'altra tomba di esseri umani, vittime di una ignobile tratta, mentre l'Europa sospende il Migration Compact fra il sacrosanto richiamo all'accoglienza, l'altrettanto innegabile necessità di vera integrazione e le pulsioni razzistiche dei muri di Orban. Abbiamo conosciuto e insieme salutato per l'ultima volta Giulio Regeni, ricercatore italiano, misteriosamente massacrato in Egitto da aguzzini ufficialmente ancora sconosciuti. In una notte di mezza estate siamo diventati tutti turcologi a commentare un golpe affogato nel sangue avvitando alla stabilità la "democratura" di Erdogan, mentre un mese N. 6 novembre - dicembre 2016 4 EDITORIALE LA METAMORFOSI DEL CAMION di Dino Falconio dopo il Brasile di Dilma Roussef. varava l'impeachment Le notizie subito dimenticate Sono passate sottotono tutte le altre notizie di quest'anno, quelle liete come quelle normali: è uno sbiadito ricordo la vittoria dei campionati europei di calcio da parte del Portogallo, sembra una leggenda lontana la più importante coppa inglese vinta dall'umile Leicester di Claudio Ranieri, né risuonano gesta eroiche di assi dello sport dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro, sommerse dalle polemiche sul doping nella Russia dello Zar Vladimir Putin. Nessuno parla più delle onde gravitazionali, già teorizzate nel 1915 da Albert Einstein e annunciate nel febbraio scorso come scoperta scientificamente accertata dal Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) di Washington e dall'European Gravitational Observatory (EGO) di Cascina. Nessuno ricorda che quest'anno Madre Teresa di Calcutta è stata proclamata santa della Chiesa Cattolica, che Bob Dylan é stato insignito del Premio Nobel per la letteratura e non lo ha ritirato, che ad aprile 15 milioni di italiani spontaneamente e contro le indicazioni dei potenti andarono a votare per il referendum sulle trivelle, che è stata approvata la legge Cirinná in materia di unioni civili, che è scoppiato il bubbone internazionale dei Panama's Paper. Il massimo che di cui si discute è l'ascesa al Campidoglio di Virginia Raggi con il suo corredo di scandali e corruttela in salsa pentastellata. Poche le analisi oneste sul fallimento del renzismo e della rottamazione che appena tre anni fa avevano infiammato tanti italiani. Terremoti e terremoti Un terremoto politico a fine d'anno ha disarcionato Matteo Renzi da Palazzo Chigi, aprendo la successione di sangue blu al Conte Paolo Gentiloni Silveri da Tolentino, pronipote di quel Vincenzo Ottorino, uomo di fiducia di Papa Pio X, che con l'omonimo Patto riaprì le porte della politica ai cattolici dopo il "Non Expedit" di Pio IX. Molto più grave è stato il terremoto geologico che proprio dalle Marche e dall'Umbria ha colpito tutta l'Italia centrale con l'ecatombe di Amatrice in agosto e le repliche ancora più forti sulla scala Richter in ottobre. Ha tremato la terra e con essa hanno tremato le certezze e i riferimenti di una comunità che sta vivendo nelle tendopoli a meno sette gradi sotto zero queste stesse ore in cui noi brindiamo a festa. Solo la natura potrà sanare la frattura geologica che i movimenti tellurici hanno creato sugli Appennini, ma a noi spetta di sanare la frattura sociale che il sisma ha provocato: con una solidarietà vera, che recuperi la sua radice etimologica da "solidus", cioè con una solidarietà che si tocchi, che sia tangibile. In tutte le tragedie ci sono i "signa Dei" ed è incoraggiante e bello pensare che anche nel terremoto vi siano, non per la punizione divina come assurdamente ha dichiarato una radio conservatrice, ma per illuminare la strada per andare avanti sia pure nelle disgrazie. N. 6 novembre - dicembre 2016 5 EDITORIALE LA METAMORFOSI DEL CAMION di Dino Falconio A Norcia la faglia tellurica ha smosso le falde acquifere, creando nuove sorgenti d'acqua. La Natura ci dice che anche dal male peggiore può risorgere nuova vita. E questo messaggio della Terra è ancora più sonoro oggi che siamo a celebrare cristianamente l'incarnazione del Verbo e laicamente la nascita della vita. Un domani quelle acque minerali saranno imbottigliate. cuore a chi ha resistito a leggere queste righe, è proprio questo: che Tu sia felice, felice di felicità privata e di felicità pubblica, nella coscienza che la felicità pubblica non è la somma delle felicità private e che io non posso essere davvero felice se gli altri attorno a me non sono felici. Centinaia di camion, dismettendo la metamorfosi in armi mortali, andranno a Norcia a caricare le cassette sui loro rimorchi per trasportarle nei mercati e finire sulle tavole a dissetare gli assetati con l'acqua fonte di vita. Ci siamo dimenticati di essere felici È il caso di chiedersi nei giorni del Natale, festa della nascita di Gesù e della rinascita dell'uomo, la domanda che il geniale Paolo Sorrentino (inciampato soltanto e temporaneamente nella propaganda referendaria per il Sì) pone sulle labbra di Jude Law (Pio XIII): "Di cosa ci siamo dimenticati?" La risposta, per motivazioni uguali e diverse da quelle della fiction televisiva, non può essere che quella stessa del Young Pope: "Ci siamo dimenticati di essere felici". Ecco, l'augurio più sensato (se mai sensati possono essere gli auguri), da rivolgere di N. 6 novembre - dicembre 2016