POV: Point Of View - Salotto Letterario Virtuale
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POV: Point Of View Guida pratica ai tipi di Punti di Vista Questo documento non è completo né esaustivo riguardo i temi trattati e non contiene delle regole definitive ma solo dei punti cardine da cui partire per solidificare le proprie basi riguardo i principi della scrittura artistica. Gli argomenti riguardanti lo scrivere e le regole di buona scrittura possono essere affrontati e trattati più o meno approfonditamente e attraverso i più svariati argomenti. In questo documento saranno illustrati alcuni temi senza andare troppo nel dettaglio e senza addentrarci in esempi se non quelli puramente essenziali. Curatori: Michael Rigamonti Michele Greco Documento realizzato per i gruppi: Salotto Letterario Virtuale Michele A. F. Greco : The Path of the Morning Star Siti internet: http://salottovirtuale.altervista.org/index.html http://micheleafgreco.blogspot.it/ Gruppo Facebook: http://www.facebook.com/groups/SalottoLetterarioVirtuale Tutto il materiale contenuto in questo testo è di proprietà intellettuale dei rispettivi autori/curatori e della comunità "Salotto Letterario Virtuale". Tutto il suo contenuto viene distribuito tramite licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 3.0 Italia. Sono consentite copie cartacee di questo testo per esclusivo uso personale, ogni altro utilizzo al di fuori dell'uso strettamente personale è da considerarsi vietato e perseguibile a norma di legge. Per ulteriori informazioni http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/it/ Tipi di Punto di Vista Possiamo dividere il POV in tre tipologie principali: • Prima persona; • Seconda persona; • Terza persona. Andiamo adesso ad analizzare queste tipologie di POV, facendo attenzione ai pro e ai contro. 1. Prima persona Sto prendendo peso. Non sto diventando più grassa, solo più pesante. Questo non cambia il mio aspetto: tecnicamente sono la stessa. I miei vestiti mi vanno ancora bene, alla faccia di chi ti dice che il grasso occupa più spazio dei muscoli. La pesantezza che sento è l’energia che brucio nella mia vita: per strada, sulle scale, nel corso della giornata. È la pressione sui miei piedi. È la densità delle mie cellule, come se avessi bevuto metallo pesante. [da “Weight”di Margareth Atwood] Pro: • Usare la prima persona è il metodo più naturale di narrare: ognuno di noi la usa per raccontare qualcosa che gli è successo. • Il personaggio-pov filtra la storia con i suoi pensieri e le sue opinioni, il che permette al lettore di immedesimarsi maggiormente e di capire meglio certi comportamenti e certe sfumature psicologiche. Tecnicamente, si parla di distanza emotiva breve e di penetrazione psicologica assoluta. • La storia, raccontando delle esperienze vissute in prima persona, risulta più credibile. • Il narratore in prima persona può commentare gli eventi narratie, a differenza del narratore onnisciente, non sembra mai invadente. Contro: • I pensieri del personaggio-pov permeano tutta la storia, quindi devono essere il più possibile coerenti e verosimili. Se il personaggio-pov è psicologicamente • • • • • • • • piatto e costruito male, l’intera narrazione sembrerà poco verosimile e al limite del ridicolo. L’unica eccezione è rappresentata dai romanzi di viaggio (es. “I Viaggi di Gulliver”): in questi casi, un personaggio tridimensionale toglierebbe troppo spazio all’ambientazione e, paradossalmente, renderebbe più difficile l’immedesimazione. Il continuo flusso di pensieri può rallentare il ritmo e confondere il lettore. In particolar modo, gli sbalzi temporali provocati dai ricordi posso dare fastidio. Ci vuole molto allenamento per riuscire a gestire bene i pensieri del personaggio-pov. Lo scrittore deve limitarsi all’intelligenza e al lessico del personaggio-pov, in quanto è quest’ultimo a narrare. Proprio per questo, non tutti i personaggi sono adatti alla prima persona. Ad esempio, una bambina di undici anni che non sia un genio precoce non è di certo adatta. Il lettore ascolta la storia dalla voce del personaggio-pov, e non tutti i personaggi sono adatti a questo compito. Certi personaggi potrebbero risultare antipatici, altri troppo strani da essere capiti, altri ancora ossessivi e contorti (specie nel caso dei nevrotici e degli psicotici). In questi casi è molto meglio usare la terza persona. La telecamera è dentro la testa del personaggio e inquadra in primis i suoi pensieri, per cui bisogna stare attenti al modo con cui si descrivono gli eventi narrati, bisogna ricordarsi che i pensieri del personaggio permeano ogni cosa e sono sempre e comunque presenti. Ad esempio, descrivere un omicidio in modo freddo e distaccato darà l’impressione che il personaggio narrante sia cinico e spietato. Ma questo è vero o ci si è solo dimenticati di filtrare la descrizione con le sue sensazioni? Ricordatevi sempre che la prima persona rende soggettivo ciò che è oggettivo. Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov conosce. Questo è già un limite nella narrazione autodiegetica, ma in quella eterodiegetica diventa davvero enorme. Per superare questo limite, il metodo più sicuro consiste nell’alternare più punti di vista. Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov percepisce. Ad esempio, se Mauro si sta legando le scarpe, di certo non vedrà gli uccelli in cielo. L’uso della prima persona al tempo passato crea una distanza temporale tra la storia narrata e il personaggio-pov. Infatti, il personaggio narrante si trova a descrivere avvenimenti accadutegli in passato, dando così l’impressione di estraniarsi dalla vicenda. Inoltre, il narratore conosce in anticipo la conclusione della vicenda, distruggendo così la suspense e la tensione del racconto. L’ovvia soluzione consiste nel narrare in tempo reale, quindi al presente. È una soluzione meno naturale, ma è il male minore. Ad ogni modo, questo problema non si pone per la terza persona, in quanto combinarla con il tempo passato è una convenzione che non dà fastidio al lettore. Ma il personaggio narrante deve per forza dire la verità? No, non per forza. In questo caso si parla di prima persona inattendibile, che è una tecnica piuttosto difficile da gestire. Per prima cosa ci vuole un personaggio adatto, uno che abbia un valido motivo per mistificare la realtà. Se è esplicito che il personaggio-pov sta raccontando ad altri (di solito con una cornice), bisogna trovare un motivo alle sue bugie verso gli altri. Ad esempio, un sospettato che racconta durante un interrogatorio potrebbe mentire alla polizia sull’aver commesso l’omicidio. La questione si fa più complessa nel caso in cui manchi una cornice e quindi non sia esplicito il raccontare ad altri. In questo caso, ogni volta che il narratore mentirà lo starà facendo in primis a se stesso. Riprendendo l’esempio di prima, può darsi che il sospettato menta perché vuole auto-convincersi di non aver commesso quell’omicidio (perché lo rifiuta e non vuole accettarlo). Un altro esempio: una donna potrebbe omettere l’essere stata stuprata perché ha rimosso quel trauma spostandolo a un livello subconsci, oppure perché rifiuta il trauma e vorrebbe “dimenticare”. Altri casi comuni sono l’amnesia e la pazzia. Nel primo caso, il personaggio-pov non ricorda ciò che gli è successo, e quindi potrebbe ricostruirlo in modo errato. Nel secondo caso, il personaggio-pov mistifica la realtà perché la percepisce in modo diverso. Un esempio di quest’ultimo caso è “Il Cuore Rivelatore” di E.A. Poe, in cui la pazzia del narratore lascia il lettore impossibilitato a distinguere tra i deliri del protagonista e la realtà. Sicuramente la tecnica della prima persona inattendibile è molto intrigante e può dar vita a romanzi davvero eccellenti, pieni di mistero e colpi di scena. Il lettore rimane nell’incertezza e quindi, per scoprire la verità, continua a leggere divorando il romanzo. Però ci vuole molta abilità nel gestire questa tecnica, il cui uso scorretto o eccessivo potrebbe spazientire il lettore incapace di capire la realtà dei fatti. Proprio per questo bisogna far comprendere l’inaffidabilità del narratore. Il modo più semplice consiste nel farlo cogliere in fallo, oppure nel far capire fin da subito il suo problema (nel caso della pazzia o dell’amnesia). Un modo più difficile da attuare, invece, consiste nel rendere dubbioso il lettore disseminando indizi contrastanti rispetto alle affermazioni del narratore. Ciò che è certo, però, è che il lettore deve poter arrivare alla verità. Questo lo si può fare implicitamente, lasciando intuire la verità con una serie di grandi e piccoli indizi, oppure lo si può fare platealmente. Il primo caso è sicuramente più efficace e intrigante, ma anche più difficile da gestire. Il secondo caso, invece, può essere sviluppando usando un punto di vista multiplo, e quindi usando più di un personaggio-pov. In tal modo, al narratore inattendibile si contrappone almeno un personaggio attendibile. Un’altra opzione interessante prevede l’utilizzo di molti personaggi, tutti inattendibili. Ognuno darà la sua versione dei fatti e spetterà al lettore decidere a chi credere. 2. Seconda persona Sei distesa sulla pietra calda, e contorci il tuo corpo. Poi ti rilassi, e il terreno ti porta in alto come se galleggiassi sul mare. Il sole è spuntato alle sette, e ogni granello di sabbia è bollente. Il sole raggiunge l’avvallamento splendente del tuo ventre, le tue braccia, le tue dita, il tuo viso. Nessuna parte di te resiste, ogni parte brilla. [da “With HerCrookedHeart” di Helen Dunmore] Pro: • L’uso della seconda persona permette di descrivere sensazioni difficilmente esprimibili altrimenti. • Si ha una sensazione di intimità, come se il narratore stesse sussurrando all’orecchio del personaggio. Contro: • È un tipo di POV poco usato. Il tipico lettore di narrativa di genere rimane spiazzato e difficilmente riesce a immergersi nella storia. Proprio per questo, la seconda persona è più adatta alla literary fiction. • L’immedesimazione col personaggio è resa difficoltosa dai dettagli. Ad esempio, un uomo difficilmente potrà immedesimarsi leggendo “lanci un’occhiataccia al tizio che ti fissava le tette”. Proprio per questo, bisogna essere il più possibile neutrali, il che è difficilissimo da fare e da mantenere. In sintesi, è meglio usare la seconda persona solo con la literary fiction o comunque in parti brevi, magari con un narratore di secondo grado, in modo che il narratore si rivolga a un altro personaggio anziché al lettore. 3. Terza persona Possiamo internamente dividere la terza persona in limitata e onnisciente. Terza persona limitata Usando la terza persona limitata, si possono narrare solo gli eventi di cui il personaggio-pov è testimone. Come con la prima persona? Sì, ma c’è una differenza enorme: mentre con la prima persona tutto è necessariamente filtrato dai pensieri del personaggio, con la terza persona limitata si è più liberi. Tecnicamente, siamo nel campo della penetrazione psicologica o dell’introspezione. La prima persona presenta una penetrazione assoluta, per cui tutto è sempre e comunque filtrato dai pensieri del personaggio. La terza persona limitata, invece, può presentare una penetrazione leggera, una pesante o una penetrazione assente. E il bello è che non si è costretti a fare una scelta definitiva! Anzi, è sconsigliato usare solo un livello di penetrazione per tutta la storia. Conviene cambiare livello a seconda della scena narrata, tanto è una cosa che non dà fastidio al lettore. In questo modo si può godere dei benefici di ognuno di questi livelli di introspezione. L’unica buona norma da seguire consiste nell’iniziare la storia con una penetrazione leggera. In tal modo, il lettore saprà sempre della possibilità di visualizzare i pensieri del personaggio-pov e non rimarrà deluso quando si passerà a una penetrazione nulla, né rimarrà spiazzato quando si userà una penetrazione profonda. Terza persona limitata con penetrazione leggera Pete dovette attendere quindici minuti prima che Nora si presentasse con uno sfavillante vestito blu che non le aveva mai visto addosso. «Ti piace?» chiese Nora. “Forse è un po’ eccessivo. Sembra una lampada al neon avvolta nella stoffa.” «Straordinario!» commentò con un sorriso. Nora studiò il volto di Pete e gli lanciò un’occhiataccia. «Tu vuoi sempre che mi vesta in modo sciatto e anonimo!» [versione riadattata di un esempio presente in “I Personaggi e il Punto di Vista” di Orson Scott Card] Con la penetrazione leggera, la telecamera è sulla spalla del personaggio e, ogni tanto, può girare a inquadrarne i pensieri. Questi vanno scritti in prima persona e al presente, come un discorso diretto. I pensieri sono divisi dalla narrazione, cosa che va esplicitata usando il corsivo e/o delle virgolette. In generale, è meglio evitare i tag del tipo “pensò”, in quanto danno una sensazione poco naturale. Pro: • • • • A differenza della prima persona, non si è costretti a filtrare tutto attraverso i pensieri del personaggio. Questi possono essere inquadrati solo quando è necessario, mentre il resto viene descritto neutralmente. Ciò è particolarmente utile quando si ha a che fare con personaggi problematici che, in prima persona, infastidirebbero il lettore. I pensieri vengono esplicitati direttamente dal personaggio-pov, quasi come dalla sua voce. Questo dà un senso di naturalezza. Nelle scene più veloci e d’azione, i pensieri del personaggio possono essere usati per spezzare la narrazione e rallentare la tensione. Se necessario, ovvio. C’è una maggiore immersione nella storia, che non è ostacolata dal personaggio-pov come nella prima persona. Contro: • La scena risulta asettica e distaccata, il narratore non può immedesimarsi nel personaggio come con la prima persona o con la terza persona con penetrazione profonda. • I pensieri del personaggio-pov sono staccati dalla narrazione e la spezzano forzatamente. • Nelle scene con un coinvolgimento emotivo molto intenso, la penetrazione leggera può risultare poco efficace, se non addirittura dannosa. • Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov conosce e percepisce La penetrazione leggera è una via di mezzo adatta alle scene che non richiedono un fortissimo coinvolgimento emotivo, ma neppure una totale freddezza. Terza persona limitata con penetrazione profonda Pete non fu sorpreso dei quindici minuti di ritardo. Nora, ovviamente, si presentò con un vestito nuovo blu. Ma non semplice blu. Era un blu sfavillante, come una lampada al neon avvolta nella stoffa. «Ti piace?» chiese Nora. Pete si costrinse a sorridere. «Straordinario!» Come al solito, Nora riusciva a leggere i suoi pensieri, nonostante tutti gli sforzi per apparire un sorridente adulatore. Gli lanciò un’occhiataccia. «Tu vuoi sempre che mi vesta in modo sciatto e anonimo!» [versione riadattata di un esempio presente in “I Personaggi e il Punto di Vista” di Orson Scott Card] Come potete notare, con la penetrazione profonda i pensieri non sono staccati dalla narrazione, ma la permeano profondamente. Volendo semplificare, questa non è altro che una prima persona portata in terza persona. Pro: • Il lettore è già immerso nei pensieri del personaggio, che così non spezzano la narrazione. L’”ovviamente” contenuto nell’esempio sopracitato non è un commento del narratore, ma di Pete; il colore del vestito di Nora viene valutato “non un semplice blu. […] come una lampada al neon avvolta dalla stoffa” non dal narratore, ma da Pete. Inoltre, si può anche notare la motivazione del personaggio-pov: Pete si costringe a sorridere. Se la penetrazione superficiale ci rivela che Nora studia il volto di Pete prima di capire che le ha mentito, quella profonda ci informa che Nora è in grado di leggere i pensieri di Pete. Ovviamente, lei non è davvero telepatica, ma questo è ciò che Pete pensa di lei. • A differenza della prima persona, in cui si è bloccati in questa continua introspezione profonda, la terza persona limitata con penetrazione profonda non è fissa e il livello di penetrazione può variare a seconda della scena. In questo modo vengono anche attutiti i danni dei personaggi-pov potenzialmente fastidiosi, che quindi possono essere usati tranquillamente. • Il lettore è in grado sia di immedesimarsi col personaggio-pov, che di immergersi nella vicenda. Con la prima persona, invece, l’immersione è ostacolata. Contro: • I commenti del personaggio-pov potrebbero essere scambiati per intromissioni del narratore. • I pensieri del personaggio-pov devono essere il più possibile coerenti e verosimili. Se il personaggio-pov è psicologicamente piatto e costruito male, l’intera narrazione sembrerà poco verosimile e al limite del ridicolo. • Gli sbalzi temporali provocati dai ricordi posso dare fastidio. • Rispetto alla penetrazione leggera, la psicologia del personaggio-pov ha un maggiore impatto sulla narrazione. Questo può creare danni se il personaggio-pov è potenzialmente fastidioso, e in tal caso bisogna cambiare il livello di penetrazione nei momenti giusti. • L’immedesimazione col personaggio-pov è minore rispetto alla prima persona. • Abusare della penetrazione profonda rende la vicenda meno attendibile e può dare una sensazione di innaturalezza. • Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov conosce e percepisce. In generale, la penetrazione profonda è adatta per le scene con un forte coinvolgimento emotivo e per quelle in cui è più importante mettere in luce le motivazioni e i pensieri del personaggio-pov. Terza persona limitata con penetrazione assente (oggettiva o cinematografica) Quando lui arrivò, Nora non c’era ancora. Pete trasse un sospiro e si sedette ad aspettarla. Nora sopraggiunse quindici minuti dopo. Indossava un vestito di un blu sfavillante. Fece un giro su se stessa. «Ti piace?» Pete osservò il vestito, senza tradire alcuna espressione. Accennò a un sorriso. «Straordinario.» Nora studiò il volto di Pete, gli lanciò un’occhiataccia. «Tu vuoi sempre che mi vesta in modo sciatto e anonimo.» [versione riadattata di un esempio presente in “I Personaggi e il Punto di Vista” di Orson Scott Card] Con la penetrazione assente, detta anche oggettiva o cinematografica, il lettore non può conoscere i pensieri del personaggio-pov, ma può solo supporli dal suo comportamento. Pete si siede senza cercare né chiamare Nora, il che fa supporre che lei sia una ritardataria cronica. Nora gira su se stessa, il che fa supporre che il vestito sia nuovo. Pro: • • • Almeno per le scene in cui si usa questo livello d’introspezione, non ci si deve preoccupare dei pensieri dei personaggi nevrotici. Il ritmo è naturalmente più veloce. Qui il narratore non mente mai, per cui il lettore può credere a ciò che vede senza porsi dubbi. Se poi valuta in modo errato i gesti dei personaggi, quello è affar suo. Contro: • La narrazione è totalmente asettica e “senz’anima”: il lettore non può immedesimarsi nel personaggio. • Nelle scene più complesse, lo scrittore deve avere un’alta conoscenza del linguaggio del corpo. • Il lettore può fraintendere certi atteggiamenti del personaggio-pov. • Abusare della penetrazione assente può diventare frustrante, quindi bisogna scegliere attentamente le scene in cui usarla. • Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov conosce e percepisce. La penetrazione assente è perfetta per le scene d’azione e per quelle a cui si vuole imporre un ritmo veloce. È consigliabile anche quando il personaggio-pov perde il controllo di sé (attacco di panico, scatto d’ira, possessione spiritica/demoniaca ecc), nonché per le scene a cui si vuole dare un tocco di mistero. Terza persona onnisciente Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. [da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni] Il punto di vista onnisciente può essere personale o impersonale. Il narratore onnisciente personale dichiara la sua identità di coscienza che racconta la storia, si riferisce a se stesso come “Io” e ai lettori “Voi”. Il narratore onnisciente impersonale dichiara (o lascia intendere) la sua capacità di conoscere ogni cosa, ma non dichiara mai la sua esistenza di entità separata. Attenzione però: il narratore onnisciente deve in ogni caso rivelarsi subito, fin dalla prima pagina. Pro: • Usando la terza persona onnisciente, la telecamera del POV è in cielo, come un occhio divino che vede tutto e sa tutto. Proprio per questo può essere narrato qualunque evento, anche quelli a cui il protagonista non prende parte. • Le informazioni non sono filtrate attraverso la coscienza di un personaggio, ma attraverso quella del narratore. • Il narratore onnisciente può visualizzare i pensieri di tutti i personaggi. • Il narratore onnisciente può commentare gli eventi, il che può essere utile nei romanzi umoristici. • Il narratore onnisciente, conoscendo già il finale della storia, può giocare con le anticipazioni. Contro: • Si tratta di un tipo di un POV obsoleto e superato • I commenti del narratore danno molto fastidio: spezzano la narrazione, buttano il lettore fuori dal romanzo e impediscono l’immersione. Questo difetto si fa ancora più grave durante le scene d’azione: il narratore non solo rallenta il ritmo, ma per giunta si intromette impedendo la visuale della scena. • I commenti del narratore ostacolano l’immersione del lettore nella storia. Il narratore onnisciente è solo un muro fra il lettore e l’agognata realtà virtuale. • I commenti del narratore possono risultare ridicoli. In altri casi, invece, può sembrare che il narratore voglia salire in cattedra per spiegare al lettore. • Il narratore onnisciente rischia spesso di generare infodump, ossia rigurgiti di informazioni superflue, inutili e soporifere (“Giulio attraversò la porta che era stata fabbricata del 1815 dal Gran Maestro dei Puffi Rosa, per poi essere • • • • • • venduta a…”). Questo difetto si fa ancora più grave durante le scene d’azione: il narratore non solo rallenta il ritmo, ma per giunta si intromette impedendo la visuale della scena. Il passare dai pensieri di un personaggio a quelli di un altro confonde il lettore, specie se fatto all’interno di una stessa scena e in modo brusco. Il narratore onnisciente esprime concetti astratti o generici, racconta molto e mostra pochissimo. Per mostrare dettagli concreti, non c’è bisogno del narratore onnisciente: basta prendere il punto di vista limitato di un personaggio. Usando il narratore onnisciente, si rischia facilmente di esagerare con le anticipazioni, nonché di inserire dettagli inutili e fuorvianti. Le affermazioni del narratore onnisciente sono verità assolute che, se contraddette dai personaggi, minano la credibilità della storia. Inoltre, nel caso di idee (politiche, religiose, sociali), le affermazioni del narratore potrebbero dar fastidio ai lettori con opinioni opposte. Questo non accade con i personaggi. Il narratore onnisciente personale, rivolgendosi direttamente al lettore, sottolinea la sua presenza e fa capire l’artificiosità della storia. Tutto diventa esplicitamente finto, come uno spettacolo di marionette. Nella letteratura fantastica, soprattutto fantasy, si può usare un qualsiasi punto di vista senza turbare il lettore, anche quello di un sasso o di albero o di un fucile. In questo caso, usare il narratore onnisciente non avrebbe senso. In sintesi, il narratore onnisciente è adatto solamente ai romanzi comici e alla literary fiction. In tutti gli altri casi, conviene evitarlo come la peste. Il POV multiplo Se la storia lo richiede, si può usare più di un punto di vista. In fondo l’alternare più personaggi-pov è una cosa comune e molto pratica. In genere si alternano due personaggi-pov, ma ci sono casi in cui se ne possono alternare molti di più. Non ci sono tante regole da seguire, si è abbastanza liberi: non si è costretti ad alternare i pov in modo regolare e non si è costretti a usare per tutti i personaggi-pov la stessa tipologia di punto di vista. Ci sono solo due grandi regole da tenere in mente. La prima è: mai cambiare POV durante una scena! Bisogna rendere molto netta il passaggio da un personaggio-pov a un altro, altrimenti il lettore si confonde. L’ideale è cambiare POV assieme al capitolo; ad esempio, se il primo capitolo è raccontato dal punto di vista di Laura, il secondo potrebbe essere raccontato dal punto di vista di Sandro. Se invece si vuole cambiare punto di vista all’interno di uno stesso capitolo, si possono dividere le scene in modo netto con gli asterischi. Ossia così: *** Cambiare POV aumenta la tensione e la suspense anche quando accade tra un capitolo e un altro, ma all’interno di uno stesso capitolo l’effetto è molto più forte. Il metodo degli asterischi, però, non va usato quando si cambia anche tipo di POV (da prima persona a terza, ad esempio). La seconda regola fondamentale del cambio di POV è: chiarire fin da subito chi è il nuovo personaggio-pov. Lo si deve far capire immediatamente, ma non è difficile farlo. Ad esempio, se il nuovo personaggio-pov è Mauro, si può iniziare scrivendo “Mauro guardò oltre la finestra” o qualcosa di simile. Il POV misto Come ho già detto, il POV multiplo può anche svilupparsi cambiando tipo di POV assieme al personaggio. Ma cosa succede se si cambia tipo di POV usando sempre lo stesso personaggio? È il caso di una tecnica particolare chiamata “punto di vista misto”. Per usare questo stratagemma, però, bisogna avere una motivazione valida. Ad esempio, se il vostro personaggio-pov è un malato mentale, conviene usare la terza persona. Una volta guarito, si può passare alla prima persona, che è anche un buon modo per sottolineare che il personaggio ha ripreso il controllo di sé stesso. A questo punto sorge una domanda: se il personaggio ha più personalità si parla ancora di POV misto? No, in questo caso si parla di POV multiplo. Un personaggio principale si identifica in primis con la sua personalità; se Mauro è affetto da Disturbo Dissociativo dell’Identità, ogni sua personalità può essere considerata un personaggio a se stante. Errori di gestione del POV Fino ad ora ho parlato di errori legati a specifiche tipologie di POV, ma c’è un errore che vale sempre e comunque: usare un linguaggio non adatto al personaggio-pov, oppure attribuirgli pensieri che difficilmente formulerebbe. Distanza emotiva La distanza emotiva è la distanza tra il lettore e il personaggio-pov. Ne esistono tre tipologie: campo lungo (“Mauro correva nella notte fredda”), campo medio (“Mauro correva nella notte, imprecando contro il freddo”) e primo piano (“Mentre correva nella notte, sentiva il sapore amaro del freddo sulle labbra”). Non è necessario scegliere una distanza per tutto il romanzo: la si può cambiare a seconda della scena.