Conclusioni - Caritas Italiana
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Conclusioni - Caritas Italiana
Seminario di studio 22/23 febbraio 2006 C ON C LUS I O NI Paolo Beccegato Responsabile Area Internazionale Caritas Italiana Le conclusioni non saranno una ripresa di tutti gli spunti che sono emersi e che sono veramente numerosissimi. Vorrei prima di tutto ringraziare tutti quanti voi per l’attiva partecipazione che è stata trasversale in quanto ad età, regioni geografiche italiane di provenienza, ruoli, ecc. Uomini, donne, laici, sacerdoti e religiose, hanno dato un valido contributo alla riuscita del seminario, indice del fatto che l’educazione alla mondialità è veramente trasversale, un po’ compito di tutti, così come dimostrano anche i precedenti seminari che non abbiamo ripreso e ai cui Atti rimando appunto per le note conclusive. Conclusioni suddivise in 10 punti I – L’EDUCAZIONE ALLA MONDIALITÀ COME DIMENSIONE CULTURALE Il primo punto che vorrei sottolineare è quello relativo alla dimensione culturale dell’educazione alla mondialità. Se per cultura intendiamo ogni conoscenza umana che si traduce in una trasformazione e umanizzazione dell’ambiente, il primo aspetto che noi cogliamo è che la cultura non è quell’insieme di tradizioni linguistiche, antropologiche, sociali che ci viene trasmesso, per cui qualcosa di statico, ma è qualcosa di estremamente dinamico e rispetto al quale anche noi siamo chiamati a contribuire a trasformarla. Siamo trasformati nella cultura e la trasformiamo. Come ci ricordava Antonio Nanni le culture oggi sono quanto mai più porose di quanto lo erano ieri e quindi il nostro promuovere la testimonianza della carità che è anche educare alla mondialità, all’interculturalità e alla pace è compito, è mandato di lavoro a livello culturale. Questo non è solo un mandato statutario, ma è anche un mandato che ci viene ribadito continuamente anche oggi dalla Chiesa italiana. C’è stato espresso l’anno scorso dal Card. Ruini durante il Convegno di Fiuggi, ci è stato detto poche settimane fa dal Segretario Generale della CEI durante il Consiglio Nazionale, ci è stato ribadito due giorni fa dallo stesso Ruini presentando l’Enciclica Deus Caritas Est. Per cui il nostro lavorare per educare alla mondialità, per “e-ducere”, per tirare fuori dalle persone che incontriamo, da noi stessi, l’attenzione internazionale, l’attenzione alle interconnessioni su scala globale come ci è stato ricordato è lavoro culturale e risponde al nostro mandato statutario. L’antropologia interculturale che è una dimensione quanto mai attuale implica quindi un trasformare nella carità ogni concezione dell’uomo. La stessa struttura sociale viene coinvolta nella trasformazione che la carità provoca e la stessa politica, la ricerca del bene comune, la tutela dei diritti umani, a partire dalla dignità di ogni persona ne sono condizionate. Per cui il nostro lavorare a livello culturale, attraverso la mondialità, è un trasformare il linguaggio, ce l’ha ricordato sempre Antonio Nanni nel suo intervento, è esaltare anche le spinte religiose ricordiamo che la cultura è evidentemente fondata anche sulla religione – che promuovono ascolto e condivisione, solidarietà e pace. Perciò il nostro lavorare sulla mondialità è un trasformare, è uno spingere, è un valorizzare le spinte religiose che in questo momento evidentemente non sono più di un’unica religione ma sono appunto pluri-religiose per aprirle a un dialogo e ad una collaborazione che sono quanto mai necessarie. La carità è cultura. La carità è anche profezia. Già lo sapevamo, la mondialità e in particolare l’educazione alla mondialità, è sguardo al futuro, è sguardo al regno che viene, ma è anche l’altra accezione del termine profezia, è parlare a nome di Dio, parlare e per noi anche operare a nome di Dio. Roma, febbraio 2006 1/4 Trasformare e umanizzare l’ambiente a partire dalla comune dignità umana e per noi in particolare a partire dai poveri e dagli ultimi della fila. Questo è il nostro fare cultura. Non possiamo non farlo se non a partire dai poveri, dal nostro condividere coi poveri tutte le loro sofferenze. Questo penso che sia il punto da cui siamo partiti, il punto che non posso non ribadire, il punto che ci viene in qualche modo richiesto fortemente oggi perché in questa epoca presente c’è un forte bisogno di cultura “alta”, improntata su valori “altri”. II – UN LAVORO COMUNE Un secondo punto, estremamente operativo. Il nostro educare alla mondialità in parrocchia oggi deve essere, come abbiamo detto più volte, frutto di un lavoro comune, condiviso ad ogni piano, confrontato, supportato, sostenuto dal livello locale al livello internazionale. Da Caritas Internationalis, Caritas Europa, Caritas Italiana, il Gruppo Nazionale Educazione alla Mondialità che deve essere rilanciato come strumento a servizio dei Gruppi Regionali di Educazione alla Mondialità. Gruppi Regionali che vanno sostenuti; in alcuni casi avviati, fatti nascere; in altri solo alimentati, in altri solo ascoltati, interpellati e affiancati; in altri ancora rianimati, o addirittura fatti risorgere. Questi Gruppi Regionali, sempre in questa logica di servizio, sempre più devono porsi a sostegno delle Caritas diocesane, soprattutto quelle più deboli, assenti, povere di mezzi, di risorse, in alcuni casi di attenzione. Questo è stato detto nei gruppi, questo penso sia importante ribadire. Il nostro fornire strumenti deve essere sempre più mirato, per cui servono e serviranno sempre più strumenti di accompagnamento, di formazione con modalità anche se vogliamo didattiche, pedagogiche, in altri casi strumenti di alto livello, strumenti di approfondimento, strumenti che diano alla Caritas ad ogni livello la possibilità di un’autorevolezza documentata per essere una cerniera, come ci ricordava Sabina Siniscalchi nel suo intervento su quattro livelli, ognuno dei quali fa un po’ rabbrividire per la sua importanza, però penso che ha colto con grande acutezza quello che è il compito a cui siamo chiamati. Non facile, ma è una sfida che non possiamo non accettare. Individuare una persona per ogni Caritas diocesana che lavori sull’educazione alla mondialità resta uno strumento da ribadire. Anche volontaria, anche parttime. Proporre iniziative concrete come, è già stato ricordato, la Campagna per la cancellazione del debito o quella per il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, piuttosto che altre, serve anche per aggregare le varie realtà pastorali attorno ad una proposta condivisa. Quindi educare alla mondialità, fare anche il passaggio alla tutela dei diritti, diventa uno strumento molto importante secondo la consueta metodologia pastorale della “pedagogia dei fatti”. Coinvolgere delle persone, aggregarle attorno a degli obiettivi di “lobby” e “advocacy” che si rivelano sempre più efficaci. Alcuni successi, che ci ha ricordato Sabina, frutto di una mobilitazione dal basso, ne sono in qualche modo il segno. III - EDUCARE ALLA MONDIALITÀ IN PARROCCHIA OGGI Certamente è stato detto più volte che educare alla mondialità come dimensione trasversale entra nel nostro promuovere Caritas parrocchiali, entra nei laboratori diocesani delle Caritas parrocchiali. In qualche modo il nucleo portante di una Caritas: il Centro d’ascolto, l’Osservatorio permanente, il Laboratorio, vede questa attenzione educativa trasversale che però appunto deve essere poi presa in carico da qualcuno, perché se resta solo trasversale rischia di essere lasciata a nessuno. Il nostro promuovere la parrocchia che sia davvero aperta al mondo, incentrata su relazioni umane significative, come ci ricordava don Franco Marton nella sua relazione, non è altro che questo, ed è qualcosa di possibile. La parrocchia come soggetto comunitario richiama ad una conversione, ad una pastorale di missione e l’indispensabile discernimento comunitario sono brevi sottolineature che non posso non fare, anche perché questo movimento ecclesiale rivoluzionario a cui ci richiamava Don Franco Marton non può non coglierci in un atteggiamento ricettivo. L’interculturalità è attiva, è anche metterci dal punto di vista di una cultura “altra” ed ascoltarla ed esserne interpellati. In questo movimento ecclesiale rivoluzionario dal basso non possiamo non citare quel bel proverbio cinese, che diceva (e qui prendiamo appunto da altre culture): “Se ci pensi un giorno prima dai il riso ad una persona, se ci pensi un anno prima pianti un albero, se ci Roma, febbraio 2006 2/4 pensi un secolo prima educhi un popolo”. Nel nostro incamminarci sempre più spedito all’educare alla mondialità certamente non possiamo non imparare dalla cultura cinese. IV – STRUMENTI Sono andato a riprendermi il Questionario sottoposto alle CD di quest’anno relativo alle risposte dello scorso anno e il punto in cui veniva chiesto alle CD quale fosse lo strumento più efficace per promuovere le Caritas parrocchiali. E’ un indice di differenza percentuale cioè prende le risposte positive e sottrae quelle negative. Quindi quel numeretto che adesso vi dirò fa un po’ sintesi della bontà di questi vari strumenti e questo ci interpella perché il problema di come entrare nelle parrocchie per promuovere Caritas parrocchiali e come educare alla mondialità certamente non può non tener conto di questi dati che sono già frutto di una rilevazione nazionale. Allora: • lo strumento che raccoglie il maggior numero di consensi con 53,6 punti sono gli incontri tra animatori Caritas a livello diocesano. Quindi fare incontrare a livello diocesano animatori delle Caritas parrocchiali è lo strumento che più risulta essere efficace nel promuovere Caritas parrocchiali e, di conseguenza, direi anche l’educazione alla mondialità. • Subito dopo, però già più distanziato, 39,5: convegni, assemblee, incontri diocesani annuali delle Caritas parrocchiali. • Poi 36,5 corsi di formazione diocesani per animatori Caritas. • Salto un po’, rimandando alla lettura dei dati per maggiori dettagli. 1,6: individuazione di Caritas parrocchiali che possano fare da traino ad altre. Viene valutato come esperienza sostanzialmente 0, cioè alcuni la valutano positivamente, ma allo stesso tempo altri la valutano negativamente. • Passo quindi ai valori negativi. Incontri con i parroci, la formazione dei parroci: – 21,9; • Ampiamente negativi gli incontri con i consigli pastorali parrocchiali: – 24,8. Quindi oserei dire che il dato relativo alla promozione delle Caritas parrocchiali sottolinea come le attività più efficaci quali la promozione e l’accompagnamento alla Caritas parrocchiale prevedano un lavoro alla base, personalizzato: per gli animatori, per le Caritas parrocchiali, o a livello di incontri periodici o annuali o di formazione. Questi sembrano essere gli strumenti più efficaci che le Caritas diocesane ci segnalano. V – LA PEDAGOGIA DEI FATTI Non dirò più di quanto ha detto Gianmarco sulla pedagogia dei fatti, perché già lui ha citato tutta una serie di strumenti che in qualche modo vanno a cogliere, oserei dire, il nostro specifico in ordine all’attenzione pedagogica. VI - GLI STILI DI VITA Anche per questo aspetto, come è già stato sottolineato, occorre ribadire l’importanza del nostro essere “più testimoni che maestri”, testimoni di Cristo risorto speranza del mondo. Il percorso verso Verona ce lo ricorda. Il nostro servire Cristo presente nei poveri vuol dire sempre più condividere con i poveri, servire i poveri, ascoltare i poveri, camminare a fianco dei poveri, dare voce ai poveri, vivere coi poveri, essere poveri. Ci richiamano ad una radicalità evangelica e in qualche modo ci dicono e ci ricordano che Dio vomita i tiepidi e i moderati di facciata. Ribadiamo la nostra scelta preferenziale dei poveri. Quella sobrietà felice a cui faceva riferimento Antonio, quell’atteggiamento di speranza che è anche baluardo contro la paura, quella priorità all’accoglienza e alla centralità delle relazioni profonde e significative e non solo esteriori che ci richiamava Don Franco, quella bellezza della povertà ben visibile nel volto di Madre Teresa. Roma, febbraio 2006 3/4 VII – UN “TAVOLO” DIOCESANO PER L’EDUCAZIONE ALLA MONDIALITÀ Don Vittorio Nozza già in apertura ci faceva la proposta di un tavolo diocesano per l’educazione alla mondialità. Il lavorare insieme, la pastorale unitaria, come scelta strategica di fare alleanza a tutti i livelli, è stato ribadito da più voci. Ecco, un’attenzione molto importante: non è la Caritas l’unica a lavorare a livello diocesano sull’educazione alla mondialità, per cui il promuovere un tavolo diocesano per l’educazione alla mondialità non può non essere promosso con uno stile di collaborazione intra-ecclesiale, segnato da una umiltà radicale. Cioè non ci mettiamo a capo di coloro che educano alla mondialità, ma stimoliamo la nascita di un tavolo che vuole essere strumento per la Chiesa tutta. VIII – I GRUPPI REGIONALI EDUCAZIONE ALLA MONDIALITÀ (G.R.E.M.) Credo che sia emersa una ulteriore considerazione chiara, sempre sugli strumenti e le modalità: non è più l’epoca di progetti deterministici, ma più che altro l’epoca di processi criteriati e mirati verso destinatari diversi, verso operatori differenziati e quindi il lavoro che ci aspetta è un lavoro continuo, di previsione, di ascolto, osservazione e discernimento, di revisione delle nostre modalità di lavoro. In questo senso i Gruppi regionali per l’educazione alla mondialità sono un luogo privilegiato per far questo. IX – LA PEDAGOGIA NARRATIVA Non possiamo che ribadire che il rapido mutare della parrocchia dal punto di vista sociale, culturale e antropologico comporta appunto una continua rilettura della realtà, per cui quello che diciamo oggi evidentemente potrebbe essere smentito domani. In questo senso quelle che sono le strategie educative che ci ricordava Antonio Nanni penso siano importanti, in particolare la prima. Lui non l’ha detto così però lo ritraduco: la metodologia della pedagogia narrativa. Io ascoltando le relazioni mi sono accorto come ogni volta in cui un relatore si fermava un attimo e raccontava un episodio, un aneddoto, ecc. c’era un risveglio collettivo e questo è un indice del fatto che la pedagogia narrativa risulta ancora oggi essere uno strumento vincente, in termini di interculturalità, cioè apprendimento reciproco fra culture diverse. Questo diventa fondamentale proprio come modalità ancora una volta di intervento e di educazione alla mondialità. X – UNA CHIESA VIVA E VIVACE Il decimo punto sono alcune novità che stiamo per proporre e che possono essere di interesse. In particolare l’impegno che ci siamo presi con il Gruppo Nazionale Educazione alla Mondialità di predisporre delle schede di animazione per l’educazione alla mondialità, il sussidio sull’Islam che stiamo predisponendo all’interno della collana EDB; il sussidio sulla lobby e advocacy a livello internazionale che dovrebbe uscire nei prossimi mesi. Anche la preparazione che stiamo facendo e, che intendiamo continuare a fare, sempre col Gruppo Nazionale per la partecipazione Caritas al Forum Sociale Europeo di Atene previsto per aprile 2006 e al Forum Sociale Mondiale di Nairobi che si terrà nel gennaio 2007. Una mobilitazione attiva, non per i nostri interessi, come ci ricordava Sabina Siniscalchi, ma per dire che un altro mondo è possibile, sta a significare che non vogliamo essere una Chiesa zombi, morta, tenuta in vita artificialmente, ma una chiesa viva e vivace. Ho mantenuto la promessa di stare nei tempi fissati, facendo uno sforzo di sintesi, e chiudo ringraziandovi ancora una volta tutti per essere intervenuti, per la vostra presenza e i vostri contributi; ringraziando soprattutto Roberta Dragonetti, Laura Stopponi e Gianluca Ranzato per lo sforzo organizzativo, e augurandovi buon rientro a casa. Roma, febbraio 2006 4/4