La nascita dell`economia politica agraria e la cultura economica del
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La nascita dell`economia politica agraria e la cultura economica del
La cultura economica in Italia nel Mezzogiorno fra le due guerre Napoli, 9 novembre 2013 La nascita dell’economia politica agraria e la cultura economica del Mezzogiorno Marco Zaganella L’ intervento affronterà il tema della nascita dell’economia politica agraria tra le due guerre nelle università dell’Italia centrosettentrionale (segnatamente Firenze e Bologna) e del suo rapporto con la cultura economica del Mezzogiorno. Si tratta di un tema che si accompagna ai seguenti interrogativi: 1) la nascita dell’economia politica agraria è frutto di uno specifico rapporto tra cultura e politica, o meglio tra tecnica e politica, che costituisce una specificità della cultura economica dell’Italia centrosettentrionale? 2) Perché, tra le due guerre, sono soprattutto gli studiosi formatisi nelle Università dell’Italia centrosettentrionale ad affrontare il problema dello sviluppo del Mezzogiorno? 3) L’indirizzo alimentato dalle scuole dell’Italia centrosettentrionale da cui originano l’economia agraria e l’economia politica agraria si diffonde, tra le due guerre, nelle Università dell’Italia meridionale? In tal caso, quali sono gli esempi? La cultura economica dell’Italia settentrionale e il ruolo dello Stato nello sviluppo economico Se esiste una «via italiana allo sviluppo» caratterizzata da un ruolo attivo dello Stato nello stimolo dei processi di sviluppo economico, è indubbio che questo indirizzo abbia origine nel Regno di Sardegna durante il “decennio cavouriano” ed abbia poi informato i successivi governi dell’Italia 1 unita1. Esiste dunque un “dualismo culturale originario”, almeno nell’ambito dell’economia agraria, che affonda le sue radici lontano nel tempo. Gaetano Postiglione, nato a Foggia il 20 ottobre 1892 ma laureato in Ingegneria al Politecnico di Milano, commissario regio dell’Ente autonomo per l’Acquedotto Pugliese dal 1923 al 19322, nella sua Introduzione al volume di Raffaele Ciasca, Storia delle bonifiche nel Regno Di Napoli, evidenzia una secolare differenza culturale tra l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale, che ha profondamente inciso sullo sviluppo delle rispettive culture economiche: Nell’alta Italia si formò presto la mentalità del bonificatore. Gli Etruschi, i Celti, i Romani vi compirono lavori poderosi di sistemazioni idrauliche. Virgilio parla di irrigazione nei piani lombardi. Durante il medio-evo, negli statuti delle corporazioni artigiane, in trattati politici e di commercio fra molte città d’Italia Centrale e Settentrionale, ricorrono numerosi i richiami a canali, a scoli, ad elevamenti e smaltimenti di acque, alla difesa da fiumi e da torrenti. La tradizione formò usi, consuetudini, servitù di acqua che gli statuti medioevali tradussero in iscritto, e che il Romagnosi organizzò in un codice di legge. I Comuni, con la vigorosa loro vita autarchica, continuarono i lavori di bonifica. Le Signorie li perfezionarono e li diffusero: così Venezia, i Signori di Mantova e di Ferrara, i Signori del Polesine. Nel Mezzogiorno la minore densità della popolazione, la mancanza quasi assoluta di capitali industriali da volgere alla terra da colonizzare, il subitaneo tramonto delle libertà comunali anteriormente allo stabilirsi della monarchia Normanna non dettero agio alla formazione di una tradizione bonificatoria. Le scorrerie e piraterie saracene, che infestarono il basso mediterraneo, consigliarono gli abitanti a raggrupparsi sui monti, trascurando la coltivazione delle terre al piano. E se si aggiunge che i sovrani, estranei al Paese, erano assorbiti dalla lotta antipapale, anticuriale, antifeudale, si comprende come non affrontassero lavori pubblici e fossero impotenti a risolvere problemi amministrativi.3 Nell’Italia settentrionale risulta metabolizzato un indirizzo che prevede l’intervento pubblico per la trasformazione dell’ambiente economico, con il fine di aumentare la produzione. Si tratta di un orientamento che nel Settecento e nell’Ottocento si alimenta di un ceto dirigente di estrazione illuminista e positivista. Non che nell’Italia meridionale questo orientamento fosse totalmente assente. La figura di Francesco Saverio Nitti ne è una emblematica rappresentazione. Tuttavia si 1 M. Zaganella, Programmazione senza sviluppo. Giuseppe Di Nardi e la politica economica della prima Repubblica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013 pp. 11-‐18. 2 M. Ariano, Gaetano Postiglione, un fascista modernizzatore, Edizioni del Rosone, Foggia 2000. 3 G. Postiglione, Introduzione a R. Ciasca, Storia delle bonifiche nel Regno di Napoli, Laterza, Bari 1928, pp. VIII-‐IX. 2 tratta di un indirizzo non alimentato dai pubblici poteri e dunque eccezionale rispetto all’ambiente culturale predominante nel Mezzogiorno, Questo “dualismo culturale originario” contribuisce a spiegare la nascita dell’economia politica agraria nelle Università dell’Italia centrosettentrionale. Firenze, Bologna e la nascita dell’economia politica agraria Giancarlo di Sandro ha ricostruito l’evoluzione che porta la cultura economica agraria ad uscire dal ristretto ambito degli agronomi, allargando i propri orizzonti alla più ampia platea degli economisti. Tra le due guerre, nasce così l’economia agraria, seguita poi dalla comparsa dell’economia politica agraria4. Come ha dimostrato Di Sandro, il primo modello teorico della disciplina è elaborato da Arrigo Serpieri con Guida a ricerche di economia agraria (1929). Sempre di Sandro, afferma che un ruolo fondativo analogo in questo senso è svolto dal Saggio intorno alla distribuzione del reddito dell’agricoltura italiana di Giuseppe Tassinari (1926). Dall’economia agraria all’economia politica agraria (e poi a volumi dedicati esclusivamente alla politica agraria) il passaggio è breve. Nel 1937 il corso di economia e politica agraria è indicato come obbligatorio nei piani di studi delle Facoltà di Economia. Sono così pubblicati il Corso di Economia e Politica agraria (1940-43) di Serpieri, poi sintetizzato nelle Istituzioni di economia agraria (1946), e gli Appunti di economia e politica agraria di Giuseppe Tassinari (1942). Seguirà poi la pubblicazione di Politica Agraria (1943-46) di Mario Bandini, che, secondo Di Sandro, fornisce il contributo decisivo per la separazione dell’Economia politica agraria dalla Economia agraria5. Nell’immediato dopoguerra prolifereranno poi altre pubblicazioni concernenti l’economia e la politica agraria, a cura sia di economisti agrari, quali Alessandro Brizi con Politica Agraria (1946), sia di economisti generali, come nel caso di Chessa, Palomba, Dell’Amore e Graziadei. Come sottolinea Di Sandro, le opera di tali studiosi hanno l’obiettivo 4 G. Di Sandro, Gli economisti agrari italiani tra Otto e Novecento, Clueb, Bologna 1995; Id., G. Di Sandro, Il pensiero economico-‐agrario in Italia (1800-‐1980), in M. Canali, G. Di Sandro, B. Farolfi, M. Fornasari, L’agricoltura e gli economisti agrari in Italia dall’Ottocento al Novecento, FrancoAngeli, Milano 2011, pp. 173-‐520. 5 G. Di Sandro, Il pensiero economico-‐agrario in Italia (1800-‐1980), cit., p. 185. 3 di definire i criteri economici (con prevalenza di quelli normativi rispetto a quelli investigativi) idonei ad ottenere il miglior risultato aziendale possibile e, date le risorse disponibili, ad orientare le scelte produttive e quelle degli investimenti privati e pubblici al fine di incrementare i livelli di reddito e di occupazione6. Le tre figure cardine dell’evoluzione che porta alla nascita dell’economia agraria e poi dell’economia politica agraria e della politica agraria, sono dunque Arrigo Serpieri, Giuseppe Tassinari e Mario Bandini, che, tradotto in termini di Università, o scuole, si traducono in Firenze, Bologna e Perugia. Si tratta di una evoluzione sul piano scientifico cui si accompagna, dal punto di vista pratico, l’affermazione del concetto di bonifica integrale tra le due guerre, l’”assalto al latifondo” e poi la riforma agraria nell’immediato dopoguerra. Tre passaggi chiave nella storia della politica agraria italiana che vedono, come protagonisti, sempre Serpieri (sottosegretario al ministero dell’Agricoltura nel 1923-24 e sottosegretario alle Bonifiche dal 1929 al 1935), Tassinari (prima sottosegretario all’Agricoltura, alle Foreste e alle Bonifiche e poi ministro dell’Agriocltua e delle Foreste dal 1935 al 1941) e Bandini (principale figura di riferimento del ministro dell’Agricoltura Antonio Segni nella elaborazione del progetto di riforma agraria del 1950), affiancati da altri importanti economisti, loro allievi diretti o comunque ad essi legati. La nascita dell’economia politica agraria è dunque strettamente collegata allo sviluppo dell’intervento dello Stato in agricoltura con fini produttivistici. Per queste ragioni l’economia politica agraria si afferma a partire dalle Università dell’Italia centrosettentrionale, dove un simile indirizzo “interventista” è ben consolidato e dove operano studiosi chiamati a elaborare gli indirizzi che deve seguire lo Stato in ambito agricolo. Un meridionalismo “settentrionale” tra le due guerre Questa evoluzione ha una implicazione pratica molto importante. Spiega infatti la ragione per cui, tra le due guerre e nell’immediato dopoguerra, sono principalmente gli economisti agrari formatisi nelle Università dell’Italia centrosettentrionale ad essere impegnati nelle politiche di intervento pubblico volte a risolvere la questione agraria nel Mezzogiorno. Sono proprio Serpieri, Tassinari e i loro allievi (Bandini, Brizi, Medici, Passerini, Perdisa, Perini, Proni, Tofani) o comunque figure a loro legate e figlie della stessa cultura economica diffusa nell’Italia centrosettentrionale (Albertario, Mazzocchi-Alemanni) a guidare l’intervento pubblico 6 Ivi, p. 184. 4 che prende le forme delle politiche di bonifica integrale, dell’assalto al latifondo e poi del suo proseguimento con la riforma agraria degli anni Cinquanta. Quando nel dicembre 1945 si incontrano nella sede dell’Inea a Roma i più importanti economisti agrari italiani dell’epoca, per discutere sugli indirizzi di politica agraria da seguire nel dopoguerra, gran parte dei nomi sono legata ai “maestri” Serpieri e Tassinari. Alla riunione partecipano infatti, oltre al ministro dell’Agricoltura e Foreste, Fausto Gullo, i direttori generali del Ministero Paolo Albertario e Aurelio Carrante (che con Perdisa e Medici aveva elaborato le nuove direttive per la trasformazione dell’agricoltura nel Tavoliere di Puglia nel 1938). Poi Rossi-Doria, Brizi, Medici, Bandini, Perdisa, Proni, Passerini, Tofani, Giusti, Perini, Facca, Panerai e Ciarrocca. Tutti, o quasi, economisti formati nelle Università dell’Italia centro-settentrionale alle scuole di Serpieri e Tassinari. Oppure, come nel caso di Vincenzo Ricchioni e Manlio Rossi Doria, formatosi nelle Università del Sud, ma imbevuti della stessa cultura, che progressivamente aveva cominciato a diffondersi anche nel Mezzogiorno. Il trasferimento della cultura positivista e interventista al Sud: i casi di Bari, Palermo e Portici Tra le due guerre gli indirizzi promossi da Serpieri a Firenze e da Tassinari a Bologna si diffusero anche nelle Università del Sud, grazie all’insegnamento di economisti agrari formatisi alle loro scuole o prendendo parte alle attività di ricerca svolte dall’Inea. A Bari è il caso di Vincenzo Ricchioni. Nato a Firenze il 7 luglio 1891, Ricchioni diviene professore straordinario di Economia e politica agraria nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bari dal 29 ottobre 19387, mentre in seguito sarebbe stato anche il primo direttore dell’Istituto di Economia e Politica agraria dell’Università di Bari. La sua formazione è di stampo serpieriano. Partecipa all’Inchiesta Inea sulla proprietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra occupandosi delle Puglie8. Nel 1936 pubblica Aspetti economici di aziende latifondistiche di terra di Bari9, ponendo all’attenzione il problema della scarsa produttività dell’agricoltura pugliese dominata dalle masserie, cui fare fronte attraverso il miglioramento delle tecniche di coltura e dei 7 Istituto Fascista di Tecnica e Propaganda Agraria, Annali di Tecnica Agraria, Roma 1939, p. 294. V. Ricchioni, Inchiesta sulla piccola proprietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra. Puglie. Inea, Roma 1935. 9 V. Ricchioni, Aspetti economici di aziende latifondistiche di terra di Bari, Laterza, Bari 1936. 8 5 rapporti tra proprietario e conduttore. Nel 1940 pubblica poi Le bonifiche pugliesi10. Lo scritto constata gli scarsi risultati ottenuti nelle Puglie dai progetto di bonifica concepiti in epoca serpieriana (e molti dei quali mai realizzati dai proprietari privati) per analizzare poi il nuovo piano di trasformazione fondiaria nel Tavoliere elaborato nel 1938 da Aurelio Carrante, Giuseppe Medici e Luigi Perdisa nell’ambito dell’”assalto al latifondo” coordinato dal sottosegretario alle Bonifiche Giuseppe Tassinari. Ricchioni rappresenta dunque una espressione di quella cultura economica agraria nata ed affermatasi tra le due guerre nelle scuole di Firenze e Bologna e alimentata dall’attività di ricerca svolta dall’Inea. Una cultura che parte dall’indagine sulla realtà economica, sulla singola impresa o sul singolo territorio, per giungere alla elaborazione di opere di trasformazione non solo del territorio, ma di una realtà economica e sociale, mediante l’intervento pubblico. A Palermo la trasfusione di questo indirizzo avviene indirettamente, attraverso la figura di Giovanni De Francisci Gerbino. Nato a Palermo nel 1883 e laureatosi in Giurisprudenza, a partire dal 1917 insegna presso l’Istituto superiore di Scienze economiche e commerciali prima Scienza delle Finanze e poi Economia politica. Da economista generale, tra le due guerre si occupa anche di economia politica agraria, pubblicando nel 1938 il Corso di Economia e politica agraria11. Il lavoro analizza le politiche agrarie in Italia (dello Stato liberale e dello Stato fascista), delle forme della proprietà fondiaria, del capitale in agricoltura, del lavoro agricolo e delle categorie rurali, dei tipi di impresa e delle forme associate, del commercio e dell’ammasso dei prodotti, nonché della distribuzione del prodotto netto in agricoltura. Il volume è significativamente dedicato a Giuseppe Tassinari, del quale riprende diffusamente le argomentazioni. Ma l’indirizzo alimentato nelle università del Centro-Nord da Serpieri e Tassinari conquista anche la scuola di Portici. Qui, quattro sono le figure di riferimento sulle quali ci soffermeremo: Emanuele De Cilis, Oreste Bordiga, Alessandro Brizi e Manlio Rossi-Doria. De Cilis, nato a Caserta il 31 maggio 1866 e laureato presso la Scuola superiore di scienze agrarie di Portici nel 1887, non è certamente un serpieriano. Tuttavia, anche la sua è una formazione di stampo positivista. Nei suoi studi sottolinea la diversità delle strutture pedologiche e produttive del Nord e del Sud Italia, proponendo un approccio specifico all’agricoltura del Mezzogiorno, attraverso le tecniche dell’aridocoltura e della cerealicoltura razionale12. Si accosta al fascismo, 10 V. Ricchioni, Le bonifiche pugliesi, Cressati, Bari 1940. G. De Francisci Gerbino, Corso di Economia e politica agraria, Foro Italiano, Roma 1938. 12 E. De Cilis, Le basi tecniche della cerealicoltura meridionale, Stabilimento tipografico Fulgur, Potenza 1930. 11 6 divenendo senatore dal 1929, proprio per l’interventismo razionalizzatore e produttivista che scorge nel Regime, come risulta evidente anche dal suo contributo sull’agricoltura in Sicilia e Sardegna, pubblicato nel volume a cura di Luigi Federzoni, I problemi attuali dell’agricoltura italiana13. Il suo orientamento, coincidente con gli indirizzi del regime e con la cultura economica promossa da Serpieri e Tassinari, gli vale la nomina a Presidente dell’Istituto Fascista di Tecnica e Propaganda Agraria e a Direttore del Regio Istituto Superiore agrario di Portici. Ma a Portici i principali esponenti tra le due guerre sono senza dubbio Oreste Bordiga e Alessandro Brizi. Bordiga nasce a Novara il 10 ottobre 1852 e si forma prima presso l’Istituto tecnico della sua città e poi preso la Scuola superiore di agricoltura di Milano come allievo di Gaetano Cantoni. Dalla cultura milanese Bordiga impara «a concepire l’agronomia e l’economia agraria in modo più ampio di quanto in passato si fosse fatto e riflettere sulla società e sui rapporti sociali e ul miglioramento delle condizioni delle classi inferiori»14. Formatosi nello stesso humus culturale in cui si sarebbe poi formato Serpieri, è non a caso considerato da Di Sandro uno dei “precursori” dell’economia agraria. Trasferitosi a Portici nel 1884, Bordiga, che è considerato il fondatore della locale scuola di Agraria, contribuisce a trasferire nella cultura meridionale quegli elementi positivistici tipici della cultura economica lombarda della prima metà dell’Ottocento. Il suo lavoro è poi proseguito da Alessandro Brizi, che gli subentra nel 1928 e insegna a Portici fino al 1943. Nato a Poggio Nativo, in provincia di Rieti, il 7 settembre 1878, Brizi si laurea in Scienze Agrarie presso l’Università di Pisa. Inizia poi lì’attività di cattedratico ambulante prima presso la cattedra ambulante di agricoltura della provincia di Ferrara (1900-1901), poi a Parma (1902), per poi dirigere le cattedre ambulanti di Chieti (1903) e Cremona (1905-1907). Nel 1908 vince il concorso di ispettore per il bonificamento presso il ministero dell’Agricoltura e nel 1918 è nominato direttore generale dello stesso ministero. Nel 1929 è poi nominato segretario generale dell’Istituto Internazionale di Agricoltura. L’Inea gli affidò per l’Italia meridionale le due inchieste sui rapporti fra proprietà, impresa e manodopera e quella sulla formazione della piccola proprietà coltivatrice. Nel frattempo, come detto, nel 1928, subentra alla cattedra di Bordiga a Portici, alla quale ora si collega anche la direzione de locale Osservatorio di economia agraria dell’Inea, Qui insegna 13 E. De Cillis, L’agricoltura nella Sicilia e nella Sardegna, in L. Federzoni (a cura di), I problemi attuali dell’agricoltura italiana, Zanichelli, Bologna 1933, pp. 89-‐104. 14 L. Musella, Oreste Bordiga e l’agricoltura meridionale (1884-‐1914), in P. Paolo D’Attorre, A. De Bernardi, Studi sull’agricoltura italiana: società rurale e modernizzazione, vol. 29, Feltrineli, Milano 1994, p. 126. 7 «seguendo le orme e l’indirizzo di Arrigo Serpieri»15, contribuendo a trasferire al Sud quella cultura positivista e interventista che tra le due guerre aveva dato vita, sul piano teorico alla nascita prima dell’economia agraria e poi dell’economia politica agraria, mentre sul piano pratico aveva lanciato quell’opera di bonifica e colonizzazione che sarebbe poi sfociata nella riforma agraria degli anni Cinquanta. In quegli anni a Portici si formano altri due giovani che avrebbero poi segnato la storia dell’economia agraria: Emilio Sereni e Manlio Rossi-Doria. Il secondo subentra a Brizi nel 1944 e dà continuità a quell’indirizzo serpieriano assorbito non solo alla scuola di Portici, ma anche attraverso la collaborazione con la rivista «Bonifica e Colonizzazione», nata nel 1937 e dalle cui colonne Rossi-Doria ha modo di alimentare il dibattito sull’”assalto al latifondo”16. Si tratta di un indirizzo che a Portici sarebbe proseguito fino a quando, nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, Augusto Graziani e Claudio Napoleoni imprimono una svolta in senso marxista che in realtà deforma l’indirizzo seguito fino a quel momento dalla Scuola di Portici. Conclusioni La nascita prima dell’economia agraria e poi dell’economia politica agraria sono il risultato di una evoluzione della cultura economica radicata nell’Italia centrosettentrionale, che da secoli ha metabolizzato la necessità di un intervento dello Stato nei processi di sviluppo economico. L’evoluzione teorica va dunque collegata alla evoluzione pratica dell’intervento pubblico in ambito agrario, rappresentando il tentativo di fornire a quest’ultimo un adeguato supporto scientifico. La necessità di un simile sviluppo è dunque avvertita in primo luogo da quelle figure che sono chiamate a elaborare e guidare l’intervento dello Stato in ambito agricolo. Al tempo stesso, si tratta di figure imbevute di quella cultura positivista e interventista diffusa nell’Italia centrosettentrionale: Arrigo Serpieri e Giuseppe Tassinari a Firenze e Bologna (cui sul finire degli anni Trenta, dunque al limite con l’arco temporale da noi considerato, si aggiunge anche Bandini a Perugia). Serpieri e Tassinari a Firenze e Bologna danno vita a due scuole che formano i protagonisti dell’economia e della politica agraria della generazione successiva. L’indirizzo alimentato da Serpieri e Tassinari non solo attraverso l’accademia, ma anche attraverso l’Inea e i suoi osservatori locali, si trasferisce successivamente nelle Università del Sud, come 15 F. De Stefano, Manlio Rossi Doria e la scuola di Portici, in G. Di Sandro, A. Monti, Competenza e politica. Economisti e tecnici agrari in Italia tra Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna 2003, p. 218. 16 S. Misiani, Manlio Rossi-‐Doria. Un riformatore del Novecento, Rubbettino, Soneria Mannelli 2010, pp. 227-‐228. 8 dimostrano i casi di Bari, Palermo e, soprattutto, Portici, alimentando una concezione dell’intervento pubblico in economia che sopravviverà fino alla reinterpretazione marxista degli anni Sessanta e Settanta. 9