Milano, 12 gennaio 2004

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Milano, 12 gennaio 2004
Dichiarazione del Presidente della Federazione Italiana Industriali
Tessilivari
Giorgio Giardini
Repubblica Popolare Cinese e disinformazione europea
Sembra che si sia arrivati ad una soluzione di compromesso.
Non essendo chiariti i termini della questione, comunque, ritengo importante
intervenire per sottolineare che se si è tenuto conto delle complicazioni create
a distribuzione e grandi marche, è ora indispensabile affrontare con la stessa
urgenza la questione della marcatura obbligatoria d’origine, gli investimenti
per la produzione del tessile europeo, e la reciprocità vera negli scambi: se le
importazioni dalla Cina sono aumentate nei primi sei mesi del 2005 del 39% e
quelle europee verso la Repubblica Popolare Cinese non sono andate oltre il
2% c’è uno spostamento di ricchezza senza alcuna compensazione.
Se il processo fosse secondo le regole, niente da ridire, ma così non è.
Terminato definitivamente il 31 dicembre 2004 l’Accordo Multifibre, che
fissava un sistema di quote alle importazioni nella UE dei principali prodotti
tessili –abbigliamento provenienti dalla maggior parte dei Paesi emergenti, si è
verificato nei primi mesi del 2005 un disastroso boom di importazioni tessili
dalla Cina: Maglie e pullover: + 732, Pantaloni da uomo e donna: +570, Abiti
da donna: +421,Tessuti di lino: +433, Calze e collant: +298, T-shirt: +570,
Cappotti da donna: +260, Giacche da uomo: +225, Reggiseno: +178, Camicie da
uomo: +126
La situazione era prevedibile, perché in Cina non vigono le regole dell’Europa:
nessun rispetto dei diritti sindacali, nessuna difesa del lavoratore, dell’ecologia
e dell’ambiente di lavoro, nessun controllo sui materiali utilizzati dalla concia
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ai coloranti, dai trasporti al packaging: i costi sono inconfrontabili con la realtà
europea.
A livello di WTO e UE, infatti, si attende ancora che la Cina si attenga
all’impegno del rispetto delle regole assunto al momento dell’ammissione nel
WTO, comprese quelle dei diritti sindacali dell’OIL-Organizzazione
Internazionale del Lavoro.
La Commissione UE avrebbe dovuto attivare immediatamente le clausola di
salvaguardia previste dagli accordi internazionale e in presenza di un grave
danno alle imprese comunitarie, derivante da distorsione del mercato.
Invece, la Commissione ha avviato consultazioni con la Cina senza attivare
l’applicazione delle clausole di salvaguardia.
Non consola il tessile che tutto ciò valga già per tanti altri settori, come gli
elettrodomestici o l’elettronica tedesca e olandese, che sia.
Ci preoccupa e molto che i consumatori europei non sappiano perché pagano
tanto prodotti che credono prodotti in Germania o in Europa, e credano che la
disoccupazione e la recessione che affligge l’UE sia dovuta solo ai problemi del
Welfare o alla politica monetaria e alle Borse, mentre scientemente si sta
spostando l’industria manifatturiera, il lavoro, le tecnologie e il know how
dall’altra parte del mondo e non perché lì siano più bravi ma perché soltanto
lì si lavora senza norme, regole e costi sociali.
Se la Grande distribuzione e le grandi marche di massa hanno continuato a
fare ordini senza le licenze previste dalla legge, nel 2005 contro le quote e le
regole previste dalla UE e dal WTO, i costi ricadranno ora sull’industria
europea e i suoi 2 milioni e mezzo di lavoratori.
Cosa è successo in sei mesi per avere gli scaffali vuoti? fino a giugno con cosa
li riempivano da Francia, Spagna, Portogallo, Italia, ma anche Polonia e
Ungheria, che ora non sia vendibile e comprabile? come hanno fatto affari fino
al 1° maggio 2005?
l’industria europea non esiste già più? non è
improvvisamente più in grado di produrre nel giro di sei mesi?
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La GDO crede che i cittadini, come consumatori non si chiedano dove va la
differenza tra il costo di 0,25 euro orario dell’operaio cinese e i prezzi della
distribuzione dei paesi sviluppati ( non certo nei salari dei commessi della Wal
Mart!)
Le statistiche Euratex sui prezzi indicano che quelli al consumo crescono (per
l’Italia +7%, prezzi 2004 su quelli del 2000), mentre quelli all’importazione
crollano (per l’Italia –4,4% per il tessile e –19% per l’abbigliamento; per L’UE a
15 Paesi –24,2%per il tessile e –39,2% abbigliamento).
Nell’accordo del 10 giugno scorso, che limita l’aumento delle importazioni
tessili dalla Repubblica Popolare Cinese a circa il 10% all’anno fino al 1°
gennaio 2008, era già stato acquisito nella base di incremento anche
l’eccezionale aumento delle importazioni dei primi 5 mesi del 2005 .
La Federazione Tessilivari si è sempre battuta contro le mistificazioni della
presunta maggiore competitività della Cina, avendo pagato salatamente anni
fa la fine delle quote di settori come la filatura e la torcitura serica, il
tendaggio, ecc. Allora gli imprenditori avevano tentato la strada
dell’antidumping conclamato e documentato e si scontrarono con le lobby
europee, che allora come ora trattano in modo uguale il sistema industriale
comunista cinese e quello europeo.
I nostri imprenditori dovettero specializzarsi nella qualità e nel servizio per
l’obiettivo della differenziazione dal prodotto di massa, ricetta che viene
indicata ora come nuova panacea da chi non sa niente della vera ricchezza e
del funzionamento della nostra industria manifatturiera.
Ora si distrugge, partendo dal valle, l’intero sistema tessile moda arredo
fondato sull’autentica produzione del valore e non quello falso della
politica di marca attribuito dalla pubblicità.
Si innesca con la disinformazione e le scelte politiche strategiche delle
lobby finanziarie, un circolo vizioso in cui sopravvivono solo le grandi
catene della distribuzione standardizzata, il grande potere finanziario , la
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grande marca mass market, senza spazio per la creatività, la ricerca
autentica, la passione della materia e del prodotto, l’innovazione, che
avevano legato in un circolo virtuoso il sistema tessile-moda-arredo-pelle
italiano ed europeo, dalle marche che fanno ricerca ai migliori tra i fornitori
a monte, fino alla distribuzione al dettaglio a valle.
Nel contempo la GDO non sembra impegnata nell’interesse dei consumatori al
varo delle leggi europee sulla marcatura d’origine obbligatoria che darebbero
modo di sapere e confrontare davvero.
I cittadini europei sanno di non sapere? Sanno che non vi è nella UE nessun
obbligo sulla marcatura d’origine a differenza che negli USA, in Giappone e
nella stessa Cina?
Su questi due punti, i nuovi e solerti difensori delle politiche di aggressività
commerciale della Repubblica Popolare Cinese cosa hanno da dire ai cittadini?
La Federazione non solo ribadisce la necessità di un commercio rispettoso della
legalità, della reciprocità, ma soprattutto richiede all’Europa di attivarsi per il rispetto
delle clausole di salvaguardia previste dal WTO e l’immediata introduzione delle
norme europee sulla marcatura d’origine obbligatoria, contro la contraffazione e sul
controllo delle dogane europee.
Milano, 6 settembre 2005
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