Recensione - accademia degli intronati

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Recensione - accademia degli intronati
IN CORSO DI PUBBLICAZIONE SU BULLETTINO SENESE DI STORIA PATRIA, 116, 2009
BEATRICE DEL BO, Mariano Vitali da Siena. Integrazione e radicamento di un uomo
d’affari nella Milano del Quattrocento, “Archivio Storico Italiano”, CLXVI, 2008, disp. 3, pp.
453-493.
Tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, i rapporti tra la repubblica di Siena e la dinastia
viscontea andarono intensificandosi sulla scia di una comune rispondenza politica che trovò il
suo culmine tra il 1399 ed il 1404 allor quando si verificò la sottomissione della repubblica
senese al ducato di Milano. A livello economico, l’ostilità senese nei confronti della vicina
città dell’Arno ed il conseguente sodalizio con Gian Galeazzo Visconti, si tradussero nella
parallela cacciata degli operatori senesi da Firenze e, per converso, nell’espulsione dei
mercanti fiorentini da Milano dando luogo a due corrispondenti flussi economico-commerciali
su base politica. In un simile contesto, gli ultimi decenni del XIV secolo videro l’emigrazione
di un piccolo gruppo di banchieri senesi nel capoluogo lombardo dando luogo ad un fenomeno
di spostamento e ridistribuzione dei capitali e degli operatori finanziari da una piazza all’altra.
La vicenda di Mariano da Siena rappresenta un’interessante casistica di integrazione sociale
nella realtà lombarda da parte di un forestiero ‘qualificato’ di cui l’autrice, Beatrice Del Bo,
mette in luce le strategie di radicamento societario realizzate sulla base dell’individuazione dei
legami familiari e professionali e sul consolidamento del patrimonio monetario ed immobiliare
costituito.
Mariano di Vitale da Siena giunge a Milano nel 1396 forse su sollecitazione del banchiere
Sigerio Gallerani, operatore già presente in loco da qualche tempo ma non ancora
definitivamente integrato nel tessuto lombardo, così come lascia intendere l’ottenimento della
cittadinanza milanese soltanto nel 1420 assieme allo stesso Mariano. Sigerio ospitò il giovane
conterraneo contribuendo quasi certamente al suo inserimento professionale. Dopo circa dieci
anni dal suo arrivo, Mariano poteva fregiarsi del prestigioso appellativo di “mercator
Mediolani”, riservato solo ai maggiori operatori commerciali iscritti alla matricola dei
mercanti. In qualità di mercante, egli commerciava una vasta gamma di articoli,
principalmente legati ad attività di tipo manifatturiero e provenienti dal contado milanese
(pellame, lana, drappi, cotone, fustagni), tuttavia, parallelamente, il senese intraprendeva
anche attività specificamente bancarie riuscendo a far parte, assieme al citato Gallerani, di
quella ristretta e potente élite che possedeva un banco a campsoria nel coperto del Broletto
nuovo di Milano. Nel corso della sua attività finanziaria, Mariano si distinse anche nella
gestione degli appalti per la riscossione dei dazi, delle gabelle, delle tasse, dei sussidi. Nel
1436 fu incaricato di raccogliere a Como i contributi imposti per il Concilio di Basilea.
L’invidiabile posizione sociale conseguita dal Vitali ed il suo inserimento nella realtà sociale,
oltre che economica, milanese, si riflettono nella capacità del senese di dare a vita ad una
prestigiosa rete di rapporti interpersonali il cui segno più distintivo è rappresentato dalla
costruzione dei legami parentali. Nel 1406 Mariano sposa Margherita Crivelli, imparentandosi
con una delle famiglie più ricche e potenti di Milano e legate da forti rapporti alla dinastia
viscontea. La sagace politica matrimoniale perseguita dal Vitali prosegue anche attraverso i
figli ed i nipoti finendo per unire il suo nucleo familiare con quelli di antiche e potenti casate
lombarde come gli Omodei, gli Amiconi, i Marliani, i del Conte, i della Croce, i Pietrasanta e i
Pagnani. Tracce inequivocabili del prestigio raggiunto dal senese sono inoltre rappresentate
dalla costruzione di un ingente patrimonio immobiliare e fondiario e dalle conseguenti
disposizioni testamentarie che mostrano un sempre più radicato intento di livellamento nei
confronti degli stati più alti della società milanese.
A livello politico, Mariano partecipò attivamente al governo della città lombarda durante la
cosiddetta ‘Repubblica Ambrosiana’ (1447-1450) sino ricoprire nel marzo del 1448 l’incarico
di ‘capitano e difensore’, qualifica caratterizzante dei membri dell’organo di governo della
libertas Mediolani. Tale prerogativa, costituì tuttavia soltanto una parentesi di breve durata dal
momento che egli fu, con molta probabilità, tra i sostenitori di un progetto di alleanza con
Venezia meditato dalla fazione ‘antisforzesca’ che comportò il suo definitivo allontanamento
dal capitanato. In seguito egli incappò, nel maggio del 1448, nella tassa de la Sala, nei
confronti della quale fu costretto a dichiarasi insolvente finendo nell’elenco dei debitori del
Tesoro e fra i ribelli della repubblica. In un simile contesto, fondamentali furono i legami con i
parenti acquisiti i quali garantirono al Vitali l’appoggio e la collaborazione necessari per girare
la titolarità dei suoi beni non incorrendo in questo modo nelle spoliazioni e nelle confische.
Nonostante la Del Bo sottolinei giustamente come il caso di Mariano presenti una consapevole
volontà di distaccarsi dalla città di origine per perseguire una meditata strategia di integrazione
nella realtà lombarda la cui conferma è offerta principalmente dall’esclusione tanto di un
qualsivoglia legato testamentario a favore della famiglia di origine o di enti religiosi della
madrepatria quanto di un qualunque legame matrimoniale con altri senesi, non di meno risulta
estremamente interessante evidenziare i passi nei quali la studiosa osserva come i rapporti
intrattenuti dal Vitali con alcuni politici e uomini d’affari toscani, in particolar modo senesi,
sia comunque presente a livello di rapporti d’amicizia, ma soprattutto d’affari. Se da un lato
egli affidava le sue questioni ad illustri legisti senesi come il “sapiens et egregius legum
doctor” Lodovico Petroni; dall’altro, suoi corrispondenti nelle piazze estere sono infatti
principalmente dei toscani. Sulla piazza di Genova, collaborava con lui il pisano Bartolomeo
Bonconti, su quella di Venezia, l’azienda senese “Cecco di Tommaso e fratelli”, su quella di
Londra la compagnia di Filippo Borromeo, milanese d’adozione ma di origine toscana, in
Catalogna lavorava per lui Tommaso Ruffaldi di Siena, anch’esso mercante in Milano.
L’ampiezza di un tale giro d’affari e la rete di alleanze politico-economico ivi sottese meritano
ancora, quanto meno dal versante storiografico senese, nuove interessanti indagini entro le
quali il presente articolo può offrire interessanti orientamenti di ricerca dai quali partire nella
formulazione di ipotesi di lavoro.