Isole Faroe: la strage di balene è criticata ma lecita
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Isole Faroe: la strage di balene è criticata ma lecita
Isole Faroe: la strage di balene è criticata ma lecita “Family with Whale”, foto di gregoniemeyer, licenza CC BY-NC 2.0, www.flickr.com Da sempre chiamata ‘Grindadráp’, termine traducibile con ‘mattanza’, la tradizionale caccia alle balene ha luogo ogni anno nell’arcipelago delle Isole Faroe, situate nell’Oceano Atlantico, tra Norvegia e Islanda. Rilevante risorsa economica in passato, la caccia alle balene è oggi un rituale ancora connesso all’attività commerciale, ma anche riconosciuto come pratica culturale alla quale prendono parte gli uomini dell’isola. Gli abitanti scrutano il mare dalle loro imbarcazioni attrezzate per la caccia e, una volta individuato un branco di cetacei sufficientemente numeroso, lo spingono sui bassi fondali vicino alla costa. A questo punto i cacciatori assalgono il branco utilizzando arpioni, funi, lame ed altri strumenti d’acciaio. Essi recidono le arterie dorsali di decine, se non centinaia, di balene nell’acqua bassa e ne trascinano le carcasse sulle spiagge. Dopo la mattanza, la costa è letteralmente bagnata da un mare di sangue. Proprio a causa dei metodi utilizzati, nonostante le rassicurazioni da parte delle autorità locali, alcuni medici hanno rilevato rischi per la salute di chi consuma la carne. Negli ultimi anni, aspre critiche sono state mosse da varie associazioni con la speranza di porre fine a questa macabra pratica, contraria alle maggiori convenzioni sull’ambiente. Ma il distretto che comprende le isole è dotato di tale indipendenza dal Regno di Danimarca da poter proseguire pressoché indisturbato la strage. Le Isole Faroe costituiscono una Nazione Indipendente del Regno di Danimarca dal 1948 e hanno progressivamente ottenuto il controllo sulle maggiori questioni di politica interna. Tra queste si trova la regolamentazione della Grindadráp, affidata alle autorità locali sin dal 1298, anno a cui risale la Sheep Letter, primo documento legislativo che menziona la caccia alle balene e vi pone alcuni limiti. Successive proposte di legge vennero avanzate dal governo danese al fine di contenere l’impatto della caccia, ma esse non sortirono i risultati auspicati, specialmente in seguito alle notevoli concessioni di potere al governo locale. L’ultima legge in materia, stata promulgata dal Parlamento delle Isole Faroe ed è entrata in vigore il 1 maggio 2015, imponendo un corso di addestramento e l’acquisizione di un certificato come requisiti per partecipare alla caccia e, al contempo, proibendo l’uso di alcuni utensili che provocano eccessiva sofferenza all’animale. Numerose organizzazioni internazionali, tra cui Greenpeace e Sea Shepherd, continuano a battersi per ostacolare questa pratica. Le autorità locali rispondono con l’arresto di chiunque ostacoli la caccia alle balene, come hanno potuto sperimentare alcuni volontari di Sea Shepherd che nel mese di luglio 2015 sono stati privati della libertà personale per essersi schierati con le loro barche a difesa dei cetacei. Ma un interrogativo sorge spontaneo alla luce delle recenti critiche: è possibile fermare la Grindadráp con gli strumenti forniti dal diritto? Nonostante le discutibili peculiarità della caccia, da alcuni paragonata ad un rito barbaro, la risposta alla domanda sembrerebbe negativa. Nel 1948, dopo l’occupazione inglese delle isole, esse hanno ottenuto lo status di Nazione Indipendente del Regno di Danimarca, il quale ha di fatto ceduto la propria sovranità sul territorio delle isole, mantenendo tuttavia alcuni poteri nell’ambito della politica estera e della difesa. Si tratta della cosiddetta Home Rule, grazie alla quale le isole ottennero un ampio controllo sui propri affari interni (tra cui la regolamentazione della caccia alle balene), oltre ad un sostegno economico annuale non irrilevante da parte della Danimarca. Prive di forza militare organizzata, quest’ultima fornita dal Regno di Danimarca, le Isole dispongono soltanto di una polizia costiera che, tra l’altro, ha proprio il compito di arrestare chiunque ostacoli la mattanza. Sembra quindi che, per quanto concerne il livello locale, nulla possa ostacolare la caccia alle balene. Alcuni, tra cui i fondatori di Sea Shepherd, hanno accusato la stessa Danimarca di supportare la caccia alle balene, in quanto parte del sussidio annuale servirebbe a finanziare le attività di guardia costiera. Ma la Danimarca, per motivi politici, ovvero per evitare di dover affrontare il movimento indipendentista, si tiene alla larga dalla discussione. A livello sovranazionale, poiché le isole Faroe, a differenza della Danimarca, non sono parte dell’Unione Europea, tutta la legislazione Europea sulla protezione dei cetacei e dell’ambiente, alla luce della quale potrebbero sorgere dubbi sulla legittimità della Grindadráp, non trova applicazione. Le Isole Faroe riconoscono ufficialmente l’importanza della cooperazione internazionale per la protezione dei mammiferi marini. Dal 1990 esse sono parte della Convenzione di Bonn sulla Conservazione delle Specie Migratorie, la quale menziona le specie interessate dalla Grindadráp. In particolare, esse sono dichiarate specie protette dall’accordo regionale ASCOBANS (Agreement on the Conservation of Small Cetaceans in the Baltic and North Seas), che conta tra i suoi membri la Danimarca ma non le Isole Faroe. L’Organizzazione per la Conservazione dei Delfini e delle Balene, che ha assunto l’iniziativa per la conclusione degli accordi di Bonn, ha ripetutamente condannato la condotta opportunistica del governo faroese, che mira da un lato ad apparire difensore delle specie marine, aderendo alla Convenzione, e dall’altro ne rifiuta i programmi concreti. Sebbene non vincolata al ASCOBANS, la Nazione dovrebbe infatti astenersi da tenere comportamenti in palese contrasto con i principi dell’accordo, in quanto le misure da esso previste sarebbero esecutive della Convenzione di Bonn, il cui scopo risulterebbe frustrato. A propria difesa Isole Faroe vantano invece di essere parte di NAMMCO e IWC, ma un’analisi di tali organismi mostra come essi siano solo istituti per la cooperazione nella ricerca scientifica, creati per obiettivi ben diversi da quelli perseguiti dagli accordi. Risulta quindi che, anche a livello sovranazionale, l’impianto costruito dalle Isole Faroe sia impermeabile alle considerazioni contrarie alla caccia alle balene. Tra gli argomenti addotti a favore della Grindadráp primeggia il valore tradizionale della stessa, concepita come un rito che lega l’uomo al mare. In particolare, viene esaltata l’origine antica della pratica, che costituirebbe un elemento caratterizzante della cultura delle Isole Faroe. E’ proprio l’analisi del rapporto tra diritto e cultura a creare non pochi problemi in situazioni come questa, in quanto risulta difficile comprendere quanto strette debbano essere le maglie del setaccio che trattiene nel mondo legale elementi di matrice folkloristica. Ci si chiede quindi se, in casi come quello della caccia alle balene nelle Isole Faroe, sia giustificabile consentire una pratica contraria ad alcune convenzioni internazionali e demonizzata in gran parte del mondo in ragione della peculiare cultura del luogo. In assenza di un sistema sanzionatorio applicabile, un simile quesito non trova risposta nel mondo del diritto e lascia spazio a considerazioni che sfociano nel mare extra-giuridico. Fonti: Sheep Letter 1298; Environmental Investigation Agency Reports; theguardian.uk government.fo uk.whales.org whailing.fo GIULIA CAPPA