02 filippo giglioli

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02 filippo giglioli
Racconto inventato
di Filippo Giglioli
I primi giorni di maggio del 1945 il meteo aveva giocato un brutto scherzo agli
abitanti piemontesi che, a causa del caldo e delle temperature africane, si erano
illusi di essere già entrati nella stagione estiva. Accaldato e ormai esausto,
Franco stava cercando di tornare a casa in tempo per fare merenda con il
fratello. Erano venti giorni che Franco non tornava a casa, gli avevano
raccomandato infatti di evitare gli spostamenti solitari poiché "viaggiare in una
banda di partigiani era più sicuro di un carroarmato". Dopo la liberazione di
Torino e la fuga quasi ultimata degli ultimi fascisti, le strade erano ormai più
sicure per tutti; quindi Franco si fece pochi problemi a tornare dalla Spappola
(così era chiamato il luogo di ritrovo dei partigiani a Trisobbio) verso casa. La
strada che porta dal paesino di Trisobbio alla frazione di "Villa Botteri" è tutta
dritta, ad eccezione di sole tre curve: la Nina, la Pinta e la Santa Maria. Così le
chiamavano i partigiani per velocizzare gli ordini di appostamento e
spostamento di viveri. La strada è lunga all'incirca tre chilometri, passa sulla
cresta delle colline da dove si può ammirare la straordinaria molteplicità di
vigneti, tipico paesaggio dell’alessandrino.
Franco stava già per superare la "Santa Maria"; vedeva ormai il campanile della
chiesa, dimora di innumerevoli piccioni in quei giorni afosi, quando sentì dei
passi oltre la curva che si avvicinavano. Non ebbe il tempo di nascondersi, non
ebbe neanche il tempo di poter immaginare cosa avrebbe dovuto aspettarsi dal
rumore di quei passi, quando si ritrovò davanti ad un soldato fascista.
Era basso, biondo, la faccia era sporca, il suo volto era affranto, stanco; quasi
non si reggeva in piedi. Franco rimase immobile, stupito di questo incontro ma
allo stesso tempo impaurito; per sua fortuna quel soldato provava le sue stesse
emozioni, quindi come lui decise di stare fermo ad aspettare. In pochi minuti la
situazione degenerò improvvisamente: quattro amici e compagni di Franco, che
casualmente avevano visto tutta la scena, raggiunsero in poco tempo il corpo del
soldato, “placcandolo” con forza. I quattro partigiani cantavano correndo,
mentre si "passavano" il soldato con calci e spinte. Franco, ancora sconvolto,
correva più indietro come se non volesse disturbare il gioco dei compagni.
Arrivarono tutti nei pressi della chiesa a Villa Botteri, dove c'era un cantiere
appena aperto. Tre partigiani, prese altrettante pale, cominciarono a scavare con
forza una buca; il quarto "intratteneva" il soldato fascista con cori, calci e sputi.
Franco stava fermo, in piedi, pensava a suo fratello che mangiava l'ennesima
merenda senza di lui, pensava ai suoi compagni che quasi si emozionavano a
torturare un fascista, pensava che sarebbe potuto tornare a casa in quel
momento. I suoi pensieri però furono fermati dalle urla del soldato che,
nonostante l'evidenza dei fatti, aveva capito cosa stava per accadergli. I quattro
partigiani, tutti insieme come un sol uomo, spinsero il soldato giù nella buca
appena scavata e cominciarono a coprirla di terra. Franco si affacciò e guardò
nella buca che stava sempre più riempiendosi; i suoi occhi furono attirati dal
volto del soldato che ricambiava lo sguardo. Dalla bocca dei due ragazzi non
usciva alcun suono ma solo con gli occhi riuscivano a scambiarsi le proprie
emozioni: paura, tristezza, amarezza; finché tutta la buca fu riempita e il cuore
“fascista” fu fermato.
Franco rimase a guardare quella terra, immaginandosi ancora il volto di quel
ragazzo che come lui lo aveva incontrato, esausto, distrutto dalla guerra ma con
la divisa di colore sbagliato. Le guance di Franco si bagnarono di lacrime mentre
lo sguardo restava sempre fisso per terra; si inumidì il dito con una di queste sue
lacrime e la assaggiò: si sentiva la tristezza e la stanchezza provocate dalla
guerra, ma poi sentì con grande stupore e meraviglia che il retrogusto era un
sapore felice, un sapore libero, libero da quella guerra che si era conclusa
tappando un buco di terra.