analisi - Assobiomedica

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analisi - Assobiomedica
ANALISI
NUMERO 24 - DICEMBRE 2015
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
QUADRO CONCETTUALE DI RIFERIMENTO E ANALISI DELLA REALTÀ ITALIANA
CENTRO STUDI
A cura di:
• Valeria Glorioso Centro Studi Assobiomedica – CSA
• Zineb Guennouna Centro Studi Assobiomedica – CSA
• Fabrizio Massaro Centro Studi Assobiomedica – CSA
• Veronica Tamborini Centro Studi Assobiomedica – CSA
• Alessandro Bacci TELOS CONSULTING – Università degli Studi di Siena
• Elena Giovannoni Università degli Studi di Siena
• Alida Nardiello TELOS CONSULTING
Centro studi intitolato a Ernesto Veronesi
Direttore: Paolo Gazzaniga
INDICE
INTRODUZIONE3
LA RIORGANIZZAZIONE DEGLI OSPEDALI PER INTENSITÀ DI CURA 5
1.PREMESSA
2. UNA PRIMA DEFINIZIONE
3. LE PRINCIPALI ESPERIENZE INTERNAZIONALI
4. L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA IN ITALIA
5. LE CARATTERISTICHE DELL’INTENSITÀ DI CURA
6.SINTESI
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DISEGNO DELLA RICERCA
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RISULTATI DELLA RICERCA
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1.PREMESSA
2. OBIETTIVI CONOSCITIVI DELLA RICERCA
FASI DELLA RICERCA E SCELTE METODOLOGICHE
4. LA POPOLAZIONE DI RIFERIMENTO
5. IL CAMPIONE
6. IL QUESTIONARIO STRUTTURATO
7. LE DIMENSIONI DI ANALISI
8. L’ ANALISI DEI GRUPPI
9.SINTESI
1.PREMESSA
2. RISULTATI DEL CENSIMENTO
3. RISULTATI DELL’INDAGINE
4. RISULTATI DELL’ANALISI PER GRUPPI (CLUSTER)
5. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
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21
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30
33
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CONCLUSIONI52
APPENDICE56
QUESTIONARIO57
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
63
PUBBLICAZIONI DEL CENTRO STUDI ASSOBIOMEDICA
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L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
Un sentito ringraziamento a tutti coloro i quali hanno collaborato alla realizzazione
di questo lavoro di ricerca in virtù della loro professionalità, esperienza e della loro
visione globale del processo di riorganizzazione dell’ospedale. In particolare si ringraziano i direttori generali, direttori sanitari, dirigenti medici e dirigenti infermieristici delle seguenti strutture ospedaliere:
Ospedali Riuniti di Pinerolo; Azienda Ospedaliera–Universitaria Maggiore della Carità
di Novara; Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino; IRCCS San Raffaele di Milano;
Istituto Clinico Humanitas di Rozzano; Azienda Ospedaliera “Istituti Ospitalieri” di
Cremona; Azienda Ospedaliera Sant’Anna di Como; Azienda Ospedaliera della
Provincia di Lecco; Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate; Azienda Ospedaliera
Luigi Sacco di Milano; Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano; Azienda
Ospedaliera di Desio e Vimercate; Ospedale di Rovereto; Ospedale di Tione di Trento;
Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona; Ente Ospedaliero Ospedali
Galliera di Genova; Presidio Ospedaliero Val Tidone di Castel San Giovanni; Presidio
Ospedaliero di Imola – Castel San Pietro; Azienda Ospedaliero Universitaria di
Parma; Ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna; Ospedale Umberto 1° Lugo;
Ospedale degli Infermi di Faenza; Nuovo Ospedale civile di Sassuolo S.p.a.; Presidio
Ospedaliero di Riccione–Cattolica (Ospedale Ceccarini di Riccione e Ospedale Cervesi
di Cattolica); Azienda Ospedaliera - IRCCS Santa Maria Nuova di Reggio Emilia;
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena; Azienda Ospedaliero–Universitaria
e Azienda USL di Ferrara; Presidio Ospedaliero Zona Apuana di Carrara; Presidio
Ospedaliero Piana di Lucca; Ospedali Riuniti di Pistoia; Ospedale Area Aretina Nord
di Arezzo; Ospedale della Misericordia Grosseto; Servizio Psichiatrico di Diagnosi
e Cura (SPDC) di Siena; Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Università Senese;
Ospedale Amiata Val d’Orcia di Abbadia San Salvatore; Ospedale dell'alta Val
d'Elsa di Poggibonsi; Ospedali Riuniti della Val di Chiana.
INTRODUZIONE
Il settore pubblico, ormai da anni, è oggetto di politiche mirate al suo completo rinnovamento. A partire dagli anni Novanta, nel dibattito relativo alle teorie organizzative,
hanno fatto irruzione concetti che fino ad allora erano dominio esclusivo del mondo
imprenditoriale; la “nuova stagione” che ha preso il via ha avuto, infatti, nei concetti
di efficienza, efficacia, economicità e qualità – per citarne alcuni – i suoi principi
cardine.
Il mutamento dell’intero settore pubblico ha coinvolto anche il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) il quale, a partire dal D.lgs. 502/92, ha dovuto fare i conti con strumenti, tecniche e metodi tipici dell’approccio aziendale. Tale novità normativa avrebbe richiesto un rapido adeguamento “culturale” che è, però, mancato: la risposta alla
“aziendalizzazione” sancita dalla legge è stata, infatti, quella dei cosiddetti “tagli
lineari” che, per quanto già difficilmente applicabili ai pubblici servizi in generale,
sono palesemente inadatti in un campo come quello sanitario, dove il contenimento
della spesa non può prescindere dal mantenimento della massima qualità della prestazione e dall’introduzione dell’innovazione tecnologica. A questo proposito bisogna, inoltre, tenere in forte considerazione il fatto che l’attuale momento storico è caratterizzato da fattori che difficilmente si conciliano con una revisione al ribasso della
spesa sanitaria. In particolare, ci si riferisce qui: al progressivo invecchiamento della
popolazione; ai mutamenti del quadro epidemiologico; all’esplosione dell’indice di
cronicità delle patologie; al crescente ricorso a strutture ospedaliere per problemi non
acuti; nonché, alla necessità di risorse per la ricerca scientifica e per l’innovazione
tecnologica in campo sanitario che hanno permesso -- e permettono -- un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e un innalzamento della qualità delle
prestazioni. Dunque, piuttosto che ragionare in termini di “riduzione dei servizi” è
auspicabile che l’aziendalizzazione del SSN si traduca in una “riorganizzazione
dei processi” in modo da rispettare i principi sopra citati e al contempo garantire la
massima soddisfazione dell’utenza.
Per riorganizzare i processi, il settore sanitario pubblico può avvalersi di sistemi organizzativo/gestionali nati in ambito manifatturiero che, se opportunamente contestualizzati, sono adattabili alle aziende sanitarie. Ne è un esempio il Lean Thinking,
ispirato al modello di produzione della Toyota, che ha fatto la sua comparsa nel
mondo sanitario circa dieci anni fa suscitando un forte interesse in varie istituzioni
che si occupano di servizi sanitari. Infatti, è proprio nell’erogazione delle prestazioni
in modo “snello”, suggerita dal Lean Thinking, che trova fondamento l’idea di nuovo
ospedale, concetto che mette in discussione il tradizionale modello di cura centrato
sulle divisioni e sulla “proprietà” delle risorse produttive da parte delle singole unità
organizzative. In particolare, l’idea di nuovo ospedale si è concretizzata negli ultimi
anni nella diffusione del modello “ospedale per intensità di cura”, tema centrale di
questo lavoro, che in Italia è stato approfondito solo di recente, in alcuni contesti
locali, ma non con respiro nazionale in un’ottica di sistema. Infatti, tutt’ora, mancano
dati empirici per capire quanto e come si sia diffuso in Italia un modello di organizzazione degli ospedali di questo tipo. Il nostro obiettivo è proprio quello di contribuire a
colmare questo vuoto per comprendere più a fondo come e quanto l’intensità di cura
sia diffusa in Italia.
Il presente lavoro è diviso in tre parti. Nella prima parte, viene introdotto il fenomeno
della riorganizzazione degli ospedali per intensità di cura presentando il quadro con-
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L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
cettuale di riferimento con attenzione alle esperienze internazionali e nazionali, utili
a definire i tratti comuni dei diversi modi di interpretare e attuare l’organizzazione
per intensità di cura. Nella seconda parte del lavoro viene delineato il disegno della
ricerca. Qui vengono definiti gli interrogativi di ricerca, il quadro metodologico, gli
strumenti e le tecniche utilizzate per raccogliere e analizzare i dati. La terza parte,
infine, è dedicata alla presentazione dei risultati della ricerca a partire da quanto
emerso dal censimento delle strutture sanitarie organizzate per intensità di cura a
livello nazionale, per arrivare all’indagine empirica effettuata attraverso la somministrazione di interviste a un sottogruppo delle strutture censite.
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LA RIORGANIZZAZIONE DEGLI OSPEDALI
PER INTENSITÀ DI CURA
1. PREMESSA
L’obiettivo di questa prima parte è quella di tracciare una definizione concettuale di
ospedale per intensità di cura (IDC) e delineare un inquadramento teorico attraverso
una rassegna della letteratura nazionale e internazionale. In particolare, nel secondo paragrafo si darà una definizione di ospedale organizzato per intensità di cura
partendo dai tratti principali di questo modello organizzativo. Nel terzo paragrafo
si descrivono nel dettaglio le principali esperienze internazionali di organizzazione
IDC, individuate attraverso l’analisi della letteratura, con l’obiettivo di tracciare i tratti
comuni a tali esperienze e confrontarli con l’esperienza italiana. Nel quarto paragrafo si descrive l’esperienza italiana in generale, con un breve sguardo alle declinazioni regionali dell’IDC. Nel quinto paragrafo si delineano le caratteristiche principali
dell’IDC, i suoi punti di forza e di debolezza. Il sesto paragrafo, infine, è dedicato
alle osservazioni conclusive.
2. UNA PRIMA DEFINIZIONE
Il modello assistenziale organizzato per intensità di cura è figlio dell’idea di “nuovo
ospedale”, concetto che affonda le sue radici nel Lean Thinking (Womack e Jones,
2010), un modello di produzione tipico del contesto manifatturiero che ha fatto la sua
comparsa nel mondo sanitario circa dieci anni fa, suscitando un forte interesse in varie istituzioni che si occupano di servizi sanitari. Nel campo della gestione dei servizi
pubblici, più specificamente, Lean Thinking significa applicare un metodo scientifico
alla programmazione, all’esecuzione e al continuo miglioramento delle proprie attività. Lo scopo finale dell’applicazione di questo metodo dovrebbe essere quello di
creare il maggior valore per gli utenti e per gli stakeholder. Nello specifico ambito
sanitario, erogare prestazioni in maniera lean implica una valutazione del servizio
erogato dal punto di vista dell’utente finale, il paziente, dedicando particolare attenzione all’appropriatezza della prestazione erogata e all’eliminazione o alla riduzione degli sprechi (Mazzocato et al.,2010; Jones e Mitchell, 2006). In quest’ottica, i
bisogni del paziente assumeranno un ruolo centrale e tutte le attività della struttura/
ospedale saranno ripensate in chiave di un’ottimizzazione dell’intero percorso assistenziale (Nicosia e Nicosia, 2008). Questo è il concetto chiave che guida i processi
di riorganizzazione di questo tipo.
Alla luce di quanto detto, l’organizzazione per intensità di cura prende nettamente le
distanze dalla comune corrispondenza organizzazione/specialità, tipica del modello
organizzativo tradizionale (tabella 1). Il principio che guida questo modello è quello
di garantire a ciascun paziente il livello assistenziale realmente corrispondente alle
sue necessità. Secondo quest’approccio, infatti, i pazienti sono classificati in base ai
loro bisogni assistenziali e, dunque, all’intensità di cura richiesta; viene così superata
l’assegnazione del paziente ad una specifica disciplina (ortopedia, neurologia, cardiologia, etc.) o ad un singolo reparto. Eliminando la classica divisione in reparti,
questo approccio condiziona, chiaramente, anche la collocazione dei pazienti all’interno dell’ospedale: questa avverrà non più sulla base della tradizionale destinazione a uno specifico reparto, ma sarà fondata sull’assegnazione ad aree assistenziali
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L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
omogenee per grado di intensità in base appunto ad un’opportuna valutazione del
livello assistenziale richiesto (ad esempio: basso, medio, alto). Oltre che nell’organizzazione strutturale dell’ospedale (il c.d. layout), l’IDC richiede un forte cambiamento
nell’organizzazione delle risorse umane poiché presume un’assoluta collaborazione e
un approccio fortemente integrato tra le diverse figure professionali. Le caratteristiche
di questo genere di processo di riorganizzazione sono diverse e, al fine di fornire un
quadro sintetico del fenomeno oggetto di studio, prima di passare alle singole esperienze nazionali e internazionali, è utile delineare qui di seguito gli elementi principali
comuni sia alle esperienze italiane di IDC sia a quelle internazionali:
a. centralità del paziente e dell’assistenza necessaria: mettendo il paziente al centro
viene meno l’importanza della singola patologia che affligge il paziente mentre,
al contrario, diviene centrale la gravità delle sue condizioni e del suo stato di
salute complessivo per poter definire, in base a questo, l’intensità di cura richiesta
(Van Walraven et al., 2010; Nardi et al., 2012);
b. cambiamento dei criteri per la classificazione del paziente: raggruppando i pazienti in base alla gravità delle loro condizioni (ad esempio: alta complessità,
media complessità, bassa complessità) e, conseguentemente, sistemandoli in aree
distinte della struttura ospedaliera, cambia il metodo di associazione dei pazienti
all’interno della struttura (Fries e Cooney, 1985; Villa, Barbieri e Lega, 2009);
c. ripensamento logistico e strutturale dell’ospedale: con il superamento dell’articolazione per reparti differenziati per singola disciplina specialistica, a vantaggio
di un’organizzazione in aree dedicate ad accogliere pazienti con il medesimo
fabbisogno assistenziale, viene strutturalmente modificato l’intero ospedale (Chiesi e Boni, 2012);
d. cambiamento nello schema gerarchico delle risorse umane: il superamento del
tradizionale modello medico-centrico, basato sull’Unità Operativa, grazie a un ripensamento dei meccanismi organizzativi e all’assegnazione di nuovi ruoli, porta
alla perdita d’importanza dei ruoli legati ad una sola patologia (specialisti della
singola disciplina) a vantaggio di nuove figure dedicate a seguire il paziente per
l’intera degenza (come, ad esempio, le nuove figure del medico tutor, dell’infermiere tutor, del bed manager, del flow manager, dell’operations manager)
(Pignatto, Regazzo e Tiberi, 2010);
e. condivisione delle pratiche e del sapere: il lavoro di team multidisciplinare e l’attivazione di spazi per il confronto interdisciplinare, sia per quanto concerne la
pratica clinica sia relativamente alle dinamiche gestionali, può portare a vantaggi
di tipo cognitivo, motivazionale, relazionale, organizzativo (Serpelloni, Simeoni
e Aldegheri, 2002).
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Tabella 1 – Differenze tra modello tradizionale di ospedale e modello per intensità di cura
Dimensione
Modello tradizionale
Modello per Intensità di cura
Strumenti
Patologia
Monospecialistico
Polispecialistico
Completezza dei regimi
di cura
Dimensione della
struttura
Numero di letti
Casi trattati
Spazi in funzione dei casi
trattati
Configurazione
Funzione specialistica di
reparto
Processo clinico-assistenziale Aree di diversa intensità
assistenziale
Investimento
Degenza
Tecnologia, innovazione
Elettronica sanitaria, informatica
Formazione
Aggiornamento professionale
Ricerca e cultura sanitaria
Sperimentazioni e sviluppo
del sapere
Responsabilità
Patologia ed esito
Processo di cura
Outcome
Controllo di gestione
Unità Operativa
Caso trattato
Protocolli, profili
Fonte: Porfido E, 2009
3. LE PRINCIPALI ESPERIENZE INTERNAZIONALI
Quella che segue è una rassegna delle principali esperienze internazionali di organizzazione per intensità di cura. Tra tutte le esperienze esistenti, sono state riportate
quelle con la letteratura più ricca, in particolare vengono trattati due Paesi: Stati Uniti,
Paese pioniere nella sperimentazione di schemi organizzativi riconducibili al modello
di ospedale per intensità di cura; e Regno Unito, il Paese che per primo in Europa ha
messo in partica i modelli per IDC.
L’IDC NEGLI STATI UNITI: PROGRESSIVE PATIENT CARE E CHRONIC CARE MODEL
Negli Stati Uniti l’organizzazione ospedaliera per intensità di cura si è tradotta principalmente in due schemi organizzativi con le proprie peculiarità: il Progressive Patient
Care, adatto alla presa in carico di tutti i pazienti, e il Chronic Care Model, destinato
in maniera specifica alla gestione dei pazienti cronici. Il primo modello, il Progressive
Patient Care è un modello che ha origine negli anni Cinquanta, quando negli ospedali
militari americani i pazienti gravemente malati venivano collocati in aree separate per
allontanarli dai pazienti in grado di collaborare alla somministrazione delle proprie
cure (self-care) (Irvine, 1963; Claussen, 1955). Data la longevità di questo schema
organizzativo, i tentativi di darne una definizione sintetica sono stati vari (Abdellah e
Strachan, 1959; Raven, 1962; Exton-Smith, 1962; DeVries, 1970); tuttavia il punto
che accomuna tali definizioni è l’accento posto sul “raggruppamento sistematico dei
pazienti in base al loro grado di malattia e dipendenza assistenziale” (Raven, 1962).
In questo modello, infatti, i pazienti sono classificati secondo il grado di complessità
che presentano con l’obiettivo di garantire il setting di cure più appropriato (Guarinoni et al., 2013). Inoltre, una delle spinte verso questo sistema è stata proprio la ricerca
di una migliore gestione dei dispositivi medici e dei servizi sanitari in base al bisogno
di cura dei pazienti (Haldeman, 1959). Nella sua formulazione originale, il modello
Progressive Patient Care prevede le seguenti unità assistenziali:
a. Intensive care: unità di cura intensiva in cui sono ricoverati i pazienti in condizioni
critiche e che, proprio per questo motivo, necessitano di assistenza, osservazione
e monitoraggio continuo. In questo livello assistenziale il personale infermieristico
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L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
è altamente qualificato e il rapporto numerico infermieri/pazienti è elevato (Exton-Smith, 1962).
b. Intermediate care: unità di cura intermedia nella quale viene ricoverata la maggior parte dei pazienti (il 60-70% del totale di pazienti). I pazienti destinati a
questa unità sono quelli non in pericolo di vita né in situazione di emergenza, ma
che necessitano di assistenza infermieristica ordinaria e non intensiva (Fetter e
Thompson, 1969). In questo livello assistenziale, i pazienti possono ricevere una
alfabetizzazione sanitaria (health literacy)1 grazie alla quale possono acquisire
consapevolezza del proprio stato di salute e comprendere quali sono i percorsi
terapeutici per loro indicati (Kickbusch, 2001; Nutbeam, 2008).
c. Minimal care: questo livello si suddivide a sua volta in self-care, unità di tipo alberghiero dove sono ricoverati i pazienti in grado di svolgere le attività quotidiane senza l’ausilio del personale infermieristico ai quali viene fornito quello di cui
hanno bisogno per portare avanti il proprio percorso terapeutico; long-term care,
unità di lungodegenza in cui i pazienti ricevono il supporto di operatori ausiliari
che sono coordinati dal personale infermieristico (Weeks e Griffith, 1964).
d. Organized home care: livello assistenziale che si può definire “trasversale” in
quanto travalica i confini della struttura ospedaliera poiché comprende l’assistenza territoriale sociosanitaria e non interessa solo i malati ma l’intera comunità;
infatti, quest’ultima, da un lato, è destinataria di campagne di prevenzione e
promozione della salute, dall’altro, ha un importante ruolo attivo nel sostegno dei
convalescenti (Van Dyke e Brown, 1972).
Il successo ottenuto dal Progressive Patient Care negli Stati Uniti si è tradotto in una
larga diffusione di questo modello incentrato sulla concezione patient focused o care
focused; talvolta, per adattarlo alle esigenze della singola struttura, è stato integrato
con ulteriori livelli assistenziali, come Progressive Care Unit, High Dependency Unit,
Subacute Care o Transitional Care e Continuative Care Unit. La Progressive Care
Unit è un’unità dedicata alla somministrazione di cure a pazienti già stabili (in “step
down” da cure critiche o in “step up” da reparti generali medico-chirurgici) per i quali
è richiesto un monitoraggio elettrocardiografico e respiratorio attraverso interventi
correlati e che necessitano di particolari dispositivi medici (come, ad esempio, pacemaker), cateteri arteriosi e sistemi di supporto ventilatorio non invasivo (Fitzpatrick,
2004). Tale unità è occupata anche da pazienti che devono seguire un programma
accurato di alfabetizzazione sanitaria in vista dell’assistenza domiciliare o di un aumento dell’intensità delle cure. Passando alla High Dependency Unit, essa si può definire come un’unità appartenente all’ambito delle cure intermedie in cui sono trattati
i pazienti che necessitano di un continuo monitoraggio, ma non della ventilazione
meccanica; qui, il grado di dipendenza del paziente dal personale infermieristico è
comunque alto. C’è poi la Subacute o Transitional Care che consiste in un livello di
assistenza post-acuzie/riabilitativo dedicato ai pazienti che escono da un ricovero
1. L’health literacy, che in italiano trova il suo corrispettivo nei termini “competenze per
la salute” o “alfabetizzazione alla salute”, implica il raggiungimento di un livello di
conoscenze, di capacità individuali e di fiducia in sé stessi tali da spingere gli individui
ad agire per migliorare la propria salute e quella della collettività, modificando lo stile
e le condizioni di vita personali. Pertanto, health literacy non significa solo essere in
grado di leggere opuscoli e prendere appuntamenti, ma è un’importante strategia di
empowerment che può migliorare la capacità degli individui di accedere alle informazioni e di utilizzarle in modo efficace. Nel caso dei pazienti cronici o terminali è utile
per accettare la propria difficile condizione (WHO Health Promotion Glossary, 1999).
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ospedaliero; qui è previsto un supporto per le attività quotidiane per la durata di due
o tre mesi circa. Infine, la Continuative Care Unit, unità in cui il paziente trascorre più
di un mese per poter essere sottoposto a lunghi trattamenti o riabilitazioni (Exton-Smith, 1962; Weeks e Griffith, 1964).
BOX 1 - IL CASO DI DELL CHILDREN’S MEDICAL CENTER
Il Dell Children’s Medical Center (Austin, Texas)* costituisce solo un esempio di
realtà ospedaliera in cui è adottato il modello di Progressive Patient Care. In questa struttura pediatrica le cure sono concepite adottando un approccio sia family
centered che family oriented. Di particolare rilievo è il Level I Trauma Center, unità
assistenziale che offre cure di altissima qualità ai bambini (e ai loro familiari) che
hanno subito un trauma. In questo centro ogni paziente viene seguito da un team
multidisciplinare, di cui fanno parte specialisti in medicina di emergenza e urgenza, chirurgia traumatologica, ortopedia, neurologia, chirurgia plastica, anestesiologia, pediatria, nonché, infermieri, terapisti di riabilitazione, assistenti sociali.
Altra caratteristica importante del Dell Children’s Medical è che dall’accettazione
alla riabilitazione, il percorso dei pazienti non subisce alcuna interruzione poiché
le prestazioni vengono erogate in maniera coordinata e continua, garantendo un
percorso di cura centrato sul paziente.
*
Per un approfondimento su questo caso specifico si rimanda al sito:
http://www.dellchildrens.net/
Negli U.S.A., oltre al Progressive Patient Care, come premesso, esiste un secondo
modello che presenta una struttura fortemente focalizzata sul paziente ma destinata ai
pazienti cronici: il Chronic Care Model. Ideato nel 2001 presso il McColl Institute for
Healthcare Innovation, questo modello è volto a migliorare la condizione dei pazienti
affetti da patologie croniche, infatti, è progettato per aiutare a migliorare le pratiche
di cura e lo stato di salute dei pazienti cronici cambiando la routine del percorso di
cura. L’obiettivo è quello di trasformare la quotidianità dei pazienti con malattie croniche e portarla a essere da reattiva a pro-attiva, pianificata, e basata sulla comunità
(Coleman et al, 2009). Per raggiungere questi obiettivi è stata progettata una combinazione di sei elementi cardine, schematizzati dal MacColl Institute for Healthcare
Innovation come evidenziato nella figura 1 (Gorden e DuMoulin, 2004), descritti qui
di seguito:
1. risorse del territorio e politiche locali (community: resources and policy): il miglioramento dell’assistenza ai pazienti è possibile instaurando una sinergia tra le
strutture assistenziali e le altre strutture attive sul territorio (sociali, di volontariato,
no profit, etc.) per predisporre programmi di supporto per la cronicità e per l’attivazione di tutte le forme di collaborazione possibile, promuovendo la cooperazione tra associazioni di pazienti, centri per malati e anziani, cooperative sociali;
2. organizzazione dell’assistenza sanitaria (Health System – organization of health
care): è prevista una riorganizzazione dell’intero sistema sanitario per far sì che
si attivi il motore per il miglioramento della qualità delle cure e della sicurezza
dei pazienti cronici; l’assistenza sanitaria a questo tipo di pazienti deve cambiare radicalmente a tutti i livelli organizzativi per facilitare la comunicazione tra le
professionalità coinvolte e lo scambio di dati e informazioni rilevanti sui pazienti
cronici nel loro passaggio da un ambiente assistenziale all’altro;
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L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
3. promozione del self-management: i pazienti cronici dovrebbero essere nelle condizioni di diventare consapevoli e coscienti della propria malattia e del loro percorso di cura, al fine di acquisire un ruolo sempre più centrale nella gestione della
patologia imparando ad organizzare le cure e il proprio stile di vita in autonomia
(assunzione di farmaci, uso di dispositivi, monitoraggio, dieta, attività fisica, etc.)
e in collaborazione con i servizi assistenziali;
4. promozione ed erogazione delle cure (Delivery System Design): l’approccio pro-attivo (prevenzione, invecchiamento in salute, stile di vita sano, etc.) dovrebbe sostituire il semplice approccio reattivo (ricovero e cure al presentarsi della malattia);
il follow-up dei pazienti cronici è essenziale e dovrebbe essere una procedura
standard così come l’alfabetizzazione sanitaria di questo tipo di pazienti;
5. decisioni sulla base di evidenze scientifiche (Decision Support): i protocolli e i
piani terapeutici dei pazienti dovrebbero essere uniformati adottando linee guida
basate sulle migliori evidenze scientifiche disponibili (evidence-based medicine); i
pazienti dovrebbero essere messi al corrente su quali sono le ragioni che portano
a determinate decisioni e i professionisti sanitari dovrebbero ricevere un aggiornamento costante per rimanere al passo con la ricerca scientifica e l’innovazione
tecnologica;
6. sistema informativo per dati clinici (Clinical Information System): un sistema informativo per facilitare la condivisione e l’accesso a dati clinici, dati amministrativi,
linee guida, registri di patologia, sistemi di allerta per eventi sentinella per i pazienti e i medici, al fine di monitorare e migliorare la pratica clinica sia a livello
individuale sia di popolazione per ogni determinata patologia.
Figura 1 – MacColl Institute for Healthcare Innovation, Chronic Care Model
Community
Resources and Policies
Self-management
Support
Informed,
Activated
Patient
Health System
Organization of Health Care
Decision Delivery Clinical
Support System Information
Design
System
Productive
Interaction
Prepared,
Proactive
Practice Team
Functional and Clinical Outcomes
Fonte: Gorden e DuMoulin, 2004 e MacColl Institute for Healthcare Innovation web site
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Il Chronic Care Model ha portato a declinazioni e sviluppi come, ad esempio, il modello Kaiser Triangle, sviluppato dal Kaiser Permanente2, nel quale sono individuati
tre livelli di cura delle malattie croniche (come riportato nella figura 2). Nel primo livello sono compresi i pazienti affetti da malattie croniche con basso rischio di complicanze e con un grado di autosufficienza elevato. Questo livello, in cui ricade all’incirca
il 70-80% dei pazienti, corrisponde alle unità di minimal care e intermediate care del
Progressive Patient Care. Il secondo livello comprende i pazienti affetti da patologie
croniche con rischio elevato di complicanze e richiede l’attività di un team multidisciplinare responsabile del disease management. Il terzo livello, infine, comprende i
pazienti maggiormente esposti ad altissimo rischio di complicanze ed è associato ad
un’elevata intensità di cura con la presa in carico da parte del case-manager.
Figura 2 – Kaiser Permanente, Kaiser Triangle Model
Case
Highly complex patients
manage
Disease
management
Supported self care
Hig-risk patients
70-80% of people
with chronic conditions
Population-wide
prevention
Fonte: National Health System e University of Birmingham
L’ESPERIENZA DEL REGNO UNITO: COMPREHENSIVE CRITICAL CARE
L’esperienza qui ha inizio nel 1999, circa quarant’anni dopo quella statunitense,
quando il Dipartimento della Salute effettua un’analisi dei servizi sanitari invitando
un gruppo di esperti a definire un framework per la ri-organizzazione dei servizi di
critical care. Il nuovo approccio organizzativo proposto da un gruppo di esperti è
anch’esso focalizzato sul livello di gravità del paziente e prende il nome di Comprehensive Critical Care. Questo approccio, adottato dal National Health System
(NHS) su tutto il territorio, dovrebbe essere caratterizzato da un’organizzazione dei
servizi sanitari volta a garantire: l’integrazione (Integration), ossia un approccio omnicomprensivo all’interno dell’ospedale, all’insegna del superamento della suddivisione
logistica tra unità di cura intensiva e unità di cura con forte dipendenza dal sistema
infermieristico (high dependency), puntando all’ottimizzazione di tutte le risorse a
disposizione (inclusi i posti letto); il network tra strutture ospedaliere per far sì che il
modello, una volta adotatto, sia diffuso su tutto il territorio nazionale e non solo da
2. Kaiser Permanente è un consorzio di cura integrata con sede a Oakland, California,
U.S.A., fondato nel 1945 dall'industriale Henry J. Kaiser e il medico Sidney Garfield;
è composto da tre gruppi distinti e interdipendenti di enti: il Piano Sanitario Kaiser
Foundation e le sue controllate regionali; Ospedali Kaiser Foundation e il Permanente
Medical Groups. A partire dal 2014, Kaiser Permanente opera in otto stati ed è la più
grande organizzazione di questo tipo negli Stati Uniti. I registri e gli esiti di Kaiser Permanente vengono pubblicati dalla rivista Permanente Journal (Paxton, Inacio, e Kiley,
2012).
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L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
alcune strutture, per arrivare a standard e protocolli condivisi per i pazienti più critici,
mettendo a fattor comune le eccellenze di tutte le specialità; lo sviluppo di una forza
lavoro (workforce development) tramite training e accrescimento di competenze specializzate, sia in ambito medico sia in ambito infermieristico, che possa bilanciare il
paniere delle competenze in modo che sia possibile delegare a specifiche professionalità i compiti meno critici che richiedono meno specializzazione; una cultura della
misurazione e della verifica degli esiti tramite un adeguato sistema informativo e di
auditing comparativo (Departement of Health, 2000).
Il rilievo assunto dal Comprehensive Critical Care nel Regno Unito è testimoniato dai
numerosi studi e dalle pubblicazioni su questo modello organizzativo. In particolare, nel 2002, la Intensive Care Society, insieme a rappresentanti della Independent
Healthcare Association (IHA), ha definito le linee guida da seguire per l’implementazione del modello3. Successivamente, nel 2005, il Critical Care Stakeholder Forum
ha pubblicato il documento “Quality Critical Care – Beyond Comprehensive Critical
Care” nel quale è stata ribadita l’importanza dei critical care networks per il rapido
trasferimento dei pazienti tra i vari livelli e per una tempestiva identificazione del livello di assistenza necessario e di come questo evolve durante la degenza del paziente.
Il modello Comprehensive Critical Care è strutturato in quattro livelli di assistenza in
base all’intensità di cura, identificati come segue:
• Livello 0: unità con livello di cura medio (normal acute ward care);
• Livello 1: unità con livello di cura intenso (acute ward care) in cui sono importanti
i pareri di esperti specializzati e il supporto addizionale da parte di un team specializzato; in questo livello assistenziale sono collocati, ad esempio, i pazienti a
rischio di peggioramento, o che si stanno rimettendo dopo essere stati sottoposti
a cure intensive;
• Livello 2: unità in cui è richiesta una più dettagliata ed attenta attività di osservazione e di intervento (intensive care); ad esempio in questa unità sono collocati
quei pazienti con problemi ad un singolo sistema di organi (apparato respiratorio, nervoso, circolatorio, etc.), o che si trovano in fase post-operatoria, o pazienti
che stanno per essere dimessi da più alti livelli di cura;
• Livello 3: unità in cui, oltre a team specializzati, ci sono strumenti di supporto respiratorio avanzati o di base, insieme al supporto di almeno due sistemi di organi
(high intensive care).
Da quando questo modello è stato teorizzato, molti ospedali hanno implementato il
processo di riorganizzazione, portando avanti il follow-up per i pazienti dimessi dalla
terapia intensiva, utilizzando sistemi di allarme precoce a punteggio per migliorare
l'identificazione dei pazienti in peggioramento di malattie gravi. Tuttavia, sembra
che vi sia scarsa evidenza che questo tipo di riorganizzazione sia utile in termini di
miglioramento delle condizioni cliniche del paziente come, ad esempio, la riduzione
di arresti cardiaci nei reparti, la riduzione dei ricoveri non programmati per terapia
intensiva o i rinvii alla terapia intensiva (Robson, 2002). Esiste quindi la necessità
concreta di dimostrare l’impatto di questo genere di riorganizzazione.
3. Guidance on Comprehensive Critical Care for adults in Independent Sector Acute Hospitals, 2002
12
BOX 2 - IL CASO DI BLISS*
Bliss è un’organizzazione benefica che opera in tutto il Regno Unito con l’obiettivo di garantire le migliori cure possibili a tutti i bambini nati prematuri e malati,
nonché alle loro famiglie. Il legame tra Bliss e il modello Comprehensive Critical
Care risiede nell’organizzazione delle strutture di Bliss, le quali si articolano in
quattro livelli di cura; in base ai bisogni, infatti, i neonati sono assegnati al livello
di cura ritenuto maggiormente appropriato. I livelli sono i seguenti:
• Level 1 - Special Care Baby Unit (SCBU): unità dedicata ai pazienti neonatali
che necessitano di un continuo monitoraggio della frequenza respiratoria o del
battito cardiaco; questo è il livello di assistenza in cui vengono effettuati interventi come fototerapia per la cura dell’itterizia e somministrazione di ossigeno
aggiuntivo;
• Level 2 - Local Neonatal Unit (LNU): unità dedicata ai pazienti neonatali che
devono essere sottoposti a una terapia intensiva di breve termine, necessitano
di ventilazione meccanica, soffrono di apnee o sono nutriti con il sondino nasogastrico;
• Level 3 - Neonatal Intensive Care Unit (NICU): unità dedicata ai bambini che
hanno bisogno di supporto respiratorio (ventilazione), che pesano meno di
1.000 g, che sono nati dopo una gestazione inferiore alle 28 settimane, che
hanno importanti problemi di respirazione o richiedono intervento chirurgico;
• Level 4 - Transitional Care (NICU): unità dedicata ai bambini che hanno ancora
bisogno di cura ma che sono quasi pronti per essere dimessi. È importante notare che a questo punto la mamma diventa la principale persona che si prende
cura del bimbo, con il supporto dello staff infermieristico o di altro staff dell’unità.
*
Per un approfondimento su questo caso specifico si rimanda al sito:
http://www.bliss.org.uk/
4. L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA IN ITALIA
In Italia, a differenza di quanto visto per Stati Uniti e Regno Unito, non esiste una
tradizione consolidata di processi e modelli in tema di organizzazione per intensità
di cura. Infatti, è solo nell’ultimo decennio che nel nostro Paese sono stati introdotti
processi di riorganizzazione di questo tipo. Recuperare il “ritardo” nell’adozione di
schemi organizzativi IDC potrebbe essere una delle possibili strade percorribili per
affrontare il difficile momento storico che sta attraversando il Servizio Sanitario Nazionale, caratterizzato al tempo stesso da tagli lineari, “spending review” in forma
assai discutibile, cronicizzazione delle patologie, invecchiamento della popolazione,
difficoltà a portare avanti ricerca e innovazione clinica e tecnologica. Tuttavia, i pareri sull’adozione di questo modello, come spesso accade per le novità, non sono
affatto unanimi. Se da un lato c’è chi vede nell’organizzazione per intensità di cura
“un’opportunità per l'Italia di operare nella direzione di un'assistenza che si basi sul
concetto di continuità di cure” (Guarinoni et al., 2013), dall’altro lato non mancano
le perplessità (Nardi et al., 2012) e le rimostranze che sono sfociate, talvolta, in pole-
13
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
miche in occasione di alcuni casi di cronaca4 in cui sono stati evidenziati i rischi che
il trasferimento dei pazienti comporta, con il conseguente passaggio di consegne e
cambio di setting assistenziale.
L’assenza di un modello tradizionale ancorato sui processi organizzativi per intensità
di cura però non significa necessariamente mancanza totale di esperienze nell’organizzazione per intensità di cura. Da qualche anno, infatti, alcune regioni si sono
mosse in questa direzione. Un esempio è quello della Regione Toscana che con la
Legge Regionale n. 40 del 24 febbraio 2005, ha fatto espressamente cenno a una
“strutturazione delle attività ospedaliere in aree differenziate secondo le modalità
assistenziali, l’intensità delle cure, la durata della degenza ed il regime di ricovero,
superando gradualmente l’articolazione per reparti differenziati secondo la disciplina
specialistica” (art. 68, comma 2). Le disposizioni contenute in questo atto normativo
sono tese a incoraggiare le strutture ospedaliere ad avviare delle sperimentazioni
finalizzate a promuovere una riorganizzazione per intensità di cura.
La riorganizzazione per intensità di cura è entrata poi nei piani sanitari regionali di
Piemonte (piano socio-sanitario regionale 2012-2015, allegato A); Emilia Romagna
(la sperimentazione è stata avviata nel 2012 e riguarda nove Aziende sanitarie della
regione che hanno risposto a un bando del Fondo per la modernizzazione, uno dei
quattro programmi di ricerca e innovazione del Servizio sanitario regionale promosso
dall’Agenzia sanitaria e sociale regionale); e Lombardia (Piano socio sanitario regionale 2010 – 2014, allegato A). Esistono anche programmazioni specifiche come, ad
esempio, il Programma Stroke Care in Emilia Romagna che ha l’obiettivo di garantire
un’assistenza integrata di pazienti con ictus dalla fase pre-ospedaliera a quella successiva al ricovero (Bartoli, Ferro e De Palma, 2012).
In Italia, dunque, siamo di fronte a un fenomeno piuttosto recente e, per questo, non
esiste ancora un vero e proprio “modello italiano”. In linea di massima, nelle esperienze attualmente esistenti, sono previsti generalmente tre livelli5 di cura in cui i pazienti
sono allocati in modo omogeneo in base al loro fabbisogno assistenziale, al tempo
necessario per le cure e, dunque, all’intensità di cura richiesta (Alesani et al., 2006;
Sebastiano e Croce, 2007). Le tre aree sono organizzate generalmente come segue:
• livello 1 – alta complessità assistenziale: è un livello ad intensità di cura alta in cui
rientrano la terapia intensiva e la terapia subintensiva; al paziente in pericolo di
vita o giunto in condizioni critiche in ospedale, viene data la massima attenzione
per evitare l’insorgere di complicanze o insufficienze acute;
• livello 2 – media complessità assistenziale: è un livello di cura, organizzato in aree
funzionali, che comprende il ricovero ordinario e il ricovero a ciclo breve; presuppone la permanenza del paziente almeno una notte in ospedale (week surgery,
4. Ne è stato esempio il caso di cronaca di una donna ricoverata nell’ospedale Torregalli
di Firenze, organizzato per intensità di cura, il cui decesso è stato correlato, tra le altre
cause, al tempo intercorso (troppo lungo) prima della presa in carico da parte del personale sanitario (per approfondimenti si rimanda al sito: http://www.asf.toscana.it/
index.php?option=com_content&view=article&id=2255%3Apaziente-deceduta-a-torregalli-seguite-le-procedure-standard&catid=182%3Acomunicati-stampa&Itemid=83).
5. In alcuni casi, anche nel nostro contesto nazionale, i livelli non sono tre ma quattro
(come, ad esempio, nel caso dell’ospedale Niguarda di Milano, in cui sono previsti: il
livello 0 – bassa intensità; livello 1 – media intensità; livello 2 – alta intensità; e livello
3 – terapia intensiva o sub-intensiva) oppure due (come nel caso dell’Azienda ospedaliera Ospedali riuniti di Bergamo, in cui sono previsti solamente i livelli di: alta intensità
e medio-bassa intensità).
14
one-day surgery); al paziente viene assicurata la stabilizzazione dello stato fisico e
la sorveglianza delle funzioni vitali ma senza un’osservazione continuativa;
• livello 3
– bassa complessità assistenziale: è il livello dedicato alla cura delle
post-acuzie; l’intensità di cura è bassa ed è assimilabile al subacute care (sebbene non sia il corrispettivo preciso); al paziente viene assicurata un’assistenza
senza sorveglianza specifica, nella fase conclusiva del percorso verso i servizi
territoriali (come l’assistenza domiciliare).
In questo quadro, come si colloca l’Italia rispetto alle principali esperienze internazionali? Il confronto con le esperienze di altri paesi porta a una considerazione piuttosto
immediata sullo schema organizzativo italiano che, come afferma Guarinoni, “può
essere considerato come una contestualizzazione del Progressive Patient Care [...] sia
dal punto di vista delle finalità che il modello si pone, sia per la tipologia di livelli assistenziali” (Guarinoni, 2012). In particolare il parallelismo con il modello statunitense
(illustrato nella tabella 2) è chiaro soprattutto per il livello 1 e il livello 2, i quali sono
del tutto simili rispettivamente alla intensive care e alla intermediate care. Resta più
difficile, invece, trovare una perfetta corrispondenza del livello 3 italiano nel Progressive Patient Care, visto che, negli Stati Uniti, la cura delle post-acuzie e la riabilitazione toccano trasversalmente più livelli assistenziali del modello base, ossia il minimal
care, che si articola in self-care, long term care, organized home care, subacute care
quando previsto. Inoltre, nello schema italiano, non compaiono i livelli assistenziali
di transizione che, nel modello statunitense, rivestono invece un ruolo importante nel
garantire la continuità assistenziale tra ospedale e territorio (transitional care), anche
se questa funzione dovrebbe essere in qualche modo ricoperta dal livello di bassa
complessità assistenziale.
Tabella 2 – Confronto tra modello italiano e Progressive Patient Care
Modello italiano
Progressive Patient Care
Livello 1 – Intensità di cura alta
Intensive care
Livello 2 – Intensità di cura media
Intermediate care
Livello 3 – Intensità di cura bassa
Subacute care
Self-care
Long term care
Organized home care
Fonte: elaborazione Centro studi Assobiomedica
Il confronto con il Regno Unito, ovvero con il modello Comprehensive Critical Care,
invece, non è immediato perché i quattro livelli di quest’ultimo sono strutturati con una
logica diversa che differenzia l’intensità alta in due livelli -- il terzo (intensive care) e il
quarto (high intensive care) -- e lascia ai primi livelli -- il secondo (acute ward care) e
il primo (normal acute ward care) -- l’intensità di cura media e bassa.
Il “modello” italiano ad oggi si può rintracciare nelle riorganizzazioni di alcuni ospedali che vengono descritte in specifici articoli o report che ne delineano l’applicazione concreta. Ad esempio, per citarne solo alcuni, l’Azienda USL 2 di Lucca in
Toscana6, seguita da altri esempi in Toscana (De Pietro, Benvenuti e Sartirana, 2011);
6. Per approfondimenti si veda il sito: http://www.usl2.toscana.it
15
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
l'azienda ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino (Bonfanti et. al,
2012); l’ospedale S. Gerardo di Monza (Croce, 2007); l'Azienda Ospedaliera di
Vimercate (Moroni et. al, 2011); l’Ospedale Civile di Legnano (Zoppini, Lombardo
e Cordone, 2010); l’Ente Ospedaliero Ospedali Galliera di Genova (Nicosia, Tramalloni, e Lagostena, 2008); l’Azienda USL 3 dell’Umbria (Orlandi, Duca e Pioppo,
2006). Nonostante sia reperibile una documentazione riguardo ad alcune singole
realtà ospedaliere, ad oggi, non sono disponibili dati empirici utili a capire come e
quanto il modello di organizzazione per intensità di cura si sia diffuso in Italia. Gli
obiettivi conoscitivi della ricerca descritta in questo documento (cfr. seconda e terza
parte) nascono proprio per colmare questa lacuna e per raccogliere evidenza empirica utile ad avere una descrizione puntuale del fenomeno a livello nazionale.
5. LE CARATTERISTICHE DELL’INTENSITÀ DI CURA
Alla luce dell’excursus sull’organizzazione per intensità di cura nel contesto internazionale e nazionale, è possibile ora tracciare le principali caratteristiche che sono
alla base di processi di riorganizzazione di questo tipo. In particolare, è possibile
sintetizzare i tratti fondamentali in tre caratteristiche principali:
1. la centralità del paziente e del suo bisogno di cure distinto per livello di intensità
(rispetto al più tradizionale criterio basato unicamente sulla patologia principale
riscontrata);
2. la riorganizzazione del personale all’interno dell’ospedale;
3. i processi e lo scambio di dati durante i diversi passaggi del percorso di cura dei
pazienti (il patient-flow).
Per ognuna di queste caratteristiche è possibile delineare i punti di forza e i punti di
debolezza correlati all’adozione del modello di organizzazione per intensità di cura
(riassunti nella tabella 3).
I PUNTI DI FORZA
Il principale punto di forza della prima delle caratteristiche sopra delineate è la centralità del paziente e delle sue condizioni cliniche, che è anche il cardine attorno al
quale si sviluppa l’intero modello dell’organizzazione per intensità di cura. Grazie a
questo cambio di prospettiva, con il paziente al centro, si definisce una organizzazione in cui è possibile dedicare la giusta attenzione all’intero processo di cura del
paziente; dall’ingresso, alla dimissione, al percorso di cura a domicilio, per raggiungere l’obiettivo della continuità del flusso di erogazione delle cure (Van Walraven et
al., 2010). Questo tipo di percorso dovrebbe rendere possibile una riduzione delle
inefficienze durante la prestazione del servizio al paziente. Si tratta di una vera rivoluzione di approccio affinché tutto ruoti attorno alla soddisfazione delle esigenze
di ogni singolo paziente. In quest’ottica, è possibile dare risposta sia all’esigenza di
incremento della complessità clinica di pazienti con elevati gradi di instabilità, sia
alle esigenze assistenziali dovute alla significativa presenza di pazienti anziani con
comorbilità (Sebastiano e Croce, 2007).
Il punto di forza principale della seconda caratteristica tra quelle elencate, è sicuramente l’approccio multidisciplinare e multiprofessionale, con un impiego di competenze trasversali. Questo approccio permetterebbe lo sviluppo di una rete tra professionisti in cui le responsabilità clinico-assistenziali-gestionali sono differenziate e
organizzate sia in ambito medico che infermieristico. Affinché questo tipo di gestione
16
funzioni è necessario introdurre nuove figure professionali come l’infermiere tutor, il
quale dovrebbe garantire l’assistenza personalizzata al paziente affidatogli e divenire così responsabile del risultato del progetto assistenziale, e il medico tutor, che
prendendo in carico il paziente entro le prime 24 ore dopo il piano clinico diventa
responsabile del suo percorso (Sebastiano e Croce, 2007). In questo modo aumenta
anche l’importanza del ruolo dell’infermiere che, conoscendo i singoli casi in modo
più approfondito, diventa il “custode” dei dati e delle informazioni che riguardano
il paziente e che sono necessari all’assegnazione di ogni paziente al livello di assistenza più appropriato. Queste nuove figure sono anche quelle che dovrebbero fare
da filtro occupandosi della corretta gestione del paziente all’interno della struttura
ospedaliera evitando così ingressi impropri o passaggi inadeguati.
Infine, esistono dei vantaggi anche nell’introduzione del cosiddetto patient-flow -- processo che consente l’identificazione, la discussione e la formalizzazione tra professionisti di un insieme di criteri clinici di passaggio, accesso e di esclusione per i diversi
livelli di cura -- così come del PDTRA (Percorso Diagnostico-Terapeutico Riabilitativo
Assistenziale), che consente il coordinamento e l’integrazione delle competenze professionali e l’uniformità dei processi di cura in base alle migliori evidenze cliniche.
Infatti, simili processi posso contribuire a fornire un certo grado di standardizzazione
del percorso assistenziale dei pazienti e un orientamento verso il miglioramento continuo, coerentemente con la filosofia manageriale e gestionale del Lean Thinking. Adottare processi di questo tipo porterebbe a ottimizzare tutte le risorse all’interno della
struttura ospedaliera, porterebbe ad un uso ottimale dei posti letto e al miglioramento
della logistica, grazie anche all’elevato grado di flessibilità.
I PUNTI DI DEBOLEZZA
La letteratura sull’organizzazione per intensità di cura mette in luce non solo i punti di
forza ma anche alcune debolezze di questo schema organizzativo e della sua applicazione. Uno dei principali punti di debolezza si trova nella relazione tra la complessità assistenziale e la severità clinica del paziente. Infatti, può essere problematico
distinguere le aree a medio-bassa intensità da quelle a intensità medio-alta (Nardi
et al., 2012; Chesi e Nardi, 2013). Inoltre, in un simile sistema, possono emergere
difficoltà nel garantire trasferimenti tempestivi dei pazienti da un’area all’altra in caso
di aggravamento delle condizioni del paziente. Ma le difficoltà nell’implementazione
di questo tipo di organizzazione sono anche dei pazienti: la possibile resistenza al
cambiamento e la difficoltà a comprendere il funzionamento del nuovo assetto organizzativo, potrebbero compromettere il valore cardine dell’IDC.
Un altro punto di debolezza è sicuramente il rischio di possibili conflitti o sovrapposizioni tra le diverse figure professionali coinvolte nella gestione dei pazienti. Infatti, la
necessità di un approccio al lavoro in team nell’IDC, un approccio che ribalta la classica gestione monospecialistica del paziente (gestione “verticale”) in favore di una
gestione multiprofessionale e plurispecialistica (gestione “orizzontale”), può portare
a difficoltà nel determinare le singole responsabilità. Le diverse figure professionali
tra quelle coinvolte possono intravedere nell’applicazione dell’IDC una perdita di
importanza del proprio ruolo, questo perché viene a mancare il controllo del reparto
da parte della singola specialità; conseguentemente può manifestarsi una resistenza
al cambiamento e al riequilibrio dei poteri e delle funzioni gestionali e clinico-assistenziali (Nardi et al., 2012). Infine, non va dimenticato che le nuove figure professionali
del medico tutor e dell’infermiere tutor richiedono un forte investimento in formazione
e valutazione (Cavada et al., 2012), infatti, dal punto di vista manageriale l’adozione
17
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
dell’IDC comporta una ridefinizione dei sistemi di pianificazione e misurazione delle
performance, non sono dei singoli professionisti ma più in generale una valutazione
complessiva degli esiti e un attività di reporting diversa da quella tradizionale.
Per quanto riguarda i nuovi processi, invece, il principale punto di debolezza consiste
nella tendenza a vedere i nuovi percorsi di cura come un rovesciamento di sistematizzazioni già esistenti e già consolidate. Questo porterebbe a uno spreco di risorse per
rivoluzionare dei processi che attualmente sono in funzione nelle strutture ospedaliere
per modificare solo il loro nome e la loro gestione, tuttavia, senza modificarne realmente l’esito. Inoltre, il PDTRA non funziona se non si tiene debitamente conto della
reale compatibilità con tutte le strutture esistenti sul territorio e della compatibilità con
le tecnologie effettivamente disponibili (Nardi et al., 2012).
Tabella 3 – Sintesi delle caratteristiche, punti di forza e punti di debolezza dell’IDC
Caratteristiche
Punti di forza
Punti di debolezza
Centralità del paziente e del
suo bisogno di cure
Adeguatezza delle cure ai bisogni
del paziente con assistenza di elevata
qualità
Richiede tempestività nel processo di
transito da una unità all’altra appena il
bisogno evolve
Maggiore supporto al paziente nel
passaggio dall’ospedale alla cura
domiciliare
Richiede personale specializzato e
risorse ad hoc
Approccio multidisciplinare che porta a
una visione olistica del paziente
Perdita del controllo del reparto da
parte della singola specialità con
conseguente assegnazione poco chiara
delle responsabilità
Gestione ottimale delle competenze e
delle professionalità
Depotenziamento delle risorse delle
singole Unità Operative
Uniformità dei processi di cura in base
alle migliori evidenze cliniche
Difficoltà di implementazione in base
alla compatibilità con le risorse disponibili all’interno della struttura ospedaliera e sul territorio
Riorganizzazione del personale all’interno dell’ospedale
Processi e scambio di dati
durante i diversi passaggi del
percorso di cura dei pazienti
(il patient-flow)
Fonte: elaborazione Centro studi Assobiomedica
6. SINTESI
In questa prima parte del lavoro, anzitutto, è stato introdotto il concetto di ospedale
per intensità di cura e sono state delineate le caratteristiche principali del modello.
Per prima cosa, è emerso che l’organizzazione per IDC è uno schema organizzativo
afferente al filone della “gestione snella” (lean thinking) che ha come obiettivo l’utilizzo più efficiente delle risorse. Si è visto poi che la “centralità del paziente” comporta
un superamento dell’organizzazione tradizionale dato che va a condizionare tutte le
dimensioni dell’ospedale: dalla sua strutturazione; all’organizzazione del personale
(cambiamento nelle gerarchie e lavoro in team); fino alla gestione dei pazienti, i quali
non sono più considerati in base alla patologia bensì al livello di cura che necessitano
(alto, medio, basso).
Dalla rassegna delle principali esperienze internazionali è emerso che negli Stati
Uniti e nel Regno Unito l’organizzazione per intensità di cura non è assolutamente
una novità ma, al contrario, uno schema organizzativo ampiamente utilizzato sia
in ambito pubblico che in ambito privato. In questi Paesi le esperienze riconducibili
all’organizzazione per intensità di cura sono varie e talvolta adattate al particola-
18
re contesto in cui vengono applicate, ma restano sempre fedeli ai principi cardine
dell’orientamento patient focused. Nel contesto italiano, invece, è stato rilevato che a
differenza di Stati Uniti e Regno Unito, non è possibile parlare di tradizione in tema di
organizzazione per intensità di cura. Dato il fermento sul tema degli ultimi 15-20 anni
non mancano, però, ospedali che hanno seguito – e seguono – questo modello; ciò è
potuto accadere anche grazie alla spinta data sul piano normativo da alcune regioni
che hanno indirizzato le strutture ospedaliere del loro territorio ad organizzarsi in tal
senso. Il confronto tra le esperienze italiane e quelle internazionali ha fatto emergere,
poi, una certa similitudine tra il modello italiano e quello statunitense, sebbene non
sia possibile individuare una precisa corrispondenza tra i due schemi organizzativi.
In chiusura si è cercato di mettere in evidenza i punti di forza e i punti debolezza
dell’organizzazione per intensità di cura. Si è partiti definendo i tre elementi chiave
del modello e, per ciascuno di essi, sono stati considerati i vantaggi e gli svantaggi
che possono apportare. La centralità del paziente è risultata un vantaggio per il miglioramento nella qualità delle cure che esso riceve, ma porta con sé anche alcune
criticità legate alla definizione del livello di cura necessario; i cambiamenti nell’organizzazione del personale sono parsi un fattore assolutamente positivo per quanto
riguarda la possibilità di un approccio multidisciplinare, ma possono anche essere
fattore di frizione tra le varie professionalità dell’ospedale e causare una non chiara
assegnazione delle responsabilità sul paziente; il patient flow, infine, si è rivelato un
fattore positivo per quando riguarda l’opportunità di uniformare i processi di cura in
base alle evidenze cliniche, ma la sua implementazione in tutte le strutture è parsa
piuttosto difficile.
19
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
DISEGNO DELLA RICERCA
1. PREMESSA
Sulla base delle premesse teoriche delineate nella prima parte, in questa seconda parte, si descriverà il disegno della ricerca del presente lavoro. Si tracceranno l’oggetto
di studio e le finalità conoscitive dell’indagine, nonché le scelte metodologiche e gli
strumenti d’analisi utilizzati. Il disegno della ricerca adottato ha consentito, in modo
progressivo e puntuale, di ottenere una fotografia dello stato dell’arte e raccogliere
informazioni particolarmente significative sulle esperienze di organizzazione ospedaliera per intensità di cura condotte in Italia. In particolare, nel secondo paragrafo si
illustreranno gli obiettivi conoscitivi di ricerca individuati a partire dal quadro di riferimento teorico nell’ambito dell’intensità di cura in Italia. Nel terzo paragrafo ci si concentrerà sul percorso seguito per la definizione e la realizzazione della ricerca. Nel
quarto paragrafo verranno approfonditi i metodi utilizzati per condurre il censimento
delle strutture. Nel quinto paragrafo verranno descritte le caratteristiche del campione, mentre il sesto paragrafo è incentrato sullo strumento di rilevazione dei dati e sulla
tecnica di somministrazione impiegata per la raccolta dei dati. Il settimo paragrafo è
dedicato alla definizione delle dimensioni di analisi e l’ottavo è il paragrafo nel quale
è descritto il metodo utilizzato per l’analisi dei gruppi (cluster analysis). Infine, il nono
paragrafo è dedicato alle osservazioni conclusive.
2. OBIETTIVI CONOSCITIVI DELLA RICERCA
A partire dal quadro concettuale di riferimento, delineato nella prima parte del lavoro, sono stati definiti gli interrogativi di ricerca che hanno orientato l’indagine. A
seguito della riscontrata mancanza di dati sulle esperienze di ospedali organizzati
per intensità di cura, sono stati considerati importanti i seguenti quesiti:
• Quante e quali strutture hanno dichiarato di aver concluso, avviato, o di avere
in programma di avviare, un processo di riorganizzazione per intensità di cura?
• Tra
queste, quante e quali lo fanno realmente o hanno in programma di farlo
realmente?
• Esiste un unico modello di approccio gestionale o vengono adottate strategie di
intervento diverse a seconda delle singole realtà territoriali?
• Quali sono i processi realmente utilizzati nella riorganizzazione per intensità di
cura?
• È possibile raggruppare le esperienze italiane in gruppi omogenei (in relazione
alle tre dimensioni prese in esame)?
• Quali sono le caratteristiche dei diversi gruppi?
Tra gli obiettivi appare dunque prioritario quello di fornire una “fotografia” sullo stato
dell’arte e analizzare con più dettaglio le esperienze per intensità di cura delle strutture sanitarie che hanno avviato, concluso o hanno realmente intenzione di avviare una
tale riorganizzazione, al fine di definire se esiste un vero e proprio “modello italiano”.
20
3. FASI DELLA RICERCA E SCELTE METODOLOGICHE
Alla luce degli obiettivi conoscitivi sopraesposti è stato definito un disegno di ricerca per dare risposta a tutti gli interrogativi di ricerca. L’indagine è stata articolata
principalmente in 2 fasi che hanno permesso di fornire un contributo euristico alle
conoscenze sull’oggetto di studio: il censimento delle strutture organizzate per intensità di cura su tutto il territorio nazionale, utile per definire la nostra popolazione di
riferimento; e la raccolta di interviste. Nello specifico, la prima fase di censimento
delle strutture ospedaliere per intensità di cura – come si vedrà meglio successivamente – ha consentito una iniziale ricognizione delle strutture ospedaliere che hanno in
essere processi di riorganizzazione IDC su tutto il territorio nazionale. Questa prima
fase ha permesso di individuare la popolazione di riferimento per poter procedere
con le successive fasi della ricerca. Nella seconda fase, sono state contattate tutte le
strutture della popolazione di riferimento e solo a un sottoinsieme di queste è stata
somministrata un’intervista tramite un questionario strutturato (cfr. Appendice I). Gli intervistati sono stati i testimoni privilegiati (figure dirigenziali) 7 all’interno delle strutture
ospedaliere con l’obiettivo di arrivare, attraverso il loro potenziale informativo, a un
approfondimento della conoscenza dei processi in atto. Più precisamente, l’obiettivo
dell’intervista è stato quello di indagare quali sono gli elementi chiave dell’applicazione del modello per intensità di cura nelle strutture ospedaliere italiane analizzate e le
azioni finora svolte per promuovere tale percorso.
4. LA POPOLAZIONE DI RIFERIMENTO
Il censimento delle strutture che hanno dichiarato di aver concluso, avviato o di aver
intenzione di avviare un processo di riorganizzazione per intensità di cura è stato
condotto mediante una ricerca via web alla quale è seguita un’organizzazione delle
informazioni reperibili in una griglia di rilevazione contenente l’anagrafica delle strutture sanitarie mappate. La base dati di partenza è stata l’elenco di tutte le strutture
sanitarie pubbliche e private accreditate in Italia fornito dal Ministero della Salute,
suddivise in base al tipo:
• Azienda Ospedaliera;
• Azienda Ospedaliera Universitaria e Policlinico;
• Istituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico;
• Istituto qualificato presidio della U.S.L.;
• Ospedale a gestione diretta;
• Ospedale classificato o assimilato (ai sensi dell’art. 1, ultimo comma, Legge 132/68).
Questo elenco conta 576 strutture distribuite su tutto il territorio nazionale e suddivise
in questo modo8:
• 203 al Nord;
• 127 al Centro;
• 246 al Sud.
7. Come si vedrà più in dettaglio nel paragrafo 6, si tratta di figure dirigenziali che ricoprono sia incarichi di top management (direttore generale o sanitario), sia incarichi di
responsabilità di articolazione aziendale (ad es. dirigente medico).
8. La suddivisione utilizzata fa riferimento alle tre macro-regioni individuate dall’ISTAT,
classificate come segue: Nord (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto); Centro (Lazio, Marche,
Toscana, Umbria); Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia).
21
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
Il censimento delle strutture è stato effettuato mediante una ricerca via web compiuta
in forma diretta e indiretta sulla totalità delle strutture considerate (n=576). La ricerca
diretta è stata condotta tramite la visita del sito web di ogni singola struttura e, in
ogni sito, sono state consultate le seguenti sezioni: Home, Organizzazione, Progetti,
News/Comunicazione, Funzione Cerca. In particolare, nella sezione Funzione Cerca
sono state utilizzate le seguenti parole chiave: “intensità” e “intensità di cura”.
La ricerca indiretta è stata successivamente effettuata con l’ausilio dei principali motori
di ricerca. In questo caso sono state utilizzate le seguenti parole chiave: “intensità”,
“intensità di cura” o “riorganizzazione”, associate al nome della struttura oggetto di
indagine.
Figura 3 – Diagramma logico del metodo utilizzato per il censimento delle strutture
Fonte: elaborazione Centro studi Assobiomedica
Nella figura 3 è rappresentato il percorso logico del metodo utilizzato per la ricerca
via web diretta e indiretta per identificare le strutture che hanno dichiarato di aver
concluso, avviato o che hanno intenzione di avviare il processo di riorganizzazione
per intensità di cura, sui loro siti internet o su documenti reperibili sul web. La popolazione di riferimento è stata così definita come l’insieme di unità (strutture ospedaliere)
alle quali si intende estendere i risultati dell’indagine che seguirà e, per questo motivo,
è stato necessario specificare esattamente le condizioni di eleggibilità, ossia le caratteristiche che determinano l’inclusione (o l’esclusione) delle unità della popolazione.
Come è stato detto, in questo caso, la caratteristica di inclusione è quella di: aver
dichiarato di aver concluso, avviato o progettato una riorganizzazione dell’ospedale
per intensità di cura. Le strutture individuate che possiedono questo requisito, complessivamente, sono 124 su tutto il territorio nazionale.
5. IL CAMPIONE
In questa indagine sono state contattate tutte le unità della popolazione di riferimento,
infatti, nel caso di popolazioni composte da pochi elementi è necessario contattare
tutte le unità. Il primo contatto con le 124 strutture ospedaliere ha dato esiti differenti
(tabella 4).
22
Tabella 4 – Distribuzione del tipo di risposta al primo contatto: frequenze assolute (N)
Tipo di risposta dopo il primo contatto
Strutture contattate che non hanno mai risposto
N
81
Strutture che hanno risposto di non avere avviato (o progettato) una riorganizzazione per intensità di cura
6
Strutture che hanno risposto di avere effettivamente avviato (o progettato) una riorganizzazione per intensità
di cura alle quali è stato somministrato il questionario
37
Popolazione di riferimento
124
Fonte: tutte le elaborazioni di dati riportati in tabella o in tramite una rappresentazione grafica
da qui in avanti sono a cura del Centro Studi Assobiomedica. Per questo motivo, da qui in
avanti, non verrà più ripetuta la fonte in calce ad ogni elaborazione. La fonte è specificata solo
nei casi in cui le elaborazioni o le fonti sono diverse da questa.
Se osserviamo i dati riportati nella tabella 4, per 81 strutture i tentativi di contatto non
hanno avuto esito positivo. Delle restanti 43 strutture 6 strutture hanno risposto di non
avere avviato (o progettato) una riorganizzazione per intensità di cura, mentre 37
strutture hanno confermato di aver esperienza di organizzazioni IDC e hanno acconsentito di rispondere all’intervista telefonica per la somministrazione del questionario.
Quindi, il totale delle strutture per le quali è possibile estendere i risultati delle analisi
che saranno effettuate sui dai forniti dalle 37 strutture intervistate non è più pari a 124
ma a 118, data l’esclusione delle 6 strutture che hanno negato durante il contatto telefonico di aver intrapreso una riorganizzazione IDC. In termini percentuali le strutture
alle quali è stato somministrato il questionario sono più del 30%. Questo significa che
un terzo del totale della popolazione di riferimento è stato intervistato con successo
garantendo una raccolta di informazioni che costituisce una mole importante di dati
per poter condurre un analisi empirica del fenomeno oggetto di studio.
6. IL QUESTIONARIO STRUTTURATO
LO STRUMENTO
Ai fini della nostra rilevazione è stato utilizzato un questionario strutturato (cfr. Appendice). L’utilizzo di questo strumento, che consente la standardizzazione degli stimoli
e, quindi, la possibilità di porre le domande nello stesso ordine e con gli stessi termini a tutti i soggetti intervistati, ci ha permesso di raccogliere in maniera uniforme
le informazioni e di confrontare le risposte tra loro. In particolare, le domande dei
questionari standardizzati e strutturati - così come quelle di quelli semi strutturati - possono essere ricondotte a diversi tipi e sottotipi ma sono due le famiglie principali di
domande: chiuse (dicotomiche, politomiche, scale numeriche, scale verbali, ecc.) o
aperte. Nel nostro caso non sono state introdotte domande aperte ma solo domande
chiuse (a risposta strutturata) di tipo dicotomico - che prevedono una sola risposta tra
due modalità - e di tipo politomico - che prevedono una o più risposte tra più opzioni
previste. Il fenomeno oggetto di studio è stato quindi scomposto in dimensioni e sotto-dimensioni e così ogni domanda rileva una determinata sotto-dimensione. L’analisi
delle risposte a questo tipo di domande consente di tener conto di tutte le dimensioni
che compongono il fenomeno e di restituire una sintesi di tutte le sue componenti. Le
batterie di domande sono state elaborate sulla base della letteratura di riferimento e
del quadro concettuale definito nella prima parte di questo lavoro.
Il questionario è stato suddiviso in tre aree tematiche corrispondenti rispettivamente a
tre sezioni. La prima sezione è dedicata agli aspetti generali del fenomeno ed è co-
23
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
stituita da tredici domande a risposta chiusa, utili a rilevare gli elementi fondamentali
relativi all’adozione del modello per intensità di cura nelle strutture prese in esame. In
primo luogo, è stato chiesto agli intervistati di specificare se, al momento dell’intervista, il processo di riorganizzazione risultasse in fase progettuale, in fase di realizzazione oppure concluso, indicando anche l’anno di avvio e l’anno di conclusione. Le
domande successive sono state definite per identificare il livello decisionale – aziendale o regionale – che ha dato avvio alla riorganizzazione e l’eventuale presenza di
un finanziamento ad hoc di origine aziendale o regionale. L’obiettivo del seguente
blocco di domande di questa sezione, invece, è stato quello di indagare se il processo
di riorganizzazione ha interessato tutto l’ospedale nel suo insieme oppure solo alcune
sue parti e, in quest’ultimo caso, quali sono state le unità operative maggiormente interessate. Le ultime domande di questa prima sezione del questionario, infine, mirano a
identificare i casi in cui la riorganizzazione per IDC ha coinciso con la realizzazione
di interventi strutturali e in particolare con la costruzione di un nuovo ospedale, con la
realizzazione di nuove aree o con la ristrutturazione degli spazi esistenti.
La seconda sezione del questionario è stata dedicata all’implementazione della riorganizzazione per intensità di cura nelle strutture ospedaliere. Questa sezione, infatti,
è costituita da undici domande utili a comprendere il significato attribuito al modello
concettuale dell’ospedale per intensità di cura e i modi attraverso i quali il processo di
riorganizzazione è stato implementato. In particolare, è stato chiesto agli intervistati
di specificare quanti sono i livelli di intensità previsti e di indicare quali sono gli aspetti
per cui si differenziano tra loro i vari livelli, così come i criteri utilizzati per l’allocazione dei pazienti. Inoltre, al fine di conoscere quale sia il principale modello di ispirazione per la riorganizzazione per intensità di cura in Italia, si è chiesto di indicare se
sia stata presa come riferimento l’esperienza di altri ospedali italiani, di altri ospedali
esteri oppure nessuna delle due in favore di altri modelli descritti in letteratura. Infine,
si è chiesto di indicare se sono stati adottati processi e strumenti a supporto della
riorganizzazione per intensità di cura. In particolare, gli strumenti ai quali si è fatto
riferimento sono nuovi protocolli e linee guida, la cartella clinica condivisa, l’adattamento di sistemi informativi e di audit, gli strumenti e i metodi di Lean Management.
La terza sezione riguarda gli aspetti organizzativi che è stato utile indagare al fine di
comprendere se, in seguito all’adozione dell’IDC, siano stati apportati dei cambiamenti organizzativi a livello di struttura. In particolare, le domande in questa sezione
erano utili a capire se sono stati apportati cambiamenti formali all’organigramma, se
sono state introdotte nuove figure e nuovi ruoli professionali come l’infermiere tutor,
il medico tutor, il bed manager, il flow manager, l’operations manager, tutte figure
e ruoli di cui si è discusso nella prima parte di questo lavoro. Inoltre, si è indagato
se nell’ospedale siano stati realizzati percorsi di formazione per il personale interno
al fine di introdurre e descrivere il modello al personale in organico; e se l’adozione
della nuova organizzazione abbia incontrato resistenze interne da parte dei diversi
profili professionali.
LA SOMMINISTRAZIONE
Il questionario è stato somministrato attraverso un’intervista telefonica a figure dirigenziali interne alle strutture ospedaliere unità di analisi che, da un lato, ricoprono
incarichi di top management -- come direttori generali o direttori sanitari dell’intera
azienda -- dall’altro, incarichi di responsabilità di articolazione aziendale -- come ad
esempio il dirigente medico o il dirigente infermieristico. Gli intervistati sono sempre
stati indicati come referenti del progetto “ospedale organizzato per intensità di cura”
24
delle aziende sanitarie considerate. Nello specifico, la selezione delle persone da
intervistare all’interno delle aziende sanitarie oggetto d’indagine si è svolta grazie
all’intervento delle diverse direzioni aziendali. Partendo dai primi contatti reperiti
attraverso i canali che riconducono per lo più alle direzioni sanitarie è stato chiesto
di indicare i referenti interni alla struttura adatti a questo tipo di intervista telefonica.
L’obiettivo è stato quello di arrivare ad intervistare osservatori privilegiati che potessero avere una visione globale del processo di riorganizzazione dell’ospedale. Questa
scelta però ha contribuito ad aumentare la difficoltà nell’ottenere gli appuntamenti
telefonici e a dilatare i tempi dato che, come è noto, i professionisti con incarichi
dirigenziali non sono facilmente reperibili. Per avere un’idea di massima del tempo
necessario per raccogliere le interviste, si può considerare la data della prima -- 23
maggio 2014 -- e dell’ultima intervista -- 19 settembre 2014 -- per un periodo complessivo di 4 mesi. Durante il periodo dedicato alla rilevazione delle informazioni
sono state effettuate le telefonate, inviate le e-mail di contatto e di sollecito e fissati gli
appuntamenti telefonici (non sempre rispettati). In generale le interviste si sono svolte
in un clima di collaborazione e interesse per la tematica affrontata. La rispondenza
degli intervistati è stata di diversa intensità: alcuni si sono limitati a rispondere in
modo sintetico, altri hanno avuto piacere a fornire particolari significativi che sono
stati raccolti in forma di note e analizzati separatamente in modo qualitativo.
7. LE DIMENSIONI DI ANALISI
Gli interrogativi di ricerca specificati precedentemente (cfr. par. 2), si basano su gruppi di domande che si articolano nelle varie sezioni del questionario. Per selezionare
gli indicatori utili all’analisi dei dati abbiamo identificato le dimensioni secondo le
quali è possibile analizzare le strutture sanitarie prese in esame. Le dimensioni prescelte seguono la distinzione concettuale che è emersa alla luce della letteratura di
riferimento analizzata nella prima parte di questo lavoro. L’obiettivo dell’analisi è
quello di comprendere come è stato applicata concretamente la riorganizzazione per
intensità di cura nelle strutture ospedaliere italiane, individuando così similarità e differenze tra le diverse esperienze. Ognuna delle dimensioni prescelte è stata misurata
attraverso appositi indici numerici costruiti combinando in modo appropriato le risposte alle domande relative a ciascuna dimensione. Le dimensioni di analisi sono tre:
1. la propensione ad aderire al modello di ospedale per intensità di cura;
2. la propensione ad adottare strumenti e processi a supporto dell’organizzazione
per intensità di cura;
3. la propensione ad introdurre cambiamenti nella struttura organizzativa.
La prima delle tre dimensioni, la propensione all’aderenza al modello di ospedale
per intensità di cura, misura il grado di aderenza agli aspetti che riguardano l’implementazione del modello di ospedale IDC. Come abbiamo visto nella prima parte
del lavoro, in Italia non esiste un vero e proprio modello di ospedale per intensità
di cura condiviso e valido su tutto il territorio nazionale. Per questo motivo, quando
parliamo di “modello” facciamo riferimento in particolare al modello toscano, che
abbiamo scelto di prendere come esempio poiché è quello per cui sono disponibili i
più consistenti contributi utili a individuare le caratteristiche specifiche di implementazione. Questo indicatore di propensione è stato ottenuto sommando le risposte alle
domande presenti nel questionario finalizzate a misurare questa dimensione e riguardanti: la definizione di ospedale per intensità di cura; gli elementi di differenziazione
dei livelli; i criteri utilizzati per l’allocazione dei pazienti. La definizione operativa
25
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
dell’indice di propensione all’aderenza al modello (IPM) è stata calcolata come segue,
formalmente:
IPM = Ipmx1+ Ipmx2+ Ipmx3 + Ipmx4 + Ipmy1 + Ipmy2 + Ipmy3 + Ipmz1 + Ipmz2 + Ipmz3
Dove Ipmx esprime le quattro variabili ottenute con le risposte alla domanda a risposta multipla: “Cosa intende per Ospedale organizzato per intensità di cure alla
luce dell’esperienza nella sua struttura?”; Ipmx1 denota le risposte che confermano il
superamento dell’articolazione dell’ospedale per reparti e specialità cliniche; Ipmx2
denota le risposte di chi condivide le risorse tra diversi reparti e unità operative;
Ipmx3 denota il rafforzamento della struttura organizzativa dipartimentale; Ipmx4 denota l’organizzazione dell’attività secondo il livello di complessità assistenziale. Ipmy
esprime le tre variabili ottenute con le risposte multiple alla domanda “Il paziente è
assegnato a un diverso livello in funzione di cosa?”; Ipmy1 denota l’assegnazione secondo il livello di instabilità clinica associata; Ipmy2 denota l’assegnazione secondo
il livello di complessità assistenziale; Ipmy3 denota l’assegnazione secondo la durata
della degenza. Ipmz esprime le risposte alla domanda “Il livello a cui è assegnato il
paziente è differenziato in funzione di cosa?”; in questo caso Ipmz1 denota la differenziazione del livello in base alle tecnologie disponibili; Ipmz2 denota la differenziazione del livello in base alla qualità e competenze del personale; Ipmz3 denota la
differenziazione del livello in base alla quantità del personale.
La seconda dimensione, la propensione ad adottare strumenti e processi a supporto
dell’organizzazione per intensità di cura, è un indicatore che esprime la qualità e
la quantità degli strumenti e dei processi che sono stati formalmente modificati o
introdotti nella struttura ospedaliera a supporto della riorganizzazione per intensità
di cura. Questo indicatore è stato ottenuto sommando le risposte alle domande presenti nel questionario relative all’introduzione di nuovi protocolli e linee guida per la
gestione dei pazienti e corsi di formazione per il personale interno; alla condivisione
della cartella clinica; all’adattamento dei sistemi informativi e di audit; all’adozione
di strumenti e metodi di lean management. Più nel dettaglio, l’indice di propensione
ad adottare strumenti e processi a supporto dell’organizzazione per intensità di cura
(IPP) è stato calcolato come formalmente segue:
IPP = Ippx + Ippy1 + Ippy2 + Ippy3 + Ippr + Ippz
Dove Ippx denota l’introduzione di nuovi protocolli e linee guida condivise; Ippy
esprime le tre variabili ottenute con le risposte multiple alla domanda “cosa prevede/
ha previsto Il modello per intensità di cura?”; Ippy1 denota la condivisione della
cartella clinica; Ippy2 denota l’adattamento dei sistemi informativi; Ippy3 denota l’adattamento dei sistemi di audit; Ippr denota l’adozione di strumenti e metodi di lean
management. Infine, Ippz denota l’introduzione di corsi ad hoc9.
Il terzo ed ultimo indice misura la qualità e la quantità dei cambiamenti che sono stati
introdotti in termini di personale e di struttura organizzativa, in seguito all’adozione
del modello per intensità di cura. Questo indicatore è stato ottenuto sommando le risposte alle domande presenti nel questionario finalizzate a misurare l’introduzione di
cambiamenti organizzativi a livello formale; all’introduzione della figura dell’infermie9. In questo caso le domande considerate sono di due tipi: a risposta singola (Ippx; Ippz)
e a risposta multipla. Nel primo caso è stata prevista solo una variabile per contenerla,
mentre nel secondo caso sono state previste tante variabili quante sono le risposte possibili (Ippy1, Ippy2, Ippy3).
26
re tutor; della figura del medico tutor; e di altre figure ad hoc come il bed manager,
il flow manager e l’operations manager. L’indice di propensione ad adottare cambiamenti nell’organizzazione interna (IPC) è stato calcolato formalmente come segue:
IPC = Ipcx + Ipcy + Ipcz + Ipcr + Ipcs
Dove Ipcx denota l’introduzione di cambiamenti organizzativi a livello formale; Ipcy
denota l’introduzione di un infermiere responsabile del percorso del paziente (come
l’infermiere tutor); Ipcz denota l’introduzione (o la previsione ad introdurre) un medico
responsabile del percorso del paziente (come il medico tutor); Ipcr denota l’inserimento di altre figure ad hoc; Ipcs denota il numero di figure introdotte (bed manager, il
flow manager e l’operations manager).
Gli indici così calcolati sono stati sottoposti a un test di attendibilità (alpha di Cronbach) volto a verificare la loro capacità di misurare in modo preciso le dimensioni
corrispondenti. La coerenza interna degli indici, ossia il grado di accordo esistente
tra le risposte alle domande (item) utilizzate per il calcolo di ognuno, è stata così
determinata attraverso una misura che assume valori compresi tra 0 e 1, dove valori
vicini allo 0 indicano una bassa attendibilità, mentre valori vicini a 1 indicano un’alta attendibilità (Cronbach, 1951). Questa misura esprime il rapporto tra la somma
delle varianze degli item e la varianza totale della scala. Convenzionalmente, valori
maggiori o uguali a 0,8 si interpretano come molto affidabili; valori compresi tra 0,7
e 0,8 indicano un grado di affidabilità più che soddisfacente; valori inferiori a 0,7 e
maggiori o uguali a 0,6 sono interpretabili come appena affidabili; e, infine, valori
minori di 0,6 corrispondono a livelli inaccettabili di affidabilità (Carmines e Zeller,
1979). Nella tabella 5 sono riportati i valori dell’alpha di Cronbach per i nostri tre
indici (IPM, IPP e IPC) e il numero di variabili (item) che li compongono.
Tabella 5 – Valori dell’alpha di Cronbach per ogni indice sottoposto al test di affidabilità
Indice sottoposto al test
Numero di item
Alpha di Cronbach
IPM
10
0,8
IPP
6
0,7
IPC
5
0,6
Come si può notare dalla tabella 5, i risultati del test dimostrano l’affidabilità dei nostri indici, in particolare, per due dei tre indici, IPM e IPP, l’affidabilità è risultata molto
alta. Invece, nel caso dell’indice IPC, i valori del test sono interpretabili come appena
affidabili (risultato probabilmente dovuto anche al basso numero di item utilizzati per
ottenere quest’ultimo indice) ma comunque accettabili.
Nella tabella 6, invece, sono riportate le distribuzioni dei tre indici. Osservando i
valori minimi e massimi, si può notare che, per quanto riguarda sia la propensione
all’aderenza al modello, sia quella ad adottare strumenti e processi di supporto, c’è
almeno un caso di risposta positiva ad almeno una delle domande che compongono
l’indice e almeno un caso in cui tutte le risposte a tutte le domande sono state positive
– punteggio pari a 10 nel caso di IPM e pari a 6 nel caso di IPP. Diversamente, per
quanto concerne la propensione a introdurre cambiamenti nella struttura organizzativa, notiamo che esiste un caso di risposta negativa a tutti gli item, ossia esiste almeno
una struttura che ha affermato di non aver introdotto nessuno dei cambiamenti previsti. Osservando i valori medi, invece, si può notare come per IPM il valore sia piuttosto
alto -- media pari a 8,1 (minimo 1 e massimo 10) -- così come per IPP -- media pari a
4,6 (minimo 1 e massimo 6) -- mentre è più basso nel caso di IPC -- media pari a 3,4
(minimo 0 e massimo 6).
27
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
Tabella 6 – Distribuzione degli indici IPM, IPP e IPC: valore minimo, massimo e media
Indice sottoposto al test
Minimo
Massimo
Media
IPM
1
10
8,11
IPP
1
6
4,62
IPC
0
6
3,41
Gli indici sono stati poi standardizzati (attraverso il calcolo degli z-score) per trasformarli
in scale numeriche comparabili tra loro, tutte con media pari a 0 e varianza pari a 1.
Attraverso questa trasformazione gli indici possono essere confrontati e combinati tra loro
senza inficiare il risultato per la diversa misurazione delle variabili originali (figura 4).
8. L’ANALISI DEI GRUPPI
Gli interrogativi di ricerca come quelli che guidano questo studio (cfr. par. 2.2) sono stati
affrontati mediante una analisi dei gruppi -- cluster analysis. Una tecnica di classificazione
il cui obiettivo generale è descrivere il modo in cui le osservazioni del campione possono
essere raggruppate e classificate definendo un certo numero di gruppi omogenei al loro
interno a seconda dei valori delle variabili d’interesse. Nel nostro caso, le variabili d’interesse sono i tre indici -- IPM, IPP e IPC -- che, una volta standardizzati, sono stati utilizzati
per creare uno spazio vettoriale a tre dimensioni, le tre dimensioni di analisi. Ogni struttura ospedaliera del campione trova così la sua collocazione nello spazio a tre dimensioni
rispetto al proprio grado di propensione all’aderenza al modello, di propensione ad
adottare strumenti e processi a supporto dell’organizzazione per intensità di cura, e di
propensione da adottare cambiamenti nell’organizzazione interna (figura 4).
Figura 4 – Distribuzione delle osservazioni nello spazio a tre dimensioni: la propensione
all’aderenza al modello (IPM), la propensione ad adottare strumenti e processi a
supporto dell’organizzazione per intensità di cura (IPP), e la propensione ad adottare
cambiamenti nell’organizzazione interna (IPC)
28
Come abbiamo detto, lo scopo di questo tipo di analisi è quello di identificare un
certo numero di gruppi di strutture, omogenei al loro interno, nello spazio a tre dimensioni. La scelta del numero di gruppi è stata effettuata attraverso una tecnica mista.
Dapprima i casi sono stati classificati con una tecnica gerarchica (tecnica di Ward,
cfr. Appendice) definendo il numero ottimale di gruppi che, nel nostro caso, è pari a
tre. In seguito, è stato utilizzato l’algoritmo dei k-means di tipo non gerarchico (MacQueen, 1967) che permette di effettuare l’assegnazione dei casi ai gruppi con appartenenza ad un solo gruppo. Con tale metodo è possibile suddividere le unità in k
gruppi (con k scelto a priori, pari a 3), ognuno dei quali ha un centroide (baricentro).
L’algoritmo assegna ciascuna unità al gruppo rappresentato dal centroide ad esso
più vicino e, per ogni gruppo, viene calcolato il baricentro degli elementi che esso
contiene. Tale valore indica il nuovo centroide del gruppo in base al quale si possono
verificare le distanze delle varie unità dal proprio centroide. L’algoritmo itera questo
processo fino a quando qualche condizione di arresto si verifica e blocca il processo.
9. SINTESI
In questa seconda parte del lavoro è stato illustrato il disegno della ricerca definito
per rispondere agli interrogativi di ricerca. Nello specifico sono stati descritti i metodi
e le tecniche utilizzati per definire la popolazione di riferimento, ossia il totale delle
strutture ospedaliere che hanno dichiarato di aver concluso, avviato o progettato un
processo di riorganizzazione dell’ospedale per intensità di cura. A seguire è stato
descritto: il campione; lo strumento ossia il questionario strutturato, e le tecniche di
somministrazione del questionario. Inoltre sono state definite le dimensioni di analisi,
illustrate le modalità di costruzione degli indici utilizzati e la loro distribuzione. Infine,
sono state descritte le tecniche impiegate per l’analisi dei gruppi.
29
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
RISULTATI DELLA RICERCA
1. PREMESSA
Lo scopo di questa terza parte è quello di dare alcune risposte empiricamente fondate
al principale gruppo di interrogativi di ricerca sui quali si fonda il presente lavoro (cfr.
par. 2, seconda parte): quante e quali strutture dichiarano di aver progettato, avviato
o realizzato una riorganizzazione per intensità di cura? Quante e quali strutture sono
realmente interessate da processi di riorganizzazione di questo tipo? Le strutture realmente interessate in che modo portano avanti questo tipo di processo? È possibile
raggruppare le strutture in gruppi omogenei rispetto alle dimensioni considerate? Per
rispondere a questi interrogativi, come dettagliatamente descritto nella seconda parte
di questo lavoro, sono stati portati a termine due tipi di ricerca: l’attività di ricerca
via web per censire le strutture che dichiarano di aver progettato, avviato o realizzato una riorganizzazione per intensità di cura; e l’indagine condotta attraverso la
somministrazione del questionario al campione di strutture oggetto di studio. Nel
prossimo paragrafo verranno illustrati in maniera dettagliata i risultati del censimento delle strutture che hanno dichiarato di aver progettato, avviato o realizzato una
riorganizzazione per intensità di cura. Nel terzo paragrafo, invece, l’analisi viene
approfondita prendendo in esame i risultati dell’indagine sul campione di strutture che
hanno risposto al questionario. Il quarto paragrafo è dedicato ai risultati dell’analisi
dei gruppi – cluster analysis -- e, infine, nel quinto paragrafo sono tracciate le osservazioni conclusive.
2. RISULTATI DEL CENSIMENTO
Come già anticipato nella seconda parte del lavoro, il censimento condotto attraverso
la ricerca diretta e indiretta via web ha permesso di individuare 12410 strutture su
576 (totale di strutture ospedaliere in Italia) che, a vario titolo e in diversi contesti,
dichiarano di aver progettato, avviato o realizzato con successo una riorganizzazione dell’ospedale per intensità di cura. I primi risultati relativi all’attività di censimento
hanno consentito di fotografare l’Italia con una distribuzione regionale riportata nella
tabella 7.
Alla luce di questi risultati emerge una distribuzione disomogenea. In particolare, si
può notare che esiste un solo caso, quello della regione Emilia Romagna, in cui l’intera totalità delle strutture presenti sul territorio regionale ha dichiarato di aver progettato, avviato o realizzato una riorganizzazione per intensità di cura. In altre regioni, il
numero è consistente ma minore rispetto al totale, come Toscana e Umbria, regioni in
cui più della metà delle strutture ha dichiarato di aver progettato, avviato o realizzato
una riorganizzazione per intensità di cura. Ci sono, poi, i casi di Lazio, Lombardia,
Piemonte e Veneto in cui la presenza di dichiarazioni relative a una riorganizzazione
per IDC è importante seppur non predominate. Infine, esistono realtà come Abruzzo,
Molise, Puglia e Valle d’Aosta nelle quali si riscontra la totale assenza di dichiarazioni
in merito a processi di riorganizzazione per intensità di cura.
10. Questo numero comprende le 6 strutture che durante il contatto telefonico, successivo
alla ricerca via web, hanno affermato di non avere avviato (o progettato) una riorganizzazione per intensità di cura.
30
Tabella 7 – Distribuzione delle strutture secondo la regione e la presenza (Sì) o assenza
(No) di documenti e/o dichiarazioni in merito alla progettazione/avviamento/realizzazione di un modello organizzativo per intensità di cura (frequenze assolute)
Regione
Sì
No
Totale
Abruzzo
0
18
18
Basilicata
2
7
9
Calabria
1
33
34
Campania
1
47
48
27
0
27
2
11
13
11
51
62
Emilia Romagna
Friuli Venezia Giulia
Lazio
Liguria
2
9
11
20
40
60
Marche
2
14
16
Molise
0
4
4
Piemonte
9
30
39
Puglia
0
36
36
Sardegna
3
29
32
Sicilia
1
64
65
Lombardia
Toscana
26
13
39
Trentino Alto Adige
3
12
15
Umbria
6
4
10
Valle d’Aosta
0
1
1
Veneto
8
29
37
124
452
576
Totale
Alla luce di questa prima ricognizione, possiamo concludere che la disomogeneità
nella distribuzione delle dichiarazioni probabilmente è dovuta all’assenza di interventi normativi a livello nazionale capaci di indirizzare questa riorganizzazione ospedaliera secondo uno specifico modello predefinito.
Nella figura 5, sono riportati i risultati del censimento, in proporzione alle strutture
presenti in ogni regione, ottenuti calcolando la percentuale delle strutture che hanno
dichiarato di essere interessate da una riorganizzazione IDC rispetto al totale. In particolare, sono evidenziate in colore verde scuro le tre regioni con la più alta densità
di strutture che hanno dichiarato di riorganizzarsi per intensità di cura (da 100% a
60%); in colore verde oliva sono indicate le regioni nelle quali la densità di strutture
che hanno dichiarato una riorganizzazione per IDC è media (da 59% a 20%); in
colore verde chiaro sono indicate le regioni in cui la densità è medio bassa (da 19%
a 5%); infine, in colore grigio, ci sono le regioni nelle quali la densità è bassa o nulla
(da 4% a 0%).
31
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
Figura 5 – Densità delle strutture che hanno dichiarato una riorganizzazione IDC
Rispondenti IDC
n/r
Bassa
Media
Alta
In generale, dal censimento emerge che la concentrazione di strutture che hanno dichiarato una riorganizzazione per IDC è maggiore al Centro Nord, mentre al Sud si
osserva una bassa presenza (o addirittura nulla) di tali strutture.
32
3. RISULTATI DELL’INDAGINE
L’elaborazione dei dati raccolti si è avvalsa di tecniche diverse e diversi livelli di
analisi dei dati. Si è fatto uso di tecniche di analisi monovariata e bivariata, come
si vedrà in questo paragrafo. L’analisi monovariata è stata impiegata, in una prima
fase, per rappresentare sinteticamente le distribuzioni delle singole variabili, fornendo così una descrizione complessiva del fenomeno oggetto di studio. I risultati delle
statistiche descrittive sono utili e rilevanti proprio perché la riorganizzazione delle
strutture ospedaliere per intensità di cura è un fenomeno non ancora ben definito in
Italia. Successivamente, l’utilizzo di tecniche di analisi bivariata ha permesso, invece,
di approfondire l’analisi dei dati raccolti, permettendo di evidenziare le eventuali
correlazioni tra due o più variabili.
Figura 6 – Distribuzione del campione secondo la regione: frequenze assolute
Rispondenti IDC
2
n/r
1
9
Bassa
3
11
1
10
Media
Alta
33
Figura 7 – Distribuzione delle risposte alla domanda: “il processo di IDC presso la sua
struttura risulta: in fase progettuale, di realizzazione o concluso?” (n=37)
2
Fase del processo
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
La distribuzione delle strutture che hanno risposto al questionario ci mostra che esse
sono concentrate maggiormente in Emilia Romagna (11 strutture), Toscana (10) e
Lombardia (9), come si può notare osservando i dati riportati nella figura 6. In Piemonte e Trentino Alto Adige i numeri sono decisamente più contenuti (rispettivamente
3 e 2 strutture rispondenti), mentre in Liguria e Veneto solo una struttura ha deciso di
sottoporsi all’intervista telefonica. Per tutte le altre regioni non abbiamo ottenuto dati
relativi all’IDC. Da qui in avanti, saranno riportati i dati relativi al questionario somministrato alle 37 strutture rispondenti.
26
9
0
5
10
15
20
25
In fase progettuale
In fase di realizzazione
Concluso
Nella figura 7 sono riportati i dati relativi alla domanda: “il processo di IDC presso
la sua struttura risulta: in fase progettuale, di realizzazione o concluso?”. Il numero di
strutture per le quali il processo di riorganizzazione secondo il modello per intensità di
cura risulta in corso, ossia in fase di realizzazione al momento dell’intervista, è pari a
26 su un totale di 37. Il processo di riorganizzazione risulta concluso per 9 strutture,
mentre è in una fase progettuale per 2 ospedali del nostro campione. Ne deriva che
il 75% circa delle strutture presenti nel campione è ancora in una fase progettuale o
di realizzazione del processo mentre solo il 24% delle strutture intervistate ha portato
a termine la riorganizzazione per intensità di cura.
Per ogni struttura sono stati rilevati anche l’anno di avvio e l’anno di conclusione –
effettivi o previsti – del processo di riorganizzazione per intensità di cura e, dai dati
raccolti e riportati nella figura 8, si può osservare che più di due terzi delle strutture
hanno avviato il processo di organizzazione per intensità di cura negli ultimi cinque
anni -- ossia tra il 2011 e il 2014 -- e che solamente cinque ospedali l’hanno avviato
prima del 2008.
34
Figura 8 – Anno di avvio (pallino verde) e di conclusione (triangolo rosso) del processo
IDC (n=37)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
1995
1997
1999
2001
2003
2005
Anno di avvio
2007
2009
2011
2013
2015
2017
2019
Anno di conclusione
Guardando i dati relativi all’anno di conclusione, notiamo che per 8 strutture esso
coincide con il 2014, mentre per 16 ospedali l’organizzazione per intensità di cura
si concluderà tra il 2015 e il 2016. Infine, per sette strutture non è riportato l’anno
di conclusione poiché i referenti delle direzioni sanitarie non hanno ritenuto possibile
fornire questo tipo di informazione. Un caso particolare è costituito da un solo istituto
clinico per il quale è stato indicato il 1996 come anno di conclusione del processo,
che coincide con l’anno di inizio delle attività dell’ospedale. Infatti, secondo il rispondente, questo istituto è stato organizzato secondo il modello per intensità di cura fin
dalla sua progettazione e costruzione. Con riferimento alle trenta strutture che indicano sia la data di avvio che di conclusione del processo è interessante notare come, in
media, esso ricopra un arco temporale di circa quattro anni. Per i progetti dichiarati
conclusi la durata media si attesta a tre anni e mezzo, con un picchi che vanno da
cinque fino a otto anni. Tra i progetti in corso di realizzazione la durata media si
alza fino ad arrivare a quattro anni e mezzo circa, presentando del resto un picco
di tredici anni, uno di undici e due di nove anni. A questo dato si contrappongono
35
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
cinque realtà che prevedono un processo molto rapido indicando come anno di avvio
il 2014 e la conclusione entro un anno. Tali realtà sono principalmente localizzate in
Emilia Romagna. Quando si guarda all’anno di avvio e di conclusione di tali processi
è importante precisare che qualsiasi processo di ristrutturazione organizzativa richiede il coinvolgimento di una serie di variabili --- organizzative, strumentali e procedurali – il cui equilibrato funzionamento va testato nel tempo secondo fasi ben definite
e graduali. Tutto ciò determina un tempo “fisiologico” di adattamento e di sviluppo.
Figura 9 – Distribuzione congiunta del livello decisionale del processo IDC (regionale o
aziendale); e della presenza (sì) o assenza (no) di un finanziamento ad hoc: frequenze
assolute (n= 37)
17
Aziendale
4
14
Regionale
2
0
5
10
No
15
20
Sì
Il livello decisionale prevalente relativo all’adozione del modello organizzativo per
intensità di cura sembra essere quello aziendale: infatti 21 strutture (poco più della
metà) dichiarano che il processo di riorganizzazione è stato realizzato su iniziativa
aziendale, mentre 16 strutture dichiarano che tale processo è stato realizzato su iniziativa regionale. Se si guarda invece alla presenza o assenza di un finanziamento
ad hoc dedicato al processo di riorganizzazione per intensità di cura, si osserva che
tale finanziamento è stato previsto solo per 6 strutture, di cui 4 ne hanno beneficiato
a livello aziendale e altre 2 a livello regionale.
36
Tutte le UU.OO. coinvolte
Figura 10 – Distribuzione delle strutture che hnno dichiarato di aver avviato il processo
IDC in tutte le unità operative/aree (sì) o solo in alcune (no): frequenze assolute (n=37)
18
No
19
Sì
0
5
10
15
20
Rispetto al coinvolgimento di tutte le unità operative o di tutte aree della struttura
ospedaliera nel processo di riorganizzazione IDC o solo di alcune sue parti, Il nostro
campione si divide in due gruppi, di numerosità quasi identica. Infatti, come rappresentato nella figura 10, al momento dell’intervista, in 18 strutture risultano coinvolte
solo alcune aree o unità operative mentre per 19 strutture il processo di riorganizzazione per intensità di cura ha interessato l’intero ospedale.
Inoltre, al fine di comprendere quali unità operative fossero più coinvolte di altre in
simili processi di riorganizzazione delle strutture ospedaliere, per ognuna delle discipline ospedaliere previste dal Ministero della Salute, è stato chiesto agli intervistati di
indicare il coinvolgimento nel processo di IDC delle diverse specialità.
37
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
Figura 11 – Principali specialità coinvolte nel processo riorganizzazione per intensità
di cura: frequenze assolute (n=37)
Medicina Interna
28
Chirurgia Generale
28
Urologia
25
Cardiologia
23
Chirurgia vascolare
21
Oculistica
20
Pneumologia
19
Ostetricia e ginecologia
19
Ortopedia e traumatologia
19
Neurologia
17
Nefrologia
17
0
10
20
30
Come è possibile notare guardando la figura 11, le specialità indicate più frequentemente dai rispondenti come quelle più coinvolte sono le seguenti: medicina interna
(n=28) chirurgia generale (n=28); urologia (n=25); cardiologia (n=23); chirurgia vascolare (n=21); oculistica (n=20); pneumologia (n=19); ortopedia e traumatologia
(n=19); ostetricia e ginecologia (n=19)11. Un risultato emerso in questa fase della
ricerca è proprio l’individuazione delle specialità più colpite. Infatti, tra gli obiettivi
di un futuro approfondimento c'è quello di capire come ogni singola specialità, tra
quelle che risultano essere le più coinvolte, abbia reagito al cambiamento. Questo
perché sarebbe utile cogliere le specificità che possono portare alla luce differenze
fondamentali nell'implementazione della riorganizzazione per intensità di cura.
Passando agli interventi strutturali, sugli edifici degli ospedali, avvenuti in concomitanza all’adozione del modello organizzativo per intensità di cura, pressoché in tutte
le strutture sanitarie del nostro campione (34 su un totale di 37) sono stati realizzati
interventi di questo tipo.
11. Le frequenze riportate per le specialità coinvolte nel processo di organizzazione per
intensità di cura non tengono conto della distribuzione delle discipline nelle strutture del
campione.
38
Figura 12 – Tipo di intervento previsto nelle strutture ospedaliere che hanno effettuato
interventi strutturali: frequenze assolute (n=34; casi mancanti = 3)
Interventi strutturali
8
3
23
0
5
10
15
20
25
Nuovo presidio
Nuove parti
Ristrutturazione presidio
Come mostrano i dati riportati nella figura 12, il tipo di intervento più frequente è la
ristrutturazione dell’edificio esistente (n=23), seguito dalla costruzione di un nuovo
ospedale (n=8) e dalla realizzazione di nuove parti nell’ambito del presidio esistente
(n=3). Un caso particolarmente interessante è costituito dalle strutture che, secondo i
rispondenti, sono state progettate e costruite ex novo in modo da rispondere alle specifiche esigenze funzionali, organizzative e logistiche dell’ospedale per intensità di
cura. Le strutture in questione sono le seguenti: Istituto Clinico Humanitas di Rozzano;
Azienda Ospedaliera Sant’Anna di Como; Azienda Ospedaliera di Legnano; Azienda Ospedaliera di Vimercate; Presidio Ospedaliero di Imola; Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara; Ospedale Zona Apuana di Carrara; Ospedale San Jacopo di
Pistoia. Queste otto strutture di ricovero sono collocate in tre regioni del Centro-Nord
e in particolare in Lombardia (n=4), Emilia Romagna (n=2) e Toscana (n=2). Anche
la struttura architettonica connota fortemente il processo organizzativo per intensità di
cura e queste otto realtà sono quelle in cui è stato interamente abbracciato il modello
di riorganizzativo.
Tra gli obiettivi di un futuro approfondimento di questo studio c'è anche quello di
mettere a confronto i principali requisiti architettonici che sono richiesti affinché ci sia
una struttura idonea alla riorganizzazione per intensità di cura. Con le attuali caratteristiche architettoniche delle strutture ospedaliere italiane che, come noto, risalgono
ad anni in cui non era nemmeno immaginabile un'ipotesi di riorganizzazione simile
all'IDC, non è sempre possibile adattare gli edifici esistenti che talvolta sono soggetti
a vincoli dettati da norme di salvaguardia degli edifici storici.
Ma a cosa o a chi si sono ispirate le strutture che hanno deciso di avviare o programmare un intervento di riorganizzazione per IDC?
39
Fonte di ispirazione del modello IDC
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
Figura 13 – Principali fonti di ispirazione del modello IDC: frequenze assolute (n=33;
casi mancanti = 4)
7
14
3
9
0
5
Letteratura
Ospedali esteri
10
15
Ospedali italiani
Tutte le precedenti
Per la maggior parte delle strutture (n=14), i rispondenti dichiarano che la principale
fonte di ispirazione per l’implementazione del modello per intensità di cura è riconducibile ad altre realtà ospedaliere italiane. A seguire troviamo le nove strutture che
hanno dichiarato di non avere un'unica fonte di ispirazione ma di essersi ispirati sia
agli ospedali italiani, alla letteratura di riferimento e agli ospedali esteri. La letteratura
di riferimento risulta una importante fonte di ispirazione per sette strutture, mentre solo
tre strutture hanno dichiarato di essersi ispirate a esperienze di altri ospedali esteri.
Durante la fase di somministrazione dei questionari, sono emerse ulteriori informazioni, utili ad arricchire le risposte appena commentate. In alcuni casi, i rispondenti
hanno riferito che l’adozione del modello è stata promossa dai professionisti della
direzione sanitaria e generale provenienti da altre realtà ospedaliere dove il modello
era già stato implementato con successo; questo fenomeno si è verificato non solo
all’interno della stessa regione, ma anche tra regioni diverse. Infine, alcuni intervistati
hanno dichiarato che, preliminarmente all’adozione del modello, sono state effettuate
più visite di studio presso altri ospedali italiani già organizzati per intensità di cure.
40
Figura 14 – Distribuzione delle strutture secondo i livelli di intensità di cura previsti:
frequenze assolute (n=35; casi mancanti = 2)
Numero di livelli IDC
8
17
10
0
5
10
15
20
Due livelli
Tre livelli
Quattro livelli
Passando ad un altro aspetto che abbiamo trattato in precedenza (cfr. par 5, prima
parte), se guardiamo al numero di livelli previsti nella riorganizzazione per intensità
in cui, come si nota dai dati riportati nella figura 14, emerge una forte preferenza per
un riassetto organizzativo a tre livelli assistenziali. Infatti, 17 strutture sanitarie (pari al
46% del totale) adottano la divisione prevalente in tre livelli, mentre sono organizzate
in quattro livelli 10 strutture (27%) e, solo otto strutture (22%) prevedono due livelli.
Come è stato già evidenziato alla luce della rassegna della letteratura di riferimento,
in Italia non c’è omogeneità nella declinazione dei differenti livelli di cura, nonostante
la letteratura riconduca genericamente il modello ai tre livelli comunemente conosciuti:
il livello 1, ad alta complessità, che comprende la terapia intensiva e subintensiva; il
livello 2, a intensità media, che comprende il ricovero ordinario e il ricovero a ciclo
breve e che presuppone la permanenza di almeno una notte in ospedale (week surgery, one-day surgery); e il livello 3, a bassa intensità che è dedicato alla cura delle
post-acuzie nella fase conclusiva del percorso di cura. Appare interessante notare che
tale disomogeneità nella differenziazione per livelli di intensità di cura sia presente
anche all’interno della stessa regione, avvalorando la tesi di un’assenza di un modello
di organizzazione ospedaliera per IDC condiviso anche per quei contesti che più di
altri hanno lavorato sul coinvolgimento a livello regionale.
41
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
Figura 15 – Distribuzione dei criteri di assegnazione dei pazienti: frequenze assolute
(n=37)
4
Instabilità clinica
33
7
Complessità assistenziale
30
15
Durata degenza
22
0
5
10
15
No
20
25
30
35
Sì
Guardiamo ora ad uno degli aspetti caratterizzanti del modello organizzativo per
intensità di cura, ossia i criteri di allocazione dei pazienti ad un determinato livello
di intensità di cura. Tra i criteri, condivisi in letteratura, si possono trovare l’instabilità
clinica, la complessità assistenziale e la durata della degenza. Nel rispondere alla
domanda relativa al criterio di assegnazione è stata data la possibilità di risposta
multipla per cui i rispondenti hanno indicato uno o più criteri. Se si osservano i dati
riportati nella figura 15, si può notare che il criterio di allocazione del paziente più
utilizzato è l’instabilità clinica (n=33) e, a seguire, troviamo la complessità assistenziale (n=30). La durata di degenza, invece, risulta essere il meno utilizzato. A livello
regionale è riscontrabile una forte omogeneità di scelta nell’applicazione di tali criteri
di allocazione per la Toscana e il Piemonte.
Per quanto riguarda gli elementi secondo i quali i livelli di intensità si differenziano, è
stata data la possibilità ad ogni rispondente di selezionare più risposte e quella che
ha registrato il massimo numero di risposte affermative, come è possibile vedere osservando la figura 16, è la quantità del personale. Invece, la qualità e le competenze
del personale insieme alle tecnologie disponibili hanno ottenuto un numero inferiore
di risposte affermative ma comunque elevato (29 su 37).
42
Figura 16 – Distribuzione dei criteri di differenziazione dei livelli di intensità: frequenze
assolute (n=37)
8
Tecnologie
29
8
Qualità del personale
29
7
Quantità del personale
30
0
5
10
15
20
No
25
30
Sì
Figura 17 – Distribuzione dei significati associati all’intensità di cura: frequenze
assolute (n=37)
3
Superamento reparti
34
3
Condivisione risorse
34
14
Rafforzamento dipartimenti
Organizzazione per complessità
23
1
36
0
5
10
15
No
20
25
30
35
Sì
Un altro aspetto che è stato indagato è il significato (o la definizione) che viene associato all’intensità di cura. Anche in questo caso i rispondenti potevano dare la loro
preferenza a più di una definizione. I risultati riportati nella figura 17 mostrano che
43
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
la quasi totalità delle strutture (36 su 37) associano all’esperienza IDC un significato
riconducibile all’organizzazione dell’attività secondo il livello di complessità assistenziale. Un numero minore, ma sempre elevato, di preferenze è stato dato alla condivisione delle risorse tra diversi reparti e unità operative, così come al superamento
dell’articolazione dell’ospedale per reparti e specialità cliniche. In ultima posizione,
con solo 23 preferenze, troviamo il rafforzamento della struttura organizzativa dipartimentale.
Figura 18 – Distribuzione dei casi secondo il momento di introduzione di strumenti e
metodi Lean Management (n=27; casi mancanti = 10): Frequenze assolute.
Prima
5
Durante
14
Dopo
8
0
5
10
15
Introduzione a strumenti e metodi del Lean Management
Tra tutti gli intervistati, 27 hanno dichiarato di aver adottato strumenti e metodi di
lean management mentre 10 hanno dichiarato di non averlo fatto. Guardando ai dati
riportati nella figura 18, relativi alle strutture che hanno adottato strumenti e metodi di
lean management osserviamo che più della metà ha adottato questa filosofia manageriale in concomitanza al processo di organizzazione per intensità di cura, mentre cinque strutture lo hanno fatto prima e otto prevedono di farlo in un momento successivo.
Questo dato porterebbe a confermare quanto descritto nella prima parte di questo
lavoro, in particolare, potrebbe essere indicativo del fatto che l’introduzione di una logica Lean (soprattutto nei casi in cui venga fatto prima o durante) sia parte integrante
e fondante dei processi di riorganizzazione per intensità di cura.
44
Figura 19 – Distribuzione congiunta riguardante a) l’introduzione di cambiamenti
organizzativi formali; b) la previsione di introduzione di un infermiere tutor; c) la
previsione di introduzione di un medico tutor. Frequenze assolute (n=37)
Nessun cambiamento nell'organigramma
1
Nessun infermiere tutor
1
2
Introduzione infermiere tutor
8
0
5
10
15
Cambiamento nell'organigramma
3
Nessun infermiere tutor
2
5
Introduzione infermiere tutor
15
0
5
Nessun medico tutor
10
15
Introduzione medico tutor
Nella figura 19 sono rappresentati i risultati congiunti relativi a tre domande che
riguardavano cambiamenti nell’organizzazione del personale. Nella maggior parte
dei casi (25 su 37) si sono verificati cambiamenti formali nell’organigramma della
struttura ospedaliera, mentre in dodici casi è stato dichiarato che non è avvenuto nessun cambiamento formale nell’organigramma. Inoltre, si può osservare che le strutture
che hanno introdotto la figura dell’infermiere tutor superano quelle che introducono la
figura del medico tutor e che non sempre le due cose vanno di pari passo, abbiamo
casi in cui è stato introdotto l’uno ma non l’altro e viceversa, mentre in ben 15 casi è
stato apportato un cambiamento formale nell’organigramma e sono state introdotte
sia la figura dell’infermiere tutor sia quella del medico tutor.
45
Figura 20 – Distribuzione delle risposte alla domanda sull’introduzione di nuove figure
ad hoc: Frequenze assolute (n=21)
Nuove figure professionali introdotte
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
Passando al tema delle altre figure che possono essere introdotte nei processi di riorganizzazione per intensità di cura, abbiamo chiesto espressamente agli intervistati se
avessero introdotto altre figure ad hoc oltre a quelle dell’infermiere tutor e del medico
tutor. Sono ben 22 le strutture che hanno risposto in modo affermativo dichiarando di
aver introdotto altre nuove figure. Nella figura 20 sono riportati i risultati delle risposte
alla domanda: “Indicare quali figure sono state inserite”.
15
1
3
2
0
5
Bed manager
Operations manager
10
15
Flow manager
Tutte le precedenti
Dalla figura 20, si può osservare che alcune strutture (21) hanno introdotto specifiche
figure professionali e la figura introdotta più di frequente è quella del bed manager –
ruolo introdotto in 15 strutture – seguito dall’operations manager – ruolo introdotto in
3 strutture – e, infine, dal flow manager, introdotto solo in un caso. Infine, due strutture
tra quelle presenti nel campione hanno introdotto tutte le figura fin qui citate.
Il tasso di realizzazione di corsi di formazione rivolti al personale interno, ai fini di
facilitare la conoscenza e la condivisione delle caratteristiche del modello IDC nella
struttura interessata, è pari all’89%. In tutti i casi, le attività sono state rivolte al personale sanitario, e in particolare ai medici e agli infermieri, mentre nel 57% dei casi
sono stati coinvolti anche altri profili professionali, come il personale amministrativo.
Nonostante siano stati riscontrati questi sforzi verso il cambiamento è stato riscontrato
anche un certo grado di resistenza interna nei confronti dell’implementazione del
modello per intensità di cura. Nello specifico, è stato registrato che in più dell’80%
dei casi (31 strutture) c’è stata una forte resistenza al cambiamento. A manifestare
questo tipo di opposizione al cambiamento, principalmente, è stato il personale medico (n=25), seguito dal personale infermieristico (n=10) e solo in 2 casi i rispondenti
hanno segnalato la presenza di resistenze da parte dei pazienti rispetto a questo tipo
di organizzazione delle attività.
46
4. RISULTATI DELL’ANALISI PER GRUPPI (CLUSTER)
Per raggruppare e classificare le unità ospedaliere del campione in gruppi omogenei
sono stati costruiti - grazie al corpus di dati raccolti - appositi indici. Nello specifico,
sono stati individuati tre indicatori (seconda parte, cfr. par. 7) che hanno permesso di
ottenere misurazioni su specifiche dimensioni di interesse relative al grado di aderenza al modello di ospedale per intensità di cura delle strutture considerate (IPM), alla
propensione ad adottare strumenti e processi a supporto dell’IDC (IPP), alla propensione a introdurre cambiamenti nell’organizzazione interna (IPC).
Figura 21 – Distribuzione dei tre indici di propensione al modello IDC: propensione
all’aderenza al modello (IPM), propensione ad adottare strumenti e processi a supporto
dell’IDC (IPP), propensione a introdurre cambiamenti nell’organizzazione interna (IPC)
La distribuzione dei tre indici di propensione all’IDC (IPM, IPP, IPC) è sintetizzata
graficamente nella figura 21 nella quale sono raffigurati i boxplot (detti anche box
and whiskers plot, ovvero diagrammi a scatole e baffi) che riassumono visivamente le
caratteristiche della distribuzione degli indici. Gli estremi di ciascun boxplot rappresentano i valori minimi e massimi della distribuzione di ogni indice. I lati della scatola
indicano rispettivamente il primo quartile e il terzo quartile, la riga centrale che taglia
la scatola indica la mediana, indicatore del valore centrale, che risulta diversa per
tutti e tre gli indici. In tutte e tre le distribuzioni la media e la mediana non coincidono.
Nello specifico, nel primo caso (IPM) la media supera la mediana, mostrando una
distribuzione asimmetrica positiva (o distribuzione obliqua a destra). Nel secondo
e terzo caso (IPP, IPC), invece, la media è minore della mediana perché gran parte
delle osservazioni si posizionano su valori bassi, presentando così una distribuzione
asimmetrica negativa (o distribuzione obliqua a sinistra). Inoltre, se si osserva la
lunghezza delle scatole, che corrisponde alla differenza tra primo e terzo quartile
(misura che quanto più è ampia tanto più i dati sono dispersi rispetto alla mediana),
si nota che il terzo indice (IPC) presenta un ampio campo di variazione (1,9). Infine,
si evidenzia la presenza di valori anomali nel primo indice di propensione, che corrispondono ai pallini verdi posizionati all’estremità del baffo del boxplot. Si tratta di
47
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
valori estremi della distribuzione che si caratterizzano per essere estremamente bassi
e che rappresentano casi isolati rispetto alla distribuzione.
A partire dagli indici sopradescritti (seconda parte, cfr. par. 8), sono stati individuati,
attraverso l’analisi dei gruppi (o cluster analysis), 3 gruppi (o cluster) mutualmente
esclusivi e tendenzialmente omogenei al loro interno. Il risultato di questo procedimento può essere visualizzato graficamente nella figura 22. I punti che rappresentano le
strutture ospedaliere sono stati colorati in base all’appartenenza ai tre gruppi, inoltre,
tutti i punti sono stati collegati con delle linee al centroide del proprio gruppo.
Tabella 8 – Coordinate dei centroidi e numerosità delle osservazioni (N), secondo il
cluster di appartenenza
Cluster 1
Cluster 2
Cluster 3
Z-score: IPM
0,28
0,06
-2,61
Z- score: IPP
0,50
-1,21
-1,13
Z- score: IPC
0,33
-0,50
-1,53
26
8
3
N
Dai dati riportati nella tabella 8, in cui sono riportate le coordinate dei centroidi e la
numerosità dei casi di ogni cluster, è possibile ottenere un quadro riassuntivo delle
caratteristiche dei tre gruppi individuati. Trattandosi di indici standardizzati, il segno
positivo indica valori sopra la media e quello negativo valori sotto la media.
Figura 22 – Distribuzione delle osservazioni nello spazio a tre dimensioni definito dai tre
indici: la propensione all’aderenza al modello (IPM), ad adottare strumenti e processi
a supporto dell’organizzazione per intensità di cura (IPP), e ad adottare cambiamenti
nell’organizzazione interna (IPC), secondo il gruppo (cluster) di appartenenza
48
Il primo cluster individuato è quello più popolato e conta 26 strutture sanitarie (70%
del campione). Le strutture incluse in questo gruppo, nel processo di riorganizzazione per intensità di cura, sono caratterizzate da valori positivi e superiori alla media
rispetto a tutte e tre le scale. In particolare, presentano una forte propensione ad
adottare strumenti e processi a supporto dell’organizzazione per intensità di cura
(0,50); una propensione abbastanza elevata al cambiamento (0,33); e una discreta
aderenza al modello (0,28). Dunque, le strutture sanitarie appartenenti a questo gruppo sembrano propense a mettersi in gioco dimostrando un’apertura al cambiamento
organizzativo, con una spiccata voglia di rinnovare le prassi consolidate e una volontà marcata a spostare il baricentro assistenziale dalle esigenze dell’organizzazione (e
degli operatori) a quelle dei pazienti. Per questi motivi abbiamo definito gli ospedali
di questo primo gruppo come quello degli “innovatori”.
Nel secondo cluster sono comprese 8 strutture (22% del campione). Le strutture incluse
in questo gruppo sono caratterizzate da valori positivi in un solo caso e negativi negli
atri due. Infatti, questo gruppo presenta una propensione all’aderenza al modello
intorno alla media (0,06); una bassa propensione al cambiamento (-0,50); e una propensione ad adottare strumenti e processi a supporto dell’organizzazione per intensità di cura decisamente più bassa della media (-1,21). In questo caso, la propensione
ad aderire al modello non si accompagna a un’effettiva propensione al cambiamento
organizzativo in termini di strumenti e processi adottati. Questo gruppo sembra ridursi a una dichiarazione d’intenti retorica che si allontana dalla reale introduzione e
formalizzazione di possibili azioni atte al cambiamento organizzativo per intensità di
cure. Questa distanza tra “dichiarazione di intenti” e “azioni concrete” ci permette di
definire questo gruppo come quello dei “retorici”.
Il terzo ed ultimo cluster raggruppa solo 3 strutture (8% del campione). Le strutture di
questo gruppo sembrano le più avverse al processo di riorganizzazione per intensità
di cura. Infatti, questo gruppo presenta valori negativi, e al di sotto della media, per
tutti gli indici, IPM, IPC e IPP rispettivamente (-2,61; -1,53; -1,13). In questo gruppo
le strutture sembrano mantenere atteggiamenti “tradizionalistici” nel loro modello di
azione, rivelando una forte debolezza di fondo in termini di cambiamento culturale,
necessario ad orientare l’organizzazione ospedaliera al riconoscimento e all’introduzione di un nuovo modello. Emerge quindi una tendenza alla resistenza a superare
le tradizionali modalità di assistenza incentrate sui ruoli e su una gestione monospecialistica (verticale) del paziente. Questa mancanza di apertura al cambiamento ci
permette di definire questo terzo gruppo come quello dei “conservatori”.
In sintesi, l’analisi fin qui condotta fa emergere profili distinti. I cluster 1 e 3 sembrano
caratterizzati da un orientamento preciso anche se in direzione opposte: positivo in
un caso e negativo nell’altro per tutte e tre le dimensioni. Il cluster degli “innovatori”
presenta un’elevata capacità di attivare un processo di cambiamento organizzativo
utilizzando tutti gli strumenti necessari. Il cluster dei “conservatori”, invece, sembra
compromettere ogni tipo di riorganizzazione per intensità di cure. Infine, nel cluster
dei “retorici” si osserva un atteggiamento più indefinito, caratterizzato da una certa
propensione – almeno in linea di principio – all’aderenza al modello accompagnata
da una scarsa propensione in termini di adozione di strumenti e processi e introduzione di cambiamenti organizzativi.
49
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
5. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Come già precisato nel corso del lavoro, il mondo dell’intensità di cura in Italia è
caratterizzato dall’assenza di un’effettiva e comune “modellizzazione”. L’analisi condotta delinea un quadro variegato che frutto di una forte personalizzazione dei criteri,
degli strumenti e delle metodologie a supporto dello sviluppo dell’IDC che ritroviamo
anche in quei contesti nei quali si rileva una maggiore partecipazione a livello regionale. Dall’analisi dei dati raccolti emergono soluzioni operative e organizzative
“ibride” se confrontate con quanto riportato nella letteratura (sia essa nazionale che
internazionale). È interessante notare come per più della metà del campione la fonte
di ispirazione per progettare e implementare il modello è da rintracciarsi nell’osservazione diretta di casi e pratiche già sperimentate in altre realtà ospedaliere, per lo più
a livello nazionale. Tale atteggiamento sembra confermare che in Italia l’assenza di linee guida comuni abbia lasciato ampia libertà di interpretazione e scelta nello sviluppo di tale modello organizzativo, generando quindi soluzioni “ibride” che appaiono
un mix di diverse pratiche, ognuna delle quali mutuata e ragionata in relazione ad un
opportuno processo di organizzazione. Sebbene dall’analisi della letteratura appaia
comunemente riconosciuto un modello IDC italiano basato su tre livelli di intensità per
la collocazione del paziente, i dati raccolti fanno emergere anche in questo caso una
forte disomogeneità di applicazione. Sono presenti, infatti, differenti articolazioni e
declinazione degli stessi che vanno da 2 a 4 livelli, contrariamente a quanto genericamente riconosciuto come “il modello Italiano” che si attesta su tre livelli.
Dall’osservazione dei dati rilevati emerge, inoltre, che la distribuzione dei livelli di
intensità non solo è differente tra ospedali di regioni diverse ma anche all’interno
della stessa regione. Elemento che avvalora l’assenza di rigide indicazioni regionali,
confermando la forte contestualizzazione ed eliminando anche nel caso del “modello
Toscano” un’effettiva e totale omogeneità. Oltre ai livelli di intensità censiti per singolo
ospedale tra i principali caratteri del modello IDC ritroviamo i criteri di collocazione
del singolo paziente all’interno di un determinato livello, generalmente riconducibili,
come confermato dalla maggioranza dei casi analizzati, all’instabilità clinica, alla
complessità assistenziale ai quali si aggiunge in alcuni casi anche la durata della
degenza. L’implementazione di soluzioni organizzative richiede la progettazione e
lo sviluppo di interventi, metodi, strumenti atti a rendere effettivamente operativo un
semplice modello teorico. La durata di implementazione degli interventi IDC è evidentemente influenzata da interventi di grande portata che portano alla ristrutturazione
di spazi per soddisfare uno dei requisiti dei modelli IDC, ossia il superamento della
frammentazione del processo assistenziale a favore di una continuità dettata dal fattore di risposta ai bisogno di assistenza, nonché l’effettivo superamento dei reparti e
l’effettiva condivisione delle risorse.
Spingendosi verso una prima modellizzazione dell’esperienza italiana è possibile osservare che a livello pressoché omogeneo, lo sviluppo di soluzioni organizzative IDC
(nelle diversi fasi di vita, dalla progettazione all’effettiva realizzazione) che rilevano
per oltre il 91% dei casi il rispetto di tre condizioni fondamentali per l’aderenza al
modello IDC, ossia la presenza di interventi strutturali, il superamento della suddivisione dei reparti nonché l’effettiva condivisione delle risorse. La mancata presenza di
tali elementi nei 3 casi restanti (3 rispetto ai 37) è, evidentemente, un fattore di scarsa
aderenza al modello di riferimento. Qualsiasi cambiamento organizzativo richiede il
coinvolgimento di variabili materiali ed immateriali, tra queste prima fra tutte le risorse umane soprattutto nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un’azienda operante nel
mondo dei servizi. Le trasformazioni organizzative non possono garantire il raggiungimento degli obiettivi prefissati se non accompagnate da adeguati percorsi di cresci-
50
ta, valorizzazione, formazione delle risorse umane. Si tratta di definizione di figure
professionali ad hoc in grado di supportare i processi di trasformazione oppure di
formazione ed accrescimento delle competenze necessarie a far funzionare al meglio
la nuova organizzazione. Il coinvolgimento delle risorse umane, oltre ad essere fonte
di efficacia di tali processi può aiutare a combattere le resistenze fisiologiche ai cambiamenti, sebbene dall’analisi emerga che nonostante la diffusa e capillare attività
formativa, le resistenza interne permangono verso l’introduzione di modelli innovativi
come l’IDC che scardina dalla radice i tradizionali principi di assistenza ospedaliera.
L’integrazione è garantita anche dal differente impiego e qualifica delle risorse umane. Tra queste, elementi fondamentali del modello IDC, come confermato dall’analisi
dei dati, c'è la figura dell’infermiere tutor che si presenta come il punto di riferimento
dell’attività assistenziale con una naturale evoluzione del suo ruolo in azienda insieme
al medico tutor, colui che dopo aver preso in carico il paziente ne diventa il responsabile dell’intero percorso clinico, con tutte le conseguenze del casi, anche in relazione
al rapporto con la famiglia. Ad essi si aggiunge il bed manager che diviene di fatto il
centro di coordinamento dell’intero flusso dei pazienti in entrata ed uscita dai percorsi
di ricovero, si presenta, difatti, come il punto al quale convergono tutte le richieste di
posti letto di ricovero. Queste figure professionali si presentano, in sostanza, come
elementi che favoriscono l’integrazione e che accompagnano l’effettivo superamento
della frammentazione tra i diversi reparti. Dall’analisi dei casi emerge che un’organizzazione che si basa sul superamento della divisione tra i reparti prevede l’adozione
di tali figure che, evidentemente, garantiscono lo sviluppo di processi IDC.
L’analisi per cluster, infine, ha permesso un'efficace segmentazione dei casi che ha
portato ad individuare gruppi di strutture sanitarie distinti in base al livello di propensione al modello. In particolare, sono stati individuati tre gruppi con profili distinti. Il
gruppo più numeroso (il 70% del campione) è stato definito quello degli “innovatori”
perché presenta un’elevata capacità di attivare un processo di cambiamento organizzativo utilizzando tutti gli strumenti necessari. Il secondo gruppo è quello dei “retorici”
(il 22% del campione), dove si osserva un atteggiamento più indefinito, caratterizzato
da una certa propensione – almeno in linea di principio - all’aderenza al modello accompagnata da una scarsa propensione in termini di adozione di strumenti e processi
e introduzione di cambiamenti organizzativi. Per ultimo, il gruppo dei “conservatori”,
il meno numeroso (l’8% del campione), invece, si distingue per una bassa propensione al modello e una bassa propensione a mettere in atto le azioni di cambiamento
che sarebbero richieste da un processo come l'IDC. Se si guarda a questi tre gruppi
di strutture nel loro insieme, si può notare come il processo IDC in Italia sia ancora
un fenomeno eterogeneo e poco diffuso - soprattutto se, congiuntamente, si considera
che soltanto il 24% delle strutture del campione ha già portato a termine la propria
riorganizzazione.
51
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
CONCLUSIONI
In questa sezione conclusiva saranno evidenziati i principali risultati del percorso di ricerca – teorico ed empirico – presentati e discussi in questo lavoro, così come le questioni
aperte che ancora richiedono un ulteriore approfondimento. Le riflessioni che seguiranno
non pretendono, perciò, di fornire risultati esaustivi sul tema dell’ospedale per intensità
di cura nel contesto italiano; si propongono, piuttosto, di contribuire ad ampliare gli orizzonti di ricerca rispetto a una questione sempre più discussa nel sistema sanitario italiano.
Come evidenziato nella prima sezione, la finalità generale che ha guidato il presente
lavoro è stata quella di fornire un contributo in merito alla conoscenza del fenomeno
dell’ospedale per intensità di cura in Italia, in un momento caratterizzato da esigenze
di contenimento e razionalizzazione (e razionamento) della spesa sanitaria. L’obiettivo della nostra ricerca nasce proprio alla luce di una riflessione sull’organizzazione
complessiva dell’ospedale che, in questo contesto, si è resa sempre più necessaria e
ha affrontato, nello specifico, il confronto tra il modello tradizionale di ospedale e il
modello alternativo rappresentato dall’ospedale per intensità di cura, filosofia organizzativa che riconosce la diversità del paziente in termini di complessità del quadro
clinico e dell’assistenza necessaria. In questo tipo di organizzazione, come emerge
dalla letteratura di riferimento, il bisogno di cura assume un ruolo centrale: ciò significa che i pazienti non vengono raggruppati per disciplina medica ma per intensità di
bisogno, ossia che pazienti con bisogni assistenziali assimilabili sono allocati in aree
omogene e non più in unità operative secondo la specialità. Si tratta, quindi, di un’organizzazione che segue una logica dissimile da quella imperante nella preponderanza degli ospedali italiani, al fine di organizzare l’attività ospedaliera, come descritto
in letteratura, così da portare benefici e vantaggi che interessano tanto il personale
sanitario quanto i pazienti, rimanendo in un’ottica di economicità.
In generale, il percorso di indagine intrapreso ha messo in luce come in Italia l’organizzazione per intensità di cura è di recente introduzione, a differenza di Paesi precursori
come Stati Uniti e Regno Unito, nei quali questo tipo di processo è già in atto da decenni. Inoltre, nel nostro Paese sembra non esistere un vero e proprio modello di ospedale
per intensità di cura condiviso e valido su tutto il territorio. Infatti, emerge un quadro di
grande eterogeneità relativamente alle strutture italiane coinvolte nell’applicare i processi di riorganizzazione IDC. In particolare, emerge una forte personalizzazione degli
strumenti adottati a supporto dell’IDC, tanto da rendere complicata l'identificazione di
un minimo comune denominatore che consenta il confronto tra le varie realtà. Dall’analisi dei dati emergono, infatti, soluzioni operative e organizzative poco omogenee
se confrontate con le diverse esperienze internazionali. E’ interessante notare come,
per più della metà del campione, la fonte d’ispirazione che orienta la riorganizzazione per intensità di cura sia da rintracciarsi nell’osservazione diretta di pratiche già
sperimentate in altre realtà ospedaliere, per lo più italiane anziché estere. Un altro
aspetto importante emerso dall’indagine è il differente grado di coinvolgimento delle
unità operative. In questo caso il campione si spacca in due gruppi di pari numerosità,
quello degli ospedali nei quali sono state coinvolte tutte le unità operative e quello in cui
sono state interessate solo alcune. In particolare è emerso che le specialità più coinvolte
sono la medicina interna, la chirurgia generale, l’urologia e la cardiologia. Passando
ai livelli di intensità, nonostante la letteratura di riferimento riconduca generalmente
a un modello per intensità di cura italiano basato su tre livelli per la collocazione dei
pazienti (livello 1: alta intensità; livello 2: media intensità; livello 3: bassa intensità)
dai dati raccolti emerge una disomogeneità nell’implementazione. Difatti, sono presenti
diverse articolazioni e declinazioni dei livelli cha vanno da 2 fino a 4, ma si mantiene
52
comunque una forte preferenza per un riassetto organizzativo a 3 livelli. Inoltre, a
conferma di tale disomogeneità, la distribuzione dei livelli di intensità di cura non solo
è differente tra ospedali di regioni diverse, ma anche all’interno della stessa regione.
Tale libertà di scelta e interpretazione da parte delle strutture nella messa in pratica di
questo genere di riorganizzazione sembra anche inserirsi perfettamente nell’assenza di
linee guida nazionali capaci di indirizzare le scelte delle strutture sanitarie in tema di
intensità di cura. Per quanto riguarda uno degli aspetti più caratterizzanti del modello,
ossia i criteri di allocazione dei pazienti ad un determinato livello di intensità di cura,
dai dati emerge che tali criteri, condivisi dalla letteratura di riferimento, sono nella maggior parte dei casi riconducibili all’instabilità clinica e alla complessità assistenziale ai
quali si aggiunge, talvolta, la durata della degenza.
Dai dati raccolti, è possibile osservare come le strutture del campione sembrino abbracciare pienamente gli elementi fondanti il modello concettuale per intensità di
cura, ovverosia il superamento dell’articolazione dell’ospedale per reparti e specialità
cliniche, l’organizzazione dell’attività secondo il livello di complessità assistenziale,
nonché l’effettiva condivisione delle risorse. Tuttavia, non mancano casi (solo tre tra
gli ospedali analizzati) in cui la presenza di tali elementi è totalmente assente, denotando così una scarsa aderenza al modello teorico di riferimento. Inoltre, l’implementazione di soluzioni organizzative per intensità di cura richiede anche la progettazione e l’esecuzione di interventi atti a rendere effettivamente operativo il modello
teorico. In questa prospettiva, pressoché in tutte le strutture sanitarie analizzate, sono
stati realizzati interventi strutturali che prevedono la ristrutturazione dell’edificio o creazioni ex novo, al fine di soddisfare le specifiche esigenze funzionali, organizzative
e logistiche alla base del modello organizzativo per intensità di cura.
Relativamente alle risorse immateriali messe in campo, le risorse umane e la formazione assumono un ruolo centrale all’interno dei processi di cambiamento organizzativo
e nell’orientare la cultura aziendale prevalente, permettendo l’integrazione delle professionalità esistenti in modo da consentire l’adozione di un modello condiviso. Dalle
evidenze a nostra disposizione, emerge che nella maggior parte dei casi è avvenuto
un cambiamento formale nell’organigramma delle aziende ospedaliere considerate
e che, insieme a questo cambiamento formale, c'è stato anche un cambiamento sostanziale: sono state introdotte le due figure tipiche del modello per intensità di cura,
rappresentate dal medico tutor – che viene assegnato al paziente al momento dell’accettazione e per tutta la durata della degenza – e dall’infermiere tutor – responsabile
dell’assistenza infermieristica del paziente affidatogli in base alle sue competenze
specifiche. In particolare, si osserva che le aziende sanitarie che hanno introdotto la
figura dell’infermiere tutor superano quelle che hanno introdotto la figura del medico
tutor e che non sempre, paradossalmente, vanno di pari passo, in quanto sono presenti casi in cui è stato introdotto l’uno ma non l’altro e viceversa; la maggior parte
delle strutture ha comunque introdotto entrambe le figure garantendo così una presa
in carico del paziente integrata nel rispetto delle singole e specifiche competenze.
Questo cambiamento deve essere sicuramente accompagnato anche da adeguati
percorsi di formazione delle risorse umane. Alla luce dei dati analizzati, infatti, la
formazione sembra ricoprire un ruolo chiave per l’avviamento di strategie di cambiamento organizzativo per IDC: la quasi totalità delle strutture ha realizzato corsi
di formazione ad hoc rivolti al personale interno e, specificatamente, in tutti i casi le
attività di formazione sono state rivolte al personale medico e infermieristico; per più
della metà dei casi è stato coinvolto anche il personale amministrativo. Per contro è
emersa anche la presenza di difficoltà e criticità attuative manifestate principalmente
dal personale medico, prima fra tutte, la resistenza e la paura dei professionisti dovu-
53
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
ta allo spaesamento nella perdita della propria routine.
Inoltre, dalla cluster analysis è emersa in modo chiaro la presenza di tre gruppi di
strutture sanitarie distinti in base al livello di propensione al modello organizzativo
per intensità di cura. Nello specifico, i tre gruppi sono caratterizzati da profili distinti.
Il gruppo più numeroso, definito degli “innovatori”, ha presentato un’elevata capacità
di attivare un processo di cambiamento organizzativo utilizzando tutti gli strumenti
necessari. Il secondo gruppo, quello dei “retorici”, dove si osserva un atteggiamento
più indefinito, è contrassegnato da una certa propensione all’aderenza al modello
accompagnata però da una scarsa propensione in termini di adozione di strumenti
e processi e introduzione di cambiamenti organizzativi. Per ultimo, il gruppo dei
“conservatori”, quello meno numeroso, che si è distinto per essere il meno incline sia
all’aderenza al modello, sia all’introduzione di cambiamenti organizzativi, sia all’adozione di strumenti e processi a supporto dell’organizzazione per intensità di cura.
Ciò che è emerso dal nostro percorso di indagine rappresenta una fotografia della realtà italiana. Restano però molte questioni aperte che sarebbe utile verificare in futuro con
approfondimenti e ulteriori ricerche volte a indagare se nel corso del tempo vi siano stati
cambiamenti e come l’assistenza all’interno degli ospedali considerati si stia evolvendo.
In particolare, l’organizzazione per intensità di cura si costituisce quale importante
banco di prova per il sistema sanitario nazionale e per i professionisti sanitari spesso
inseriti in contesti nei quali operano in modo isolato. Il nodo cruciale è dato dal processo di gestione di questa transizione e dal modo in cui essa verrà applicata nei singoli
ospedali. Tale transizione impone di abbandonare l’organizzazione tradizionale per
affidarsi a una cultura della condivisione professionale. In linea generale, potremmo
dire che ciò che viene richiesto dalla riorganizzazione IDC è un utilizzo innovativo delle
competenze già in essere con strumenti atti ad aumentare la capacità di integrarsi e di
lavorare in equipe multi-professionali per migliorare la capacità di presidiare il percorso
del paziente. Le diverse esperienze per intensità di cura prese in analisi nel corso della
ricerca fanno emergere un modello di intensità di cura adattato alla specificità della
struttura ospedaliera nella quale è stato applicato e, quindi, la sua realizzazione dipende dal contesto e non si sviluppa in modo lineare o predefinito.
In secondo luogo, viste le dimensioni non marginali del fenomeno oggetto di studio,
sarebbe auspicabile un maggiore interessamento da parte delle istituzioni, comprese
quelle centrali, per questo tipo di cambiamento in modo da poter disporre quanto
prima di strumenti che consentano una valutazione sistematica sull’IDC in Italia basandosi sulle evidenze a disposizione. Infatti, se da un lato è innegabile il carattere
innovativo di questo tipo di riorganizzazione, dall’altro l'impressione è che manchino
ancora gli strumenti atti a valutare gli outcome, a individuare eventuali difficoltà da
affrontare, così come a riconoscere le best practice, e una regia complessiva che guidi il cambiamento. I principali punti di forza e di debolezza dell’IDC schematizzati in
questo documento, sono interpretabili come pregi e difetti che mantengono un valore
soltanto meramente concettuale fino a che non vengono valutati attraverso appositi indicatori. Mancano inoltre informazioni circa la reale esperienza dei pazienti nonché
i dati riguardo al grado di adattamento dei professionisti interessati. Raccogliendo
in modo sistematico questo tipo di informazioni si getterebbero le basi per un vero e
proprio piano di valutazione dell’IDC che consentirebbe di ridurre al minimo l’aleatorietà dei risultati di una tale riorganizzazione e guiderebbe le strutture che vogliono
affrontare questo tipo di cambiamento con specifiche “linee guida”. Non va dimenticato che l’organizzazione per intensità di cura è un approccio che può richiedere un
cospicuo investimento di risorse per la formazione di figure professionali ad hoc e, talvolta, per i cambiamenti strutturali all’interno degli ospedali. Strumenti di valutazione
54
adeguati potrebbero essere utili anche a indirizzare nel modo più appropriato questo
genere di investimenti. Dallo stesso Ministero della Salute, nel quadro della valutazione complessiva delle strutture ospedaliere in Italia, emerge l’indicazione a muoversi
verso il superamento delle unità operative attraverso attività assistenziali organizzate
per intensità di cura. Infatti, con riferimento alla validità e qualità delle informazioni
dei sistemi informativi, il Direttore Scientifico del Programma Nazionale Esiti (PNE)
di Agenas, Marina Davoli, ha sottolineato l’importanza dei risultati delle valutazioni
degli ospedali, affermando che “si rende necessaria ed urgente l’adozione dei provvedimenti già previsti di integrazione delle informazioni […] di carattere clinico ed
organizzativo (tra cui l’identificativo dell’operatore) e l’interconnessione dei flussi informativi disponibili. Urge inoltre un adeguamento dei sistemi informativi esistenti alle
modifiche organizzative dei sistemi sanitari (attivazione di case della salute, reparti
di osservazione a breve intensità, superamento delle unità operative con attività assistenziali per intensità di cura, ecc.)”12. Anche se, dal punto di vista normativo, non è
stato ancora dato seguito a queste dichiarazioni, l’intenzione delle istituzioni sembra
essere chiara. Alla luce dei risultati delle nostre analisi, sembra però che alcune unità
operative siano state coinvolte più di altre nella riorganizzazione per IDC. Da qui
nasce l’esigenza di un approfondimento di questa indagine che, una volta individuati
gli ambiti specialistici più interessati dall’IDC, ne valuti l’implementazione per singola
specialità in collaborazione con le società scientifiche maggiormente interessate.
Infine, è importante indicare alcuni limiti dei quali è opportuno tenere conto per una
migliore valutazione dei risultati di ricerca illustrati e discussi nelle sezioni precedenti di questo lavoro. Il primo limite riguarda i dati raccolti che, sebbene siano
i più esaustivi a disposizione sull’argomento oggetto di studio, potrebbero essere
indubbiamente raccolti con tecniche di rilevazione più accurate e con un campione
statisticamente rappresentativo13. Infatti potrebbe essere migliorato anche il grado di
effettiva eleggibilità delle strutture sanitarie che ha determinato l’inclusione delle unità
della popolazione di riferimento. Per tutte le caratteristiche prese in esame la popolazione delle strutture che hanno dichiarato “sulla carta” di aver progettato, avviato
o concluso una riorganizzazione per intensità di cura può essere molto eterogenea.
Tuttavia è plausibile ritenere che la disponibilità di dati rilevati con un metodo rigoroso
non avrebbe portato a conclusioni molto diverse da quelle ottenute analizzando quelli
a nostra disposizione. Sarebbe sicuramente interessante verificare con una seconda
rilevazione se, in un periodo di forte cambiamento come quello che stiamo vivendo,
l’intensità del fenomeno abbia subito qualche variazione sostanzialmente rilevante.
Un secondo limite di questo studio riguarda le analisi effettuate che si sono concentrate prevalentemente – ad esclusione della cluster analysis – su frequenze assolute e
frequenze percentuali tracciando un quadro generale del fenomeno, delle sue princi12. Dichiarazione di Marina Davoli in occasione della Presentazione del Piano Nazionale
Esiti (PNE) 2014, che si è svolta a Roma, presso l'Auditorium Lungotevere Ripa, il 20
ottobre 2014.
13. Non si tratta tanto del numero di strutture necessario per ottenere un campione rappresentativo quanto dell’appropriato metodo di campionamento utilizzato perché, quando applicato il metodo corretto, il margine di errore dovuto al campionamento sarà
sempre inferiore al 3% circa. Il calcolo della dimensione del campione è complesso
e, soprattutto, richiede la conoscenza di informazioni quali la varianza e l'ampiezza
desiderata dell'intervallo di confidenza. Nel nostro caso non solo non è stato possibile
conoscere queste informazioni ma è stato necessario procedere con un campionamento
per quote che è approssimativamente assimilabile al disegno probabilistico stratificato,
solo se si accetta l'assunto che dentro ogni quota le strutture rappresentino un campione
casuale dell'intera popolazione di riferimento.
55
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
pali caratteristiche e della sua intensità. Il livello analitico descrittivo ha così permesso
di indagare puntualmente l’intensità di cura in Italia, fenomeno del quale, fino ad
oggi, non si conosceva la reale diffusione e implementazione nelle strutture sanitarie
italiane. Tuttavia, con un campione rappresentativo e con una maggiore numerosità di
strutture rispondenti, sarebbe stato possibile approfondire ulteriormente le analisi per
ottenere un grado maggiore di dettaglio e risultati più esaustivi.
56
APPENDICE
57
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
IL QUESTIONARIO
SEZIONE 1 –ASPETTI GENERALI (1-13)
1
Il processo di OIC presso la sua struttura risulta:
FF in fase progettuale
FF in fase di realizzazione
FF concluso
2. Anno di avvio 
3. Anno di conclusione 
4. L’OIC è riconducibile ad un’iniziativa:
FF aziendale (ASL/AO) FF regionale
5. Per l’OIC è previsto un finanziamento ad hoc?
FF SI (proseguire con la domanda n. 6)
FF NO (proseguire con la domanda n. 7)
6. Indicare la fonte del finanziamento:
FF aziendale
FF regionale
7. La sua struttura fa capo a più presidi?
FF SI (procedere con la domanda n.8)
FF NO (procedere con la domanda n.9)
8. Tutti i presidi della sua struttura sono stati coinvolti dall’OIC?
FF SI
FF NO
9. L’OIC ha interessato tutte le aree e le UU.OO.?
FF SI (proseguire con la domanda 12)
FF NO (proseguire con la domanda 10)
10. Indicare le aree coinvolte (risposta multipla):
FF Medicina
FF Chirurgia
FF Emergenza e urgenza
FF Riabilitazione e lungodegenza
58
11. Indicare le specialità / UU.OO.
coinvolte (risposta multipla):
FF Pensionanti
FF Pneumologia
FF Allergologia
FF Psichiatria
FF Angiologia
FF Radioterapia
FF Astanteria
FF Recupero e riabilitazione
FF Cardiochirurgia
FF Reumatologia
FF Cardiochirurgia pediatrica
FF Terapia intensiva
FF Cardiologia
FF Ter.intensiva neonatale
FF Chirurgia generale
FF Tossicologia
FF Chirurgia maxillo facciale
FF Unità coronarica
FF Chirurgia pediatrica
FF Unità spinale
FF Chirurgia plastica
FF Urologia
FF Chirurgia toracica
FF Allergologia
FF Chirurgia vascolare
FF Angiologia
FF Cure palliative/hospice
FF Astanteria
FF Dermatologia
FF Cardiochirurgia
FF Ematologia
FF Cardiochirurgia pediatrica
FF Gastroenterologia
FF Cardiologia
FF Geriatria
FF Chirurgia generale
FF Grandi Ustioni
FF Chirurgia maxillo facciale
FF Immunologia
FF Chirurgia pediatrica
FF Malattie endocrine
FF Chirurgia plastica
FF Malattie infettive e tropicali
FF Chirurgia toracica
FF Medicina del lavoro
FF Chirurgia vascolare
FF Medicina generale
FF Cure palliative/hospice
FF Medicina nucleare
FF Dermatologia
FF Nefrologia
FF Ematologia
FF Nefrologia (abil. trapianto)
FF Gastroenterologia
FF Neonatologia
FF Geriatria
FF Neuro-riabilitazione
FF Grandi Ustioni
FF Neurochirurgia
FF Immunologia
FF Neurochirurgia pediatrica
FF Malattie endocrine
FF Neurologia
FF Malattie infettive e tropicali
FF Neuropsichiatria Infantile
FF Medicina del lavoro
FF Oculistica
FF Medicina generale
FF Odontoiatria e stomatologia
FF Medicina nucleare
FF Oncoematologia pediatrica
FF Nefrologia
FF Oncologia
FF Nefrologia (abil. trapianto)
FF Ortopedia e traumatologia
FF Neonatologia
FF Ostetricia e ginecologia
FF Neuro-riabilitazione
FF Otorinolaringoiatria
FF Neurochirurgia
FF Pediatria
FF Neurochirurgia pediatrica
59
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
FF Neurologia
FF Pneumologia
FF Neuropsichiatria Infantile
FF Psichiatria
FF Oculistica
FF Radioterapia
FF Odontoiatria e stomatologia
FF Recupero e riabilitazione
FF Oncoematologia pediatrica
FF Reumatologia
FF Oncologia
FF Terapia intensiva
FF Ortopedia e traumatologia
FF Ter.intensiva neonatale
FF Ostetricia e ginecologia
FF Tossicologia
FF Otorinolaringoiatria
FF Unità coronarica
FF Pediatria
FF Unità spinale
FF Pensionanti
FF Urologia
12. L’OIC ha previsto interventi strutturali?
FF SI (Proseguire con la domanda 13)
FF NO (Proseguire con la domanda 14)
13. Gli interventi strutturali prevedono o hanno previsto:
FF la costruzione di un nuovo presidio
FF la costruzione di nuove parti di un presidio esistente
FF la ristrutturazione del presidio esistente
SEZIONE 2 – IL MODELLO IMPLEMENTATO (14-24)
14. Cosa intende per OIC alla luce dell’esperienza della sua struttura (risposta multipla):
FF superamento dell’articolazione dell’ospedale per reparti e specialità cliniche
FF condivisione delle risorse tra diversi reparti e unità operative
FF rafforzamento della struttura organizzativa dipartimentale
FF organizzazione dell’attività secondo il livello di complessità assistenziale
15. La riorganizzazione per intensità di cura si ispira ad un modello:
FF presente in letteratura
FF adottato in altri ospedali italiani
FF adottato in ospedali esteri
FF tutte le precedenti
16. Quante aree/livelli differenziate/i di degenza sono previsti?
FF 2 livelli
FF 3 livelli
FF 4 livelli
60
17. Il paziente è assegnato a un diverso livello in funzione di(risposta multipla):
FF livello di instabilità clinica (associata a determinati parametri fisiologici)
FF livello di complessità assistenziale (medica ed infermieristica)
FF durata della degenza
18. Il livello a cui è assegnato il paziente è differenziato in funzione di (risposta
multipla):
FF tecnologie disponibili
FF qualità e competenze del personale
FF quantità del personale
19. Chi ricopre il ruolo di “filtro” gestendo l’ingresso del paziente e decidendo la
sua allocazione nel livello?
FF il medico del Pronto Soccorso
FF un medico dedicato
FF il tutor medico all’interno del Pronto Soccorso
FF il tutor infermiere all’interno del Pronto Soccorso
20. Il medico di reparto partecipa alla fase di accettazione?
FF SI
FF NO
21. Con l’OIC, sono stati introdotti nuovi protocolli e linee guida condivise?
FF SI
FF NO
22. Il modello per intensità di cura prevede/ha previsto (risposta multipla):
FF la condivisione cartella clinica
FF un adattamento dei sistemi informativi
FF un adattamento dei sistemi di audit
23. La sua struttura ha adottato / prevede di adottare strumenti e metodi di Lean
Strategy o Lean Management o Lean-Six Sigma?
FF SI (Proseguire con la domanda 24)
FF NO (Fine dell’intervista)
24. L’adozione di strumenti e metodi Lean è avvenuta o si prevede che avverrà:
FF prima della riorganizzazione per intensità di cura
FF in concomitanza con l’OIC
FF dopo l’OIC
61
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
SEZIONE 3 – ASPETTI ORGANIZZATIVI (25 – 33)
25. L’OIC ha previsto corsi di formazione ad hoc
FF SI (proseguire con la domanda n. 26)
FF NO (proseguire con la domanda n. 27)
26. I corsi di formazione hanno interessato personale (risposta multipla):
FF medico
FF infermieristico
FF amministrativo
27. L’OIC ha introdotto cambiamenti organizzativi a livello formale
FF SI
FF NO
28. L’OIC prevede l’introduzione di un infermiere responsabile del percorso del
paziente (es. Infermiere Tutor)?
FF SI
FF NO
29. L’OIC prevede o prevederà la presenza di un medico responsabile del percorso
del paziente (es. Medico Tutor)?
FF SI
FF NO
30. L’OIC ha determinato l’inserimento di altre figure ad hoc:
FF SI (Proseguire con la n. 31)
FF NO (Proseguire con la n. 32)
31. Indicare quali figure sono state inserite:
FF Bed manager
FF Flow manager
FF Operations manager
32. L’OIC incontra o ha incontrato resistenze:
FF SI (Proseguire con la domanda 33)
FF NO (Fine questionario)
33. Se SI, da parte di chi (risposta multipla):
FF Personale medico
FF Personale infermieristico
FF Pazienti
Contatto invio risultati
FF E-mail
62
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
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civile di Legnano secondo il modello hub e spoke e per intensità di cura”,
Organizzazione Sanitaria,3.
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PUBBLICAZIONI DEL CENTRO STUDI
ASSOBIOMEDICA
ANALISI
N. 0 Lo stato di attuazione della Riforma del SSN - Luglio 1995
N. 1 La manovra finanziaria 1997 - Febbraio 1997
N. 2 Lo stato di attuazione della Riforma del SSN - Primo aggiornamento Maggio 1997
N. 3 Appalti pubblici di forniture al SSN - Dicembre 1997
N. 4 La manovra finanziaria 1998 - Febbraio 1998
N. 5 Lo stato di attuazione della Riforma del SSN. Secondo aggiornamento Settembre 2000
N. 6 La manovra finanziaria 2001. Legge di Bilancio di previsione 2001-2003,
e avvio del Federalismo fiscale - Febbraio 2001
N. 7 Cosa attende la Sanità nel triennio 2002-2004 e negli anni successivi Gennaio 2002
N. 8 I sistemi tariffari per le prestazioni di assistenza ospedaliera. Un esame
della normativa nazionale e regionale in vigore - Settembre 2003
N. 9 I sistemi tariffari per le prestazioni di assistenza ospedaliera. Un esame
della normativa nazionale e regionale in vigore. Primo aggiornamento Aprile 2005
N. 10 I sistemi tariffari per le prestazioni di assistenza ospedaliera. Un esame della normativa nazionale e regionale. Secondo aggiornamento Giugno 2010
N. 11
La mobilità sanitaria per la sostituzione della valvola aortica e la neurostimolazione cerebrale - Luglio 2011
N. 12
La disomogeneità nei livelli di assistenza specialistica ambulatoriale tra i
servizi sanitari regionali - Dicembre 2011
N. 13
Il Federalismo sanitario: la gestione del SSN nel nuovo assetto di federalismo fiscale - Aprile 2012
N. 14
L’impatto della manovra sanitaria 2012-2014 sul settore dei dispositivi
medici - Settembre 2012
67
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
N. 15
Prime considerazioni sui prezzi di riferimento pubblicati dall’Avcp in data 1
Luglio 2012 - Ottobre 2012
N. 16
I sistemi tariffari per le prestazioni di assistenza ospedaliera. Un esame della normativa nazionale e regionale. Terzo aggiornamento - Dicembre 2012
N. 17
L’impatto della manovra sanitaria 2012-2014 sul settore dei dispositivi medici. Testo aggiornato dopo l’approvazione della Legge di Stabilità 2013 Gennaio 2013
N. 18 Primo aggiornamento dell’analisi sull’impatto della manovra sanitaria 2012-2014 sul settore dei dispositivi medici. Testo aggiornato dopo
l’approvazione della Legge di Stabilità 2013 - Aprile 2013
N.19
Analisi della normativa sull’accesso ai dispositivi per persone con diabete.
Quantitativi, prescrizione e distribuzione di dispositivi medici per l’autocontrollo e l’iniezione di insulina - Novembre 2013
N. 20 Le patologie valvolari. Analisi della mobilità, complessità e appropriatezza Marzo 2014
N. 21 La remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera. Analisi della
normativa nazionale e regionale - Marzo 2014
N. 22 La remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale
- Analisi della normativa nazionale e regionale - Luglio 2014
N. 23 Il quadro economico e finanziario 2009−2018. Dal servizio sanitario nazionale alla spesa pubblica in dispositivi medici - Dicembre 2014
N. 24 L'ospedale per intensità di cura. Quadro concettuale di riferimento e analisi
della realtà italiana - Dicembre 2015
GUIDE PRATICHE
N. 1 Imposta di bollo. Regime degli atti e dei documenti nella fase di acquisizione di beni e servizi da parte delle aziende sanitarie - Marzo 1998
N. 2 Linee guida per la gestione di consulenze, convegni, congressi degli operatori della Sanità pubblica - Dicembre 1998
N. 3 Linee guida per la gestione dei dispositivi medici in applicazione della
Direttiva 93/42/CEE e della relativa legislazione nazionale di recepimento
(D.Lgs. 46/97 e succ. modifiche) - Marzo 1999
N. 4 Direttiva europea 98/79/CE sui dispositivi medici per diagnostica in vitro Aprile 1999
68
N. 5 Semplificazione amministrativa. D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445: Testo
unico in materia di documentazione amministrativa. (Dal documento cartaceo, al documento informatico) - Maggio 2001
N. 6 Dalla Lira all’Euro. Linee guida F.A.R.E., Assobiomedica e Farmindustria Settembre 2001
N. 7 Semplificazione amministrativa. D.P.R. 28 dicembre 2002 n. 4445 Testo
unico in materia di documentazione amministrativa. Primo aggiornamento.
E-procurement le gare elettroniche delle P.A. - Dicembre 2002
N. 8 Il sistema di vigilanza per i dispositivi medici - Marzo 2003
N. 9 La Direttiva 98/79/CE sui dispositivi medico diagnostici in vitro: domande
e risposte - Aprile 2004
N.10 Direttiva 2004/18/CE del Parlamento e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di
forniture e di servizi - Luglio 2004
N.11 I rapporti dell’impresa con gli operatori della Sanità pubblica: convegni,
congressi, consulenze, omaggi - Febbraio 2005
N.12 Rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Schema di
decreto attuativo 2002/96/CE e 2002/95 CE (RAEE & RoHS) - Maggio
2005
N.13
Il sistema di vigilanza per i dispositivi medici e i dispositivi medico-diagnostici in vitro. Linee guida desunte dal documento della Commissione europea MEDDEV 2.12-1 rev. 6 (Dicembre 2009) - Gennaio 2011
OSSERVATORIO TECNOLOGIE
N. 1 I dispositivi impiantabili per la Cardiostimolazione - Ottobre 2002
N. 2 La Chirurgia laparoscopica - Ottobre 2002
N. 3 Protesi ortopediche. Considerazioni sulla regolamentazione, biomeccanica
e materiali - Febbraio 2003
N. 4 La prevenzione delle ferite accidentali da aghi e dispositivi taglienti Aprile 2004
N. 5
Medicazioni e bendaggi - Marzo 2007
69
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
N. 6
Tecnologie sanitarie emergenti nel settore dei dispositivi medici Dicembre 2011
STUDI
N. 1 La spesa sanitaria, la Diagnostica di laboratorio e il mercato delle tecnologie - Settembre 1996
N. 2 I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 1997 e
anni precedenti - Marzo 1998
N. 3 Osservatorio Prezzi e politiche regionali di “acquisto al prezzo minimo” Aprile 1998
N. 4 Dispositivi per Stomia - Febbraio 1999
N. 5 La spesa sanitaria, la Diagnostica di laboratorio e il mercato delle tecnologie. Primo aggiornamento - Giugno 1999
N. 6 Ausili assorbenti per Incontinenza - Maggio 2000
N. 7 Medicazioni avanzate e medicazioni speciali - Ottobre 2000
N. 8 La spesa sanitaria, la Diagnostica di laboratorio e il mercato delle tecnologie.
Secondo aggiornamento - Ottobre 2000
N. 9 Protesi mammarie esterne - Novembre 2000
N. 10 Dispositivi per Incontinenza e ritenzione - Maggio 2001
N. 11 La Brachiterapia - Maggio 2001
N. 12 I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2000 e
anni precedenti - Giugno 2001
N. 13 Protesi mammarie esterne - Primo aggiornamento - Giugno 2001
N. 14 Recepimento della direttiva 2000/35/CE e tempi medi di pagamento delle
strutture sanitarie pubbliche - Novembre 2002
N. 15 Il Vaccino antiallergico - Gennaio 2003
N. 16 La Dialisi - Marzo 2003
N. 17 Medicazioni avanzate e medicazioni speciali. Primo aggiornamento Marzo 2003
70
N. 18 Il Vaccino antiallergico. Primo aggiornamento. L’immunoterapia allergene
specifica - Settembre 2004
N. 19 La crisi finanziaria del Servizio sanitario e i tempi medi di pagamento delle
strutture sanitarie pubbliche - Marzo 2005
N. 20 I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2005
e anni precedenti - Giugno 2006
N. 21 Aghi e siringhe - Febbraio 2007
N. 22
Lancette pungi dito e aghi penna per insulina - Ottobre 2008
N. 23
I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2010
e anni precedenti - Marzo 2011
N. 24
I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2011
e anni precedenti - Aprile 2012
N. 25
I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche. Dati 2012
e anni precedenti - Marzo 2013
N. 26 Le politiche pubbliche d’acquisto di dispositivi medici - Dicembre 2013
N. 27 Turchia - studio realizzato dall’ufficio di Istanbul dell’ICE-agenzia, su incarico
e con la collaborazione di Assobiomedica - Marzo 2014
N. 28
I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche e private
- Aprile 2014
N. 29
Malattia allergica e immunoterapia specifica con allergeni (ait) - Ottobre
2014
N. 30
Le politiche pubbliche d’acquisto di dispositivi medici - Marzo 2015
N. 31
I tempi medi di pagamento delle strutture sanitarie pubbliche e private. Dati
2014 e anni precedenti - Maggio 2015
N. 32 Il parco installato delle apparecchiature di diagnostica per immagini in Italia: lo stato dell’arte tra adeguatezza, obsolescenza e innovazione in un’ottica di sostenibilità del sistema - Novembre 2015
TEMI DI DISCUSSIONE
N. 1 Spesa sanitaria e mercato delle tecnologie: verso un modello previsionale Dicembre 1996
71
L’OSPEDALE PER INTENSITÀ DI CURA
N. 2 Le proposte di Confindustria per una nuova Sanità - Settembre 1997
N. 3 Scenari e tendenze per il settore delle tecnologie biomediche e diagnostiche Ottobre 1997
N. 4 Progetto Sanità Confindustria. Secondo rapporto - Gennaio 1999
N. 5 L’impatto economico dell’evoluzione tecnologica: aspetti di valutazione Febbraio 1999
N. 6 E-business in Sanità - Marzo 2001
N. 7 Il mercato dei dispositivi medici: profilo e aspetti critici - Aprile 2001
N. 8 Il mercato dei dispositivi medici: profilo e aspetti critici. Primo aggiornamento Ottobre 2002
N. 9 Health Technology Assessment in Europa - Giugno 2003
N. 10 Scenari per il settore della Diagnostica in vitro - Dicembre 2003
N. 11 La Telemedicina: prospettive ed aspetti critici - Marzo 2005
N. 12 Il mercato dei dispositivi medici. Profilo del settore ed aspetti critici.
Secondo aggiornamento - Luglio 2006
N. 13
Mappatura dei meccanismi di HTA regionali in Italia - Novembre 2012
N. 14
Il governo dell’innovazione nel settore dei dispositivi medici - Marzo 2014
N. 15
Modelli organizzativi di trasferimento tecnologico - Aprile 2014
N. 16
I dispositivi per la persona con diabete: terapia insulinica con microinfusore
e monitoraggio continuo della glicemia - Settembre 2015
N. 17 La diagnostica di laboratorio. Rassegna sistematica della letteratura Dicembre 2015
72
I dati e le informazioni di cui al presente documento possono essere trascritte da terzi
alla condizione che venga citata la fonte:
Glorioso V., Guennouna Z., Massaro F., Tamborini V., Bacci A., Giovannoni E., Nardiello A., L’ospedale per intensità di cura. Quadro concettuale di riferimento e analisi
della realtà italiana. Centro studi Assobiomedica, Analisi 24, Dicembre 2015.
ASSOBIOMEDICA CENTRO STUDI
Via Marostica, 1 - 20146 Milano - Tel. 02.34531165 - Fax 02.34592072
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