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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da IO DONNA del 25/5/13, <<STORIE DI POVERTÀ NON DI VERGOGNA>> di
Aldo Cazzullo, giornalista.
Per la lettura completa del pezzo si rinvia al settimanale citato.
Sono quelle di Juri, Micaela, Daniel.
E di tutti i 14mila
minori coinvolti dai progetti lanciati in Italia da Save the
Children.
Perché ora è qui da noi che c’è bisogno di combattere
per dare un futuro ai bambini.
Siamo stati nelle borgate di Roma
e nei bassi di Napoli e abbiamo scoperto l’importanza .. di fare
gli gnocchi insieme
Marianna ha 40 anni, cinque figli e poche centinaia di euro
al mese per mantenerli.
La casa se l’è costruita da sé, insieme con il suo compagno,
che lavora come fornaio.
Vivono nell’estrema periferia romana, a Rocca Cencia.
Uno
di quei luoghi dove, come dice Papa Francesco, bisogna andare.
Mobili riciclati, una tenda a ritagliare una "stanza" tutta
per il primogenito, Nicholas, 18 anni, che cerca lavoro come
meccanico.
Il più piccolo è Khristopher, 4 anni.
Suo fratello Juri, 6
anni, un bellissimo bambino dagli occhi grigi, fatica a parlare;
sua sorella Samantha, 16 anni, vuole studiare da logopedista, per
aiutarlo.
Tatiana, 14 anni, si è iscritta all’alberghiero.
La loro è una povertà dignitosa e laboriosa, per il poco
lavoro che si riesce a trovare.
Siamo nello Spazio Mamme di Tor Vergata.
A poche centinaia
di metri ci sono l’università, il teatro, la fermata della metro.
I romani del centro e gli studenti arrivano e ripartono senza
giungere qui, nel cuore della borgata.
Save the Children ha aperto un centro insieme con Il
Melograno, una tra le associazioni no profit più attive.
Lorena, la signora che lo dirige, grazie a donazioni private
sta allestendo un piccolo parco.
C’è il pediatra che cura i bambini malati, il nutrizionista
che spiega alle madri come cucinare con poco.
Oggi si fanno gli
gnocchi, tutti insieme.
Non è un posto triste, anzi è pieno di
vita, di grida dei piccoli, di adulti che sono diventati amici.
Samantha vive in un’altra borgata, Tor Bella Monaca.
Lavora
in una cooperativa di pulizie.
Dimostra più dei suoi 36 anni.
Nella carrozzina ha il suo ultimo bambino, nato da otto
giorni.
L’ha chiamato Justin Liam, nome scelto ascoltando la tv.
Tutti i nomi citati sono veri, non di fantasia, scritti nella
grafia con cui sono registrati all’anagrafe.
I genitori ci hanno autorizzati a scriverli, perché spiegano- le loro sono storie di povertà, non di vergogna.
Justin Liam ha tre fratelli: Jeimi di 16 anni, Michele ("il
nome non l’ho scelto io" sorride la mamma) di 13, Kevin di 10.
Sono 14 mila i minori aiutati dal progetto lanciato da Save
the Children in collaborazione con Enel Cuore Onlus e quattro
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organizzazioni attive sul territorio: oltre al Melograno a Roma,
Vides Main a Torino, L’Orsa Maggiore e Pianoterra a Napoli.
Un’unità mobile raggiunge i quartieri a rischio delle città,
per sensibilizzare le famiglie sul tema dell’alimentazione sana e
per prendere in carico i bambini in condizione di grave povertà.
Si cerca di far incontrare le mamme, assisterle con i buonipasto ma soprattutto aiutarle a essere autonome.
Si lavora al coordinamento con i Comuni.
Si intercettano le madri nei reparti di maternità degli
ospedali, da dove escono con il piccolo ma spesso senza mezzi per
mantenerlo.
Si tenta di sostenere prima l’allattamento materno, poi lo
svezzamento: chi non ha soldi per gli omogeneizzati impara a usare
alimenti freschi, frutta, verdura.
E in questi giorni parte "Allarme infanzia", la campagna a
sostegno dei minori a rischio.
NUOVE CAMPAGNE
"Avere ‘na fija è come avere la peste. Appena dici che sei
mamma te dicono ciao.
Vivo di lavori saltuari.
Lascio le bimbe al nido, in ludoteca o qui.
Non voglio
andare in una casa famiglia". (Monica)
Comfort è una nigeriana di rara bellezza.
Ha 34 anni e un
figlio di 4 anni e due mesi, Daniel.
È entrata in Italia da clandestina, dopo un viaggio
attraverso il deserto e il mare.
Ha lavorato come donna delle
pulizie, baby-sitter, colf, badante, giardiniera.
Il padre di Daniel l’ha abbandonato.
Molti bambini che si
incontrano qui a Tor Vergata sono senza papà.
È un fenomeno che non riguarda solo gli immigrati.
La
coesione sociale si sfalda.
Scene che siamo soliti collegare
alla società americana si ripetono anche da noi.
L’uomo che apre
il fuoco contro i simboli dello Stato o che afferra un piccone per
aggredire i passanti.
È anche, mutato il molto che c’è da mutare, l’uomo che si
sottrae alle sue responsabilità e lascia la madre dei suoi figli
da sola con la miseria.
Quando Save the Children fu fondata, nel 1919, l’Italia
uscita dalla Grande Guerra era tra i Paesi poveri da assistere.
Con il tempo e lo sviluppo industriale, siamo diventati un
Paese donatore.
Ma con la crisi economica e le sue ricadute sociali siamo
tornati a essere destinatari di aiuto.
Nel frattempo è nata una rete di 140 operatori e 600
volontari: italiani al servizio di altri italiani.
Monica ha 27 anni.
Per mano ha Micaela, 5 anni, e Mya, 16
mesi.
«L’ho chiamata così per via del canale tv.
Ma soprattutto
perché è figlia mia, soltanto mia.
Io l’ho voluta, io l’ho
tenuta, io l’ho messa al mondo, io devo mantenerla.
Ho sempre
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fatto la barista: alla Romanina, a Centocelle, qui a Tor Vergata e
a Cinecittà, il mio quartiere.
Adesso però nessuno mi vuole più.
Avere ‘na fija è come avere la peste.
Appena dici che sei mamma
te dicono ciao.
Così vivo di lavori saltuari.
Lascio le
bambine al nido, in ludoteca, o qui, da Lorena.
Non voglio
andare in una casa famiglia».
A Napoli gli spazi mamme sono due.
A San Domenico maggiore,
tra i bassi.
E a Pianura, vicino a Soccavo, dove si allenava il
Napoli di Maradona e dove ora è sorto un centro specializzato
nell’accogliere madri adolescenti.
C’è una nonna, Maria, di 38 anni.
E questo è invece un
ritorno al passato, a quando nell’Italia preindustriale ci si
sposava presto, le donne rinunciavano alla giovinezza, la
mortalità e l’analfabetismo infantili erano alti.
La priorità di Save the Children a Napoli (ma anche a Torino)
è la lotta contro l’abbandono della scuola.
C’è un bambino che
dice di non aver ancora scelto: «Da grande voglio fare l’omm e
miezz’a via, l’uomo di strada, oppure il poliziotto».
La sua scelta non ci è estranea.
Ci riguarda.
La battaglia contro la povertà è appena cominciata.
Dal suo esito dipende non solo la sicurezza sociale, ma anche
la serenità della nostra coscienza.