Maddaloni Stella "come Giosino si maritò"

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Maddaloni Stella "come Giosino si maritò"
RACCONTI DI VITA VISSUTA
COME GIOSINO SI MARITO’
Giuseppe Catalano, conosciuto come “Giosinu u longu’’ per via del suo
metro e settanta, ritornava stanco e affamato verso Zagarise, dopo avere
trascorso un’estenuante settimana a pascolare, mungere pecore e capre e a
preparare formaggi e ricotte ‘nfiscegliate.
Era il 3 maggio 1947 e proprio quel giorno compiva ventisei anni. Già da
sei, lavorava per conto di Domenico Parrotta detto Mastru Micu e ogni
mese riceveva come paga nu tumulu, na pisa, u cucinaturu e ra
prependa. Inoltre, a partire da Pasqua e fino al 16 luglio, gli spettava una
mezza ricotta e qualche pezzo di formaggio di tanto in tanto specie quando
u patrune avia ra bona… Certo la fatica era tanta ed il riposo poco, un
solo giorno a settimana, ma almeno non moriva di fame come alcuni amici
suoi.
Questi erano i pensieri di Giosinu mentre, a cavallo delle mula di suo
padre, trottava con sguardo fiero verso la sua casa e intanto pregustava la
zuppa di ceci e patate bollite che sua madre Angiolina avrebbe
sicuramente preparato per lui…
Quando arrivò nel cortile di casa sua, mentre si apprestava a chiudere la
mula nella stalla, sentì delle voci non familiari e capì che i suoi avevano
visite. Ma chi erano quegli scocciatori? Il suo stomaco rumbava sempre
più forte …
Entrato in casa scorse i suoi genitori, la zia Lina e ra cummari Michelina.
I quattro lo squadrarono dalla testa ai piedi; dalle loro bocche uscivano
mezze frasi e risolini allusivi di un qualcosa che il ragazzo non riusciva a
comprendere. Educatamente salutò tutti e s’assettò.
“Senti ccà Giosinè, t ‘avimo e parrare. Ormai si n’ominu e t’hai e
sistemare!’’ disse sua madre.
Il padre annuiva severamente.
La comare continuò: “Ominu sulu è senza futuru’’.
Il padre continuava ad annuire.
Riprese Angiolina “Giosinè, fidati e mia chè vogghiu sulu u bene toi”.
Il padre scuoteva affermativamente la testa.
Intervenne la zia dicendo: “Haiu pensatu a na guagliuna. E’ seria, è
pulita ed essendu figghia unica prima o poi a rrobba resta ad iglia…’’.
Il padre questa volta parlò: “E’ deciso!’’.
Giosinu li guardò confuso e un po’ stordito ma, abituato all’obbedienza, si
limitò a chiedere: “ Ma come si chiama la mia futura moglie?’’.
Da quel momento ebbe inizio un periodo piuttosto concitato caratterizzato
da tanti discorsi e molteplici propositi. Alla fine fu deciso che Giosinu si
sarebbe dichiarato il 13 giugno, in modo da ottenere la protezione di
Sant’Antonio.
A Zagarise il fidanzamento tra due giovani avveniva nel rispetto di una
prassi tutta particolare.
L’uso più diffuso di chiedere la mano ad una ragazza era quello della
“zucchiata’’. Il giovane pretendente si procurava un grosso ceppo di
castagno o di quercia e sullo stesso incideva il suo nome; quindi andava a
collocarlo sull’uscio di casa della ragazza. Poi, dopo avere bussato alla
porta, correva a nascondersi poco distante in un posto da dove comunque
potesse capire la reazione. La mamma della fanciulla, cui solo spettava di
aprire la porta, affacciandosi e vedendo quel legno, ne interpretava la
provenienza. Dopo essersi consultata con il marito, se riteneva di accettare
la proposta, portava il ceppo all’interno della propria abitazione per poi
affacciarsi e pronunciare ad alta voce queste parole: “Chine zucchiau a
figghia mia, ma vene e ma sa pia’’. In tal caso, il giovane, felice, usciva
fuori dal suo nascondiglio ed entrava nell’abitazione dei futuri suoceri per
stabilire i primi contatti. Se invece la dichiarazione non fosse stata gradita,
la mamma della ragazza respingeva il legno facendolo ruzzolare per la
strada. Se si verificava questa ipotesi al giovane non restava altro che
raccogliere il ceppo, riportarselo a casa e bruciarlo per cancellare ogni
traccia del rifiuto.
Giosinu ovviamente non fece eccezione e si preparò ad attuare il rituale.
Tagliò un grosso ceppo di quercia, che ritenne legno più pregiato del
castagno, vi incise il suo nome e, in segno di gentilezza, anche dei garbati
disegni. Poi, dopo che fu scesa la sera, se lo strinse al petto e con fatica lo
depose sull’uscio di casa della prescelta.
Bussò due volte e corse via più in fretta che poté rischiando di rompersi il
collo. Si sentiva il cuore in gola e tremava tutto per la paura e l’eccitazione
tanto da temere che i battiti impazziti del suo cuore gli impedissero di
sentire il sospirato ritornello.
Ad un tratto scorse un’ombra che si muoveva lenta e intravide la luce
tremolante di una candela. “Stanno leggendo il nome”, pensò. Allungò il
collo e tese le orecchie pronto ad ascoltare anche il più piccolo bisbiglio
ma, quel che udì furono i tonfi sordi e pesanti del grosso legno che
ruzzolava dalle scale.
A Giosinu, dettu “ u longu’’, non restò che recuperare il ciocco e
tornarsene mesto mesto a casa.
Il gruppetto che aveva mosso le fila dell’intera faccenda, vedendolo
rientrare con l’espressione di un cane bastonato, non ebbe bisogno di
alcuna spiegazione. Le donne si congedarono silenziosamente, Giosinu
saltò sulla mula e partì verso la campagna dove lavorava. Nel frattempo a
casa della fanciulla, tale Mariuzza Gallelli, era in corso un’animata
discussione. La ragazza infatti, era stata piacevolmente sorpresa dalla
proposta di matrimonio del giovane anche perché , a 25 anni compiuti si
sentiva già destinata ad un futuro di zitella e la prospettiva non le risultava
affatto allettante. Inoltre conosceva di vista Giosinu e non gli dispiaceva
affatto. Ovviamente, per non passare da scostumata, evitò di far conoscere
ai suoi questo pensiero e tentò invano di elogiare il ragazzo definendolo un
gran lavoratore. La madre invece continuava a ripetere: “Figghiaré, u dè
bonu ppè ttia. Tu t’hai pigghiare uno ca sira, quando si caccia re
scarpe fa cadire a terra subbra u focularu’’.
Mariuzza, quasi piangendo, tentava di ribattere dicendo che di sicuro
avrebbe portato la terra visto che lavorava , ma il padre con tono che non
ammetteva repliche specificò: “A terra chi li cade adda essere a sua
chiaru?’’. E con queste parole Mariuzza fu messa a tacere.
A poco a poco la vita riprese a scorrere con i soliti ritmi. Giosinu però non
era più lo stesso. Si sentiva dentro una sensazione di malessere, una sorta
di inquietudine che improvvisamente gli faceva scendere un’ombra sul
cuore. Si sorprendeva, di tanto in tanto, a pensare a Mariuzza con un
bambino al collo…
Tre settimane dopo, mentre il giovane era intento a mungere le pecore,
ricevette la visita di Toninu u mulinaru e di sua moglie Caterina. Giosinu
pensò che Toninu fosse venuto per accordarsi sul grano da macinare, ma
invece fu la donna a parlare.
-“Signu venuta ppè na mbasciata’’. Giosinu la guardò con aria
interrogativa. Caterina riprese: “ A cosa è delicata assai e m’hai
promittiri ca resta tra mia e tia’’.
Giosinu diede la sua parola d’onore e la donna rassicurata continuò: “
L’atru iurnu aiu fattu visita ara cummareglia mia, Mariuzza e l’aiu
vista nu pocu moscia e assai sciupata. Insisti insisti, mi confidò tutto e
mi disse puru ca si forra statu ppè d’iglia t ‘averra dittu ca sì’’.
Giosinu prese tempo prima di rispondere per avere modo di ripetere
mentalmente quello che aveva appena sentito e, quando si sentì abbastanza
sicuro disse: “Ed eiu cchi pozzu fare? Chiggli genti pensano ca, ppè ra
figghia, va bonu sulu u rre.’’
Caterina prontamente rispose: “ Eiu un ti pozzu dire nente. Mò tocca a
ttia . Dormace e subra e pensaci pecchì a notte porta cunsigghiu.’’
I due se ne andarono e Giosinu rimase solo a riflettere. Pensò a varie
ipotesi ma poi finì per scartarle tutte. Andò a dormire sperando che il
giorno dopo avrebbe trovato la soluzione. Quando si svegliò e andò a
sciacquarsi il viso nel ruscello, fu come se l’acqua fresca oltre ad
eliminare i segni del sonno, cancellasse ogni suo dubbio.
Non restava che una cosa da fare.
Quando una famiglia o entrambe le famiglie di due giovani che
intendevano sposarsi, si opponevano alla loro unione, i due ricorrevano
alla fujitina. I due ragazzi scappavano dalle rispettive abitazioni e si
nascondevano per qualche giorno in qualche casolare di campagna. Molto
spesso però potevano contare sulla complicità di amici e parenti che
offrivano loro ospitalità in qualche posto sicuro. La ragazza, da sola con un
uomo , secondo il pensare comune, non avrebbe resistito alle tentazioni e
avrebbe perso la sua “onorabilità”. Agli occhi dell’intero paese sarebbe
stata marchiata come una poco di buono a meno che il ragazzo non
l’avesse sposata restituendole la sua dignità . I genitori messi di fronte al
fatto compiuto, pur di veder ristabilito il buon nome della figlia e della
famiglia in generale, accettavano di buon grado il matrimonio riparatore
che, a quel punto, avveniva in tempi strettissimi.
Giosinu si preparò ad attuare la sua personale fujitina.
La domenica successiva si recò in Chiesa con largo anticipo e si sedette in
fondo in modo da poter vedere chi entrava ed essere a sua volta facilmente
notato. All’arrivo di Mariuzza, cominciò a tossire per attirare l’attenzione
su di sé e, attraverso un gioco di sguardi e di movimenti quasi
impercettibili del viso e delle mani, le fece capire che aveva bisogno di
parlare con lei.
Alla fine della funzione Mariuzza si allontanò dalla via principale per
imboccare un vicolo secondario e poco popolato. Giosinu senza dare
nell’occhio la seguì.
Quando i loro occhi si incontrarono l’imbarazzo tra di loro era palpabile. Il
giovane però si fece forza ed espresse alla ragazza la sua intenzione di
sposarsi e di organizzare la fujitina se anche lei avesse condiviso il suo
desiderio di far nascere una famiglia. Mariuzza si dichiarò pronta .
Alle 3 di notte del 27 agosto un’ombra scivolò leggera dall’uscio di casa
Gallelli. Ad attenderla, ai piedi della scalinata, una mula e un giovanotto
che l’aiutò a salirci sopra. Un’ ora dopo giunsero nel loro nido d’amore: la
piccola baracca di legno e paglia dove il giovane lavorava. Era ancora buio
e regnava un silenzio quasi irreale. Giosinu aiutò Mariuzza a scendere e le
fece strada. All’interno del ricovero l’aria era impregnata dell’odore forte e
nauseabondo degli ovini. Mariuzza si tappò il naso, Giosinu si vergognò.
Non era quello che avrebbe voluto per la sua futura moglie e promise a se
stesso che in futuro le avrebbe riservato quanto di più bello si potesse
sperare.
I due giovani si guardarono e, senza dire una parola, andarono a sedersi
agli angoli opposti della baracca. La gente pensasse pure quello che
voleva, ma fino a quando non fossero stati marito e moglie non si
sarebbero nemmeno sfiorati.
Alle 5 di mattina Concetta Gallelli e suo marito si svegliarono pronti ad
iniziare la loro giornata. Quando si accorse che la figlia non c’era, la donna
comprese quello che era successo. Non disse una parola ma si accasciò a
terra. Nelle ore seguenti i due cercarono di trovare una soluzione senza
però riuscirvi. Cosa potevano o dovevano fare?
Intanto i due fuggitivi avevano bevuto del latte fresco e mangiato un po’ di
pane. Mariuzza, al pensiero dei suoi genitori che certo stavano in pena per
lei, si sentiva stringere il cuore.
“Giosì, aiu pensato a na cosa. Amu e trovare u modu ma li facimu
sapire ca eju e tia simu asseme e ca ni volimu bene” disse tutto d’un
fiato la ragazza.
“Ha ragiune Mariù, stasira tornu aru paise, vaju e parru ccu
Caterina e gli dicu si mi fa ra ambasciata ccuri mei e ccuri toi e poi
vidimu cchi succede. Amu e fare na cosa a vota e amu d’ avire
pacienza”rispose Giosinu.
Quella sera stessa Giosinu rientrò in paese e, senza farsi notare da nessuno,
bussò alla porta di Toninu u mulinaru e di sua moglie Caterina. Ai due
raccontò gli ultimi avvenimenti e poi pregò la donna di fargli il favore di
recarsi a casa dei suoi genitori e di quelli di Mariuzza.
Ai genitori di entrambi avrebbe dovuto riferire la sua intenzione di sposare
al più presto la ragazza con il loro consenso. Nel caso in cui i genitori si
fossero mostrati ostili, i due però si sarebbero sposati lo stesso.
Alla donna poi chiese di recapitare la risposta il giorno dopo in un posto a
metà strada tra Zagarise e la campagna dove lui lavorava e dove si trovava
Mariuzza.
Alle 13,00 del giorno successivo Caterina e suo marito si presentarono
all’appuntamento. A Giosinu bastò guardare negli occhi la donna per
capire che tutto era andato per il verso giusto. Caterina raccontò che i
genitori si erano subito resi disponibili a farli sposare e che anzi, se fossero
tornati quella sera stessa, avrebbero cenato tutti insieme e deciso il da farsi.
Giosinu accettò la proposta certo di far cosa gradita a Mariuzza e fu così
che Toninu fu mandato indietro per informare e tranquillizzare i genitori,
mentre Caterina e Giosinu andarono a prendere Mariuzza per poi rientrare
a loro volta.
E fu così che un mese dopo…Giosinu si maritò.
1.
Giosinu u longu = Giuseppe il lungo ( per l’epoca 1 metro e settanta era un’altezza degna di nota).
2.
nfiscegliate = messe nei contenitori fatti con i giunchi, piante dal fusto sottile, flessibile ma molto robusto e privo di nodi
che si trova sulle rive dei fiumi e nelle paludi.
3.
Mastru Micu = Maestro Domenico. Il titolo di maestro gli era stato assegnato in virtù delle sue qualità morali e del suo
status economico .
4.
nu tumulu, na pisa, u cucinaturu e ra prependa = 40 kg di grano, 3kg di lana, legumi vari da cuocere e la
piantare patate.
5.
quando u patrune avia ra bona = quando il padrone era di buon umore.
6.
rumbava = brontolava.
7.
ra cummari = la sua madrina.
8.
s’assettò = si sedette.
facoltà di
9.
Senti cca’ Giosinè, t ‘avimu e parrare… = Senti qua Giosinè ti dobbiamo parlare. Ormai sei un uomo e devi sistemarti.
10. Ominu sulu… = Un uomo solo non può avere futuro.
11. Giosinè, fidati e mia… = Giosinè fidati di me perché voglio solo il tuoi bene.
12. Haiu pensatu a na … = Ho pensato ad una ragazza. E’ seria, ha un aspetto gradevole ed essendo figlia unica, prima o poi
erediterà.
13. Chine zucchiau… = Chi ha messo il ciocco di legno per mia figlia, che venga a prendersela.
14. Figghiarè, u dè bonu… = Figlia mia, non va bene per te. Tu devi prenderti uno che, quando la sera si toglie le scarpe, fa
cadere la terra( questa espressione indicava un proprietario terriero).
15. A terra… = La terra che gli cade dalle scarpe deve essere sua e non di un altro.
16. Toninu u mulinaru = Tonino detto u mulinaru in quanto possessore di un mulino.
17. Signu venuta… = Sono venuta per un’ambasciata cioè per portarti un messaggio da parte di un’altra persona.
18. A cosa è… = Si tratta di una cosa molto delicata e devi promettermi che resterà tra me e te.
19. L’atru iurnu aiu… = L’altro giorno ho fatto visita a Mariuzza e l’ho trovata giù di morale e tanto sciupata. Insisti insisti mi
ha raccontato tutto e mi ha pure detto che, se fosse dipeso da lei, ti avrebbe detto di sì.
20. Ed eiu cchi… = Ed io cosa posso fare? Quella gente pensa che solo il re sia adatto per la figlia.
21. Eiu un ti pozzu… = Io non posso dirti niente. Adesso tocca a te. Dormici sopra e pensaci perché la notte porta consiglio.
22. Fujitina = letteralmente piccola fuga.
23. Giosì, aiu pensato… = Giosì ho pensato una cosa. Dobbiamo trovare il modo di fargli sapere che io e te siamo insieme e
che ci vogliamo bene.
24. Ha ragiune Mariù … = Ha ragione Mariù, stasera torno in paese, vado a parlare con Caterina e le chiedo di andare a parlare
con i nostri genitori e poi vediamo cosa succede. Dobbiamo fare una cosa alla volta e dobbiamo avere pazienza.
MADDALONI STELLA
ZAGARISE (CZ)