qui - Società Italiana di Psicologia e Psichiatria

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qui - Società Italiana di Psicologia e Psichiatria
Numero 0 / Settembre-Novembre 2016
S.I.Psi.
SOCIETÀ ITALIANA DI
PSICOLOGIA E PSICHIATRIA
bollettino trimestrale
I
Numero 0 / Settembre-Novembre 2016
S.I.PSI.
SOCIETÀ ITALIANA DI
PSICOLOGIA E PSICHIATRIA
Siamo lieti di presentare il numero
zero del bollettino informativo della Società Italiana di Psicologia e
Psichiatria. Questo nostro periodico
trimestrale, che racchiude scritti dei
facenti parte della Società, ha l’intenzione e l’ambizione di fornire una serie
di informazioni, news e delucidazioni
su argomenti tematici della disciplina delle neo nate neuroscienze, che
siano chiari, sistematici, ma semplici e precisi nei contenuti scientifici.
La volontà di avvicinare i lettori
tutti a questa disciplina, sottintende la possibilità di fornire nozioni
che aiutino le persone a entrare in
contatto più profondo con la propria interiorità emotiva e, dove necessario, aiutarli nello scegliere il
percorso più adeguato per farsi sostenere in cure psicologiche, psichiatriche e neuropsicologiche. Speriamo che sia gradito agli interessati.
presidente
Ilario Mammone
vicepresidente
Désirée Harnic
segretario
Filippo Madau
consiglieri nazionali
Andrea Carrozzini
Angela D’Addario
Lorenzo Flori
Désirée Harnic
Claudia Iacobacci
Il Presidente
Ilario Mammone
uffici della presidenza nazionale
e sede legale:
Via Fasana 21, Roma, 00195
C.F. 91104200406
CONTENUTI
Caratterialità Epilettica
di Désirée Harnic, Christos Hadjichristos,
Aristotele Hadjichristos 2
Il comportamento di tipo A
di Francesco Bernardini e Lorenzo Flori
Contatti:
0696520457
H [email protected]
7 www.societaitalianadipsicologiaepsichiatria.it
M www.facebook.com/sipsionline
Processi di svalutazione e “Matrice
della Svalutazione”
di Marta Giacomini e Virginia Marella
Il lausanne trilogue play clinico ltpc
di Marlene Miglietta
Le neuroscienze: una breve
introduzione
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4
5
di Claudia Iacobacci
5
Chronic Dieting Syndrome e Weight
Cycling Syndrome
di Cecilia Zaky
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Numero 0 / Settembre-Novembre 2016
CARATTERIALITÀ EPILETTICA
D. Harnic, C. Hadjichristos, A. Hadjichristos
“Solo gli epilettici possono abbracciare, come i folli morali ed i criminali, sotto una
forma clinica eguale, una divergenza intellettuale enorme che va dal genio fino
all’imbecillità” (Lombroso C., 1924)
minuziosa, egocentricità, ed esplosione di
emozioni tra cui frequente irascibilità.
Le alterazioni cognitive, affettive e
comportamentali possono perdurare anche negli stati post-crisi. Sono etichettati
come “disturbi post-critici” le alterazioni
che compaiono nell’immediato, dopo la
fine della crisi stessa. In questa condizione il soggetto epilettico può compiere atti
abbastanza pericolosi sino addirittura arrivare ad eseguire un delitto, in maniera
del tutto inconsapevole.
Molti studiosi non sostengono l’idea
di un “tipo psicologico epilettico” ma riconoscono l’esistenza di particolari modalità
caratteriali peculiari del soggetto epilettico, contraddistinte da un ridotto livello di
autostima, dalla presenza di sentimenti di
colpa e di insicurezza, dall’incapacità nel
tollerare le frustrazioni, all’ aggressività reattiva, all’ impulsività, immaturità, eccessi
di collera, ansia, instabilità psicomotoria,
tendenza alla depressione e all’isolamento, difficoltà nelle relazioni interpersonali
così come nell’apprendimento di modelli
di comportamento socialmente approvati.
Accostarsi alla persona epilettica vuol
dire considerare tutti questi elementi da
cui indubbiamente deriva una difficile vita
di relazione e spesso le conseguenze possono incidere anche sulla vita delle persone vicine ai soggetti epilettici (Magliano
R., 2001).
La parola “epilessia” deriva dal verbo
greco “epilambano” e significa “cogliere
di sorpresa” riferendosi al carattere
improvviso delle crisi epilettiche. Il
termine “crisi epilettica” descrive i sintomi
neurologici dovuti a una scarica elettrica
anomala, sincronizzata e prolungata di
cellule nervose della corteccia o del tronco
cerebrale.
Quando l’alterazione della scarica elettrica raggiunge, e si estende, alle regioni
sottocorticali, soprattutto del tronco encefalico può esserci perdita di coscienza
(crisi con assenza). Lo stato di incoscienza non per forza prevede la caduta a terra,
può manifestarsi anche con lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi possono rovesciarsi
verso l’alto ed esserci un tremolio di varia
intensità sino a vere e proprie scosse (convulsioni tonico-cloniche) dell’intero corpo.
A causa del suo modo di manifestarsi,
l'epilessia è stata considerata, fino in epoca
relativamente recente, come un “Mal
Sacro” o come “Possessione demoniaca”
nonostante ne abbiano sofferto diversi
personaggi di rilievo della storia mondiale.
Un aspetto che si ritrova in maniera
costante nei diversi tipi di epilessia è la
presenza, oltre al disturbo organico, di
alterazioni comportamentali definita
“caratterialità epilettica”: termine
utilizzato per indicare chi mostra
coinvolgimenti profondi in questioni
con risvolti etici e in questioni spirituali,
rigidità cognitiva e tendenza alla precisione
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Numero 0 / Settembre-Novembre 2016
IL COMPORTAMENTO DI TIPO A
F. Bernardini, L. Flori
sponsabilità eccessive;
--una peculiarità di questi soggetti è la
presenza di ostilità fluttuante, che si manifesta attraverso atteggiamenti ostili in
risposta a stimoli banali.
Questi soggetti hanno delle modalità
espressive sia vocali che facciali che comunicano risolutezza e decisione. Mostrano
inoltre difficoltà nel delegare incarichi ad
altre persone poiché il raggiungimento di
una meta rappresenta una possibilità per
incrementare i livelli di autostima ma anche perché hanno una scarsa fiducia negli
altri.
Gli individui di tipo A rispetto agli altri
soggetti hanno un aumento dell'attivazione
del sistema nervoso simpatico come se
fossero costantemente in competizione
e mostrano sintomi neurovegetativi
quali sudorazione, palpitazioni, dolori
muscolari,
disturbi
respiratori
e
gastrointestinali, e una iperattivazione
dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (Baldoni,
2010).
Il legame tra i disturbi cardiovascolari e il modello comportamentale di tipo A,
“sarebbe in realtà una conseguenza secondaria dell’aumento della reattività cardiovascolare mediata dall’iperattivazione del
sistema nervoso simpatico” (Rafanelli e
Gostoli), questo sottolinea come il TABP
non abbia una relazione causale lineare
con i disturbi cardiovascolari ma “piuttosto incrementi l’esposizione a fattori scatenanti per l’insorgenza di tali patologie”
(Rafanelli e Gostoli).
Alla fine degli anni ’50, Meyer
Friedman
e
Raymond
Rosenman,
avviarono delle ricerche che avevano come
fine lo studio del comportamento e del
temperamento in soggetti con malattie
coronariche e in individui predisposti
allo sviluppo di disturbi cardiovascolari.
Dai loro studi è emerso che fattori
di rischio cardiovascolare come per
esempio ipertensione, ipercolesterolemia
e dipendenza da nicotina non sono
in grado di esplicare un aumento di
malattie coronariche e cardiache in
paesi industrializzati nei primi del
900. Essi individuarono un insieme di
comportamenti disadattivi che definirono
“modello comportamentale di tipo
A”(TABP).
Gli individui che presentano questi
comportamenti, hanno le seguenti caratteristiche (Rafanelli e Gostoli, 2011):
--sono insicuri e hanno bassi livelli di autostima, anche se esteriormente mostrano fiducia, sicurezza e non sono in grado
di percepire la propria fragilità. Questi
soggetti percepiscono le critiche degli altri come attacchi alla propria persona e
sono indifferenti ai complimenti ed elogi;
--manifestano segni di impazienza e una
sensazione di urgenza temporale. Queste
persone credono di non avere una quantità di tempo sufficiente per raggiungere
e realizzare degli obiettivi stabiliti. Se
non realizzano le proprie aspettative possono manifestare atteggiamenti ostili. C’è
una relazione tra bassa autostima e insicurezza e la sensazione dell’incalzare del
tempo, il soggetto cerca di compensare le
proprie debolezze assumendosi delle re3
Numero 0 / Settembre-Novembre 2016
PROCESSI DI SVALUTAZIONE E "MATRICE DELLA SVALUTAZIONE"
M. Giacomini, V. Marella
La Matrice della Svalutazione
è uno strumento, sviluppato da alcuni
esponenti della teoria psicologica chiamata Analisi Transazionale (AT), utile
per individuare e sanare i processi di
svalutazione attuati dall’individuo.
La Svalutazione si riferisce al processo con il quale la persona nega o minimizza aspetti di sé, degli altri e della
situazione in genere al fine di passivizzarsi. Parte da un processo interno e
non è osservabile operativamente ma
rintracciabile nella sua manifestazione
esterna attraverso uno specifico “comportamento passivo”.
Le svalutazioni sono tutte al di fuori della consapevolezza e interferiscono
con un’attività di pensiero efficace.
La AT ha individuato 4 livelli di svalutazione:
--svalutazione dell’esistenza (delle
possibili alternative);
--svalutazione dell’importanza (delle
varie alternative);
-- svalutazione della possibilità di
cambiamento (ovvero agire le alternative
individuate);
--svalutazione delle capacità personali
di risolvere un problema (e dunque
attualizzare il cambiamento).
La AT ha, inoltre, classificato le svalutazioni secondo:
--aree (una persona può svalutare aspetti
di sé, degli altri o della situazione);
--tipo (una persona può svalutare uno
stimolo, un problema o delle alternative)
-- modo o livello (una persona può svalutare
l’esistenza, l’importanza, la possibilità di
cambiamento o le capacità personali).
Integrando la teoria dell’analisi transazionale con quella cognitivo-comportamentale, possiamo lavorare sulla svalutazione, così come è stata sopra definita,
individuando a che livello e in quale area,
tipologia e modalità avviene una negazione o una minimizzazione e correggere
i pensieri disfunzionali che le originano.
Ovvero lavoreremo con l’obiettivo di
aumentare la consapevolezza del paziente
rispetto ai pensieri automatici, le credenze intermedie (valori, regole e assunzioni)
e le credenze di base, più profonde, che
hanno portato all’insorgenza e al mantenimento del problema. Una volta avvenuto ciò, il terapeuta aiuterà il paziente a
identificare, valutare e rispondere ai suoi
pensieri e credenze disfunzionali; identificare, cioè, cognizioni disfunzionali chiave e adottare prospettive più realistiche
e adattive cosicché potrà sentirsi meglio
emotivamente e comportarsi in modo più
funzionale.
Assisteremo,
dunque,
a
una
diminuzione
della
gravità
della
svalutazione in quanto aumenta il livello
di consapevolezza e riconoscimento
dell’esistenza, dell’importanza, della
possibilità di cambiamento e delle
capacità personali rispetto a uno stimolo,
un problema o un opzione.
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Numero 0 / Settembre-Novembre 2016
IL LAUSANNE TRILOGUE PLAY
CLINICO LTPc
M. Miglietta
LE NEUROSCIENZE: UNA BREVE
INTRODUZIONE
C. Iacobacci
Uno dei più recenti strumenti di
valutazione relativi alle dinamiche familiari
è il Lausanne Trilogue Play clinico
(LTPc), che fu introdotto da un Gruppo
di ricercatori di Losanna coordinato da
Fivaz-Depeusinge e Corboz-Warnery e
adattato in Italia dal gruppo di ricerca
di Roma da Mazzoni e Malagoli Togliatti
(2006).
Il Lausanne Trilogue Play Clinico è una
metodologia di osservazione diretta che
consente di osservare e valutare le qualità
delle interazioni familiari spostando l’attenzione dalla visione tradizionale diade
madre-bambino all’osservazione triadiche
padre-bambino-madre in una situazione
di gioco. Attraverso questa metodologia è
possibile scoprire quali sono le risorse e il
potenziale di cambiamento di ogni famiglia; permette di descrivere il funzionamento familiare in relazione al livello di
coordinazione che i membri della famiglia
ottengono nel raggiungere insieme uno
scopo condiviso; individuare le varie tipologie di Alleanze familiari (Alleanze disturbate, collusive, “in tensione”, cooperative).
È risultato essere efficace come strumento negli interventi quali la mediazione
familiare,consulenze tecniche, sostegno
alla genitorialità e terapia familiare.
Lo studio del sistema nervoso è un
campo che coinvolge molti livelli, da quello molecolare e cellulare, fino ai grandi
sistemi, come la corteccia cerebrale, al
livello elevato del sistema nervoso nella sua totalità e la sua interazione con gli
altri apparati corporei. Le neuroscienze,
termine che proviene da un neologismo
inglese, neuroscience, coniato nel 1972
dallo scienziato americano Schmitt, sono
l’ambito scientifico interdisciplinare che,
per eccellenza, studia l’anatomia, la biologia molecolare, la biochimica, la fisiologia,
la farmacologia, la genetica, l’immunologia, e il funzionamento normale del sistema nervoso centrale, di quello periferico
e di quello autonomo e le patologie che lo
coinvolgono. Con il tempo il termine neuroscienze è arrivato a comprendere anche
discipline come la psicologia cognitiva, le
scienze della comunicazione, la sociologia
e la filosofia.
Ad oggi le neuroscienze costituiscono
un’area di ricerca di grande e attuale rilevanza scientifica che ha conosciuto uno
sviluppo esponenziale grazie all’applicazione combinata di diverse tecnologie, le
quali hanno finalmente aperto la via alla
comprensione dei processi estremamente
complessi del sistema nervoso.
Attualmente, quindi, le neuroscienze
studiano l’integrità del cervello al fine di
poter correlare le conoscenze sul funzionamento normale alle patologie che lo coinvolgono (traumi cranici, patologie neurodegenerative, disturbi dell’umore ecc.) per
potervi far fronte nella maniera migliore
possibile.
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Numero 0 / Settembre-Novembre 2016
CHRONIC DIETING SYNDROME E WEIGHT CYCLING SYNDROME
C. Zaky
La sindrome della dieta cronica è
definita come l’estrema pratica di seguire
in maniera continuativa, e quindi in modo
cronico, una dieta caratterizzata da una
forte riduzione dell’introito calorico, eliminando sostanze nutritive necessarie per il
nostro organismo, carboidrati per primi;
si verifica nel momento in cui è presente
un’ossessione per il proprio corpo e la taglia. La sindrome da oscillazione del
peso è una delle conseguenze principali
del dieting: diverse ricerche dimostrano
che il comportamento di overeating è un
esito frequente di un precedente comportamento di eccessiva restrizione alimentare
e che il 95% delle persone che riportano un
calo ponderale a seguito di una dieta ipocalorica, riacquistano il peso perso entro un
anno.
Queste due sindromi hanno importanti
ripercussioni sul piano psicologico (ansia,
depressione, insoddisfazione corporea),
ma anche fisico (diabete, malattie cardiovascolari, disfunzioni ormonali e l’alterazione del metabolismo basale).
Tra le affezioni psicologiche e psichiatriche della nostra epoca, nella quale meticolosa osservanza è rivolta alla bellezza
estetica e all’apparenza, i Disturbi del
Comportamento Alimentare (DCA) hanno
assunto negli ultimi decenni un’importanza clinica e sociale di notevoli dimensioni.
Ipotizziamo che esista un continuum
tra il comportamento alimentare sano e
quello patologico, dove a un estremo possiamo trovare le persone normopeso che
non hanno preoccupazioni per l’immagine corporea e rispetto al proprio peso;
all’altro, possiamo localizzare persone gravemente anoressiche, bulimiche, obese,
ecc. Tra questi due estremi sono presenti
diverse varietà di condizioni rappresentate da persone che sono lievemente in
sottopeso o sovrappeso, persone normopeso che si preoccupano costantemente
del proprio peso, persone che si sentono
in colpa quando mangiano cibi “proibiti”,
persone che restringono radicalmente la
loro gamma di cibi per paura di incorrere
in un aumento ponderale e altre che fanno
esercizio fisico compulsivo per mantenere
un peso forma soggettivamente od oggettivamente ideale.
Tra le sindromi alimentari sottosoglia
che non sono presenti in alcun manuale
diagnostico, possiamo citare la Chronic
Dieting Syndrome (sindrome della dieta
cronica) e la Weight Cycling Syndrome
(sindrome da oscillazione del peso), due
realtà che causano un notevole malessere fisico e psicologico nell’individuo che
ne soffre, e che rappresentano importanti
predittori per i DCA.
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«Punto focale è l’individuo, non il problema.
Lo scopo non è quello di risolvere un problema particolare,
ma di aiutare l’individuo a crescere perché possa affrontare
sia il problema attuale, sia quelli successivi
in maniera più integrata»
Carl Rogers
La S.I.Psi. si propone, integrando le scienze psicologiche e psichiatriche,
di segnare un profondo cambiamento nella sfera della prevenzione,
diagnosi e indicazione alla cura degli individui.
Generalmente e storicamente separate e contrapposte, la psicologia
e la psichiatria perseguono entrambe il benessere dell’individuo, che
rimane uno e non può essere semplicemente scisso nelle sue componenti
neurobiologiche e psicologiche.
Obiettivo prioritario della S.I.Psi. è quindi quello di favorire un
confronto aperto e una ricerca cooperativa e non competitiva
tra discipline sempre più complementari attraverso uno scambio e un
aggiornamento costante che integri il pensiero e il lavoro di specialisti
psicologi e psichiatri.
Di fondamentale importanza per S.I.Psi. è il lavoro con l’utenza:
divulgare le good clinical practice (buone prassi) e promuovere
la salute mentale, informando i non addetti ai lavori, gli utenti e i
familiari sulle possibili tipologie di “cura della psiche” e di prevenzione
del disagio psicologico esistenti.