13 Gennaio 2014 - Ogni momento della vita ci prepara all`ultimo
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13 Gennaio 2014 - Ogni momento della vita ci prepara all`ultimo
Ogni momento della vita ci prepara all’ultimo momento di Don Salvatore Rinaldi articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 13 gennaio 2014 Nei Fratelli Karamazov, opera stupenda di Fedor Dostoevskij, una donna lancia questo grido di angoscia: “La vita futura: questo è il tremendo enigma… Questo pensiero dell’oltretomba mi turba fino all’angoscia e al terrore… Ma, mi dico allora, non ho avuto fede per tutta la vita? Eppure talvolta mi assale questo pensiero: muoio e d’improvviso non c’è nulla; mi crescerà un po’ di erba sulla tomba e basta, come ha detto uno scrittore. Questa è una cosa orribile! In che modo e che devo fare per ritrovare la fede?... Nella mia infanzia, credevo spontaneamente, senza riflettere… Ma adesso, come conoscere la verità? Dove trovare le prove? Se mi guardo d’intorno, vedo che nessuno si preoccupa di queste cose, quasi nessuno oggi. Io sola non riesco a sopportarle. È una situazione spaventosa”. La civiltà del consumismo non vuole gente capace di pensare, la civiltà del consumismo vuole soltanto consumatori, bocche che mangiano, corpi che cercano sensazioni ma non cercano alcun senso, alcun significato per la loro vita. Konrad Lorenz, premio Nobel, ha dichiarato: «Il dilagante bisogno di rumore si può spiegare soltanto con il bisogno di soffocare qualcosa». È verissimo! In realtà, chi non è accecato da slogan televisivi prova pietà per il giovane moderno che, uscendo dalla sua stanza con lo stereo a pieno volume, mette la radio-cuffia isolandosi dal mondo circostante e, soprattutto, isolandosi dalla capacità di pensare che resta inoperosa dentro di lui. Eppure secondo la mentalità della società dei consumi questa è vita: vive chi spende tanto, vive chi fa circolare il denaro, vive chi si diverte e poi sparisce per cedere il posto ad altri… che faranno altrettanto. Questa è la logica della società dei consumi. Ma non è così facile far morire la morte. Malcom Muggeridge, giornalista inglese convertitosi alla fede cattolica dopo aver assistito allo sconvolgente spettacolo dei moribondi soccorsi dalla carità di Madre Teresa di Calcutta, un giorno disse: «È vero che durante la mia vita si è realizzato nella comprensione dell’universo e nel miglioramento delle nostre condizioni materiali un progresso maggiore che in tutta la storia precedente. Ma questo non mi esalta affatto. Ma il mio problema è questo: qual è il significato del mio piccolo e transitorio passaggio da questa parti? Portare la vita media da trentacinque a settant’anni - grazie agli antibiotici e alla sparizione della mortalità infantile - non cambia nulla, ma sposta soltanto di qualche tempo il problema. Anzi, lo dilata dandoci più tempo per pensarci». Questa è onestà degna di un vero uomo! Andrè Malraux, invece, ha onestamente riconosciuto: «Il pensiero della morte è il pensiero che rende uomini. Bisognerebbe festeggiare il giorno in cui, per la prima volta, si è riflettuto sulla morte, perché quello è il giorno che segna il passaggio alla maturità. L’uomo è nato quando, per la prima volta, ha mormorato davanti a un cadavere: “Perché?”». Quanto sarà bello, nel momento della morte, vedere il volto di Dio e riconoscere la nostra somiglianza con Lui! Oppure quanto sarà drammatico, nel momento della morte, vedere il volto di Dio e riconoscere lo scempio che abbiamo fatto della nostra somiglianza con Lui! E tutto dipende dalle nostre scelte di oggi! L’uomo finché è in vita, può continuamente cambiare l’orientamento della sua libertà: egli può, cioè, decidere di aprirsi a Dio, così come può cambiare orientamento e passare successivamente a una vita di peccato; ugualmente l’uomo peccatore può convertirsi e decidere di abbandonare il peccato per consegnarsi a Dio attraverso un pentimento sincero che modifica, sotto l’azione della grazia di Dio, l’orientamento del cuore dell’uomo. Giuda era un apostolo chiamato da Gesù; era un uomo che aveva fatto un certo cammino di fede e aveva in qualche modo orientato la sua vita nella direzione di Gesù: eppure Giuda rinnegò tutto! Un dato, allora, è sicuro: l’uomo, finché vive, può cambiare l’orientamento della sua libertà sia nel bene che nel male. Da un punto di vista medico la morte sopraggiunge con la cessazione delle funzioni biologiche essenziali (morte clinica). Tale morte, detta anche morte relativa, non comporta ancora la separazione dell’anima dal corpo, perché nella condizione di morte clinica l’uomo è ancora potenzialmente capace di riprendere le funzioni vitali e quindi di rivivere: e tal volta accade. La morte relativa diventa morte completa (morte assoluta), quando avviene una complessiva degenerazione dell’organismo a partire dal cervello e inizia il processo irreversibile di cadaverizzazione: in questo momento avviene la separazione dell’anima dal corpo, avviene cioè la morte. Nel momento della separazione dal corpo, l’anima, in piena luce e senza i condizionamenti del corpo, si autodetermina in modo definitivo nei confronti del destino eterno. Ognuno di noi porta con sé tutta la sua storia; e questa storia pesa e trova compimento proprio nell’ultima decisione presa in totale lucidità interiore. Ognuno è artefice del proprio giudizio: il giudizio non ci cade addosso dall’esterno, ma siamo noi a determinarlo con una nostra scelta pienamente libera e pertanto irrevocabile. Nel momento della morte, infatti, l’anima ha tutta la luce necessaria per orientare la propria decisione con piena responsabilità. E, pertanto, tale decisione presa in piena luce non può più essere messa in discussione: perché la libertà umana, nel momento della morte, gioca tutta se stessa e non ha, d’ora in poi, elementi nuovi da prendere in considerazione per una eventuale modifica della decisione: nell’ora della morte la libertà umana si schiera per sempre, esaurendo totalmente e irreversibilmente ogni possibilità. Ogni si della vita, infatti, ci prepara all’ultimo si, che ricapitola tutta la vicenda della nostra esistenza religiosa.