Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
GILDA PIERSANTI
ESTATE ASSASSINA
I GRANDI TASCABILI
BompIANI
Titolo originale
BLUE CATACOMBES
ISBN 978-88-452-8098-6
© 2007, Gilda Piersanti
Le Passage Paris – New York Editions
© 2014/2016 Bompiani/RCS Libri S.p.A., Milano
I edizione Bompiani 2014
I edizione Tascabili Bompiani marzo 2016
A colui che mi ha lasciato il suo posto
senza mai smettere di occuparlo.
1.
So leben wir und nehmen immer Abschied.1
Rainer Maria Rilke
– La porta! – urlò la monaca benedettina.
Lo ripeteva almeno cinquanta volte al giorno, da quando le
catacombe erano diventate il rifugio di turisti alla spasmodica
ricerca di un po’ d’aria fresca.
Sulla soglia apparve Pamela. Tutti gli sguardi si girarono dalla
sua parte, attirati dalla splendida massa di capelli biondi che le
incorniciavano il viso. Con quelle spalle e quelle braccia dorate,
con quegli occhi che si agitavano come lucciole al buio, l’apparizione della guida più richiesta delle catacombe provocava sempre
lo stesso effetto sui visitatori, che d’improvviso s’interessavano
più all’archeologa che all’archeologia. Le catacombe di Priscilla
erano meno frequentate di quelle di San Callisto o di quelle di
San Sebastiano sull’Appia Antica, che s’accaparravano il grosso
dell’affluenza turistica. Quest’anno, però, il caldo era tale che i
visitatori si appassionavano anche per i cunicoli sotterranei meno
noti e meno accessibili. Nella volontà di accogliere il maggior numero possibile di turisti, la Pontificia Commissione d’Archeologia
Sacra aveva raccomandato alle guide di diversificare gli itinerari e
di non esitare a penetrare sempre più in là nella rete sotterranea.
Pamela Casadei, che doveva guidare la prima visita del matti1
“Così viviamo per dire sempre addio”, R. M. Rilke, Duineser Elegien,
1912-1922 (Die achte Elegien, v. 75).
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no, non aveva chiuso occhio durante la notte. Per lei non era una
novità passare la notte in bianco, soprattutto con quell’afa che
non risparmiava nessuno, ma questa volta la sua insonnia non
era dovuta né al caldo né all’ansia. Era in ritardo, il gruppo riunito all’ingresso delle catacombe di Priscilla la stava aspettando.
Notte di ferragosto
calda la spiaggia
e caldo il mare
freddo questo mio cuor.
Quando Gianni Morandi cantava Notte di ferragosto, Pamela
non era ancora nata, ma già scalciava nella pancia di sua madre.
E adesso le piaceva pensare che, all’epoca, sua madre ascoltava
proprio questa canzone e che quella voce si era impressa sulla
sua pelle. Pamela aveva conosciuto una felicità perfetta fino al
giorno del suo primo compleanno: anzi, per essere esatti, fino
all’una e ventotto minuti del 14 gennaio 1968. Quel giorno infatti
a Gibellina, nella Sicilia orientale, il pranzo della domenica fu
interrotto da uno strano rumore, accompagnato da una scossa
che fece ballare il tavolo e rovesciò i bicchieri di vino sulla tovaglia. Tutta la famiglia si precipitò alla finestra e vide vacillare
il campanile della chiesa sulla piazza. Era l’inizio del famoso
terremoto della valle del Belice e la fine della vita che Pamela
avrebbe potuto vivere e che non aveva vissuto. Perché durante la
notte di quel fatidico 14 gennaio, a quaranta chilometri sottoterra,
una faglia addormentata da secoli si risvegliò all’improvviso e
scatenò delle onde sismiche di una tale violenza da portare la
distruzione nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento. In
dodici secondi, numerosi centri storici furono ridotti in polvere. Gibellina crollò e l’indomani, all’alba, nugoli di uccelli neri
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sorvolavano le sue strade, ingombre di macerie. Tra la gente che
scavava disperata in mezzo ai calcinacci qualcuno ritrovò una
bambina avvolta in una coperta, dentro l’armadio in cui l’aveva
nascosta sua madre. Il giorno dopo, la foto della piccola Pamela
compariva sulla prima pagina di tutti i giornali della penisola.
– Sono le nove e dieci, – disse Pamela al gruppo che la stava
aspettando. – La nostra visita durerà mezz’ora.
Tutti i visitatori si mossero simultaneamente per seguirla, con
precauzione scesero dietro di lei delle scalette impervie e cominciarono ad avanzare in silenzio negli stretti corridoi sotterranei,
scarsamente illuminati. Al primo incrocio, Pamela girò a destra,
quindi a sinistra, per poi fermarsi in una galleria con le pareti
scavate da nicchie rettangolari.
– A partire dal II secolo e fino al V secolo, – cominciò a recitare
in modo quasi meccanico, – le catacombe cristiane erano dei
cimiteri sotterranei. Siccome la legge romana vietava di seppellire
i morti dentro le mura della città, le catacombe s’impiantarono
lungo le vie consolari. A Roma si contano attualmente più di
sessanta catacombe: si tratta di veri e propri labirinti sotterranei,
che misurano varie centinaia di chilometri e che, in altri tempi,
hanno accolto decine di migliaia di sepolture.
Pamela riprese fiato, cercò un fazzoletto in borsa e si asciugò
la fronte.
– Queste esigue cavità rettangolari, – continuò indicando le
nicchie che trasudavano un’umidità vischiosa, – contenevano i
corpi avvolti in semplici lenzuola ed erano chiuse da lastre di
marmo o di terracotta sulle quali era stato inciso il nome del
defunto. Questi buchi che vedete tra una sepoltura e l’altra
servivano per appendere le lampade a olio destinate a far luce.
La luce, appunto, si spense sulle sue ultime parole. Tutti i
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visitatori fecero un passo indietro, si udirono mormorii che si
trasformarono presto in un’ondata di sussurri.
– Niente paura! – fece Pamela. – Vado a riaccendere subito
l’interruttore.
Si sentì il rumore dei suoi passi nel buio, poi la luce tornò.
– Purtroppo sono cose che accadono, – disse Pamela con
tono pacato. – Il sistema elettrico delle catacombe è veramente
troppo vecchio...
Il gruppo fece di nuovo cerchio intorno alla sua guida, ad
eccezione di un uomo che cominciò ad allontanarsi verso il
fondo della galleria.
– Dunque, – riprese Pamela senza richiamare all’ordine l’avventuroso visitatore, – a che punto eravamo rimasti? Ah, sì...
Le catacombe erano scavate da una corporazione di artigiani
chiamati “becchini”. Con zappe, pale e mazze, i becchini aprivano una galleria dietro l’altra alla luce delle lampade a olio, poi
raccoglievano la terra dentro sacchi che andavano a scaricare di
fuori, utilizzando i condotti aperti sulla volta. Questi condotti
servivano non solo per risalire in superficie ma anche per assicurare la ventilazione e l’illuminazione delle catacombe.
Dal fondo della galleria, il furbastro che si era allontanato dal
gruppo scoppiò in una grande risata ed esclamò:
– Uno dei suoi becchini si dev’essere scordato un sacco proprio qua sotto, dottoressa...
Ma la risata gli morì in gola, e fu seguita da un urlo che risuonò
nei lunghi corridoi sotterranei. Il gruppo s’immobilizzò. Poi piano
piano, uno dopo l’altro, tutti si mossero con prudenza verso il luogo
da dove era pervenuto l’urlo. E tutti videro il visitatore che si era
allontanato dal gruppo fissare con orrore un sacco di iuta aperto.
Dentro il sacco, c’era un cuscino impregnato di sangue, e
sopra il cuscino, c’era una testa. Una testa d’uomo tagliata.
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2.
La sera prima, in viale dell’Arte, all’EUR, rannicchiata dentro
una macchina presa a noleggio e parcheggiata davanti allo spettro
maestoso del Palazzo delle Esposizioni, lontano dalla pallida
luce dei lampioni, Pamela si mangiava le unghie scrutando il
viale della Letteratura. Era in preda a un’insostenibile ansia.
“Quello che compiremo resterà inciso nelle memorie” le aveva
detto Cathy. Ma lei non era Cathy! E non riusciva sempre a
mantenere il controllo.
Alla fine la Micra rossa che aspettava arrivò e parcheggiò sul
lato opposto. La portiera si aprì e un tacco a spillo argentato
toccò l’asfalto. Pamela si diede un contegno e chiamò Noemi,
che attraversò subito la strada.
– Ho un regalo per te! – le disse Noemi entrando in macchina.
Pamela le diede un bacio sulla bocca per nascondere la sua
agitazione, poi le prese di mano il pacchetto regalo ed esclamò
strappando la carta:
– Grazie! Sei un tesoro!
Il regalo era una borsa da spiaggia con delle grosse margherite
di plastica gialle incollate da una parte e dall’altra.
– Perché mi hai dato appuntamento proprio qua? – chiese
Noemi.
– Perché ho anch’io una sorpresa per te.
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– Mi hai fatto anche tu un regalo?
Pamela incrociò le gambe e rispose, maliziosa:
– In un certo senso, sì...
Noemi non riusciva a star ferma.
– Di chi è questa macchina? – chiese ancora, come se si rendesse conto solo in quel momento che Pamela non aveva preso
la sua PT Cruiser.
– Poi ti spiego, – rispose Pamela aprendo la portiera per
scendere. – Vieni, è ora di andare!
Noemi ubbidì: tanto l’avrebbe seguita pure all’inferno!
In quella calda notte di ferragosto, la strada era così buia che
non permetteva certo di apprezzare l’eleganza della palazzina
verso la quale si stava dirigendo Pamela. Il silenzio era assoluto,
i residenti dell’EUR avevano abbandonato in massa il loro monumentale quartiere. Noemi fissò sperduta il mosaico che decorava
il portone davanti al quale si era fermata Pamela.
– Dove mi porti? – chiese.
Pamela tirò fuori una chiave dalla sua borsetta e l’infilò nella
serratura senza rispondere.
– Se non mi dici dove stiamo andando, non vengo! – fece
allora Noemi.
– Non ti fidi? – rispose Pamela, infastidita.
Ma subito dopo le accarezzò la nuca. L’emozione vinse le
ultime reticenze di Noemi.
– Terzo piano, – disse Pamela entrando nell’ascensore.
Poi d’improvviso la schiacciò contro la parete e le diede
un altro bacio sulla bocca. Noemi si sentì morire, e mentre
l’ascensore saliva i tre piani dell’elegante palazzina dell’EUR, si
abbandonò fiduciosa a una sensualità che le toglieva il respiro.
Poi l’ascensore si fermò e uscirono tutte e due sul pianerottolo,
abbracciate. Pamela suonò al campanello di una porta che si aprì
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