Michele A. Cortelazzo

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Michele A. Cortelazzo
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP: Vol I, pp. 137-140
Fenomenologia dei tecnicismi collaterali. Il settore giuridico
Michele A. Cortelazzo
Università di Padova
Abstract
Il contributo fa innanzitutto il punto sull’elaborazione del concetto di “tecnicismo collaterale”, introdotto nel 1985 da Luca Serianni e
poi ulteriormente precisato dallo stesso studioso. Successivamente presenta e classifica i tecnicismi collaterali estratti da un corpus di
133 sentenze della Corte di cassazione italiana.
1. Una nozione problematica
Nella ricerca italiana sui lessici settoriali si utilizza da
anni il concetto di “tecnicismo collaterale”, introdotto da
Serianni (1985: 270), con la seguente definizione:
«particolari espressioni stereotipiche, non necessarie, a
rigore, alle esigenze della denotatività scientifica, ma
preferite per la loro connotazione tecnica». Come esempi
Serianni cita, in questo suo primo studio o nei successivi,
espressioni come accusare un dolore, o addirittura
accusare vivo dolore, oppure procedere all’escussione del
teste.
Il concetto è certamente necessario per definire una
parte (in alcuni casi direi una buona parte) delle scelte
lessicali su cui si fondano i testi specialistici, ma così
come era stato primariamente definito dava luogo a forti
difficoltà di individuare le parole ascrivibili a questa
categoria. Lo stesso Serianni ha sentito il bisogno di
precisare i contorni del concetto, di classificarne le
realizzazioni e di darne esemplificazione in un preciso
ambito, quello medico, in Serianni (1989: 381-420; 2003:
82-83 e soprattutto 94-98; 2005: 127-159). Del contenuto
nozionale dell’etichetta e della tipologia di realizzazione si
è occupata anche Musacchio (2002), in un contributo nel
quale colloca il problema specifico nel più ampio
dibattito, anche internazionale, sulla fraseologia. M. T.
Musacchio ritiene, in parte innovando rispetto alla
concezione originaria di Serianni, che «nelle lingue
speciali, per distinguerle da quelle della lingua comune, le
collocazioni vengono designate anche come fraseologismi
specializzati o meglio tecnicismi collaterali» (Musacchio
2002: 137).
Grazie a questi saggi si riesce a definire con maggior
nettezza i contorni della nozione. Fermo restando che i
tecnicismi collaterali sono «vocaboli (nomi, aggettivi,
verbi e in misura ridotta costrutti) altrettanto caratteristici
di un certo àmbito settoriale, che però sono legati non a
effettive necessità comunicative bensì all’opportunità di
adoperare un registro elevato, distinto dal linguaggio
comune» (Serianni, 2005: 127-128, che riprende Serianni,
2003: 82), a riconoscerli sta il fatto che il tecnicismo
specifico è «tendenzialmente stabile (o alternantesi con
termini di rango analogo: blenorragia-gonorrea ecc.), il
t[ecnicismo] c[ollaterale], legato a esigenze di registro
stilistico non a necessità denotative, presenta sempre un
certo margine di oscillazione» (Serianni, 2005: 130).
Inoltre (Serianni, 1989: 383) ascrive al tecnicismo
collaterale un grado di trasparenza per il profano più alto
del tecnicismo specifico. Ma nonostante ciò, i tecnicismi
collaterali, proprio perché facilmente sostituibili da altre
forme di uso più comune, «sono quelli di uso più
esclusivo – e quindi in qualche modo più caratteristico –
essendo limitati alla ristretta cerchia degli specialisti,
mentre i tecnicismi specifici possono essere noti anche al
profano che sia coinvolto in un problema di pertinenza
settoriale e sia esposto, quindi, a una certa quota dei
relativi tecnicismi» (Serianni, 2003: 82-83). Insomma, il
tecnicismo specifico s’impara, perché è necessario, il
tecnicismo collaterale molto meno, proprio perché se ne
può fare a meno.
Che, nonostante queste puntuali precisazioni, la
nozione resti da approfondire è ricavabile proprio dalla
lettura di Musacchio (2002). Musacchio, infatti, inserisce
la tematica dei tecnicismi collaterali nell’ambito della
tipologia di sequenze ricorrenti in un dato tipo di testi,
affrontando, in un contributo esplicitamente intitolato
I tecnicismi collaterali, uno spettro ampio di nozioni come
la fraseologia, le frasi idiomatiche, le collocazioni, le
formule fisse. Al fondo della sua posizione c’è, dunque,
l’idea che i tecnicismi collaterali siano necessariamente
delle unità lessicali superiori, cioè unità composte da più
elementi che si combinano tra di loro in modo più o meno
fisso. Questa impostazione entra in collisione se non altro
parziale con almeno due affermazioni di Serianni: la
prima che i tecnicismi collaterali sono costituiti
principalmente da nomi, aggettivi, verbi (non cita, invece,
i sintagmi, che non so dire se siano ricompresi nei
costrutti); la seconda che la stabilità d’uso del tecnicismo
collaterale è bassa, il che diminuirebbe la possibilità di
individuare questa caratteristica lessicale in sequenze
caratterizzate come ricorrenti. Invece, il carattere
sintagmatico dei tecnicismi collaterali mi pare incluso
nella nozione di «espressioni stereotipiche» della prima
definizione.
Nonostante la persistenza di alcune nebulosità nel
quadro definitorio del concetto, trovo però soddisfacente
l’inventario presentato da Serianni (sia 1989, sia 2005).
Ribadisco, però, per la sua rilevanza metodologica, che
ritengo fondamentale nella maggior parte dei tecnicismi
collaterali la componente combinatoria (ce ne sono tracce
evidenti sia negli esempi citati nella prima presentazione
del concetto, sia nell’illustrazione del valore di tecnicismo
collaterale dell’aggettivo di relazione: «l’aggettivo di
relazione è presente tipicamente in sintagmi costituiti da
un nome generico e un aggettivo portatore del significato
specifico». Serianni, 2005: 131). Ma probabilmente si
tratta di una componente frequente, ma non necessaria.
2. I tecnicismi collaterali nel diritto
Vorrei dare nuovamente la parola a Luca Serianni, il
quale (Serianni, 2005: 129) sottolinea che i tecnicismi
collaterali sono tipici soprattutto delle «lingue speciali di
più forte caratura intellettuale». Non c’è dubbio che tra
queste lingue speciali vada annoverata, proprio accanto
alla lingua medica, la lingua giuridica.
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Mi è parso utile, allora, costituire un primo inventario
dei tecnicismi collaterali della lingua giuridica, e più
specificamente della lingua dei tribunali, analizzando nella
maniera più sistematica possibile un corpus al tempo
stesso ampio e omogeneo. Ho attinto a una raccolta di 133
sentenze della Corte di Cassazione, sezioni penali (per
oltre 216.000 occorrenze, corrispondenti a 14.578 forme
grafiche diverse), parte del corpus costituito da Stefano
Ondelli per la sua tesi di dottorato (Ondelli, 2004). Ho
proceduto all’individuazione dei segmenti ricorrenti
(grazie a un software di analisi lessico-testuale del
contenuto, Taltac2), ritenendo che i tecnicismi collaterali,
proprio per il loro carattere di stereotipi, fossero rilevabili
in combinazioni sintagmatiche occorrenti almeno due
volte. La disponibilità di questo software, capace, tra
l’altro, di individuare i segmenti statisticamente più
ricorrenti in un corpus e di calcolare il grado di fissità
delle catene lessicali così individuate, semplifica e al
tempo stesso rende sistematica la prima ricognizione dei
testi, permettendo di isolare con una certa sicurezza i
segmenti da esaminare e realizzare compiutamente le
indicazioni metodologiche presenti nella bibliografia
internazionale e riprese da Musacchio (2002: 142-143).
Su queste basi possiamo elencare una serie di
tecnicismi collaterali giuridici, classificati secondo lo
schema utilizzato da Serianni (2005: 131-159):
1) aggettivi di relazione, spesso non frequenti nel
linguaggio comune. Possiamo citare: criminoso
(associazione, attività, azione, comportamento, condotta,
disegno, evento, fattispecie, figura, impresa, ipotesi, iter,
organizzazione,
progetto,
programma,
sodalizio,
struttura, vicenda criminoso/a), contravvenzionale
(ipotesi, reato contravvenzionale; e si noti che
contravvenzionale è utilizzato esclusivamente in unione
con questi due nomi), dibattimentale (decisione, fase,
istruttoria, istruzione, ordinanza, udienza, verbale),
documentale (prova, risultanza), giurisprudenziale
(contrasto, indirizzo, insegnamento, orientamento,
oscillazione, tesi), motivazionale (ipotesi, obbligo,
tecnica, vizio), peritale (accertamento, risultanza,
indagine, relazione), prescrizionale (periodo, termine),
probatorio (acquisizione, ambito, apporto, contesto,
contrasto, efficacia, elemento, funzione, inadeguatezza,
inquinamento, materiale, profilo, quadro, rilevanza,
sillogismo, sostegno, valenza, valore, valutazione),
processuale (acquisizione, aspetto, atto, comportamento,
condotta, contegno, economia, emergenza, fase, legge,
natura, norma, ordinamento, profilo, questione, rapporto,
risultanza, sistema, spesa, vicenda, vizio); ma anche
aggettivi come consumativo (iter, processo, ma soprattutto
momento), distrattivo (condotta, dolo, ipotesi, iter, fatto,
scopo, valenza), omissivo (solo comportamento).
Si sarà già notato che questi aggettivi si ritrovano
particolarmente in sintagmi costituiti da un nome generico
e un aggettivo portatore del significato specifico: azione
(criminosa, delittuosa, distrattiva, esecutiva, fideiussoria,
omicidiaria, strumentale: i sintagmi con aggettivo di
relazione sono 10 su 69 occorrenze complessive), ipotesi
(accusatoria,
associativa, concorsuale, concussiva,
contravvenzionale, criminosa, delittuosa, distrattiva,
motivazionale: 22 su 183), risultanze (documentali,
peritali, probatorie, processuali: 22 su 31), vicenda
(vicenda processuale, criminosa, delittuosa: 7 su 44); ma
il caso più eclatante è quello di disegno, che in 23
occorrenze su 28 si presenta nel sintagma disegno
criminoso.
Si segnalano anche casi di sintagmi preposizionali,
come in sede (applicativa, dibattimentale).
2) omissione dell’articolo indeterminativo. Il
fenomeno, individuato da Serianni (2005: 132-135) come
ben presente nel linguaggio medico, ha una rilevanza
ancora maggiore nel linguaggio giuridico, al punto che
Giovanni Rovere vi ha dedicato un intero saggio (ora
Rovere, 2005: 35-53). In linea di massima, «nell’ambito
delle locuzioni verbali giuridiche l’assenza dell’articolo,
più diffusa di quanto non risulti dai dizionari, sembra a
prima vista denotare
o sottolineare la tecnicità
dell’azione» (Rovere, 2005: 36), anche se in alcuni casi si
può individuare un’opposizione semantica tra varianti con
o senza articolo (per es. al tipo prevalente proporre
ricorso, si possono affiancare contesti come «il ricorso è
stato tempestivamente proposto il 2 novembre 1984», nel
quale si passa dall’accezione di ricorso come ‘atto
giuridico astratto’ a quella di ‘atto come procedura e
documento’ e si marca la funzione anaforica del
sostantivo con articolo). Nel nostro corpus non sono
presenti combinazioni del verbo proporre e del sostantivo
ricorso provvisto di articolo (a fronte di 77 casi senza
articolo): si deve inserire quindi la locuzione fissa
presentare ricorso tra i tecnicismi collaterali. Meno
stabili, e soprattutto con occorrenze isolate, anche
locuzioni analoghe, come far pervenire memoria,
presentare istanza, rigettare istanza.
Notevole la presenza di sintagmi preposizionali privi
di articolo. Si segnalano soprattutto quelli introdotti da
mediante, per i quali i sintagmi senza articolo (per es.
«poteva essere fatta valere dal P. M. mediante ricorso per
cassazione», «definire la posizione del coimputato B.
mediante applicazione nei confronti dello stesso di pena
cd. patteggiata ai sensi dell’art. 444 c.p.p.») sono il gruppo
più cospicuo (24, contro 20 con articolo determinativo e 7
con articolo indeterminativo), a mezzo, a proposito del
quale le forme con preposizione articolata («delitto di
diffamazione a mezzo della stampa»), con proposizione
semplice («presentare l’atto personalmente o a mezzo di
incaricato»), senza preposizione («reato di diffamazione a
mezzo stampa») si equivalgono, visto che occorrono,
rispettivamente, 8, 7 e 7 volte, a seguito di (dove la forma
con preposizione articolata prevale, con 38 occorrenze, ma
quella con la sola preposizione è comunque consistente,
con 25 presenze, mentre è irrilevante quella con l’articolo
indeterminativo, che ricorre solo 2 volte). A differenza del
linguaggio medico, mancano o sono rarissime, e tali da
non poter indicare una tendenza standard, forme senza
articolo introdotte da in seguito a o da preposizioni
semplici come dopo o durante
Rinvio a Rovere (2005) per la trattazione di quella che,
secondo lo schema di Serianni, possiamo definire
omissione dell’articolo davanti a sintagmi nominali
soggetto, oggetto diretto e nomi del predicato al singolare,
in posizione postverbale. Si tratta, infatti, di un caso
presente raramente nel corpus (o comunque meno di
quanto ci si sarebbe attesi tenendo conto
Fenomenologia dei tecnicismi collaterali. Il settore giuridico.
dell’esemplificazione di Rovere). Mi rimane anche il
dubbio se davvero in casi come questo caso sia possibile
parlare di tecnicismo collaterale (per il quale, a mio
avviso, resta prevalente il rinvio al livello lessicale come
motore di scelte rilevantemente diverse da quelle della
lingua comune).
3) Rinvio a Blumenthal e Rovere (1993) per il
reperimento di verbi usati con reggenze diverse da quelle
della lingua comune. Serianni (2005) cita un caso di verbo
correntemente pronominale, usato preferibilmente nel
linguaggio medico in forme non pronominali (si tratta di
originare). Non è che un caso particolare di valenze
verbali peculiari che trovano spazio solo in testi tecnici e
non nella lingua comune (qualche esempio del lessico
giuridico: avere diritto di, atteggiare trans., configurarsi
in, contrastare trans., vulnerare).
4) Un altro settore particolarmente ricco di tecnicismi
collaterali è quello costituito dai nessi preposizionali (ai
sensi di, a carico di, a titolo di, a seguito di, a norma di,
in capo a, in ordine a) e preposizioni (in con nomi di città;
avverso; avanti). I casi sono diversi. Per quel che riguarda
a carico di («l’inefficacia della misura cautelare a carico
dei D.»), in ordine a («egli era stato chiamato a
discolparsi in ordine ad una violazione depenalizzata»), a
seguito di («a seguito del riconoscimento delle attenuanti
e diminuenti suddette», «a seguito della declaratoria di
illegittimità costituzionale»), ai sensi di («detti illeciti
erano estinti per amnistia, ai sensi del D. P. R. n. 75 –
90»), il sostantivo occorre prevalentemente all’interno
della locuzione preposizionale (carico compare 57 volte
su 76 nella locuzione corrispondente, ordine 228 su 266,,
sèguito 67 volte su 83, sensi 117 su 119). Meno
specializzato nelle locuzioni preposizionali l’uso dei
sostantivi negli altri casi (norma 50 su 184, titolo 16 su
51, capo 10 su 160).
Anche l’uso delle preposizioni presenta alcune
caratteristiche fortemente connotate come tecniche, a
cominciare dal ricorso ad avverso in luogo di contro,
soprattutto nel contesto «avverso la sentenza» (se in
generale le occorrenze di avverso sono 153 a fronte delle
47 di contro, avverso la sentenza è usata 117 volte a
fronte di 8 contro la sentenza; e se ne deduce anche che la
maggior parte degli usi di avverso, 117 su 153, è proprio
nel sintagma avverso la sentenza); in in complementi di
stato in luogo costituiti da nomi di città («nato in Roma»
vs «nato a Roma»): il tecnicismo collaterale, pur non
essendo prevalente, ha un’ampia ricorrenza (102 in contro
155 a). Tipica, anche se poco ricorrente, la preposizione
avanti (avanti a o avanti + art.) accanto a davanti.
5) Infine i tecnicismi collaterali più decisamente
lessicali. Mi limiterò a indicare due categorie
particolarmente significative: da una parte quella costituita
da alcuni nomi generali (vicenda, disegno, soggetto) che
hanno subito una netta specializzazione (vicenda e
disegno soprattutto in riferimento a crimini e alla loro
progettazione; soggetto come individuo titolare di diritti e
di doveri); dall’altra i verbi riferiti alle fasi della procedura
e alle relative argomentazioni, come dedurre
‘argomentare, ricavare (da)’ («il R. deduce violazione
dell’art. 606»), lamentare ‘denunciare’ («il Procuratore
Generale ricorrente lamenta vizio di carenza di
motivazione»), presentare (ricorso, istanza) o proporre
(ricorso, appello, impugnazione), pronunciare ‘emettere
(una sentenza)’ («in accoglimento dell’impugnazione,
pronuncia l’assoluzione per alcuni dei reati unificati»).
Sempre nell’ambito delle procedure possiamo
riconoscere alcune formule ormai fossilizzate, come i
sintagmi sentenza impugnata o, ancora più caratteristico,
impugnata sentenza (per valutarne il grado di fissità, si
tenga conto che le occorrenze di impugnata che si
accompagnano a sentenza sono ben 303 - 110 con
anteposizione dell’aggettivo, 193 con posposizione – su
371 apparizioni totali della forma impugnata e 1082 di
sentenza, naturalmente la parola piena più frequente nel
corpus), sentenza denunziata (che ricopre 69 occorrenze
su 78 dell’agg. denunziato), erronea applicazione (che
rappresenta 76 casi su 102 di utilizzo di erroneo, mentre,
si noti, sbagliato non è mai usato).
3. Osservazioni finali
Dall’illustrazione che, sia pure in forma sintetica, ho
dato dei tecnicismi collaterali nell’ambito del diritto,
emerge che tutte le categorie individuate da Serianni
(2005) per la lingua medica trovano riscontro nella lingua
giuridica, mentre non ho rinvenuto categorie non previste
in quella classificazione. Da questo punto di vista la mia
ricerca si pone come indagine confermativa della
classificazione di Serianni, che si rivela così, senza ombra
di dubbio, una tipologia valida per tutti i tecnicismi
collaterali e non solo per quelli medici.
Resta confermato anche quanto osserva Serianni
(2005: 129), e cioè che «i T[ecnicismi] C[ollaterali]
possono ricorrere in più ambiti settoriali». All’esempio a
carico di possiamo aggiungere, tra gli altri, elemento, in
sede o soggetto.
Inoltre, analizzando i testi si verifica che i fenomeni
spesso cooccorrono negli stessi contesti (per es. «il R.
deduce violazione dell’art. 606», con contemporaneo uso
del tecnicismo collaterale dedurre e assenza dell’articolo
davanti al SN oggetto diretto oppure «una pistola cal. 38
identificata mediante indagine peritale», con uso della
preposizione mediante non seguita da articolo e
dell’aggettivo di relazione peritale, «elemento probatorio
principale a carico dei prevenuti», con il nesso
preposizionale a carico di e l’aggettivo di relazione
probatorio che specifica il nome generale elemento). Se
ne trae conferma che i tecnicismi collaterali sono segnali
linguistici ricercati con insistenza dagli appartenenti al
gruppo sociale che usa la lingua speciale.
Ma c’è un corollario su cui vorrei attirare, in
conclusione, l’attenzione dei lettori. Le politiche di
semplificazione degli usi pubblici della lingua, molto
sviluppate negli ultimi anni, mirano principalmente a
eliminare proprio i tecnicismi collaterali dato che i
tecnicismi specifici non possono, per definizione, essere
eliminati, ma, al più, glossati, spiegati, illustrati con
elenchi esemplificativi. Il pensiero va, però, a Graziadio
Isaia Ascoli, che nel Proemio all’Archivio Glottologico
(Ascoli, 1873: XXI) aveva già osservato il fenomeno dei
tecnicismi collaterali, notando che «fra due scienziati è
modo più naturale, anche nel discorso casalingo», ma
anche «modo più eletto», l’espressione vi si determina un
piccolo vano rispetto a ci si viene a formare un bucolino e
che il primo deriva, «quando pur non sia necessariamente
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richiesto, dall’abito di una mente, il cui lavoro è più
complesso, e insieme più facile e sicuro, che non sia di
solito il lavoro mentale di chi si esprime nel modo più
pedestre». Richiamo questo ragionamento ascoliano,
opportunamente già recuperato da Serianni (2005: 129),
non per porre dubbi sull’utilità, se non addirittura sulla
necessità sociale, della semplificazione di testi che si
rivolgono a «chi si esprime nel modo più pedestre», ma
per tener desta l’attenzione sulle difficoltà che causiamo, e
quindi sullo sforzo che chiediamo, a chi con quelle parole
svolge un lavoro mentale «più complesso, e insieme più
facile e sicuro», quando lo sollecitiamo a mutare l’uso di
queste espressioni (i tecnicismi collaterali), per lui utili e
familiari, ancorché «non necessariamente richieste».
4. Riferimenti
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Italiano 1, pp. V-XLI.
Blumenthal, P. e Rovere, G. (1993). Fachsprachliche
Valenzen im Italienischen und Deutschen. In G. Rovere
e G. Wotjak (a cura di), Studien zum romanischdeutschen Sprachvergleich. Tübingen: Niemeyer, pp.
69-88.
Musacchio, M. T. (2002). I tecnicismi collaterali. In M.
Magris et al. (a cura di), Manuale di terminologia.
Aspetti teorici, metodologici e applicativi. Milano:
Hoepli, pp. 135-150.
Ondelli, S. (2004). Il genere testuale della sentenza penale
in Italia: l’impiego dei tempi dell’indicativo tra
performatività e narrazione. Tesi di dottorato in
Romanistica. Università degli Studi di Padova.
Rovere, G. (2005). Capitoli di linguistica giuridica.
Ricerche su corpora elettronici. Alessandria: Edizioni
dell’Orso.
Serianni, L. (1985), Lingua medica e lessicografia
specializzata nel primo Ottocento. In La Crusca nella
tradizione letteraria e linguistica italiana. Atti del
Congresso Internazionale per il IV centenario
dell’Accademia della Crusca (Firenze, 29 settembre-2
ottobre 1984). Firenze: Accademia della Crusca, pp.
255-287.
Serianni, L. (1989), Saggi di storia linguistica italiana.
Napoli: Morano.
Serianni, L. (2003). Italiani scritti. Bologna: Il Mulino.
Serianni, L. (2005). Un treno di sintomi. I medici e le
parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente.
Milano: Garzanti.