scuola di preghiera 2013 - Seminario Vescovile di Padova

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scuola di preghiera 2013 - Seminario Vescovile di Padova
1. Schiaffetto o buffetto? Inizio con un racconto autobiografico, spero non disturbi. Personalmente ho ricevuto la cresima in quarta elementare… ero solo un bambino, non di certo un adulto nella fede… E proprio perché ero solo un bambino avevo uno zio che si divertiva a farmi paura. Mi aveva convinto che il vescovo mi avrebbe chiesto il nome, poi mi avrebbe unto con il crisma e prima di andarsene via mi avrebbe cacciato uno schiaffo dicendo: «PASTECO». Eppure, la cosa era assurda. Assurdo lo schiaffo e assurda quella parola che sembrava magica -­‐ pasteco!. Ma stranezza + magia… i conti tornavano! E poi, sappiamo com’è, il peggio poiché fa paura, talvolta è più credibile della verità. Ho dovuto ricevere la cresima per scoprire che lo schiaffo davvero non c’era. Indurii un po’ le guance… come quando ci si aspetta una puntura, e… arrivò una specie di carezza! Il vescovo Girolamo, un uomo anziano, austero, dalla bianca barba, mi sfiorò la guancia e non disse la parolina magica «Pasteco», ma una parola buona, augurale: «La pace sia con te». In latino sarebbe stata «Pax tecum». Pasteco, appunto, «La pace sia con te». Aspettavo uno schiaffo… e arrivò un buffetto. La storia del Pasteco mi pare un po’ la storia del nostro rapporto con la Chiesa. Se ci dicono che la Chiesa è matrigna, imbrogliona, che vuole il male dei suoi figli… è assurdo, ma è più facile credere a questo che non al fatto che ella sia capace di accoglienza e tenerezza. Dalla Chiesa, che cosa ci aspettiamo? Uno schiaffo o un buffetto? Tanti zii e tante zie sembrano consigliare: «Prima o poi ti arriverà un ceffone!». L’augurio è per tutti, con tutto il cuore: che invece di uno schiaffo possiate ricevere un gesto, una parola di incoraggiamento, come per il cresimato, come all’inizio dell’avventura della fede. A pensarci bene, più che una carezza, forse ci andrebbe meglio un abbraccio forte, vigoroso, per dire: «Ora hai la forza dello Spirito! Se anche sei poco più di un bambino, non aver paura di andare, di camminare: non sei solo, ci siamo noi!». Non sei solo, ci siamo noi! A questo proposito, una nonna mi ha raccontato un giorno di suo nipote. Enrico aveva 14 anni un’età in cui si comincia ad amare una certa autonomia e ci si vergogna a dire che c’è ancora bisogno della mamma. Ebbene, a Enrico, gli muore la mamma. Il ragazzo da qualche mese ormai ci stava soffrendo; non lo diceva, ma si capiva da come continuava a girare per la casa della nonna un po’ a tutte le ore, senza esprimere quello che portava dentro. Un giorno la nonna lo prende e gli indirizza queste parole: «Senti Enrico, quello che ti è successo è molto doloroso per te e per noi. Sappi che noi siamo qui con te e non ti lasceremo solo!». Non so come Enrico reagì, ma quelle parole colpirono me. Semplici… ma forse erano queste le parole che il ragazzo cercava e non aveva ancora trovato. Se fossero state postate su Facebook queste parole, non avrebbero avuto lo stesso effetto… La carezza del vescovo Girolamo, le parole della nonna di Enrico non erano virtuali, erano vere, anche perché inattese, soprattutto perché vere erano le persone da cui provenivano… Parole di promessa, parole augurali, parole compromettenti. Come avverto di essere amato dalla Chiesa?
2. Insieme, ma da fratelli La nonna di Enrico, tutto sommato, aveva intuito una cosa molto semplice. Che quel ragazzo non avrebbe potuto farcela da solo ad affrontare il dolore del lutto. Aveva bisogno che qualcuno gli assicurasse che non lo avrebbe lasciato… come purtroppo era capitato con la morte della mamma. Va bene per Enrico, ma va bene anche per noi. Va bene per il cristiano. Un cristiano non può farsi, crescere da solo. NON ESISTE UN CRISTIANO SOLITARIO. «La fede è certamente un atto personalissimo che avviene nell’intimo più profondo» (Benedetto XVI). «Io credo!», professiamo nel Credo. Ma la fede non è il risultato di uno sforzo solitario. C’era qualche tempo fa una pubblicità che faceva ridere sul tema del “turista fai-­‐da-­‐te”. Dovessimo inventare una pubblicità sul cristiano “fai da te” non farebbe ridere per niente. Non c’è niente da ridere su una persona illusa! Quando una persona si isola, la sofferenza che cerca di evitare in questo modo, raddoppierà. L’isolamento, da sempre, è qualcosa che fa male. Noi veniamo impastati, noi nasciamo ad immagine di un Dio che è comunione, che è famiglia… e questa attrattiva ci rimane nel cuore anche quando ci comportassimo da orsi… tanto più per il cristiano. L’altro è un’attrattiva profonda del nostro cuore. Qualcuno ha detto che un “Io solitario” è un “Io perduto”. Una persona sola, che sbarcasse in paradiso, si chiederebbe: «E questo, cos’è?». Quando vediamo qualcosa di bello o divertente e siamo da soli, ci diciamo: «Peccato, ci fosse anche Angela o “coso” qui con me!». Non siamo capaci di gustare il bello da soli. Esiste il cristiano se inserito in una famiglia. Però, d’altra parte, non siamo messi insieme perché l’unione fa la forza o perché “insieme è bello”. Lo sappiamo, la poesia passa presto. (coppia) Quando ci si incontra c’è gioia di infrangere l’isolamento. Pensate alla gioia di quando una ragazza o un ragazzo si sentono scelti. Scelti non per le proprie capacità o bravure, ma scelti per la vita! È la gioia! (gruppo) O quando dall’esterno si guarda a una comunità che appare quasi sempre bella: scambi profondi, collaborazione e sostegno reciproco… ma quando si è dentro, si fa presto a scoprire tutti i difetti degli altri. La comunità dovrebbe essere quell’ambiente che mi permette di crescere realmente. È come una condizione che mi permette di diventare libero. Perché mi libera dal gelo o dal sonno. L’altro mi sveglia col suo calore oppure per quel gomito che mi caccia sullo stomaco. Mi sveglia, mi fa venir fuori. La comunità dovrebbe essere quel luogo che mi sveglia, che mi mette nella condizione ideale per diventare libero e libero di trovarmi nel Signore. Mi chiedo: quanto il gruppo, la comunità in cui trovo inserito mi permette di svegliarmi, di diventare “più cristiano”? Non migliore degli altri, ma più libero di giocare la mia vita sul Signore? La comunità ci fa crescere con il calore, con l’amicizia. Anche se nella comunità cristiana non troviamo tutti amici. Un po’ come in una famiglia… gli amici si scelgono, i fratelli si trovano. Gli amici possiamo perderli a volte anche per una battuta stupida; i fratelli non te li scrolli di dosso. Anche se lontani, rimangono fratelli. Per l’amicizia bastano due persone a sostenere la relazione; per i fratelli c’è sempre di mezzo un padre, una madre da cui si proviene, da riconoscere, da condividere… È importante avere degli amici, crescere insieme. È importante avere dei fratelli. Forse abbiamo tutti bisogno di riflettere su questo. La comunione deve suscitare la mia libertà di decidermi, di reagire positivamente davanti ai
disegni del Signore. Conosco qualche “sosia” di questa comunione? In comunità condivido
la mia fede con gli altri oppure provo un certo “pudore”, vergogna a farlo?
3. Una fraternità che educa A proposito di fratelli particolari, abbiamo ascoltato la parte finale della seconda lettera che san Paolo indirizza ai Corinti. In questo scritto l’apostolo non è andato per il sottile. Ha usato più volte un linguaggio di fuoco, indisponente. Nella comunità di Corinto c’erano divisioni, cose che non andavano e san Paolo non risparmia rimproveri e toni di forte rimprovero, anche se alla fine… augura la pace: «Siate lieti», dice. Vi è contraddizione? Se san Paolo potesse rispondere a questa domanda forse direbbe così: «Quelli che io amo, li metto in crisi, li educo». La fraternità cristiana non fossilizza quello che trova. Se voglio bene a una persona devo accoglierla per com’è, ma posso anche amarla per quello è chiamata a diventare. Amarla vuol dire senz’altro accettare anche che abbia sbagliato, perfino che mi abbia tradito. Ma non l’amerei per davvero se tutto finisse qui. So amare gli altri per quello che sono e per quello che possono diventare? Mi lascio amare anche per quello che posso diventare? Senza offesa! In una delle lettere pastorali del card. Martini leggiamo: «Oggi si educa poco perché si ama poco. È quando si ama veramente che si educa, altrimenti le cose si lasciano lì come sono». È vero. Quando si ama poco non si sa parlare con verità: magari ci si lamenta, si diventa acidi, si punisce col silenzio o con la recriminazione. “Rimproverare” non è il semplice buttare in faccia le colpe, quasi scaricandosi di un peso. Paolo ha saputo rimproverare i Corinti smascherando le false certezze, smontando le ragioni fasulle che stavano dietro ai comportamenti sbagliati. Ma intanto, anche così, li ha amati. Occorrono molto amore, molta intelligenza, anche molta riflessione per giungere a un rimprovero che sia carico di amore e di persuasione. È l’esperienza di Giovanni Bosco. Abbiamo ascoltato all’inizio il sogno che egli fa da ragazzo. «Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole. In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente… Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi. Aggiunse: “Dovrai farteli amici non con le percosse ma con la mansuetudine e la carità…”». «Dovrai farteli amici»… e ha inventato il metodo preventivo. Prevenire non vuol dire esser prevenuti, e cioè sospettare, controllare, minacciare, impaurire, farsi trovare là dove il ragazzo potrebbe sbagliare o deviare ed impedirglielo. Prevenire è un verbo dell’amore, è il venir prima, l’essere accanto, l’ospitare. Chi è venuto prima ed ama chi vien dopo, introduce al gusto del bene che lui stesso ha sperimentato per primo. Giovanni Bosco ha davvero amato questi ragazzi per quello che erano, ma anche per quello che erano destinati a diventare! Lʼamore per lʼaltro, mette in conto anche la correzione. Chi ricerca solo se stesso, farà
fatica a indicare mete, obiettivi che non accontentino solo i gusti dellʼaltro/a. Sono capace di
un amore di questo tipo? Chi mi ha amato così?
4. Se le persone ci danno fastidio Il Signore ci ha collocato dentro a molte relazioni. Non tutte sono relazioni gradite. La vita è bizzarra, talvolta sembra dispettosa. Capita che talvolta abbiamo bisogno della vicinanza di una persona che ci è cara… ebbene per una strana legge di Murphy quella persona non ce l’avremo vicina… ne avremo magari una che non ci è simpatica o che addirittura ci dà fastidio. Però, fatti come siamo per l’altro, provo a pensare: e se avessimo perfino bisogno proprio di quelli che ci danno fastidio? Una mano sulla porta Quando sto zitto arriva mia madre. Sta sola mia madre nella stanza di là. E io solo e zitto nella stanza di qua. Mia madre si alza e arriva di quando in quando. Con una mano sulla porta cerca di leggere il mio cuore: io zitto mi lascio leggere. Intanto mi nascono affetti… e le sorrido: «Che sei venuta a fare?» Ma so bene perché viene da me. Dopo aver scambiato con me due o tre parole, mia madre se ne va. E io penso a tutti gli uomini. Noi viviamo sostenendoci l'un l'altro. È come reggersi con le mani sulle spalle di chi ci vive accanto. Si ha bisogno persino delle persone che danno fastidio. Chi sa se mia madre non pensa a questo quando viene e mi guarda con la mano appoggiata sulla porta? Kazumasa Nakagawa Provo a elencare davanti al Signore quelle persone nei riguardi delle quali provo qualche
fastidio, oppure con cui non ho interessi particolari da condividere e che… mi sono
“necessarie” per vivere.