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Approfondimenti Diritto alla riservatezza e sicurezza del lavoro Pierguido Soprani ............................................................................................ 5 Proposte operative per la stima dei costi della sicurezza nei cantieri Michele Giovannetti ......................................................................................... 19 Dalle Università a cura di Francesco Bacchini La responsabilità sociale delle imprese e il dovere di salute e sicurezza Francesco Bacchini .......................................................................................... 31 Notizie INAIL WorkCongress 2004: prevenzione, riabilitazione ed indennizzo infortuni e malattie professionali .................................................................................................. 39 Finanziamenti Finanziamenti per la sicurezza a cura di Bruno Pagamici ................................................................................. 45 Inserto Sicurezza e vivibilità nella chirurgia umana e veterinaria: assicurazione e prevenzione in sala operatoria Alessandro Baldacconi, Cristina Baldacconi, Roberto Buzzi, Paola Desiderio Dispositivi per l’apertura manuale delle porte D.M. (Interno) 3 novembre 2004 ....................................................................... 50 Prassi Stabilimenti costieri di lavorazione e depositi di oli minerali e sostanze esplosive Min. Interno - Lettera circolare 11 novembre 2004, n. 2600 ..................................... 52 Attrezzature a pressione trasportabili: quadro normativo Min. Trasporti - Circolare 26 ottobre 2004, n. 3982 ............................................... 54 Giurisprudenza Rassegna della Cassazione penale a cura di Raffaele Guariniello Leptospirosi del dipendente comunale, soggetti responsabili e carenza di fondi Cass. Pen., Sez. IV, 6 ottobre 2004, n. 39052 ....................................................... 59 Datore di lavoro pubblico e prova della delega Cass. Pen., Sez. III, 7 ottobre 2004, n. 39268 ....................................................... 60 Impossibilità tecnica di mezzi protettivi e divieto assoluto di macchine insicure Cass. Pen., Sez. III, 12 ottobre 2004, n. 39852 ...................................................... 61 Il coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori nei cantieri Cass. Pen., Sez. III, 22 novembre 2004, n. 45054 ................................................... 63 Casi e Questioni ISL risponde .................................................................................................. 66 ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Sommario Legislazione 3 REDAZIONE Per informazioni in merito a contributi, articoli ed argomenti trattati AMMINISTRAZIONE Per informazioni su gestione abbonamenti, numeri arretrati, cambi d’indirizzo, ecc. Sommario scrivere o telefonare a: 4 MENSILE DI AGGIORNAMENTO GIURIDICO E DI ORIENTAMENTO TECNICO IPSOA Redazione Casella Postale 12055 - 20120 Milano telefono 02.82476.022 - 023 telefax 02.82476.436 e-mail: [email protected] EDITRICE Wolters Kluwer Italia s.r.l. 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L’elenco aggiornato di tutti i responsabili del trattamento potrà essere richiesto per iscritto all’Ufficio MID presso la sede della società. I Suoi dati saranno utilizzati dalla nostra società, da enti e società esterne ad essa collegati, nonché da soggetti terzi, titolari autonomi del trattamento, solo per l’invio di materiale amministrativo-contabile, commerciale e promozionale. Ai sensi dell’art. 7 del citato D.Lgs., Lei ha diritto di conoscere, aggiornare, rettificare, cancellare i Suoi dati, nonché di esercitare tutti i restanti diritti ivi previsti, mediante comunicazione scritta a Wolters Kluwer Italia S.r.l., Ufficio MID, Milanofiori, Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago (Mi). Protezione dei dati personali Diritto alla riservatezza e sicurezza del lavoro Premessa Prima con l’emanazione della legge 31 dicembre 1996, n. 675 «Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali», e successivamente con il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 «Codice in materia di protezione dei dati personali», la legislazione italiana si è via via arricchita di una normativa rivolta a dare rilevanza giuridica alla riservatezza, intesa come bene immateriale a titolarità individuale, espressione non solo della dignità umana, ma anche dell’esigenza che ciascun individuo veda rispettati i diritti e le libertà fondamentali della persona, tra cui rientra quello della privacy, funzionale ad un pieno sviluppo della persona umana. Il diritto alla protezione dei dati personali, espressamente sancito dall’art. 1 del D.Lgs. n. 196/2003, e quello alla riservatezza, intendendosi per tale, ai sensi dell’art. 4 del decreto, «qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale», deve peraltro trovare un contemperamento con le esigenze, aventi pari rilievo sociale, insite in alcune attività, rispetto alle quali si debbano riconoscere rilevanti finalità di interesse pubblico. È in questo ambito che l’art. 112 del codice ha individuato le finalità dirette all’instaurazione ed alla gestione di «rapporti di lavoro di qualunque tipo, dipendente o autonomo, anche non retribui- to o onorario o a tempo parziale o temporaneo», nonché di ogni altra forma di impiego, quand’anche non comporti la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato. È cosı̀ che il c.d. «diritto ad essere lasciati soli» mostra segni di relativa cedevolezza di contro alla sussistenza di obiettivi sociali di uguale rango o addirittura prevalenti. Con riguardo al settore del diritto penale del lavoro, il citato art. 112 consente il trattamento dei dati (comma 2, lett. e) al fine di «adempiere specifici obblighi o compiti previsti dalla normativa in materia di igiene e sicurezza del lavoro o di sicurezza o salute della popolazione, nonché in materia sindacale». Il trattamento dei dati sensibili In relazione a tale ambito particolare, il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto con una serie di autorizzazioni generali, rilasciate da ultimo ai sensi dell’art. 26, comma 4. lett. d) del codice, con le quali ha autorizzato il trattamento dei dati sensibili nei rapporti di lavoro. Si tratta di provvedimenti emanati annualmente dal Garante (l’ultima è l’autorizzazione n. 1/2004 (1), con efficacia fino al 30 giugno 2005), con i quali il trattamento dei dati sensibili nei rapporti di lavoro è stato consentito sia «alle persone fisiche e giuridiche, alle imprese, agli enti, alle associazioni e agli organismi che sono parte di un rapporto di lavoro o che utilizzano prestazioni lavorative anche atipiche, parziali o temporanee, o che comunque confe- riscono un incarico professionale alle figure indicate al successivo punto 2, lettere b) e c)», che agli organismi paritetici e agli altri organismi che «gestiscono osservatori in materia di lavoro, previsti dalla normativa comunitaria, dalle leggi, dai regolamenti o dai contratti collettivi anche aziendali». Significativo dell’apertura «culturale» alla dimensione sociale del lavoro, e della centralità dell’uomo-lavoratore, al fine di tutela dell’integrità psico-fisica della persona, è poi il fatto che l’autorizzazione del Garante riguarda anche «l’attività svolta dal medico competente in materia di igiene e di sicurezza del lavoro», in qualità sia di libero professionista, che di dipendente di un datore di lavoro o di strutture convenzionate. Il trattamento dei dati sensibili riguarda non solo i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, ma anche i lavoratori interinali, quelli in rapporto di tirocinio, apprendistato e formazione e lavoro, nonché gli associati anche in compartecipazione, i consulenti e i liberi professionisti, gli agenti, i rappresentanti, i mandatari e coloro che effettuano prestazioni coordinate e continuative. Il trattamento deve corrispondere a finalità specificamente individuate, cui deve rivelarsi assolutamente indispensabile. Con riguardo al diritto penale del lavoro, le finalità di trattamento definite sono le seguenti: per adempiere o per esigere l’adempimento di specifici obblighi o per eseguire specifici Nota: Approfondimenti Pierguido Soprani Avvocato (1) In G.U. 14 agosto 2004, n. 190. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 5 Approfondimenti 6 compiti previsti dalla normativa comunitaria, da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi anche aziendali, in particolare ai fini del rispetto della normativa in materia di previdenza ed assistenza anche integrativa, o in materia di igiene e sicurezza del lavoro o della popolazione, nonché in materia fiscale, di tutela della salute, dell’ordine e della sicurezza pubblica; per il perseguimento delle finalità di salvaguardia della vita o dell’incolumità fisica dell’interessato o di un terzo; per l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi, nel rispetto di quanto stabilito dalle leggi e dai regolamenti in materia; per adempiere ad obblighi derivanti da contratti di assicurazione finalizzati alla copertura dei rischi connessi alla responsabilità del datore di lavoro in materia di igiene e di sicurezza del lavoro e di malattie professionali o per i danni cagionati a terzi nell’esercizio dell’attività lavorativa o professionale; per garantire le pari opportunità. In questo ambito, le categorie di dati suscettibili di trattamento - ferma restando la condizione generale che sono «trattabili» solo ed unicamente i dati strettamente pertinenti agli obblighi, ai compiti o alle finalità indicate nell’autorizzazione del Garante - sono: quelle idonee a «rivelare le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, ovvero l’adesione ad associazioni od organizzazioni a carattere religioso o filosofico, i dati concernenti la fruizione di permessi e festività religiose o di servizi di mensa, nonché la manifestazione, nei casi previsti dalla legge, dell’obiezione di coscienza»; quelle idonee a «rivelare le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere politico o sindacale, i dati concernenti l’esercizio di funzioni pubbliche e di incarichi politici (sempre che il trattamento sia effettuato ai fini del- la fruizione di permessi o di periodi di aspettativa riconosciuti dalla legge o, eventualmente, dai contratti collettivi anche aziendali), ovvero l’organizzazione di pubbliche iniziative, nonché i dati inerenti alle attività o agli incarichi sindacali, ovvero alle trattenute per il versamento delle quote di servizio sindacale o delle quote di iscrizione ad associazioni od organizzazioni politiche o sindacali»; quelle idonee a «rivelare lo stato di salute, i dati raccolti in riferimento a malattie anche professionali, invalidità, infermità, gravidanza, puerperio o allattamento, ad infortuni, ad esposizioni a fattori di rischio, all’idoneità psico-fisica a svolgere determinate mansioni o all’appartenenza a categorie protette». È altresı̀ previsto che i dati siano raccolti, di regola, presso l’interessato, e che la loro comunicazione al medesimo «deve avvenire di regola direttamente a quest’ultimo o a un suo delegato, in plico chiuso o con altro mezzo idoneo a prevenirne la conoscenza da parte di soggetti non autorizzati, anche attraverso la previsione di distanze di cortesia. Restano inoltre fermi gli obblighi di acquisire il consenso scritto dell’interessato e di informare l’interessato medesimo, in conformità a quanto previsto dagli articoli 13, 23 e 26 del codice». I dati sensibili oggetto di trattamento possono essere comunicati e, ove necessario, diffusi nei limiti strettamente pertinenti agli obblighi, ai compiti o alle finalità indicate, a «soggetti pubblici o privati, ivi compresi organismi sanitari, casse e fondi di previdenza ed assistenza sanitaria integrativa anche aziendale, agenzie di intermediazione, associazioni di datori di lavoro, liberi professionisti, società esterne titolari di un autonomo trattamento di dati e familiari dell’interessato». Peraltro i dati idonei a rivelare lo stato di salute non possono essere diffusi. Tutti i dati raccolti e trattati devono essere conservati per ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 un periodo non superiore a quello necessario per il raggiungimento della finalità sottintesa al trattamento. È previsto al riguardo un sistema di verifiche periodiche, circa la stretta pertinenza e la non eccedenza dei dati rispetto al rapporto di lavoro, alla prestazione o all’incarico in corso, da instaurare o cessati. Il provvedimento del Garante fa poi salvi «gli obblighi previsti da norme di legge o di regolamento, ovvero dalla normativa comunitaria, che stabiliscono divieti o limiti in materia di trattamento di dati personali e, in particolare, dalle disposizioni contenute: a) nell’art. 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che vieta al datore di lavoro ai fini dell’assunzione e nello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore; b) nell’art. 6 della legge 5 giugno 1990, n. 135, che vieta ai datori di lavoro lo svolgimento di indagini volte ad accertare, nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l’instaurazione di un rapporto di lavoro, l’esistenza di uno stato di sieropositività; c) nelle norme in materia di pari opportunità o volte a prevenire discriminazioni»; d) fermo restando quanto disposto dall’art. 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nell’art. 10 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che vieta alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla La videosorveglianza dei lavoratori La società moderna vede ormai il ricorso diffuso agli strumenti della tecnologia più avanzata in tutti i settori della vita associata, siano essi espressione o meno di diritti fondamentali della persona. Nell’accezione tradizionale, «tecnologia» è sinonimo di progresso; peraltro spesso l’utilizzo di dotazioni tecnologiche comporta, a seconda dei casi, l’esercizio o l’assoggettamento ad un controllo sociale più penetrante. Uno degli strumenti di sempre più frequente impiego sociale è quello legato ai c.d. sistemi di videosorveglianza: si pensi ai progetti di telecontrollo e di videosorveglianza nei centri urbani, a fini di sicurezza pubblica; ovvero ai sistemi di rilevamento, a mezzo di telecamere, dell’accesso dei veicoli in entrata nei centri storici. Nelle grandi aree metropolitane, nel quadro di un’azione mirante a contenere il fenomeno della criminalità e a diminuire la pericolosità di ambiti cittadini particolarmente insicuri, sono stati poi messi a punto sistemi di videosorveglianza attraverso l’installazione, in via sperimentale, di telecamere su alcune linee di autobus e tram e presso alcune fermate, sia a fini di sicurezza dei viaggiatori, sia per prevenire atti di vandalismo. Questa rapida diffusione delle tecnologie della sorveglianza pone concreti e molteplici interrogativi circa il fenomeno di costante erosione della privacy personale e delle libertà civili. Moltissimi sono gli sviluppi tecnologici che interferi- scono con la sfera personale della riservatezza: si pensi alla telefonia cellulare, al tracciamento delle navigazioni in Internet, al monitoraggio dell’utilizzo delle carte di pagamento, ai sistemi di intercettazione acustica e/o visiva come l’autovelox, ai dispositivi di localizzazione della telefonia mobile, alle telecamere dei varchi Telepass autostradali o a quelli delle stazioni e delle filiali bancarie. E tale fenomeno è certamente destinato a progredire nel tempo, tanto che già si parla di videocamere come di dispositivi standard presenti in ogni sistema di sicurezza destinato a monitorare e proteggere spazi pubblici e privati (rilevazione e controllo dei flussi di traffico; rilevazione delle infrazioni al codice della strada; vigilanza nel pubblico trasporto; controllo dei perimetri e degli spazi di stabilimenti ed edifici pubblici da sottoporre a particolare tutela; aree a grande presenza di pubblico quali stazioni, aree aeroportuali e portuali, grandi magazzini e centri commerciali, centri direzionali, filiali bancarie, sportelli automatici, farmacie e rivendite di merci di valore, stazioni di rifornimento, parcheggi ed altre aree pubbliche ad elevato tasso di criminalità). In prima battuta, la tematica della videosorveglianza tra tutela della sicurezza e rispetto delle esigenze di riservatezza individuale, è stata oggetto di un provvedimento generale del Garante per la privacy, emanato in data 29 novembre 2000, a seguito di numerose richieste in merito alle cautele necessarie per conformare alla legge n. 675/1996 gli impianti di videosorveglianza stabili o comunque non occasionali (cioè l’installazione di sistemi, reti ed apparecchiature di ripresa e di eventuale registrazione di immagini, in particolare a fini di sicurezza, di tutela del patrimonio, di controllo di determinate aree e di monitoraggio del traffico o degli accessi di veicoli nei centri storici). Sul piano generale, il Garante aveva rilevato che, nonostante l’assenza di una legislazione specifica in merito, le «regole di base della disciplina sul trattamento dei dati personali ... sono già applicabili alle immagini ed ai suoni, qualora le apparecchiature che li rilevano permettano di identificare, in modo diretto o indiretto, i soggetti interessati». La decisione del Garante, in sintonia con le indicazioni contenute sia nella direttiva comunitaria 95/46/CE, sia nella convenzione n. 108/ 1991 del Consiglio d’Europa (le quali considerano come «dato personale» qualunque informazione che permetta l’identificazione, anche in via indiretta, dei soggetti interessati, ivi compresi i suoni e le immagini), è stata in un secondo momento integrata con il documento elaborato dal Gruppo di lavoro che riunisce le autorità di protezione dati dell’Unione europea (Parere 11 febbraio 2004, n. 4). Da ultimo è stato emanato il provvedimento generale sulla videosorveglianza del 29 aprile 2004, con il quale sono state fissate regole e garanzie precise sull’installazione di telecamere, ed è stato fornito un quadro uniforme (in una prospettiva di futura armonizzazione a livello europeo) che serva da riferimento comune per i soggetti privati e pubblici che intendano ricorrere alla videosorveglianza. Il parere n. 4/2004 contiene un «decalogo» sulle cautele minime di esercizio ed i principi da osservare in materia di videosorveglianza (in particolare il principio di proporzionalità tra mezzi impiegati e fini perseguiti). I principi elaborati dal Garante per la privacy italiano sono riportati nel provvedimento allegato (v. ultra), mentre quelli indicati dai Garanti europei sono riassumibili come segue. a) Stabilire la liceità del ricorso alla videosorveglianza, facendo riferimento alle norme di diritto interno applicabili, anche per quanto riguarda quelle relative al diritto all’immagine ed alla tutela del domicilio. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Approfondimenti ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute e ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, nonché di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo. 7 Approfondimenti 8 b) Garantire che le finalità della videosorveglianza siano specifiche e lecite, in particolare evitando utilizzazioni ulteriori delle immagini rilevate e indicando le finalità della videosorveglianza in un documento che fornisca anche chiarimenti ulteriori sulla privacy policy seguita dal titolare. c) Assicurarsi della legittimità del trattamento, verificando il rispetto di almeno uno dei criteri di legittimità previsti dall’art. 7 della direttiva europea. Per quanto riguarda, in particolare, i soggetti pubblici, è opportuno ricordare che i trattamenti effettuati mediante telecamere devono essere previsti da norme di legge. d) Verificare che il ricorso alla videosorveglianza sia proporzionato, ossia che gli scopi perseguiti siano tali da giustificare realmente l’impiego di dispositivi del genere, e sempre a condizione che altre forme di tutela o altri dispositivi di sicurezza si dimostrino chiaramente inadeguati o non siano applicabili al caso specifico. (Per quanto riguarda l’Italia, ricordiamo che il codice in materia di protezione dei dati personali prevede, all’art. 3, l’obbligo di rispettare il principio di necessità nel trattamento dei dati personali, ossia di ridurre al minimo l’utilizzazione di dati personali o identificativi). e) Verificare che l’attività di videosorveglianza sia effettuata in modo proporzionato, in questo caso si tratta di minimizzare l’impiego di dati personali, anche attraverso opportuni accorgimenti tecnici (angolo di ripresa delle immagini, periodo di conservazione di immagini per breve tempo, rischi legati all’eventuale associazione con altri dati che facilitino l’identificazione delle persone). Su questo punto utili suggerimenti sono venuti dai contributi della consultazione pubblica. f) Informare adeguatamente gli interessati, utilizzando indicazioni ben visibili e posizionate in modo corretto. Può trattarsi di informative sintetiche, secondo un approccio «stratificato» per cui l’interessato potrà ottenere informazioni più dettagliate rivolgendosi direttamente al titolare; tuttavia, l’informativa deve essere efficace. Pertanto, è necessario specificare sempre le finalità dell’uso di telecamere, e indicare chi sia il titolare del trattamento. g) Garantire agli interessati l’esercizio dei diritti di accesso, rettifica, cancellazione ecc., e in particolare il diritto di opporsi al trattamento per motivi legittimi e prevalenti. h) Rispettare eventuali ulteriori requisiti, come ad esempio l’obbligo di notificare il trattamento effettuato attraverso sistemi di videosorveglianza e di adottare idonee misure di sicurezza, preoccupandosi anche di formare in modo adeguato il personale impegnato in tale attività. i) Adottare precauzioni ulteriori in rapporto a specifiche attività di videosorveglianza, ad esempio, se le immagini permettono la raccolta di dati sensibili, oppure se sono previste interconnessioni fra più sistemi di videosorveglianza, oppure se si intendono associare le immagini rilevate con dati di tipo biometrico (impronte digitali, ad esempio) o si prevede di utilizzare sistemi per il riconoscimento automatico della voce o del viso di una persona. In tutti questi ambiti si dovrà compiere una valutazione caso per caso, alla luce dei principi sopra ricordati. Per ciò che concerne la possibilità di predisporre sistemi di videosorveglianza in ambiente di lavoro, la soluzione che si impone sul piano generale è negativa: infatti l’art. 4, comma 1, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori), vieta al datore di lavoro «l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori». Peraltro il comma 2 del citato art. 4 prevede che gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori «possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti». La norma prevede poi (comma 4) che contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali aziendali, oppure i sindacati dei lavoratori «possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale». Se è indubbio che la prevalenza della disciplina giuslavoristica su quella generale è sancita dall’art. 114 del codice, nondimeno appare discutibile che, nell’ambito del modello di impresa sicura delineato nel D.Lgs. n. 626/1994, la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori possa essere condizionata dalla necessità che su di essa intervenga l’accordo con le RSA aziendali, come prescrive il citato art. 4 dello Statuto dei lavoratori in tema di videosorveglianza. Una cosa infatti è il trattamento dei dati effettuato attraverso il sistema di videosorveglianza, altra cosa la videosorveglianza a fini prevenzionali e/o di igiene del lavoro. In questo secondo caso il carattere diffuso della tutela, operante su beni indisponibili e a dimensione sociale collettiva, rende invero secondaria l’esigenza di non incidere nella sfera individuale attinente la riservatezza del singolo lavoratore. Per di più il complesso degli obblighi e degli adempimenti di sicurezza sono, per la quasi totalità, soggetti a sanzione penale: talché urterebbe con i principi di diritto penale la circostanza che il soggetto obbligato (nel nostro caso il datore di lavoro) sia posto in grado di conformare e di adeguare la propria condotta al precetto normativo, solo in virtù e per Le sanzioni disciplinari Il problema dell’incidenza della privacy in materia di sanzioni disciplinari è stato affrontato e risolto dal Garante, quanto al rapporto di pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, con decisione 28 marzo 2000. Il Garante ha stabilito che non viola le esigenze di riservatezza individuale la pubblicazione nel bollettino ufficiale dei ministeri (peraltro solo per estremi e non nel testo integrale) dei provvedimenti disciplinari dei dipendenti pubblici. Nei confronti di un dipendente pubblico che aveva fatto ricorso all’Autorità affinché tutelasse il suo diritto alla privacy, il Garante, nel dichiarare l’infondatezza del ricorso, ha qualificato la decisione dell’amministrazione di pubblicare sul bollettino mensile l’irrogazione della sanzione come atto «doveroso», dal momento che esso deriva da una specifica previsione di legge (T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato - D.P.R. n. 686/1957), e che la legge sulla protezione dei dati personali legittima la diffusione di dati personali (come avviene in tutte le ipotesi di pubblicazioni di informazioni a mezzo stampa) qualora tale modalità sia prevista da norme di legge o di regolamento, come nel caso in questione. Tutto ciò non vale, ovviamente, laddove la diffusione di dati inerenti alla procedura disciplinare non assuma il carattere della doverosità (come è di regola per il settore privato). Conclusioni Come si vede, la materia della prevenzione degli infortuni e dell’igiene del lavoro ha un rilievo sociale tendenzialmente prevalente rispetto alla tutela della riservatezza del singolo lavoratore. Del resto l’attività di raccolta e di trattamento dei dati dei lavoratori corrisponde alla tutela della sicurezza e della salute della popolazione occupata al lavoro, e già nello stesso D.Lgs. n. 626/1994 - sia pure per la prima volta ma con grande rilievo - gli aspetti legati alla sicurezza e alla salute dei lavoratori sono stati valutati non come dati isolato dal contesto sociale (quasi che l’impresa fosse un’oasi avulsa dal restante e contiguo tessuto della società), bensı̀ come essenziali e primari obiettivi di tutela, al fine di un generale miglioramento della sicurezza e della salute di tutta la popolazione. Sicurezza e salute in ambiente di lavoro sono dunque visti come anelli di una catena che cinge tutta la società, tanto che, dall’esame di alcune norme del decreto (art. 2, comma 1, lett. g; art. 4, comma 5, lett. n; art. 64, comma 1, lett. c; art. 79, comma 2, lett. e; art. 81, comma 2, ult. parte) si ricava la consapevolezza del legislatore che solo un’impresa sicura e salubre è in grado di contribuire al parallelo sviluppo di una società più sicura e più salubre. Migliorare le condizioni di sicurezza e di salute in ambiente di lavoro significa dunque migliorare (se non proporzionalmente, almeno sensibilmente) la qualità della vita umana, anche di quella parte della popolazione non occupata al lavoro. È su questi principi di valutazione, e del resto lo stesso D.Lgs. n. 626/1994 è intitolato al «miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro», che il Garante è intervenuto più volte per riaffermarli, sia con riguardo al trattamento dei dati, che al diritto di accesso, che al divieto di condotte discriminatorie: per altro verso nel documento, approvato dalla undicesima commissione permanente (Lavoro e previdenza sociale) del Senato, in data 22 luglio 1997, ad esito dell’indagine conoscitiva sulla sicurezza e l’igiene del lavoro, si è puntato l’indice sulle difficoltà nella raccolta ed elaborazione dei dati, inerenti sia agli infortuni sul lavoro che alle malattie professionali e alle malattie da lavoro, per le quali il livello di arretratezza del sistema è stato ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Approfondimenti effetto del consenso di altri. Tale ipotetica situazione comporterebbe infatti l’inammissibile riconoscimento di una efficacia condizionante esterna della condotta altrui nel rapporto che lega ciascun cittadino al dovere di osservanza della legge penale: la qual cosa si porrebbe in aperto e insanabile contrasto con i principi della personalità della responsabilità penale e del libero arbitrio. Cosı̀, se in alcuni casi la giurisprudenza ha ritenuto prevalente il diritto alla privacy del lavoratore (Consiglio di Stato, sentenza 22 novembre 1999, M.G. c. Ministero del lavoro ed altro, secondo cui al datore di lavoro non può essere rilasciata copia del verbale di dichiarazioni rilasciate dal lavoratore «in sede di interrogatorio sul posto di lavoro da parte degli ispettori del Ministero in occasione di accertamenti ispettivi ... perché dalla divulgazione potrebbero scaturire azioni discriminatorie e indebite pressioni»), in altri si è ritenuto l’esatto contrario (Consiglio di Stato, sentenza 27 gennaio 1999, Ministero lavoro - Avv. gen. Stato c. CIAL ed altri, per il quale «Il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo ogni qualvolta l’accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente»). Quanto alla possibilità di controllo delle e-mail dei lavoratori, attraverso la rete aziendale interna di gestione della posta elettronica, il Garante non ha mai avuto occasione di pronunciarsi, anche se si è riservato di adottare un provvedimento in materia, anche sulla scorta di approfondimenti in corso con le Autorità garanti di altri Paesi, richiamando per il momento le norme (art. 114 cit.) che fanno salve le disposizioni dello Statuto dei lavoratori (le quali non consentirebbero nemmeno il monitoraggio e-mail se non previa definizione di precisi limiti per l’azienda e dopo l’accordo con le rappresentanze sindacali). 9 definito «davvero preoccupante». La Commissione senatoriale ha stigmatizzato non solo la mancanza di idonei meccanismi di raccolta dei dati, basati su flussi informativi e su parametri di classificazione e di calcolo degli indici di frequenza affidabili (e in assenza di un vero monitoraggio dei fenomeni, è oltremodo difficile realizzare una vera prevenzione), ma anche la circostanza che i dati raccolti sono scarsamente «socializzati», cioè non sono messi a disposizione di chi deve ulteriormente elaborarli per trarne conclusioni operative. Con riguardo poi alla tutela della riservatezza dei dati, ai sensi della legge sulla privacy, la commissione ha dato l’indicazione - assolutamente condivisibile e di perdurante attualità - che le questioni debbano «essere affrontate e risolte con ponderazione e con un corretto equilibrio tra la salvaguardia di interessi di natura varia, individuali e collettivi», al fine di impedire che, con l’alibi della legge sulla privacy, «si producano ingiustificate inerzie, proprio mentre bisogna rilanciare il discorso sulla raccolta, elaborazione e circolazione di dati». Approfondimenti Garante per la protezione dei dati personali - Provvedimento generale sulla videosorveglianza (Roma 29 aprile 2004) 1. Premessa Il Garante ritiene opportuno aggiornare e integrare il provvedimento del 29 novembre 2000 (c.d. «decalogo» pubblicato sul Bollettino del Garante n. 14/15, p. 28), anche per conformare i trattamenti di dati personali mediante videosorveglianza al Codice entrato in vigore il 1º gennaio 2004 e ad altre disposizioni vigenti (art. 154, comma 1, lett. c), D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali) che hanno rafforzato le garanzie per i cittadini. Per altro verso va evidenziato che nel triennio di applicazione del predetto provvedimento sono stati sottoposti all’esame dell’Autorità numerosi casi, attraverso reclami, segnalazioni e richieste di parere, i quali evidenziano un utilizzo crescente, spesso non conforme alla legge, di apparecchiature audiovisive che rilevano in modo continuativo immagini, eventualmente associate a suoni, relative a persone identificabili, spesso anche con registrazione e conservazione dei dati. Con riferimento alle menzionate garanzie, il presente provvedimento (paragrafi 2 e 3) richiama taluni principi e illustra le prescrizioni generali relative a tutti i sistemi di videosorveglianza; nei paragrafi 4, 5 e 6 vengono invece individuate prescrizioni riguardanti specifici trattamenti di dati. Ovviamente, per casi particolari l’Autorità si riserva di intervenire di volta in volta con atti ad hoc. Le prescrizioni del presente provvedimento hanno come presupposto il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini e della dignità delle persone con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità ed alla protezione dei dati personali (art. 2, comma 1, del codice). Il Garante ha posto doverosa attenzione al nuovo diritto alla protezione dei dati personali (art. 1 del Codice) consapevole che un’idonea tutela dei diritti dei singoli, oggetto del bilanciamento effettuato con il presente provvedimento, non pregiudica l’adozione di misure efficaci per garantire la sicurezza dei cittadini e l’accertamento degli illeciti. Si è avuto riguardo pertanto anche alla libertà di circolazione nei luoghi pubblici o aperti al pubblico. In tali ambiti, non si possono privare gli interessati del diritto di circolare senza subire ingerenze incompatibili con una libera società democratica (art. 8 Conv. europea diritti uomo ratificata con legge n. 848/1955), derivanti da rilevazioni invadenti ed oppressive riguardanti presenze, tracce di passaggi e spostamenti, facilitate dalla crescente interazione dei sistemi via Internet ed Intranet. Il Garante si è infine ispirato alle indicazioni espresse in varie sedi internazionali e comunitarie: in particolare alle linee-guida del Consiglio d’Europa del 20-23 maggio 2003 (v. Relazioni annuali del Garante per il 2002 e per il 2003, in www.garanteprivacy.it), nonché agli indirizzi formulati dalle autorità europee di protezione dei dati riunite nel Gruppo istituito dalla direttiva n. 95/46/CE (11 febbraio 2004, n. 4/2004, in Relaz. annuale 2003 e http://europa.eu.int/comm/internal-market/privacy/workingroup/wp2004/wpdocs04_en.htm). 2. Principi generali 2.1. Principio di liceità Il trattamento dei dati attraverso sistemi di videosorveglianza è possibile solo se è fondato su uno dei presupposti di liceità che il Codice prevede espressamente per gli organi pubblici da un lato (svolgimento di funzioni istituzionali: artt. 18-22) e, dall’altro, per soggetti privati ed enti pubblici economici (adempimento ad un obbligo di legge, provvedimento del Garante di c.d. «bilanciamento di interessi» o consenso libero ed espresso: artt. 2327). Si tratta di presupposti operanti in settori diversi e che sono pertanto richiamati separatamente nei successivi paragrafi del presente provvedimento relativi, rispettivamente, all’ambito pubblico e a quello privato. La videosorveglianza deve avvenire nel rispetto, oltre che della disciplina in materia di protezione dei dati, di quanto prescritto da altre disposizioni di legge da osservare in caso di installazione di apparecchi audiovisivi. Vanno richiamate al riguardo le vigenti norme dell’ordinamento civile e penale in materia di interferenze illecite nella vita privata, di tutela della dignità, dell’immagine, del domicilio e degli altri luoghi cui è riconosciuta analoga tutela (toilette, stanze d’albergo, cabine, spogliatoi ecc.). Vanno tenute presenti, inoltre, le norme riguardanti la tutela dei lavoratori, con particolare riferimento alla legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori). Specifici limiti possono derivare da altre speciali disposizioni di legge o di regolamento che prevedono o ipotizzano la possibilità di installare apparecchiature di ripresa locale, aerea o satellitare (D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2003, n. 88), disposizioni che, quando sono trattati dati re(segue) 10 ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 (continua) lativi a persone identificate o identificabili, vanno applicate nel rispetto dei principi affermati dal Codice, in tema per esempio di sicurezza presso stadi e impianti sportivi, oppure musei, biblioteche statali e archivi di Stato (D.L. 14 novembre 1992, n. 433, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1993, n. 4) e, ancora, relativi a impianti di ripresa sulle navi da passeggeri adibite a viaggi nazionali (D.Lgs. 4 febbraio 2000, n. 45). Appare inoltre evidente la necessità del rispetto delle norme del codice penale che vietano le intercettazioni di comunicazioni e conversazioni. 2.3. Principio di proporzionalità Nel commisurare la necessità di un sistema al grado di rischio presente in concreto, va evitata la rilevazione di dati in aree o attività che non sono soggette a concreti pericoli, o per le quali non ricorre un’effettiva esigenza di deterrenza, come quando, ad esempio, le telecamere vengono installate solo per meri fini di apparenza o di «prestigio». Gli impianti di videosorveglianza possono essere attivati solo quando altre misure siano ponderatamente valutate insufficienti o inattuabili. Se la loro installazione è finalizzata alla protezione di beni, anche in relazione ad atti di vandalismo, devono risultare parimenti inefficaci altri idonei accorgimenti quali controlli da parte di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazioni agli ingressi. Non va adottata la scelta semplicemente meno costosa, o meno complicata, o di più rapida attuazione, che potrebbe non tener conto dell’impatto sui diritti degli altri cittadini o di chi abbia diversi legittimi interessi. Non risulta di regola giustificata un’attività di sorveglianza rivolta non al controllo di eventi, situazioni e avvenimenti, ma a fini promozionali-turistici o pubblicitari, attraverso web cam o cameras-on-line che rendano identificabili i soggetti ripresi. Anche l’installazione meramente dimostrativa o artefatta di telecamere non funzionanti o per finzione, anche se non comporta trattamento di dati personali, può determinare forme di condizionamento nei movimenti e nei comportamenti delle persone in luoghi pubblici e privati e pertanto può essere legittimamente oggetto di contestazione. La videosorveglianza è, quindi, lecita solo se è rispettato il c.d. principio di proporzionalità, sia nella scelta se e quali apparecchiature di ripresa installare, sia nelle varie fasi del trattamento (art. 11, comma 1, lett. d) del codice). Il principio di proporzionalità consente, ovviamente, margini di libertà nella valutazione da parte del titolare del trattamento, ma non comporta scelte del tutto discrezionali e insindacabili. Il titolare del trattamento, prima di installare un impianto di videosorveglianza, deve valutare, obiettivamente e con un approccio selettivo, se l’utilizzazione ipotizzata sia in concreto realmente proporzionata agli scopi prefissi e legittimamente perseguibili. Si evita cosı̀ un’ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli altri interessati. Come si è detto, la proporzionalità va valutata in ogni fase o modalità del trattamento, per esempio quando si deve stabilire: se sia sufficiente, ai fini della sicurezza, rilevare immagini che non rendono identificabili i singoli cittadini, anche tramite ingrandimenti; se sia realmente essenziale ai fini prefissi raccogliere immagini dettagliate; la dislocazione, l’angolo visuale, l’uso di zoom automatici e le tipologie - fisse o mobili - delle apparecchiature; quali dati rilevare, se registrarli o meno, se avvalersi di una rete di comunicazione o creare una banca di dati, indicizzarla, utilizzare funzioni di fermo-immagine o tecnologie digitali, abbinare altre informazioni o interconnettere il sistema con altri gestiti dallo stesso titolare o da terzi; la durata dell’eventuale conservazione (che, comunque, deve essere sempre temporanea). In applicazione del predetto principio va altresı̀ delimitata rigorosamente: anche presso luoghi pubblici o aperti al pubblico, quando sia di legittimo ed effettivo interesse per particolari finalità, la ripresa di luoghi privati o di accessi a edifici; l’utilizzazione di specifiche soluzioni quali il collegamento ad appositi «centri» cui inviare segnali di allarme sonoro o visivo, oppure l’adozione di interventi automatici per effetto di meccanismi o sistemi automatizzati d’allarme (chiusura accessi, afflusso di personale di vigilanza ecc.), tenendo anche conto che in caso di trattamenti volti a definire profili o personalità degli interessati il Codice prevede ulteriori garanzie (art. 14, comma 1, del codice); l’eventuale duplicazione delle immagini registrate; la creazione di una banca di dati quando, per le finalità perseguite, è sufficiente installare un sistema a circuito chiuso di sola visione delle immagini, senza registrazione (es. per il monitoraggio del traffico o per il controllo del flusso ad uno sportello pubblico). 2.4. Principio di finalità Gli scopi perseguiti devono essere determinati, espliciti e legittimi (art. 11, comma 1, lett. b), del codice). Ciò comporta che il titolare possa perseguire solo finalità di sua pertinenza. Approfondimenti 2.2. Principio di necessità Poiché l’installazione di un sistema di videosorveglianza comporta in sostanza l’introduzione di un vincolo per il cittadino, ovvero di una limitazione e comunque di un condizionamento, va applicato il principio di necessità e, quindi, va escluso ogni uso superfluo ed evitati eccessi e ridondanze. Ciascun sistema informativo e il relativo programma informatico vanno conformati già in origine in modo da non utilizzare dati relativi a persone identificabili quando le finalità del trattamento possono essere realizzate impiegando solo dati anonimi (es., programma configurato in modo da consentire, per monitorare il traffico, solo riprese generali che escludano la possibilità di ingrandire le immagini). Il software va configurato anche in modo da cancellare periodicamente e automaticamente i dati eventualmente registrati. Se non è osservato il principio di necessità riguardante le installazioni delle apparecchiature e l’attività di videosorveglianza non sono lecite (artt. 3 e 11, comma 1, lett. a), del codice). (segue) ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 11 (continua) Approfondimenti Si è invece constatato che taluni soggetti pubblici e privati si propongono abusivamente, quale scopo della videosorveglianza, finalità di sicurezza pubblica, prevenzione o accertamento dei reati che invece competono solo ad organi giudiziari o di polizia giudiziaria oppure a forze armate o di polizia. Sono invece diversi i casi in cui i sistemi di videosorveglianza sono in realtà introdotti come misura complementare volta a migliorare la sicurezza all’interno o all’esterno di edifici o impianti ove si svolgono attività produttive, industriali, commerciali o di servizi, o che hanno lo scopo di agevolare l’eventuale esercizio, in sede di giudizio civile o penale, del diritto di difesa del titolare del trattamento o di terzi sulla base di immagini utili in caso di fatti illeciti. In ogni caso, possono essere perseguite solo finalità determinate e rese trasparenti, ossia direttamente conoscibili attraverso adeguate comunicazioni e/o cartelli di avvertimento al pubblico (fatta salva l’eventuale attività di acquisizione di dati disposta da organi giudiziari o di polizia giudiziaria), e non finalità generiche o indeterminate, tanto più quando esse siano incompatibili con gli scopi che vanno esplicitamente dichiarati e legittimamente perseguiti (art. 11, comma 1, lett. b), del codice). Le finalità cosı̀ individuate devono essere correttamente riportate nell’informativa. 3. Adempimenti 3.1. Informativa Gli interessati devono essere informati che stanno per accedere o che si trovano in una zona videosorvegliata e dell’eventuale registrazione; ciò anche nei casi di eventi e in occasione di spettacoli pubblici (concerti, manifestazioni sportive) o di attività pubblicitarie (attraverso web cam). L’informativa deve fornire gli elementi previsti dal codice (art. 13) anche con formule sintetiche, ma chiare e senza ambiguità. Tuttavia il Garante ha individuato ai sensi dell’art. 13, comma 3, del codice un modello semplificato di informativa «minima», riportato in fac-simile in allegato al presente provvedimento e che può essere utilizzato in particolare in aree esterne, fuori dei casi di verifica preliminare indicati nel punto successivo. Il modello è ovviamente adattabile a varie circostanze. In presenza di più telecamere, in relazione alla vastità dell’area e alle modalità delle riprese, vanno installati più cartelli. In luoghi diversi dalle aree esterne il modello va integrato con almeno un avviso circostanziato che riporti gli elementi del predetto art. 13 con particolare riguardo alle finalità e all’eventuale conservazione. Il supporto con l’informativa: deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, non necessariamente a contatto con la telecamera; deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile; può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati se le immagini sono solo visionate o anche registrate. 3.2. Prescrizioni specifiche 3.2.1. Verifica preliminare I trattamenti di dati personali nell’ambito di una attività di videosorveglianza devono essere effettuati rispettando le misure e gli accorgimenti prescritti da questa Autorità, anche con un provvedimento generale, come esito di una verifica preliminare attivata d’ufficio o a seguito di un interpello del titolare (art. 17 del codice), quando vi sono rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità degli interessati. A questo fine, con il presente provvedimento il Garante prescrive a tutti i titolari del trattamento, quale misura opportuna per favorire il rispetto delle previsioni di legge (art. 143, comma 1, lett. c), del codice), di sottoporre alla verifica preliminare di questa Autorità (anche in tal caso, con eventuali provvedimenti di carattere generale) i sistemi di videosorveglianza che prevedono una raccolta delle immagini collegata e/o incrociata e/o confrontata con altri particolari dati personali (es. biometrici), oppure con codici identificativi di carte elettroniche o con dispositivi che rendono identificabile la voce. La verifica preliminare del Garante occorre anche in caso di digitalizzazione o indicizzazione delle immagini (che rendono possibile una ricerca automatizzata o nominativa) e in caso di videosorveglianza c.d. dinamico-preventiva che non si limiti a riprendere staticamente un luogo, ma rilevi percorsi o caratteristiche fisionomiche (es. riconoscimento facciale) o eventi improvvisi, oppure comportamenti anche non previamente classificati. 3.2.2. Autorizzazioni I predetti trattamenti devono essere autorizzati preventivamente dal Garante, anche attraverso autorizzazioni generali, quando riguardano dati sensibili o giudiziari, ad esempio in caso di riprese di persone malate o di detenuti (artt. 26 e 27 del codice). 3.2.3. Altri esami preventivi Non devono essere sottoposti all’esame preventivo del Garante, a meno che l’Autorità lo abbia disposto, i trattamenti di dati a mezzo videosorveglianza, fuori dei casi indicati nei precedenti punti 3.2.1. e 3.2.2. Non può desumersi alcuna approvazione implicita dal semplice inoltro al Garante di documenti relativi a progetti di videosorveglianza (spesso generici e non valutabili a distanza) cui non segua un esplicito riscontro dell’Autorità, in quanto non si applica il principio del silenzio/assenso. 3.2.4. Notificazione Gli stessi trattamenti devono essere notificati al Garante solo se rientrano in casi specificamente previsti (art. 37 del codice). A tale riguardo l’Autorità ha disposto che non vanno comunque notificati i trattamenti relativi a comportamenti illeciti o fraudolenti, quando riguardano immagini o suoni conservati temporaneamente per esclusive finalità di sicurezza o di tutela delle persone o del patrimonio (provv. n. 1/2004 del 31 marzo 2004, in G.U. 6 aprile 2004, n. 81 e in www.garanteprivacy.it; v. anche, sullo stesso sito, i chiarimenti forniti con nota n. 9654/33365 del 23 aprile 2004 relativamente alla posizione geografica delle persone). (segue) 12 ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 3.3. Soggetti preposti e misure di sicurezza 3.3.1. Responsabili e incaricati Si devono designare per iscritto tutte le persone fisiche, incaricate del trattamento, autorizzate ad utilizzare gli impianti e, nei casi in cui è indispensabile per gli scopi perseguiti, a visionare le registrazioni (art. 30 del codice). Deve trattarsi di un numero molto ristretto di soggetti, in particolare quando ci si avvale di una collaborazione esterna. Vanno osservate le regole ordinarie anche per ciò che attiene all’eventuale designazione di responsabili del trattamento, avendo particolare cura al caso in cui il titolare si avvalga di un organismo esterno anche di vigilanza privata (art. 29 del codice). La designazione di eventuali responsabili ed incaricati «esterni» può essere effettuata solo se l’organismo esterno svolge prestazioni strumentali e subordinate alle scelte del titolare del trattamento. Questo non deve, ovviamente, essere un espediente per eludere la normativa in materia di protezione dei dati personali, come può accadere, per esempio, nel caso in cui la designazione dell’incaricato «esterno» mascheri una comunicazione di dati a terzi senza consenso degli interessati, oppure nel caso di diversità o incompatibilità tra le finalità perseguite dai soggetti che si scambiano i dati. Quando i dati vengono conservati - naturalmente per un tempo limitato in applicazione del principio di proporzionalità - devono essere previsti diversi livelli di accesso al sistema e di utilizzo delle informazioni, avendo riguardo anche ad eventuali interventi per esigenze di manutenzione. Occorre prevenire possibili abusi attraverso opportune misure basate in particolare su una «doppia chiave» fisica o logica che consentano una immediata ed integrale visione delle immagini solo in caso di necessità (da parte di addetti alla manutenzione o per l’estrazione dei dati ai fini della difesa di un diritto o del riscontro ad una istanza di accesso, oppure per assistere la competente autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria). Va infatti tenuto conto che l’accessibilità regolamentata alle immagini registrate da parte degli addetti è fattore di sicurezza. Sono infine opportune iniziative periodiche di formazione degli incaricati sui doveri, sulle garanzie e sulle responsabilità, sia all’atto dell’introduzione del sistema di videosorveglianza, sia in sede di modifiche delle modalità di utilizzo (cfr. Allegato B) al codice, regola n. 19.6). 3.3.2. Misure di sicurezza I dati devono essere protetti da idonee e preventive misure di sicurezza, riducendo al minimo i rischi di distruzione, perdita, anche accidentale, di accesso non autorizzato o trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta (art. 31 del codice). Alcune misure, c.d. «misure minime», sono obbligatorie anche sul piano penale. Il titolare del trattamento che si avvale di un soggetto esterno deve ricevere dall’installatore una descrizione scritta dell’intervento effettuato che ne attesti la conformità alle regole in materia (artt. 33-36 e 169, nonché Allegato B) del codice, in particolare punto 25; v. anche i chiarimenti forniti con nota n. 6588/31884 del 22 marzo 2004, in www.garanteprivacy.it). 3.4. Durata dell’eventuale conservazione In applicazione del principio di proporzionalità (v. anche art. 11, comma 1, lett. e), del codice), anche l’eventuale conservazione temporanea dei dati deve essere commisurata al grado di indispensabilità e per il solo tempo necessario - e predeterminato - a raggiungere la finalità perseguita. La conservazione deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a festività o chiusura di uffici o esercizi, nonché nel caso in cui si deve aderire ad una specifica richiesta investigativa dell’autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria. Solo in alcuni specifici casi, per peculiari esigenze tecniche (mezzi di trasporto) o per la particolare rischiosità dell’attività svolta dal titolare del trattamento (ad esempio, per alcuni luoghi come le banche può risultare giustificata l’esigenza di identificare gli autori di un sopralluogo nei giorni precedenti una rapina), è ammesso un tempo più ampio di conservazione dei dati, che non può comunque superare la settimana. Un eventuale allungamento dei tempi di conservazione deve essere valutato come eccezionale e comunque in relazione alla necessità derivante da un evento già accaduto o realmente incombente, oppure alla necessità di custodire o consegnare una copia specificamente richiesta dall’autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria in relazione ad un’attività investigativa in corso. Il sistema impiegato deve essere programmato in modo da operare al momento prefissato - ove tecnicamente possibile - la cancellazione automatica da ogni supporto, anche mediante sovra-registrazione, con modalità tali da rendere non riutilizzabili i dati cancellati. 3.5. Documentazione delle scelte Le ragioni delle scelte, cui si è fatto richiamo, devono essere adeguatamente documentate in un atto autonomo conservato presso il titolare e il responsabile del trattamento e ciò anche ai fini dell’eventuale esibizione in occasione di visite ispettive, oppure dell’esercizio dei diritti dell’interessato o di contenzioso. 3.6. Diritti degli interessati Deve essere assicurato agli interessati identificabili l’effettivo esercizio dei propri diritti in conformità al Codice, in particolare quello di accedere ai dati che li riguardano, di verificare le finalità, le modalità e la logica del trattamento e di ottenere l’interruzione di un trattamento illecito, in specie quando non sono adottate idonee misure di sicurezza o il sistema è utilizzato da persone non debitamente autorizzate (art. 7 del codice). La risposta ad una richiesta di accesso a dati conservati deve riguardare tutti quelli attinenti alla persona istante identificabile e può comprendere eventuali dati riferiti a terzi solo nei limiti previsti dal codice (art. 10, commi 3 e seguenti, del codice). A tal fine può essere opportuno che la verifica dell’identità del richiedente avvenga mediante esibizione o allegazione di un documento di riconoscimento che evidenzi un’immagine riconoscibile dell’interessato. Approfondimenti (continua) (segue) ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 13 Approfondimenti (continua) 4. Settori specifici 4.1. Rapporti di lavoro Nelle attività di sorveglianza occorre rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa e ciò anche in caso di erogazione di servizi per via telematica mediante c.d. «web contact center». Vanno poi osservate le garanzie previste in materia di lavoro quando la videosorveglianza è impiegata per esigenze organizzative e dei processi produttivi, ovvero è richiesta per la sicurezza del lavoro (art. 4, legge n. 300/1970; art. 2, D.Lgs. n. 165/2001). Queste garanzie vanno osservate sia all’interno degli edifici, sia in altri luoghi di prestazione di lavoro, cosı̀ come, ad esempio, si è rilevato in precedenti provvedimenti dell’Autorità a proposito di telecamere installate su autobus (le quali non devono riprendere in modo stabile la postazione di guida, e le cui immagini, raccolte per finalità di sicurezza e di eventuale accertamento di illeciti, non possono essere utilizzate per controlli, anche indiretti, sull’attività lavorativa degli addetti). È inammissibile l’installazione di sistemi di videosorveglianza in luoghi riservati esclusivamente ai lavoratori o non destinati all’attività lavorativa (ad es. bagni, spogliatoi, docce, armadietti e luoghi ricreativi). Eventuali riprese televisive sui luoghi di lavoro per documentare attività od operazioni solo per scopi divulgativi o di comunicazione istituzionale o aziendale, e che vedano coinvolto il personale dipendente, possono essere assimilati ai trattamenti temporanei finalizzati alla pubblicazione occasionale di articoli, saggi ed altre manifestazioni del pensiero. In tal caso, alle stesse si applicano le disposizioni sull’attività giornalistica contenute nel Codice, fermi restando, comunque, i limiti al diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza, nonché l’osservanza del codice deontologico per l’attività giornalistica ed il diritto del lavoratore a tutelare la propria immagine opponendosi anche, per motivi legittimi, alla sua diffusione. 4.2. Ospedali e luoghi di cura L’eventuale controllo di ambienti sanitari e il monitoraggio di pazienti ricoverati in particolari reparti o ambienti (ad es. unità di rianimazione), stante la natura sensibile di molti dati che possono essere in tal modo raccolti, devono essere limitati ai casi di stretta indispensabilità e circoscrivendo le riprese solo a determinati locali e a precise fasce orarie; devono essere inoltre adottati tutti gli ulteriori accorgimenti necessari per garantire un elevato livello di tutela della riservatezza e della dignità delle persone malate, anche in attuazione delle doverose misure che il Codice prescrive per le strutture sanitarie (art. 83). Il titolare deve garantire che possano accedere alle immagini solo i soggetti specificamente autorizzati (es. personale medico ed infermieristico) e che le stesse non possano essere visionate da estranei (es. visitatori). Particolare attenzione deve essere riservata alle modalità di accesso alle riprese video da parte di familiari di ricoverati in reparti dove non sia consentito agli stessi di recarsi personalmente (es. rianimazione), ai quali può essere consentita, con gli adeguati accorgimenti tecnici, la visione dell’immagine solo del proprio congiunto. Le immagini idonee a rivelare lo stato di salute non devono essere comunque diffuse, a pena di sanzione penale (artt. 22, comma 8, e 167 del codice). Va assolutamente evitato il rischio di diffusione delle immagini di persone malate su monitor collocati in locali liberamente accessibili al pubblico. Nei casi in cui l’impiego di un sistema di videosorveglianza all’interno di una struttura sanitaria non sia finalizzato alla cura del paziente, bensı̀ solo a finalità amministrative o di sicurezza (quali, ad esempio, il controllo dell’edificio o di alcuni locali), e sia possibile che attraverso lo stesso siano raccolte immagini idonee a rivelare lo stato di salute, il soggetto pubblico titolare deve menzionare tale trattamento nell’atto regolamentare sui dati sensibili da adottare in base al codice (art. 20). 4.3. Istituti scolastici L’eventuale installazione di sistemi di videosorveglianza presso istituti scolastici deve garantire «il diritto dello studente alla riservatezza» (art. 2, comma 2, D.P.R. n. 249/1998) e tenere conto della delicatezza dell’eventuale trattamento di dati relativi a minori. A tal fine, se può risultare ammissibile il loro utilizzo in casi di stretta indispensabilità (ad esempio, a causa del protrarsi di atti vandalici), gli stessi devono essere circoscritti alle sole aree interessate ed attivati negli orari di chiusura degli istituti, regolando rigorosamente l’eventuale accesso ai dati. Restano di competenza dell’autorità giudiziaria o di polizia le iniziative intraprese a fini di tutela dell’ordine pubblico o di individuazione di autori di atti criminali (per es. spacciatori di stupefacenti, adescatori ecc.). 4.4. Luoghi di culto e di sepoltura L’installazione di sistemi di videosorveglianza presso chiese o altri luoghi di culto o di ritrovo di fedeli deve essere oggetto di elevate cautele, in funzione dei rischi di un utilizzo discriminatorio delle immagini raccolte e del carattere sensibile delle informazioni relative all’appartenenza ad una determinata confessione religiosa. Al fine di garantire il rispetto dei luoghi di sepoltura, l’installazione di sistemi di videosorveglianza deve ritenersi ammissibile all’interno di tali aree solo quando si intenda tutelarle dal concreto rischio di atti vandalici. 5. Soggetti pubblici 5.1. Svolgimento di funzioni istituzionali Un soggetto pubblico può effettuare attività di videosorveglianza solo ed esclusivamente per svolgere funzioni istituzionali che deve individuare ed esplicitare con esattezza e di cui sia realmente titolare in base all’ordinamento di riferimento (art. 18, comma 2, del codice). Diversamente, il trattamento dei dati non è lecito, anche se l’ente designa esponenti delle forze dell’ordine in qualità di responsabili del trattamento, oppure utilizza un collegamento telematico in violazione del Codice (art. 19, comma 2, del codice). Tale circostanza si è ad esempio verificata presso alcuni enti locali che dichiarano di perseguire direttamente, in via amministrativa, finalità di prevenzione e accertamento dei reati che competono alle autorità giudiziarie e alle forze di polizia. Vanno richiamate quindi in questa sede le riflessioni già suggerite in passato a proposito di talune ordinanze comunali in tema di prostituzione in luoghi pubblici (v. provvedimento 26 ottobre 1998, in Bollettino del Garante n. 6/1998, p. 131). (segue) 14 ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Benché effettuata per la cura di un interesse pubblico, la videosorveglianza deve rispettare i principi già richiamati. Quando il soggetto è realmente titolare di un compito attribuito dalla legge in materia di sicurezza pubblica o di accertamento, prevenzione e repressione di reati, per procedere ad una videosorveglianza di soggetti identificabili deve ricorrere un’esigenza effettiva e proporzionata di prevenzione o repressione di pericoli concreti e specifici di lesione di un bene (ad esempio, in luoghi esposti a reale rischio o in caso di manifestazioni che siano ragionevolmente fonte di eventi pregiudizievoli). Non risulta quindi lecito procedere, senza le corrette valutazioni richiamate in premessa, ad una videosorveglianza capillare di intere aree cittadine «cablate», riprese integralmente e costantemente e senza adeguate esigenze. Del pari è vietato il collegamento telematico tra più soggetti, a volte raccordati ad un «centro» elettronico, che possa registrare un numero elevato di dati personali e ricostruire interi percorsi effettuati in un determinato arco di tempo. Risulta parimenti priva di giustificazione l’installazione di impianti di videosorveglianza al solo fine (come risulta da casi sottoposti al Garante), di controllare il rispetto del divieto di fumare o gettare mozziconi, di calpestare aiuole, di affiggere o di fotografare, o di altri divieti relativi alle modalità nel depositare i sacchetti di immondizia entro gli appositi contenitori. Le specifiche norme di legge o di regolamento e le funzioni legittimamente individuate dall’ente costituiscono l’ambito operativo entro il quale il trattamento dei dati si intende consentito. Come prescritto dal Codice, l’eventuale comunicazione a terzi è lecita solo se espressamente prevista da una norma di legge o di regolamento (art. 19, comma 3, del codice). Il codice individua poi specifiche regole volte invece a consentire, in un quadro di garanzie, riprese audio-video a fini di documentazione dell’attività istituzionale di organi pubblici (artt. 20-22 e 65 del codice). Salvo i casi previsti per le professioni sanitarie e gli organismi sanitari, il soggetto pubblico non deve richiedere la manifestazione del consenso degli interessati (art. 18, comma 4, del codice). 5.2. Informativa Contrariamente a quanto prospettato da alcuni enti locali, l’informativa agli interessati deve essere fornita nei termini illustrati nel paragrafo 3.1. e non solo mediante pubblicazione sull’albo dell’ente, oppure attraverso una temporanea affissione di manifesti. Tali soluzioni possono concorrere ad assicurare trasparenza in materia, ma non sono di per sé sufficienti per l’informativa che deve aver luogo nei punti e nelle aree in cui si svolge la videosorveglianza. 5.3. Accessi a centri storici Qualora introducano sistemi di rilevazione degli accessi dei veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato, i comuni dovranno rispettare quanto dettato dal D.P.R. 22 giugno 1999, n. 250. Tale normativa impone ai comuni di richiedere una specifica autorizzazione amministrativa, nonché di limitare la raccolta dei dati sugli accessi rilevando le immagini solo in caso di infrazione (art. 3, D.P.R. n. 250/1999). I dati trattati possono essere conservati solo per il periodo necessario per contestare le infrazioni e definire il relativo contenzioso e si può accedere ad essi solo a fini di polizia giudiziaria o di indagine penale. 5.4. Sicurezza nel trasporto urbano Alcune situazioni di particolare rischio fanno ritenere lecita l’installazione su mezzi di trasporto pubblici di sistemi di videosorveglianza. Tali sistemi di rilevazione sono leciti anche presso talune fermate di mezzi urbani specie in aree periferiche che spesso sono interessate da episodi di criminalità (aggressioni, borseggi ecc.). Valgono, anche in questi casi, le considerazioni già espresse a proposito della titolarità in capo alle sole forze di polizia dei compiti di accertamento, prevenzione ed accertamento di reati, nonché del diritto di accesso alle immagini conservate per alcune ore, cui si dovrebbe accedere solo in caso di illeciti compiuti. Negli stessi casi, deve osservarsi particolare cura anche per ciò che riguarda l’angolo visuale delle apparecchiature di ripresa, nella collocazione di idonee informative a bordo dei veicoli pubblici e nelle aree di fermata presso cui possono transitare anche soggetti estranei - e per quanto attiene alla ripresa sistematica di dettagli o di particolari non rilevanti riguardanti i passeggeri. 5.5. Deposito dei rifiuti In applicazione dei principi richiamati, il controllo video di aree abusivamente impiegate come discariche di materiali e di sostanze pericolose è lecito se risultano inefficaci o inattuabili altre misure. Come già osservato, il medesimo controllo non è invece lecito - e va effettuato in altra forma - se è volto ad accertare solo infrazioni amministrative rispetto a disposizioni concernenti modalità e orario di deposito dei rifiuti urbani. 6. Privati ed enti pubblici economici 6.1. Consenso A differenza dei soggetti pubblici, i privati e gli enti pubblici economici possono trattare dati personali solo se vi è il consenso preventivo espresso dall’interessato, oppure uno dei presupposti di liceità previsti in alternativa al consenso (artt. 23 e 24 del codice). In caso di impiego di strumenti di videosorveglianza da parte di privati ed enti pubblici economici, la possibilità di raccogliere lecitamente il consenso può risultare, in concreto, fortemente limitata dalle caratteristiche e dalle modalità di funzionamento dei sistemi di rilevazione, i quali riguardano spesso una cerchia non circoscritta di persone che non è agevole o non è possibile contattare prima del trattamento. Ciò anche in relazione a finalità (ad es. di sicurezza o di deterrenza) che non si conciliano con richieste di esplicita accettazione da chi intende accedere a determinati luoghi o usufruire di taluni servizi. Il consenso, oltre alla presenza di un’informativa preventiva e idonea, è valido solo se espresso e documentato per iscritto. Non è pertanto valido un consenso presunto o tacito, oppure manifestato solo per atti o comportamenti concludenti, consistenti ad esempio nell’implicita accettazione delle riprese in conseguenza dell’avvenuto accesso a determinati luoghi. Approfondimenti (continua) (segue) ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 15 (continua) Approfondimenti Nel settore privato, fuori dei casi in cui sia possibile ottenere un esplicito consenso libero, espresso e documentato, vi può essere la necessità di verificare se esista un altro presupposto di liceità utilizzabile in alternativa al consenso, come indicato nel paragrafo successivo. 6.2. Bilanciamento degli interessi 6.2.1. Profili generali Un’idonea alternativa all’esplicito consenso va ravvisata nell’istituto del bilanciamento di interessi (art. 24, comma 1, lett. g), del codice). Il presente provvedimento dà attuazione a tale istituto, individuando i casi in cui la rilevazione delle immagini può avvenire senza consenso, qualora, con le modalità stabilite in questo stesso provvedimento, sia effettuata nell’intento di perseguire un legittimo interesse del titolare o di un terzo attraverso mezzi di prova o perseguendo fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro. Considerata l’ampia serie di garanzie e condizioni sopra indicate, non appare necessario che il Garante, per alcuni trattamenti in ambito privato di seguito indicati, prescriva ulteriori condizioni e limiti oltre quelli già richiamati in premessa. 6.2.2. Registrazione delle immagini I trattamenti di dati possono essere più invasivi rispetto alla semplice rilevazione, qualora siano registrati su supporti oppure abbinati ad altre fonti o conservati in banche di dati, talora solo per effetto di un dispositivo di allarme programmato. E ciò in considerazione delle molteplici attività di elaborazione cui i dati, possono essere sottoposti anche ad altri fini. In presenza di concrete ed effettive situazioni di rischio tali registrazioni sono consentite a protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio aziendale (ad esempio, rispetto a beni già oggetto di ripetuti e gravi illeciti), relativamente all’erogazione di particolari servizi pubblici (si pensi alle varie forme di trasporto) o a specifiche attività (che si svolgono ad esempio in luoghi pubblici o aperti al pubblico, o che comportano la presenza di denaro o beni di valore, o la salvaguardia del segreto aziendale od industriale in relazione a particolari tipi di attività). 6.2.3. Videosorveglianza senza registrazione Nei casi in cui le immagini sono unicamente visionate in tempo reale, oppure conservate solo per poche ore mediante impianti a circuito chiuso (Cctv), possono essere tutelati legittimi interessi rispetto a concrete ed effettive situazioni di pericolo per la sicurezza di persone e beni, anche quando si tratta di esercizi commerciali esposti ai rischi di attività criminali in ragione della detenzione di denaro, valori o altri beni (es., gioiellerie, supermercati, filiali di banche, uffici postali). La videosorveglianza può risultare eccedente e sproporzionata quando sono già adottati altri efficaci dispositivi di controllo o di vigilanza oppure quando vi è la presenza di personale addetto alla protezione. Nell’uso delle apparecchiature volte a riprendere, per i legittimi interessi indicati, aree esterne ad edifici e immobili (perimetrali, adibite a parcheggi o a carico/scarico merci, accessi, uscite di emergenza), il trattamento deve essere effettuato con modalità tali da limitare l’angolo visuale all’area effettivamente da proteggere, evitando la ripresa di luoghi circostanti e di particolari non rilevanti (vie, edifici, esercizi commerciali, istituzioni ecc.). 6.2.4. Videocitofoni Sono ammissibili per identificare coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati videocitofoni o altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni senza registrazione. Tali apparecchiature sono dislocate abitualmente all’ingresso di edifici o immobili in corrispondenza di campanelli o citofoni, appunto per finalità di controllo dei visitatori che si accingono ad entrare. La loro esistenza deve essere conosciuta attraverso una informativa agevolmente rilevabile, quando non sono utilizzati per fini esclusivamente personali (art. 5, comma 3 del codice). Altri dispositivi di rilevazione e controllo, invece, spesso non sono facilmente individuabili anche per mancanza di informativa, né la loro collocazione è altrimenti segnalata. In alcuni casi, poi, più telecamere collocate anche all’interno di un edificio (pianerottoli, corridoi, scale) si attivano contemporaneamente e, sia pure per un tempo limitato, riprendono le persone fino all’ingresso negli appartamenti. Anche in questi casi è necessaria una adeguata informativa. 6.2.5. Riprese nelle aree comuni L’installazione degli strumenti descritti nel paragrafo precedente, se effettuata nei pressi di immobili privati e all’interno di condominii e loro pertinenze (es. posti auto, box), benché non sia soggetta al Codice quando i dati non sono comunicati sistematicamente o diffusi, richiede comunque l’adozione di cautele a tutela dei terzi (art. 5, comma 3, del codice). Al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis cod. pen.), l’angolo visuale delle riprese deve essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, ad esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione, escludendo ogni forma di ripresa anche senza registrazione di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l’abitazione di altri condomini. Il Codice trova invece applicazione in caso di utilizzazione di un sistema di ripresa di aree condominiali da parte di più proprietari o condomini, oppure da un condominio, dalla relativa amministrazione (comprese le amministrazioni di residence o multiproprietà), da studi professionali, società o da enti no-profit. L’installazione di questi impianti è ammissibile esclusivamente in relazione all’esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi, oppure nel caso di attività che comportano, ad esempio, la custodia di denaro, valori o altri beni (recupero crediti, commercio di preziosi o di monete aventi valore numismatico). La valutazione di proporzionalità va effettuata anche nei casi di utilizzazione di sistemi di videosorveglianza che non prevedano la registrazione dei dati, in rapporto ad altre misure già adottate o da adottare (es. sistemi comuni di allarme, blindatura o protezione rinforzata di porte e portoni, cancelli automatici, abilitazione degli accessi). (segue) 16 ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 7. Prescrizioni e sanzioni Il Garante invita tutti gli operatori interessati ad attenersi alle prescrizioni illustrate e a quelle definite opportune parimenti indicate nel presente provvedimento, in attesa dei più specifici interventi che potranno derivare in materia da un c.d. provvedimento di verifica preliminare di questa Autorità (art. 17 del codice), oppure dal codice deontologico che il Garante ha promosso per disciplinare in dettaglio altri aspetti del trattamento dei dati personali effettuato «con strumenti elettronici di rilevamento di immagini» (art. 134 del codice). Le misure necessarie prescritte con il presente provvedimento devono essere osservate da tutti i titolari di trattamento. In caso contrario il trattamento dei dati è, a seconda dei casi, illecito oppure non corretto, ed espone: all’inutilizzabilità dei dati personali trattati in violazione della relativa disciplina (art. 11, comma 2, del codice); all’adozione di provvedimenti di blocco o di divieto del trattamento disposti dal Garante (art. 143, comma 1, lett. c), del codice), e di analoghe decisioni adottate dall’autorità giudiziaria civile e penale; all’applicazione delle pertinenti sanzioni amministrative o penali (artt. 161 e seguenti del codice). Tutto ciò premesso il garante: 1) prescrive ai titolari del trattamento nei settori interessati, ai sensi dell’art. 154, comma 1, lett. c), del codice, le misure necessarie ed opportune indicate nel presente provvedimento al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti; 2) individua, nei termini di cui in motivazione, ai sensi dell’art. 24, comma 1, lett. f) del codice, i casi nei quali il trattamento dei dati personali mediante videosorveglianza può essere effettuato da soggetti privati ed enti pubblici economici, nei limiti e alle condizioni indicate, per perseguire legittimi interessi e senza richiedere il consenso degli interessati; 3) individua in allegato un modello semplificato di informativa utilizzabile alle condizioni indicate in motivazione. RIVISTA Ambiente Consulenza e pratica per l’impresa Periodicità: Mensile Prezzo Abbonamento: E 176,00 La Rivista si rivolge a tutti coloro (aziende, professionisti ed enti locali) che operano nel settore ambientale, garantendo il costante e tempestivo aggiornamento ed approfondimento sulle novità legislative e giurisprudenziali e tecniche in tema di inquinamento acustico, idrico, atmosferico e del suolo, della gestione dei rifiuti, della valutazione di impatto ambientale e del sistema di gestione ambientale. Riservato ai soli abbonati, il nuovissimo servizio SicurezzAmbiente Web integra i contenuti della rivista con aggiornamenti quotidiani, anticipazioni e approfondimenti, grazie ai nuovi servizi, tools e utilities. Il sito offre, inoltre, la possibilità di scaricare in formato pdf la rivista in anticipo rispetto alla data di distribuzione e offre anticipazioni sui fascicoli in lavorazione. Per informazioni Servizio Informazioni Commerciali (tel. 02.82476794 - fax 02.82476403) Agente Ipsoa di zona (www.ipsoa.it/agenzie) www.ipsoa.it ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Approfondimenti (continua) 17 Sicurezza nei cantieri Proposte operative per la stima dei costi nei cantieri Premessa Nell’ambito della sicurezza nei cantieri temporanei e mobili la stima dei costi si è rivelata un argomento ostile per i soggetti coinvolti. Si sono registrati interventi di vario orientamento nel corso degli anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 494/1996 (marzo 1997), la cosiddetta «direttiva cantieri» per le sue origini europee, di cui alcuni drasticamente lontani dalla realtà fattuale perché slegati dal contesto in cui va ad inserirsi l’argomento, ossia la preventivazione e la contabilità dei lavori; altri, invece, di recente pubblicazione, sostanzialmente accettabili (1). Anche dopo gli ultimi interventi legislativi, la stima dei costi inerenti la sicurezza sui cantieri temporanei e mobili resta affetta da un alone di incertezza. Ci si propone, con questo lavoro, di fare un riepilogo sia normativo che procedurale e di lanciare proposte operative a vantaggio dei soggetti coinvolti, principalmente del coordinatore per la progettazione (CP), del coordinatore per l’esecuzione dei lavori (CEL) e delle imprese appaltatrici. Il quadro normativo Si delinea brevemente il quadro normativo sull’argomento, a partire dal D.Lgs. n. 494/ 1996. L’esordio sulle modalità di conduzione della stima dei costi è dovuto al D.P.R. n. 554/ 1999 (Regolamento di attua- zione sulla legge dei lavori pubblici), il quale all’art. 34 fornisce indicazioni per la «Stima sommaria dell’intervento e delle espropriazioni del progetto definitivo»: «La stima sommaria dell’intervento consiste nel computo metrico-estimativo ... b) aggiungendo all’importo cosı̀ determinato una percentuale per le spese relative alla sicurezza; ...» (2). Ancora in ambito LL.PP. il successivo D.M. (Lavori Pubblici) 19 aprile 2000, n. 145 (Regolamento recante il Capitolato generale d’appalto) all’art. 5, trattando di «cantieri, attrezzi, spese ed obblighi generali a carico dell’appaltatore», afferma che sono «... a carico dell’appaltatore: a) le spese per l’impianto, la manutenzione e l’illuminazione dei cantieri, con esclusione di quelle relative alla sicurezza nei cantieri stessi; ... c) le spese per attrezzi e opere provvisionali e per quanto altro occorre alla esecuzione piena e perfetta dei lavori; ... i) le spese di adeguamento del cantiere in osservanza del D.Lgs. n. 626/1994, e successive modificazioni. ...» (3). Il D.Lgs. 15 novembre 1999, n. 528, apportatore di modifiche ed integrazioni al precedente D.Lgs. n. 494/1996, all’art. 12 «Piano di sicurezza e coordinamento» aggiunge che i «... costi ...» (della sicurezza) «non sono soggetti a ribasso nelle offerte delle imprese esecutrici ...» (4). La successiva legge 7 novembre 2000, n. 327 «Valutazione di costi del lavoro e della sicurezza nelle gare di appalto», pur non introducendo dettami tecnici nuovi, conferma la linea guida già tracciata in tema di costi, valida anche negli ambiti di esclusione della legge n. 109/1994 sui lavori pubblici, ossia: «... gli enti aggiudicatori sono tenuti ... a considerare i costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture ...» (5). Il quadro normativo attuale è completato dal D.P.R. 3 luglio 2003, n. 222 (Regolamento di attuazione sui contenuti minimi dei PSC): all’art. 7 tratta in modo assai esteso (se rapportato ai precedenti pronunciamenti normativi) della stima dei costi, e tra l’altro: riporta un elenco, sia pure indicativo e non esaustivo, dei fattori di costo; nell’ambito dei LL.PP. ribadisce la necessità della loro stima anche per appalti «sotto soglia», ossia senza obbligo da parte della committenza della nomina dei coordinatori; precisa, pur se in modo descrittivo, che la stima deve essere congrua e analitica; indica in modo perentorio che l’importo relativo alla sicurezza non è aggiuntivo al prezzo totale ma costituisce parte di esso. Il quadro normativo evocato appare delineare l’argomento in esame, ma senza sufficiente precisione e, sostanzialmente, senza contorni operativi chiari. Infatti, da un lato è completa- Nota: Approfondimenti Michele Giovannetti Ingegnere civile 3 Le note da 1 a 12 rinviano alla bibliografia alla fine del testo. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 19 Approfondimenti 20 mente da abbandonare l’asserto introdotto dal D.P.R. n. 554/1999 che vede il calcolo della sicurezza in percentuale aggiuntiva sull’importo totale del computo estimativo; grave errore, sia di principio che di fatto. Errore di principio, perché non si fa alcuna distinzione in tema di costi, oltre ad introdurre il concetto fuorviante dei «costi aggiuntivi», lasciando trasparire il dubbio che prima dell’emanazione di questo decreto non si attuasse alcuna misura di prevenzione e protezione; errore di fatto, perché è concretamente impossibile stabilire a priori l’importo della sicurezza mediante una percentuale globale, in assenza di valutazioni specifiche. Dall’altro lato, tuttavia, le norme successive sono intervenute apportando integrazioni e miglioramenti, quali: il D.M. n. 145/2000 afferma che le spese della sicurezza non gravano sull’appaltatore ponendosi quindi sulla falsariga tracciata dal D.Lgs. n. 494/ 1996: la committenza ha il compito di gestire la «progettazione e realizzazione della sicurezza» cosı̀ come altri settori dell’appalto (architettonico, strutturale, ecc.), per cui deve sopportarne i relativi oneri. Viceversa l’appaltatore deve farsi carico degli oneri derivanti dall’applicazione del D.Lgs. n. 626/1994, non specificati ma identificabili in compiti ed obblighi di carattere generale, tipo la redazione del POS, l’organizzazione dei presidi sanitari e del Pronto Soccorso aziendale, l’attività di formazione ed informazione delle maestranze, ecc. Ciò è altresı̀ confermato dall’ordinamento giuridico generale con l’art. 2087 del cod. civ. secondo il quale «l’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro»; dalla legge n. 327/2000 si desume la necessità di una valutazione attenta e specifica dei costi per l’appalto in og- getto, il loro inserimento in sede di bando di gara e di conseguenza l’esclusione dal prezzo dell’appalto offerto; in ultimo, il D.P.R. n. 222/ 2003 ha il merito di aver riportato nel giusto alveo la stima in esame, affermando che deve essere congrua ed analitica (quindi sono escluse stime a corpo o in percentuale globale, verosimilmente superficiali ed imprecise); colloca altresı̀ tale importo di stima all’interno del prezzo dell’appalto, smentendo in modo definitivo le proiezioni sull’andamento dei costi fatte all’indomani dell’emanazione del D.Lgs. n. 494/ 1996 che vedevano in tale norma la causa di un repentino quanto improvvido aumento dei costi di costruzione. In realtà, l’unico onere aggiuntivo reale per l’impresa è costituito dalla redazione del POS, per la verità non nuovo in assoluto perché già introdotto con la legge n. 55/1990, la quale, all’art. 18, pone a carico dell’appaltatore la predisposizione del PSC nell’ambito dei LL.PP., quindi l’antesignano dell’odierno POS. Gli unici costi aggiuntivi conseguenti alla direttiva cantieri derivano dalle prestazioni professionali dei coordinatori, posti a carico della committenza perché di sua nomina, visto che ad essa spetta la gestione generale della sicurezza, non più delegata di fatto, come nel passato, in modo esclusivo all’appaltatore. Tuttavia ad oggi rimangono incertezze e lacune riguardo alla stima dei costi, in particolare sulla loro natura e origine (ad esempio costi diretti e/o speciali?), alla loro connessione con le modalità di preventivazione dell’appalto e con la contabilità dei lavori. Aspetti non secondari visto che stiamo definendo la faccia monetaria della sicurezza, legata da un lato all’importo dell’appalto aspetto prioritario per la committenza - da un altro lato al costo di costruzione, ossia ai costi di produzione dell’industria delle costruzioni, evidentemente impegnata alla riduzione dei costi come qualsiasi altra impresa industriale. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 I costi diretti e i costi speciali Acquisito il concetto secondo cui la sicurezza in ambito professionale richiede misure prevenzionali di tipo attivo e passivo, misure ed interventi organizzativi, ad essa sono associati dei costi che necessariamente dobbiamo definire prima della loro stima. Sostanzialmente a partire dall’anno 2000 si sono affermati due orientamenti nella definizione dei costi sul cantiere temporaneo e mobile. Il primo vede tali costi come la somma di due componenti: una legata al costo del lavoro, quindi posta in relazione alle tipologie e quantità di lavoro prodotto (costo diretto); la seconda dettata dalle specifiche misure richieste dal CP nel PSC (costi speciali o indiretti). Il secondo orientamento, sposato di fatto dal D.P.R. n. 222/2003, estende la stima dei costi solo ai costi speciali, quindi: apprestamenti previsti nel PSC; misure preventive, protettive e DPI eventualmente previsti nel PSC per lavorazioni interferenti; impianti di terra e di protezione contro le scariche atmosferiche; ecc. L’approccio esatto, anche se più laborioso, tra i due richiamati è il primo, fondato sulla stima diversificata tra costi diretti e speciali; purtroppo è stato ignorato dal regolamento attuativo emanato con il D.P.R. n. 222/2003. Il suo iter legislativo, ben evocato in (1), spiega le origini di tale lacuna, anche se esse non possono essere invocate a giustificazione validante visto che stiamo trattando di norme tecniche, le quali, per definizione, devono essere chiare, semplici e soprattutto facilmente applicabili, sia a vantaggio dei soggetti coinvolti chiamati ad osservarle, sia per gli organi di vigilanza chiamati a verificarne la concreta attuazione e quindi a fornire giudizi di merito (vedi i Dipartimenti di prevenzione delle AUSL). Gli assertori dell’approccio dettato dal D.P.R. n. 222/ La composizione dei prezzi e dei costi unitari Il prezzo unitario Pi nell’ambito dell’impresa in genere, sia appartenente al settore industriale o al comparto dei servizi, è notoriamente il risultato di tre componenti: Pi ¼ Ci þ (Sg)i þ Ui al costo di produzione Ci si sommano le spese generali (Sg)i e gli utili dell’impresa Ui. Nell’industria delle costruzioni il costo unitario Ci è a sua volta composto da vari fattori: Ci ¼ Cforn þ Cman þ Cnoli þ Csic alle forniture dei materiali (Cforn) si somma la mano d’opera (Cman), comprensiva sia della quota fiscale che degli oneri sociali, quindi i costi per noli, per l’impiego di macchine o attrezzature proprie (Cnoli), e infine il costo della sicurezza (Csic). Tale costo si definisce «diretto» perché legato direttamente al costo di produzione e quindi al prezzo unitario della lavorazione. Appare chiaro che il costo diretto è costituito ordinariamente dall’onere dettato dalle misure prevenzionali riguardo la salute e la sicurezza delle maestranze, quindi l’eliminazione o la riduzione del rischio, identificabili sostanzialmente in tutto quanto prescritto dal corpus normativo che dalla metà degli anni 1950 sino ad oggi è andato formandosi. In altri termini, è l’onere che l’appaltatore avrebbe comunque sostenuto prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 494/ 1996; su tale base si afferma che lo stesso decreto non ha apportato al settore costi aggiuntivi. Vediamo un esempio: nel montaggio del ponteggio metallico fisso la norma prescrive un adeguato impalcato per la prevenzione della caduta dall’alto di persone e materiali; anche in assenza di tale prescrizione l’impresa metterebbe in opera il componente «impalcato», perché in primo luogo ha la funzione di camminamento alla quota richiesta per l’esecuzione delle lavorazioni. La norma prevenzionale aggiunge e specifica alcuni aspetti del componente: le dimensioni del camminamento, l’accostamento perfetto delle tavole, ecc. Viceversa il costo diretto non comprende l’evocato adeguamento dell’impresa agli obbli- ghi imposti dal D.Lgs. n. 626/ 1994 perché tali oneri fanno parte delle spese generali trattandosi di incombenze di carattere generale, non specifiche del singolo cantiere (la sorveglianza sanitaria, l’onorario del medico competente, ecc.). Il ribasso di gara e il prezzo offerto Investendo anche l’aspetto monetario, la sicurezza nel cantiere temporaneo ha inevitabilmente relazione con la preventivazione dell’importo dei lavori, con l’offerta dell’appaltatore e con la contabilità dei lavori. In primo luogo, l’offerta dell’appaltatore si definisce al netto dei costi della sicurezza (vedi art. 12, D.Lgs. n. 494/1996 modificato dal D.Lgs. n. 528/ 1999) perché la salute e sicurezza delle maestranze non può essere oggetto di sconti e/o risparmi da parte dell’appaltatore, trattandosi di un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione (art. 32). D’altro canto uno degli obiettivi della microeconomia è proprio quello di rispondere al quesito della formazione dei prezzi, unito al principio generale dell’impresa in regime di libero mercato: la massimizzazione dei profitti. Infatti «... Cos’è un’impresa? In breve, possiamo definirla come un’unità che produce beni e servizi per venderli. A differenza delle istituzioni senza fini di lucro ... le imprese cercano di realizzare un profitto ...» (6), e si ipotizza che cerchino di massimizzarlo. Nell’industria delle costruzioni ciò avviene, per consolidata esperienza, nell’ambito del singolo cantiere a causa della particolarità aziendale; ogni cantiere è visto come una parte dell’azienda dislocata fuori sede, la cui vita coincide con l’appalto. Viceversa «... la definizione di profitto adottata dalla letteratura economica non coincide con quella contabile ... l’esperto di contabilità ... suppone infatti che l’impresa cerchi di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Approfondimenti 2003 adducono a loro favore motivazioni varie, tra cui: l’esiguità dell’importo totale dei costi diretti e quindi l’ininfluenza in termini di ribasso. Fatto smentito categoricamente dalle entità monetarie in giuoco, visto che trattando di percentuali globali aventi l’ordine di grandezza del 4-5%, la somma dedicata alla sicurezza risulta dell’ordine di 5.000 euro per un importo lavori di «soli» 100.000 euro, relativo per esempio ad una ristrutturazione edile di medie dimensioni; il costo diretto è valutato in percentuale sul prezzo a cui segue che, a parità di tipologia di lavoro, l’entità della sicurezza è variabile in funzione della classe del prezzo: conseguenza inaccettabile. Premesso che la valutazione in percentuale è solo una modalità di stima, certamente la più rapida, di fatto il costo diretto dovrebbe essere estrapolato dall’analisi del prezzo unitario, operazione spesso elusa perché non richiesta espressamente (in particolare negli appalti privati), ma che consente la corretta individuazione del costo diretto. In ogni caso pur nell’ambito della stima in percentuale, questa può essere variata in ragione del lavoro e delle sue condizioni. Si conclude che la stima dei costi relativi alla sicurezza sul cantiere temporaneo e mobile non può prescindere dalle due componenti richiamate; esse sono reputate complementari, integrandosi altresı̀ con i costi di costruzione e i prezzi unitari. Appare necessario analizzare la relazione con quest’ultimi. Si esaminano le ragioni di principio e di fatto che concorrono alla formazione dei prezzi unitari e dei costi. 21 Approfondimenti 22 massimizzare la somma dei profitti relativi ad un lungo arco di tempo, attualizzati in modo opportuno...» (7). Tale principio base è connesso ad altri fattori quali il contenimento dei costi e le barriere alle imprese entranti in regime di libera concorrenza, aspetti forse non adeguatamente studiati nell’industria delle costruzioni ma sicuramente presenti nell’attuale congiuntura che vede la stragrande maggioranza delle imprese avere dimensioni piccole (fino a 10 addetti), e come tali destinate alla maggiore volubilità, quindi ingresso-uscita dal mercato. Si pone pertanto il problema della riduzione dei costi e, in genere, in tale ambito «... le economie di scala possono influenzare il margine del prezzo sui costi ...» (8). D’altro canto è altresı̀ accertato che «... la misura della redditività che appare appropriata per il modello di massimizzazione del profitto è il margine prezzo-costo, ...» (9). In tale relazione uno degli aspetti su cui l’imprenditore può agire in modo disinvolto sono le misure prevenzionali, perché paradossalmente possiamo vederle come misure di tipo virtuale, ossia se ben attuate sono destinate ad impedire un evento (il danno); quindi di fatto appaiono improduttive perché invisibili. Per altro verso la riduzione dei costi e le economie di scala richiamano pure la teoria della «struttura-condotta-risultati», ossia il concetto secondo il quale i risultati sia qualitativi, ma soprattutto di profitto, sono legati in modo diretto alle dimensioni aziendali. La relazione è valida anche nel settore delle costruzioni, ma è influenzata altresı̀ da scelte strategiche aziendali, quali la volontà o meno di estendere il bacino geografico di lavoro, l’entità del parco macchine ed attrezzature; pertanto è degno di altre valutazioni che esulano da questa sede. Alla luce di quanto sopra, appare estremamente opportuna l’indicazione del D.Lgs. n. 528/1999 riguardo all’esclusione tassativa dei costi della sicurezza dal ribasso di gara, siano essi diretti o speciali; viceversa sono soggetti a ribasso gli oneri posti a carico dell’appaltatore dal D.M. 19 aprile 2000, n. 145 relativi alle «... spese di adeguamento del cantiere in osservanza del D.Lgs. n. 626/1994, e successive modificazioni. ...» (3). Tali spese si identificano verosimilmente negli oneri per: la redazione del POS; la predisposizione del servizio di pronto soccorso aziendale sul cantiere; la sorveglianza sanitaria e in generale le incombenze del medico competente; gli obblighi di carattere formativo e informativo verso i lavoratori; ecc. In definitiva il «prezzo dei lavori» richiamato dallo stesso D.M. n. 145/2000 all’art. 5 si identifica con l’offerta economica prodotta dall’appaltatore in fase di gara al netto dei costi sopra descritti, a cui si sommano i costi diretti e indiretti oggetto di stima da parte del CP. La stima del costo diretto e del costo speciale In modo prudenziale si usa il termine «stima» e non «calcolo» visto che la quantificazione dei costi, quali che essi siano, è oggetto di studio e analisi con valutazioni specifiche per il singolo cantiere, a discrezione del CP. I costi diretti La loro stima può essere affrontata in modo analitico o semplificato, sempre sulla base del computo metrico-estimativo redatto dal progettista. Nel metodo analitico si esegue l’analisi dei prezzi unitari, ciascuno di essi relativo ad un articolo di lavoro, nell’ambito della quale si inserisce il costo diretto della sicurezza. Un ausilio in merito è offerto da alcune pubblicazioni specifiche offerte dall’editoria tecnica (10 e 11). Con il metodo semplificato il ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 costo è individuato in percentuale sul prezzo dell’articolo; anche in questo caso la letteratura viene in soccorso proponendo tabelle riepilogative di tali percentuali; tra le più diffuse si ricorda il Bollettino Ingegneri della Toscana, Organo Ufficiale del Collegio Ingegneri della Toscana, con una sezione dedicata allo scopo. L’entità numerica delle percentuali fornite deve sempre intendersi con valore indicativo, da specializzare a cura del CP per il singolo cantiere. I costi speciali A seguito delle prescrizioni operative predisposte dal CP nel PSC, si può stendere la loro quantificazione e quindi anche la stima monetaria; un elenco non esaustivo è riportato nello stesso D.P.R. n. 222/ 2003 all’art. 7, comma 1. Merita qualche considerazione particolare la lett. e) dello stesso articolo indicante i costi relativi a «... procedure contenute nel PSC e previste per specifici motivi di sicurezza»; è una descrizione generica che può essere tradotta in termini di opere e prescrizioni quali: particolari opere provvisionali per l’incolumità delle maestranze e/o dei passanti (ad esempio vie di transito protette, mantovane parasassi, ponteggi aventi configurazioni particolari nei centri storici); ausilio di persone a terra per la regolamentazione del traffico sia pedonale che veicolare; protezione e schermatura di linee elettriche aeree o loro disattivazione temporanea; misure particolari negli scavi in presenza di condotte interrate quali metanodotto, elettrodotto (eventuale disattivazione temporanea); misure di sostegno delle pareti di scavo, sia in trincea che a larga sezione; opere di puntellamento e sostegno per demolizioni parziali; progetto della demolizione ed eventuali opere di sostegno per demolizioni complete. Tuttavia frequentemente le turazione edile, dove al più è necessario l’installazione di un WC chimico, il costo generale delle misure igienico-sanitarie si riflette solo in minima parte sui «costi speciali di sicurezza». L’impianto elettrico di cantiere Viene ormai realizzata per l’ordinaria delimitazione dell’area di cantiere, specialmente in ambiente urbano; essa allo stesso tempo ha il ruolo di barriera anti-intrusione per i non addetti. Nel caso di un cantiere edile oppure stradale collocato in centro storico la funzione prevalente è la protezione dei pedoni e/o delle maestranze, quindi si identifica completamente nei costi speciali; viceversa per un cantiere posto in zona periferica, a basso traffico o in zona poco urbanizzata, la situazione è duale: il suo costo è prevalentemente di ordine generale e solo in parte attribuibile ai «costi speciali di sicurezza». È l’impianto più ricorrente sul cantiere edile, comunque realizzato per l’alimentazione delle ordinarie apparecchiature. Tuttavia se il CP avanza richieste o prescrizioni riguardo alla costituzione del cavo (ad esempio per i flessibili), al tipo di alimentazione (ad esempio per locali cosiddetti «bagnati»), ecc., tutto ciò comporta oneri aggiuntivi. In presenza di un cantiere senza particolari prescrizioni, l’onere dell’impianto elettrico è in larga parte un costo ordinario non afferente la sicurezza (salvo la parte della linea di terra per la protezione contro i contatti indiretti); al contrario in presenza di particolari prescrizioni può essere assimilato completamente ai «costi speciali di sicurezza». Questi semplici esempi mostrano che la corretta stima dei «costi speciali di sicurezza» si basa sull’analisi delle singole opere o prescrizioni originanti detti costi, sulla falsariga di un computo metricoestimativo, con articoli preferibilmente a corpo anziché a misura, trattandosi di una stima. Le misure igienico-sanitarie Esempio di stima dei costi diretti Rese obbligatorie sino dagli anni 1950, la necessità degli apprestamenti igienico-sanitari è stata ribadita dalle misure generali di tutela richiamate dal D.Lgs. n. 494/1996. Nel caso in cui non sia reperibile alcun locale in sito da adibire a spogliatoio, locale refezione, WC, e il cantiere è posto in zona di aperta campagna, il loro costo può essere identificato in larga parte come «costo speciale di sicurezza». Viceversa, in una ristrut- Nelle tabelle 1 e 2 si riporta un esempio di stima del costo diretto della sicurezza con riferimento ad una categoria di lavoro ricorrente, la costruzione di tramezzi con mattoni forati. Nella tabella 1 è riportato l’esempio numerico con il metodo dell’analisi del prezzo unitario: si osservi che il costo della sicurezza è aggiuntivo rispetto alle spese generali e agli utili di impresa; trattandosi di costo diretto, quindi afferente l’organizzazione aziendale, La recinzione di cantiere potrebbe anche essere assoggettato alle Spese generali. Nella tabella 2 si trova l’applicazione del metodo semplificato con la stima in percentuale, valutabile per tale lavoro nell’1-2%; il prezzo di riferimento è estrapolato dai prezziari di corrente impiego. Esempio di stima dei costi speciali Nella tabella 3 si riporta un esempio di stima dei costi speciali, con riferimento ad un appalto edile di ristrutturazione per un fabbricato destinato ad abitazione, posto in zona urbana periferica; il valore di riferimento dell’importo lavori (escluso gli oneri di sicurezza) ammonta a circa 130.000,00 euro . La stima si basa su considerazioni procedurali, quali: una parte dell’area di cantiere è già delimitata dalla recinzione fissa, quindi funzionale allo scopo del cantiere; i locali di tipo igienico-sanitario ad eccezione del WC sono reperibili all’interno del fabbricato; non si pongono problematiche particolari per la protezione di passanti e/o delle maestranze accertata la notevole estensione dell’area di pertinenza del fabbricato. Preventivazione e contabilità dei lavori Sotto l’aspetto operativo la stima dei costi è direttamente correlata alla fase di preventivazione dell’appalto, ossia alla predisposizione della documentazione di progetto (computo metrico-estimativo preventivo) e della gara di appalto, oltre che alla fase di contabilità dei lavori. Operando con i costi diretti e speciali la procedura è più complessa, ma mitigata dall’ausilio degli strumenti informatici, ormai diffusi. Il metodo di automazione di tale procedura è indicato dalla determinazione Autorità Vigilanza ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Approfondimenti opere che creano i presupposti per i costi speciali spesso rivestono anche il ruolo di opere di servizio, ossia opere che comunque sarebbero realizzate anche se per ipotesi l’appaltatore volesse eludere qualsiasi misura di prevenzione, e in tale intenzione non facenti parte dei costi speciali. Spetta dunque al CP valutare l’aliquota di costo afferente all’area funzionale della sicurezza, specificarlo chiaramente nell’ambito della stima in modo che in sede di gara non sorgano dubbi interpretativi e tutte le imprese partecipanti siano poste sullo stesso piano. Vediamo qualche esempio. 23 Lavori Pubblici 10 gennaio 2001, n. 2 (12). mente al calcolo dell’incidenza del costo della mano d’opera per ognuna delle categorie generali e specializzate di cui si compone l’intervento ...» (12). Essa precisa altresı̀ che «... La stima complessiva delle spese di sicurezza si compone di due parti, una parte compresa nel prezzo unitario delle singole lavorazioni (D.M. 19 aprile 2000, n. 145, art. 5, Determinazione A.V.LL.PP. 10 gennaio 2001, n. 2 La determinazione è stata emanata a seguito di quesiti posti all’Autorità per chiarimenti in merito agli oneri di sicurezza originati dalla precedente determinazione n. 37/ 2000, «... finalizzata principal- comma 1, lett. i) ed una parte di spese cosiddette speciali non incluse nei prezzi (D.M. 19 aprile 2000, n. 145, art. 5, comma 1, lett. a). La loro somma rappresenta il costo della sicurezza non soggetto a ribasso ... porta alla determinazione delle spese complessive della sicurezza SCS e, di conseguenza, anche di IS (incidenza media della sicurezza)...» (12). Approfondimenti Tabella 1 - Costo direttiva della sicurezza di muratura per tramezzi: analisi del prezzo unitario 24 Lavori di: esecuzione di muratura in mattoni forati 8 x 13 x 26 cm posti «a coltello» unità di riferimento = mq Nº descrizione UM nº quant. prezzo unit. importo 30 0,26 7,80 1 fornitura mattoni forati 2 fornitura e posa di malta bastarda mc/mq 0,020 92,00 1,84 3 mano d’opera: operaio qualificato h/mq 0,45 19,30 8,69 4 mano d’opera: operaio comune h/mq 0,40 17,80 7,12 totale costo (Euro/mq) = 25,45 spese generali impresa (Euro) = 12% 3,05 utili impresa (Euro) = 10% 2,85 prezzo unitario netto (Euro/mq) = 31,35 COSTI DIRETTI DI SICUREZZA 5 mano d’opera aggiuntiva (circa 0,5 h/giornata) h/mq 0,015 17,80 0,27 6 incidenza attrezzature e DPI (guanti, scarpe, ecc.) corpo 1,00 0,30 0,30 totale costo diretto sicurezza (Euro/mq) = 0,57 PREZZO UNITARIO DI APPLICAZIONE (Euro/mq) = 31,92 Tabella 2 - Costo direttiva della sicurezza di muratura per tramezzi: stima in percentuale Lavori di: esecuzione di muratura in mattoni forati 8x13x26 cm posti «a coltello» unità di riferimento = mq Nº descrizione ARTICOLO DI LAVORO 1 esecuzione di muratura in mattoni forati 8x13x26 cm, compreso spese generali e utili di impresa prezzo unitario di riferimento (Euro/mq) = 34,00 COSTI DIRETTI DI SICUREZZA 2 mano d’opera aggiuntiva, mezzi e attrezzature 2,00% totale costo diretto sicurezza (Euro/mq) = ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 0,68 Nº art. 1 2 3 4 5 6 7 Codice articolo SI5.040.01.50.a SI5.060.01.01.b SI5.080.01.01.a SI2.030.50.01.a SI5.100.01.01.a SI5.500.01.01.a SI5.510.01.01.a quantità prezzo unitario importo ml 40 18,00 720,00 corpo 1 55,00 55,00 mq 12 80,00 960,00 corpo 1 220,00 220,00 corpo 1 40,00 40,00 corpo 1 450,00 450,00 corpo 1 200,00 200,00 Descrizione articolo U.M. RECINZIONE PROVVISIONALE costituita da rete metallica zincata su pali sostenuti da ancoraggi in blocchetti di cls, compreso oneri per ... altezza della rete 180 cm lati sud e ovest del fabbricato SEGNALETICA DI CANTIERE di tipo generale su pannelli prefabbricati collocati su supporto esistente, conformi al D.Lgs. 493/96, ... visibilità minima segnaletica 10 m posta all’ingresso del cantiere su via _______ TETTOIA DI PROTEZIONE per posti fissi di lavoro, struttura in acciaio e copertura in legno, ... altezza tettoia fino a 3,0 m protezione per betoniera a bicchiere BOX PER BAGNO, monoblocco prefabbricato in plastica dotato di serbatoio per raccolta reflui, ... dimensioni WC 100x100 cm noleggio per la durata del cantiere Servizio di PRONTO SOCCORSO di tipo aziendale (DM 388/2003) con pacchetto di medicazione, ... compreso mezzo di comunicazione per l’attivazione dell’emergenza sanitaria (telefono fisso o mobile) noleggio per la durata del cantiere e consumi IMPIANTO ELETTRICO di cantiere, potenza impegnata fino a 10 kW, fornitura 220 V, con linea completamente aerea su supporti esistenti, quadri min IP44, completo di ... quadro generale ASC e sotto-quadri ASC per prese a spina noleggio per la durata del cantiere e consumi IMPIANTO DI TERRA composto da dispersori metallici e conduttori di terra, con 1 nodo di terra, ... completo di collegamento alle «masse» (nº max 3) noleggio per la durata del cantiere e consumi Approfondimenti Tabella 3 - Ristrutturazione fabbricato per abitazione - Stima oneri speciali di sicurezza (segue) ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 25 (continua) Nº art. 8 9 10 Approfondimenti 11 26 12 13 Codice articolo SI5.970.01.01.b SI5.970.01.10.b SI5.970.01.20.a SI5.970.01.30.b SI5.970.50.01.a SI5.970.60.01.a quantità prezzo unitario importo corpo 1 55,00 55,00 corpo 1 85,00 85,00 corpo 1 10,00 10,00 corpo 1 80,00 80,00 corpo 1 100,00 100,00 corpo 1 50,00 50,00 importo totale oneri speciali Euro 3.025,00 SMOBILIZZO DEL CANTIERE ... rete metallica su supporti in cls SMOBILIZZO DEL CANTIERE ... box di tipo chimico SMOBILIZZO DEL CANTIERE ... segnaletica di tipo generale su pannello SMOBILIZZO DEL CANTIERE ... tettoia con struttura a tubi e copertura in legno SMOBILIZZO DEL CANTIERE, rimozione di impianto elettrico ... compreso quadri e componentistica SMOBILIZZO DEL CANTIERE, rimozione di impianto di terra ... collegamento alle masse, Nº max 3 Si riepiloga brevemente il meccanismo di calcolo proposto dalla determinazione indicato con: Si = spese della sicurezza per la lavorazione i-esima SSS = spese speciali della sicurezza SRPi = spese unitarie per la sicurezza incluse nel prezzo della lavorazione/articolo i-esimo SCS = spese complessive della sicurezza IS = incidenza media della sicurezza Pi = prezzo unitario indicato nell’Elenco Prezzi Unitari (EPU) per la lavorazione/ articolo i-esimo Qi = quantità della lavorazione/articolo i-esimo che concorre alla definizione dell’intervento C = costo di produzione totale Ui = utile unitario per la lavorazione/articolo i-esimo SGi = spese unitarie generali per la lavorazione/articolo i-esimo U.M. Descrizione articolo SRPi si individua mediante l’analisi del prezzo unitario o in percentuale sul prezzo come indicato sopra, mentre SSS sta ad indicare i costi speciali stimati mediante specifico computo metrico-estimativo. Il costo totale dell’opera è fornito da P C ¼ i ðPi QiÞ e il costo complessivo della sicurezza da P SCS ¼ i ðSRPi QiÞ þ SSS segue l’incidenza generale meSCS dia della sicurezza IS ¼ C per cui in conclusione si calcola il costo reale complessivo «Si» afferente all’articolo iesimo di lavoro mediante: Si ¼ ðPi Ui SGiÞ ðPi Ui SGiÞ 1 þ IS Si coglie immediatamente la completezza del metodo fornito, perché mira ad individuare l’entità con cui il costo ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 complessivo della sicurezza, sia esso diretto che speciale, si riflette sul generico articolo di computo metrico posto a base di gara. Si osservi altresı̀ come «Si» risulti depurato degli utili e spese generali che, per definizione, sono soggette a ribasso, variando, anche in misura notevole, da un’impresa all’altra essendo legate alle strategie aziendali. Esempi numerici per modalità di gara In tabella 4 si riporta un esempio numerico di applicazione della determinazione n. 2/ 2001 con riferimento alla modalità di gara usuale per i lavori pubblici, il ribasso d’asta sull’Elenco prezzi unitari predisposto dalla stazione appaltante. L’esempio, volutamente semplicistico per ovvie esigenze di brevità, è suddiviso in due parti: la prima dedicata al progetto e alla gara, la seconda alla contabilità dei lavori. In tabella 5 si riporta un esem- Tabella 4 - Esempio calcolo oneri di sicurezza secondo la determinazione n. 2/2001: gara con ribasso d’asta FASE DI PROGETTO E GARA DI APPALTO importo lordo lavori di progetto art. descrizione UM quantità Qi prezzo Pi (Euro) costi diretti sicurezza importo lavoro (Qi*Pi) spese unit. Sic. SRPi SRPi*Qi 1 scavo mc 10,00 9,00 90,00 0,90 9,00 2 cls fondazione mc 15,00 145,00 2.175,00 7,50 112,50 3 acciaio armatura kg 1200,00 1,10 1.320,00 0,10 120,00 4 esecuzione muratura mq 58,00 22,00 1.276,00 1,50 87,00 C = Euro 4.861,00 somma (SRPi*Qi) = Euro 328,50 costi speciali sicurezza importo recinzione 10,00 impianto elettrico 25,00 protezione scavi 10,00 SSS = Euro 45,00 incidenza generale della sicurezza IS somma (SRPi*Qi) = Euro 328,50 costi speciali = SSS = Euro 45,00 SCS = somma (Qi*SRPi) + SSS = Euro 373,50 IS = SCS/C = 0,077 calcolo Oneri di Sicurezza non soggetti a ribasso nel progetto U (utili) = 10,00% art. descrizione Sg = 12,00% UM quantità Qi prezzo Pi Ui Sgi costo unitario finale della sic. (Si) importo O.S. (Qi*Si) 1 scavo mc 10,00 9,00 0,90 1,08 0,50 5,01 2 cls fondazione mc 15,00 145,00 14,50 17,40 8,07 121,05 3 acciaio armatura kg 1200,00 1,10 0,11 0,13 0,06 73,47 4 esecuzione muratura mq 58,00 22,00 2,20 2,64 1,22 71,02 O.S. = somma (Qi*Si) = Euro 270,54 importo lavori soggetto a ribasso = (C - O.S.) = Euro 4.590,46 percentuale di riferimento (O.S./C) = (non serve) 0,056 CONTABILITÀ DEI LAVORI SAL 1 ribasso d’asta = 10,00% Libretto delle misure art. descrizione UM quant. Qi 1 scavo mc 8,00 2 cls fondazione mc 20,00 3 acciaio armatura kg 1000,00 4 esecuzione muratura mq 50,00 Approfondimenti descrizione (segue) ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 27 (continua) somma al lordo del ribasso e di O.S. Registro di Contabilità Approfondimenti art. 28 descrizione UM Pi Pi*Qi somma soggetta a ribasso (Pi-Si) (Pi-Si) Qi Oneri di Sicurezza Si Si*Qi 1 scavo mc 9,00 72,00 8,50 67,99 0,50 4,01 2 cls fondazione mc 145,00 2.900,00 136,93 2738,60 8,07 161,40 3 acciaio armatura kg 1,10 1.100,00 1,04 1038,78 0,06 61,22 4 esecuzione muratura mq 22,00 1.100,00 20,78 1038,78 1,22 61,22 somma (Pi*Qi) = 5.172,00 totale lordo (Euro) 4.884,15 O.S. (Euro) 287,85 ribasso (Euro) 517,20 ribasso (Euro) 488,41 Euro 4.654,80 Euro 4.395,73 totale al netto del ribasso (calcolo errato) totale al netto del ribasso (calcolo corretto) RIEPILOGO SAL 1 pio numerico di applicazione della determinazione n. 2/ 2001 con riferimento alla modalità di gara con offerta a prezzi unitari, usuale per gli appalti privati ma entrato a far parte pure dei lavori pubblici con il regolamento di attuazione D.P.R. n. 554/1999. In fase di progetto le stime del costo diretto (SRPi) sono condotte con riferimento a prezzi di listino correnti, supposti idonei dal progettista per l’appalto in preparazione; in fase di gara l’impresa ha disposizione una tabella simile a quella riportata, in cui rileva l’incidenza generale della sicurezza sull’articolo i-esimo. Il PSC nella parte dedicata alla stima dei costi deve specificare in modo esteso ed esauriente le opere che hanno prodotto i costi speciali (SSS). Nella modalità di gara con offerta a prezzi unitari, in alternativa alla determinazione n. 2/2001, sempre nell’ambito dei costi diretti e speciali, la procedura può essere semplificata fornendo direttamente all’impresa l’entità unitaria di ciascuno di essi, eliminando totale al netto del ribasso = Euro 4.395,73 totale O.S.= Euro 287,85 TOTALE SAL 1 = Euro 4.683,59 il calcolo di «Si». Evidentemente l’approssimazione si coglie nell’elusione delle spese generali e utili di impresa. La procedura mantiene comunque inalterata la sua validità concettuale. In tabella 6 è riportato il consueto esempio numerico. Conclusioni Il metodo indicato dalla determinazione n. 2/2001 appare laborioso nell’applicazione professionale, in particolare se riferito ad appalti di modesta taglia, ma di fatto la complicazione viene meno grazie all’impiego di software dedicato, di cui ormai ogni studio tecnico è provvisto, capace di rendere immediata la risoluzione del calcolo di «Si» a seguito dell’introduzione di «SRPi» e di «SSS» (sono autentici «superstiti» coloro che si ostinano a compilare manualmente il Libretto delle misure e il registro di contabilità, come è stato fatto in decenni di applicazione della legge sui lavori pubblici del 1865). ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Ovviamente ciò richiede una stretta collaborazione tra progettista e CP nella fase di progettazione, e tra CEL e direttore dei lavori nella gestione dell’appalto e quindi in contabilità dei lavori; del resto tale collaborazione è richiesta dall’intero impianto della direttiva cantieri, perché il CP non può esimersi dal «conoscere» nei dettagli le scelte e le soluzioni del progettista, e viceversa. Infine si rammenta che il D.P.R. n. 222/2003 indica solo «contenuti minimi», come recita il suo titolo, perciò i coordinatori sono liberi di adottare miglioramenti a tali contenuti, anche se non supportati da prescrizioni normative cogenti, in considerazione del fatto che l’aspetto economico e monetario della sicurezza riveste un ruolo fondamentale nella gestione operativa del cantiere. L’esperienza maturata in questi anni di applicazione della direttiva cantieri mostra che una «buona» stima dei costi della sicurezza elimina, o almeno riduce, le «sofferenze» e le «resistenze» poste dalle Tabella 5 - Esempio calcolo oneri di sicurezza secondo la determinazione n. 2/2001: gara con offerta a prezzi unitari FASE DI PROGETTO E GARA DI APPALTO calcolo Oneri di Sicurezza non soggetti a ribasso art. descrizione UM quantità Qi prezzo Pi (Euro) costi sicurezza Det.2/2001 importo lavoro (Qi*Pi) costo unit. fin.sic. Si Si*Qi 1 scavo mc 10,00 0,50 5,01 2 cls fondazione mc 15,00 8,07 121,05 3 acciaio armatura kg 1200,00 0,06 73,47 4 esecuzione muratura mq 58,00 1,22 71,02 somma (Qi*Si) = Euro 270,55 C = somma (Qi*Pi) = Euro CONTABILITÀ DEI LAVORI SAL 1 Registro di Contabilità prezzi di offerta Libretto delle misure art. descrizione UM quantità Qi Pi Pi*Qi Registro di Contabilità - Oneri di Sicurezza Si Si*Qi 1 scavo mc 8,00 8,00 64,00 0,50 4,00 2 cls fondazione mc 20,00 138,00 2.760,00 8,07 161,40 3 acciaio armatura kg 1000,00 1,20 1.200,00 0,06 60,00 4 esecuzione muratura mq 50,00 23,00 1.150,00 1,22 61,00 somma (Pi*Qi) = 5.174,00 totale O.S. = 286,40 RIEPILOGO SAL 1 imprese, garantendo i presupposti di un proficuo lavoro al CEL. Allo stesso tempo, secondo i canoni della teoria dei sistemi, la corretta gestione della sicurezza implica il miglioramento della cultura della sicurezza in azienda, creando una forma mentis nei soggetti coinvolti, che a sua volta si traduce in ulteriore avanzamento nell’ambito gestionale. Meccanismo opportuno ed auspicabile per l’industria delle costruzioni, spesso resistente ai cambiamenti evolutivi più di altri settori. Bibliografia (1) G. Semeraro, Il regolamento sui PSC: la stima dei totale prezzi di offerta = Euro 5.174,00 totale O.S.= Euro 286,40 TOTALE SAL 1 = Euro 5.460,40 costi della sicurezza, ISL 2004, 5, pag. 273. (2) D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (G.U. 28 aprile 200, n. 98, s.o.). (3) D.M. 19 aprile 2000, n. 145 (G.U. 7 giugno 2000, n. 131). (4) D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528 (G.U. 18 gennaio 2000, n. 13). (5) Legge 7 novembre 2000, n. 327 (G.U. 13 novembre 2000, n. 265). (6) E. Mansfield, Microeconomia, Il Mulino, Bologna 1975, pag. 115. (7) Ibidem, pag. 115. (8) M.C. Sawyer, Introduzione all’economia industriale e dell’impresa, Il Mulino, Bologna 1985, pag. 87. (9) Ibidem, pag. 104. (10) G. Semeraro e S. Mengarelli, La stima degli oneri della sicurezza nei cantieri, EPC Libri, Roma 2001. (11) DEI-STR, Elenco e analisi prezzi in edilizia, DEI Tipografia del Genio Civile, Roma 2003. (12) A.V.LL.PP., Determinazione 10 gennaio 2001, n. 2 (G.U. 1 febbraio 2001, n. 26). ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Approfondimenti importo lavori: offerta impresa 29 Tabella 6 - Esempio calcolo oneri di sicurezza metodo semplificato: gara con offerta a prezzi unitari FASE DI PROGETTO E GARA DI APPALTO calcolo Oneri di Sicurezza non soggetti a ribasso importo lavori: offerta impresa art. descrizione UM quantità Qi Approfondimenti importo lavoro (Qi*Pi) costo unit. SRPi SRPi*Qi 1 scavo mc 10,00 0,50 5,01 2 cls fondazione mc 15,00 8,07 121,05 3 acciaio armatura kg 1200,00 0,06 73,47 4 esecuzione muratura mq 58,00 1,22 71,02 somma (Qi*SRPi) = Euro 270,55 oneri speciali (SSS) = Euro 45,00 totale O.S. di progetto = Euro 315,55 C = somma (Qi*Pi) = 30 prezzo Pi (Euro) costi sicurezza Euro CONTABILITÀ DEI LAVORI SAL 1 Registro di Contabilita - prezzi di offerta Libretto delle misure art. descrizione UM quantità Qi Pi Pi*Qi Registro di Contabilita - Oneri di Sicurezza SRPi Si*Qi 1 scavo mc 8,00 8,00 64,00 0,90 7,20 2 cls fondazione mc 20,00 138,00 2.760,00 7,50 150,00 3 acciaio armatura kg 1000,00 1,20 1.200,00 0,10 100,00 4 esecuzione muratura mq 50,00 23,00 1.150,00 1,50 75,00 somma (Pi*Qi) = 5.174,00 totale = 332,20 Oneri Speciali (SSS) = 45,00 totale O.S. = 377,20 RIEPILOGO SAL 1 ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 totale prezzi di offerta = Euro 5.174,00 totale O.S.= Euro 377,20 TOTALE SAL 1 = Euro 5.551,20 Spunti critici dal mondo accademico a cura di Francesco Bacchini La responsabilità sociale delle imprese e il dovere di salute e sicurezza Premessa «L’accelerazione della liberalizzazione economica, in assenza di una governance globale efficace e in presenza di procedure imperfette di governance delle imprese, ha fatto sı̀ che l’attenzione dell’opinione pubblica si concentrasse sull’integrità delle imprese e sui loro atteggiamenti non solo nei confronti degli azionisti ma anche della società nel suo complesso. Attualmente, mentre ci si aspetta che l’impresa sia responsabile del suo impatto sulla società, in tutta Europa si va facendo sempre più ampio il dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese» (1). Sebbene per il sentire comune la funzione delle imprese consista nel produrre e scambiare beni e servizi e, nel far ciò, essere competitive e redditizie, al fine di creare la ricchezza necessaria per ripagare gli investimenti (shareholder value), da qualche tempo il mondo imprenditoriale ha dovuto confrontarsi, giocoforza, con la «sostenibilità etica», oltreché con quella economico-finanziaria e industriale dei processi produttivi. Analisi e scelte di natura etica, solidaristica e ambientale diventano parte integrante della strategia e della gestione quotidiana di un’impresa, giacché, oggi più che in passato, questa è chiamata a rispondere a complesse aspettative e a specifiche richieste che non assumono più valenza esclusiva- mente economico-finanziaria, bensı̀ anche etico-sociale. Per rispondere a queste richieste, attraverso il rinnovamento dei modelli e delle strategie organizzative e produttive o soltanto attraverso una nuova comunicazione, molte imprese, sia attraverso il dialogo con i loro principali interlocutori, sia attraverso il ricorso a modelli o schemi contenenti criteri e regole volontaristicamente predisposti, hanno sviluppato risposte standard oppure «su misura» e, in modo più o meno formale, hanno definito una serie di valori e principi fondamentali che si impegnano a rispettare nello svolgimento della propria attività e dei propri affari. L’evoluzione delle teorie di governance d’impresa è, pertanto, il riflesso, il precipitato, principalmente delle richieste e delle conseguenti attese della collettività per una trasformazione dell’impatto, ma anche, più profondamente, del ruolo delle imprese all’interno di una società sempre più complessa e articolata. Tale aspettativa risulta pienamente in linea con il principio fondamentale della strategia di sviluppo sostenibile adottata dal Consiglio Europeo di Göteborg (2), secondo il quale nel lungo termine la crescita economica, la coesione totale e la tutela dell’ambiente andranno (o dovranno andare) di pari passo e, in questo senso, l’obiettivo strategico, fissato dal Consiglio Europeo di Lisbona (3), è quello di fare dell’Europa «l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di crescita economica sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale». La strategia comunitaria è fissata nel «Libro Verde della commissione sulla responsabilità sociale delle imprese», pubblicato nel 2001 e nella successiva comunicazione del luglio 2002, con la quale, in particolare, la Commissione Europea ha adottato un sistema volto a creare una partnership per lo sviluppo di un quadro europeo mirato alla promozione della responsabilità sociale delle imprese, ovvero della CSR. La commissione definisce la CSR come «un concetto secondo il quale le imprese inseriscono, su base volontaria, le preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate», ovvero un contributo delle impre- Note: (1) Cosı̀ si esprime «Il Progetto CSR-SC. Il contributo italiano alla campagna di diffusione della CSR in Europa» redatto a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e presentato alla terza Conferenza europea sulla CSR, Il ruolo delle politiche pubbliche nella promozione della CSR (Venezia, 14 novembre 2003). (2) Consiglio Europeo di Göteborg del giugno 2001. Dalle Università Francesco Bacchini Facoltà di economia e commercio, Università di Milano-Bicocca, Diritto del lavoro (3) Conferenza di Lisbona del 2001. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 31 Dalle Università se allo sviluppo sostenibile, un approccio di gestione aziendale che rafforza la competitività, la coesione sociale e la protezione dell’ambiente. 32 Lo sviluppo della CSR andrà di pari passo con l’evoluzione della governance aziendale, in quanto la gestione delle questioni sociali e ambientali da parte delle imprese costituisce un elemento importante della gestione aziendale a patto, tuttavia, che le imprese includano in questo dialogo tutti gli stakeholder, comprese le associazioni sindacali e le organizzazioni non governative. Infatti, attraverso la promozione di best practices di CSR si intende diffondere fra le imprese l’adozione di pratiche socialmente responsabili nella gestione quotidiana dei problemi sociali e ambientali in ogni ambito dell’impresa; non si auspica, però, che le aziende adottino pratiche di CSR né per motivi filantropici, né di marketing, ma perché utili alla loro stessa competitività. La CSR non dovrebbe affatto costituire un esercizio di comunicazione e pubbliche relazioni, ma dovrebbe portare le imprese a rivalutare e riorganizzare le attività aziendali e dovrebbe garantire che il rischio e il mutamento vengano gestiti in modo socialmente responsabile; ciò in quanto la CSR rappresenta uno strumento per migliorare la gestione dei rischi sociali e ambientali, un mezzo per gestire la qualità dando alle imprese un quadro chiaro del loro impatto sociale e ambientale, aiutandole a gestirlo correttamente. «Poiché la trasparenza è diventata un elemento chiave del dibattito sulla CSR, nello scorso decennio si è verificato il proliferare di codici di condotta, di bilanci, di etichette, di premi, di indici e di fondi. La CSR è diventata una questione di mercato per i consumatori e per gli investitori. Come tutte le informazioni relative al mercato, le dichiarazioni in tema di CSR devono essere dimostrate. Quando i singoli consumatori e gli investitori non sono in grado di verificare le informazioni che vengono loro fornite, le autorità pubbliche devono fissare una parità di condizioni per proteggerli da comportamenti non corretti. Inoltre, la CSR sta diventando importante per le autorità pubbliche ad ogni livello, le quali inseriscono, sempre più spesso, i criteri CSR nelle normative di mercato, nelle disposizioni relative alla concessione di prestiti o di incentivi fiscali, e alle forniture pubbliche. Nonostante le buone intenzioni degli attori coinvolti, questo sviluppo comporta il rischio di introdurre nuove barriere commerciali nel mercato interno della Unione Europea. Questi sviluppi sono stati oggetto di discussione nella Conferenza sulla CSR, promossa dalla Presidenza Italiana della UE a Venezia il 14 novembre 2003. La crescente importanza della CSR nel mercato e nelle politiche pubbliche solleva una questione chiave: il riconoscimento ufficiale degli strumenti di CSR, cioè etichette, marchi, certificati, rating, ecc., e la loro progressiva convergenza nel mercato interno. Questo richiede lo sviluppo di un consenso sulle finalità e sul contenuto degli strumenti di CSR (quali aree sono coperte da tali strumenti), riguardo i processi di valutazione (il modo in cui le prestazioni vengono misurate) e riguardo le procedure di certificazione (quali tecniche e quali capacità sono necessarie per misurare correttamente le prestazioni in ambito di CSR). Stanno emergendo diverse iniziative che lavorano alla convergenza degli strumenti di CSR e che forniscono un utile punto di partenza per sviluppare soluzioni che rispondono a tali sfide. È per questo motivo che la commissione ha creato un Forum europeo multistakeholder sulla CSR. Il Forum intende facilitare lo scambio di esperienze e di best practices al fine di stabilire linee guida comuni per gli stru- ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 menti di CSR, ad esempio: codici di condotta, bilancio, etichettatura e investimenti socialmente responsabili. Il Forum riunisce imprese, organizzazioni sindacali e società civile. La commissione ritiene che il successo della CSR in Europa dipenderà, in ultima analisi, dall’ampiezza della sua condivisione, poiché tutti gli stakeholder dovranno sentirsi coinvolti nella definizione delle modalità di sviluppo e applicazione della CSR. In quanto strumento per lo sviluppo sostenibile, la CSR può essere utilizzata più ampiamente in tutte le politiche, tra cui l’occupazione e gli affari sociali, le imprese, l’ambiente, lo sviluppo e il commercio, ecc. I governi nazionali stanno mettendo in atto differenti iniziative per promuovere la CSR nelle loro politiche e la commissione sta facilitando lo scambio di informazioni sulle politiche nazionali a sostegno della CSR. La commissione, inoltre, si è impegnata ad inserire i principi della CSR in tutte le sue politiche, e all’inizio del 2005 pubblicherà un rapporto sui progressi realizzati. La CSR, uno strumento di gestione per le imprese, è anche un potente strumento politico dell’Unione Europea per cercare di raggiungere gli obiettivi fissati dal Vertice Europeo di Lisbona nel marzo 2000 per avere migliori posti di lavoro, una migliore società e un mondo migliore» (4). La responsabilità sociale d’impresa nell’ordinamento giuridico italiano Nonostante l’inquadramento proposto a livello comunitario, ad avviso di chi scrive, non è possibile affrontare il tema della responsabilità sociale delle imprese senza collocare Nota: (4) Cosı̀ si esprime «Il Progetto CSR-SC. Il contributo italiano alla campagna di diffusione della CSR in Europa», cit. Il limite del dovuto nell’esercizio dell’impresa è tutto racchiuso, in termini sia programmatici che precettivi, nell’art. 41 della Costituzione, che recita: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Questo è il concetto giuridico di responsabilità sociale dell’impresa. Non si può esercitare un’impresa senza essere, secondo il diritto, socialmente responsabili delle situazioni giuridiche attive e passive che tale esercizio genera sugli individui che ne sono coinvolti: l’insieme di quelli esterni, ovvero la collettività, l’insieme di quelli interni, ovvero i lavoratori. L’esercizio dell’impresa dovrà quindi avvenire nel rispetto delle regole cogenti previste dalla legge e, conseguentemente, la responsabilità nei confronti della società sarà, nel minimo, discendente dalla violazione delle stesse. Si dovrà, pertanto, parlare in senso stretto di responsabilità sociale dell’impresa (civile, amministrativa e penale), sia quando, ad esempio, nei confronti della collettività non vengono rispettate le norme di tutela ambientale, contro l’inquinamento (emissioni nell’aria, nell’acqua, nel suolo) e la gestione dei rifiuti o, ancora, quelle di tutela del consumatore contro i vizi occulti delle cose, oppure, oggi, quella di tutela del risparmiatore; sia quando, ad esempio, nei confronti dei lavoratori, non vengono rispettate le norme di tutela della personalità, della salute, del posto di lavoro, ecc. Ne consegue che la responsabilità sociale delle imprese, intesa in senso ampio, ovvero nell’accezione di cui sopra, quale responsabilità per il perseguimento di un risultato etico-sociale-ambientale nell’esercizio dell’impresa, dovrà, quindi, essere qualcosa di diverso ed ulteriore rispetto alla conformità normativa. La CSR in Italia Per sincerarci di questo, è necessario reperire un sistema di fonti pseudonormative, di tipo volontaristico, che siano in grado di definire e fissare gli incerti confini della responsabilità per il perseguimento di un risultato etico-sociale-ambientale nell’esercizio dell’impresa. Merita, nell’ottica di cui sopra, innanzitutto di essere analizzata la documentazione di derivazione comunitaria. Nel «Libro Verde - promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese», presentato dalla commissione nel luglio 2001 e nel- la comunicazione della commissione emanata il 2 luglio 2002, entrambi già citati ed analizzati, la definizione di CSR, ovvero l’essere socialmente responsabile «significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo maggiormente nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate». Anche l’Italia, per il tramite del Governo, condivide il contenuto del Libro Verde della commissione europea, al punto che nel recente Libro Bianco sul mercato del lavoro (punto di partenza per una rilevante riforma normativa del lavoro nel nostro paese la c.d. Riforma «Biagi»), viene dedicata una parte alla responsabilità sociale di impresa, «intesa come investimento in capitale umano che può rappresentare una scelta strategica vincente per l’impresa, nell’ottica di migliorare il rendimento dei dipendenti generando maggiori profitti e nello stesso tempo destando una crescente attenzione nei consumatori e negli investitori; ... al fine di attrarre e trattenere il capitale umano di migliore qualità non è sufficiente attenersi agli obblighi di legge od a quanto previsto dai contratti collettivi; è altresı̀ importante realizzare condizioni di formazione permanente, sviluppo di carriera, meccanismi di partecipazione ai profitti, puntando in definitiva alla realizzazione di risorse umane di qualità» (5). Questa adesione alla politica comunitaria da parte del nostro esecutivo e, in particolare, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è tradotta nella creazione di un forum italiano sulla CSR e del primo sportello CSR-SC. Il 15 marzo 2004 ha aperto, infatti, a Milano il primo degli sportelli CSR-SC (Corporate Social Responsability - Social Nota: (5) Cosı̀ si esprime «Il Progetto CSR-SC. Il contributo italiano alla campagna di diffusione della CSR in Europa», cit. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Dalle Università correttamente questa locuzione o, meglio, il concetto che essa rappresenta, nel sistema di regole che proprio l’esercizio dell’impresa governa nel nostro ordinamento giuridico. Occorre, cioè, ricontestualizzare l’argomento, depurandolo dalla patina «retorica» di novità etica, di evoluzione moralizzatrice, di investimento sociale, di nuovo modo «volontario» di fare impresa «buona» e ricondurlo al sistema di regole che, lungi dal definire l’impresa «buona», certamente impongono i requisiti per l’esercizio lecito della stessa. È l’individuazione oggettiva del limite del dovuto nell’esercizio dell’impresa e della relativa responsabilità giuridica alla quale si è chiamati dalla società a rispondere nel caso in cui tale limite non sia raggiunto, a darci l’unico parametro per attribuire al concetto di responsabilità sociale dell’impresa una dimensione autonoma ed un valore ulteriore ai quali riconoscere, con pieno merito, in quanto decisione assolutamente volontaria, libera e non imposta, il perseguimento di un risultato etico-sociale. 33 Dalle Università 34 Commitment). Avrà la funzione di fornire un servizio di consulenza alle imprese sulla responsabilità sociale e di supportare le imprese stesse nell’attività di autovalutazione delle prestazioni di CSR e nella realizzazione del social statement. È il primo risultato dell’attuazione del protocollo di intesa siglato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con Unioncamere nel dicembre 2003. I passi successivi previsti dal Ministero sono l’apertura di altri sportelli CSR-SC per un totale di almeno 20 nel 2004 e la costituzione del Forum Italiano MultiStakeholder sulla CSR. Il progetto ha, infatti, come quadro di riferimento il Libro Verde della commissione europea e pone le proprie radici nella nozione di CSR che in esso è formalizzata; ciò implica considerare la CSR non come uno sforzo addizionale, ma come un comportamento legato alla normale gestione dell’impresa. Il progetto del Ministero introduce un nuovo, semplice strumento, il social statement, nato per soddisfare le esigenze delle PMI e facilmente fruibile anche dalle grandi imprese e dalle multinazionali, che si pone, tra i vari obiettivi, quello di garantire maggior chiarezza e trasparenza sulle prestazioni in ambito CSR; esso rappresenta il documento con cui l’impresa comunica agli stakeholder le proprie prestazioni ambientali e sociali. Parte centrale del SS è il set di indicatori che può essere usato come linea guida da quelle imprese che per la prima volta si avvicinano a questa tematica e come strumento di autovalutazione, monitoraggio e reporting per quelle che invece hanno già sviluppato al loro interno strategie CSR. Nel set di indicatori comuni, spiccano le risorse umane, seguite da: soci, azionisti e comunità finanziaria; clienti, fornitori, partner finanziari, Stato, enti locali e pubblica amministrazione, comunità, ambiente. Gli indicatori che fanno riferimento, in par- ticolare, alle risorse umane in azienda sono, fra le altre (6): politica verso disabili e minoranze; ore di formazione per categoria (7); contributi e agevolazioni per dipendenti; infortuni e malattie; tutela dei diritti dei lavoratori. La categoria di stakeholder «risorse umane», che abbiamo deciso di prendere in considerazione, tralasciando le altre per evidenti ragioni di interesse scientifico, è caratterizzata sia da indicatori qualitativi (ad esempio, laddove si richieda la descrizione di un progetto o di un’iniziativa realizzata dall’azienda) sia da indicatori quantitativi (nei casi in cui l’informazione richiesta debba essere espressa sotto forma numerica percentuale, rapporto, quoziente, dati economici o finanziari, ecc.). Il set di indicatori è stato suddiviso in due tipologie principali: indicatori comuni (C): utilizzati da tutte le imprese per la realizzazione del SS; indicatori addizionali (A): che si possono applicare alle imprese di maggior dimensione (a partire da 50 dipendenti) in base a specifici criteri, integrando i criteri comuni. Sicurezza e salute sul luogo di lavoro Come si può vedere nelle voci dell’indicatore risorse umane (Tabella 1), al punto 1.11 viene presa in considerazione la tematica, ovvero l’ambito obbligatorio, della sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Il punto 1.11.1 è dedicato agli infortuni e malattie, il punto 1.11.2 ai progetti. Il commento esplicativo dell’indicatore di cui al punto 1.11.1 informa che «L’indicatore punta a verificare l’impegno dell’azienda nel minimizzare il rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori». Per quel che riguarda le modalità di misurazione dell’indicatore, di natura quantitativa, il riferimento è al calcolo dell’indice di frequenza e di gravità ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 cosı̀ come determinato dall’INAIL (benchmarking di settore fondato su statistiche INAIL opportunamente considerate). Relativamente, invece, all’indicatore qualitativo dei progetti realizzati, lo schema riporta i seguenti esempi: introduzione di un vero e proprio sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro (SGSL) (8), che, oltre a garantire il rispetto della normativa, consente all’intera organizzazione di migliorare le proprie prestazioni nel tempo. La sua documentazione di supporto consiste nella «Descrizione dei progetti avviati al fine di ridurre gli infortuni, oltre a quanto realizzato per garantire la conformità rispetto alla normativa cogente (D.Lgs. n. 626/1994 e D.Lgs. n. 242/ 1996 e successive integrazioni/ modifiche su igiene e sicurezza del lavoro, D.Lgs. n. 494/1996, successivamente modificato dal D.Lgs. n. 528/1999, riguardante la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili). L’indicatore di cui al punto 1.11.2, denominato progetti, riporta questo commento esplicativo: «L’indicatore punta a descrivere l’impegno dell’azienda nel minimizzare il rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori». Pur nella somiglianza con la descrizione del precedente indicatore, si può sottolineare che, mentre il primo è finaliz- Note: (6) Fonte: rivista «Economia e management», settembre-ottobre 2003; articolo «La responsabilità sociale delle imprese. Intervista a Roberto Maroni, ministro del Welfare». (7) Al netto di quella prevista per legge o per contratto. (8) La definizione di sistema di gestione, o management system, contenuta nel Glossario allegato al documento governativo è la seguente: concetto che comprende la struttura organizzativa, le attività di pianificazione, programmazione e controllo, le responsabilità, le prassi, le procedure, i processi, le risorse per sviluppare, attuare, conseguire, riesaminare e mantenere attiva una specifica politica aziendale (riguardante, ad esempio, la qualità, la gestione ambientale, la sicurezza sul lavoro, la tutela dei diritti dei lavoratori, la gestione dell’impatto sociale o della sostenibilità dell’impresa, ecc.). Tabella 1 - Indicatori per le risorse umane ^ 1.4.3 1.5 1.6. 1.6.1 1.6.2 1.6.3 1.7 1.7.1 1.7.2 1.8 1.9. 1.9.1 1.9.2 1.9.3 1.10 1.11 1.11.1 1.11.2 1.12 1.12.1 1.12.2 1.13 1.13.1 1.13.2 1.14 Categorie, aspetti, indicatori Risorse umane Composizione del personale Categorie Età Anzianità Provenienza territoriale Nazionalità Tipologia contrattuale Titolo studio Turnover Politiche occupazionali Dipendenti e non dipendenti Cessazioni (per tipologia) Pari opportunità Personale maschile e femminile (a livello di quadri e dirigenti) Relazione tra salario maschile e femminile (per categoria e anzianità) Politica verso le persone con disabilità e le minoranze in genere Formazione Progetti di formazione (tipologia) Ore di formazione per categoria (al netto della formazione obbligatoria per legge o da contratto) Stage Orari di lavoro per categoria Modalità retributive Retribuzioni medie lorde Percorsi di carriera Sistemi di incentivazione Assenze Giornate di assenza Causale Agevolazione per i dipendenti Relazioni industriali Rispetto dei diritti di associazione e contrattazione collettiva Percentuale di dipendenti iscritti al sindacato Altro (ore sciopero, partecipazione dei lavoratori al governo aziendale ecc.) Comunicazione interna Sicurezza e salute sul luogo di lavoro Infortuni e malattie Progetti Soddisfazione del personale Ricerche di customer satisfaction rivolte all’interno Progetti Tutela dei lavoratori Lavoro minorile Lavoro forzato Provvedimenti disciplinari e contenziosi C/A X A A A A A A A A A A A A C A C * * * * * * * * * * * A A C * * * * * A A A A A Y * * * * * * * * * * * A A A A * * * * * * C A * * * A A C A A A * * * * * * * * ^ Vedi «Relazione sulla RSI in Europa, in Italia e nel Veneto» a cura di Mantoan R. e Nicolai D. Legenda: C = indicatori comuni; A = indicatori addizionali; X = indicatori qualitativi; Y = indicatori quantitativi ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Dalle Università 1 1.1 1.1.1 1.1.2 1.1.3 1.1.4 1.1.5 1.1.6 1.1.7 1.2 1.2.1 1.2.2 1.2.3 1.3 1.3.1 1.3.2 1.3.3 1.4. 1.4.1 1.4.2 35 Dalle Università 36 zato a verificare e quindi a misurare l’impegno dell’azienda nel minimizzare il rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori, vedasi il riferimento al calcolo dell’indice INAIL di frequenza e gravità degli infortuni e delle malattie professionali, il secondo risulta essere di natura meramente descrittiva, anche se l’impegno dovrà intendersi quello ulteriore rispetto all’adempimento dell’obbligo di legge, cosı̀ come, peraltro, vale anche per la richiesta di documentazione di cui all’indicatore precedente. Infatti, anche le modalità di misurazione dell’indicatore sono prive di riferimenti quantitativi e si limitano alla «Descrizione dei progetti avviati al fine di ridurre gli infortuni, oltre a quanto realizzato per garantire la conformità rispetto alla normativa cogente». Per quel che riguarda la documentazione di supporto il richiamo è, semplicisticamente, ad «eventuali certificazioni allegate». Come risulta evidente dall’analisi appena svolta, non è certo possibile ritenere che il SS della CSR possa andare oltre una mera descrizione delle situazioni relative ad ogni indicatore e, massimamente, costituire uno strumento di adempimento delle obbligazioni espresse dagli stessi indicatori. Anche il riferimento ad eventuali certificazioni allegate la dice lunga sull’effettiva qualità dell’approccio, di natura, pare chiaro, esclusivamente formale piuttosto che sostanziale. Tale funzione descrittiva di tipo formale, seppur verificabile, potrebbe, tuttavia, risultare spesso inesistente se gli indici, in particolare quelli qualitativi, fossero stati varati, ma realizzati solo in parte, oppure fossero rimasti, semplicemente, o creati appositamente, «sulla carta» all’esclusivo fine di ottenere il riconoscimento. Iscrizione al CSR Una volta realizzato il social statement, le imprese trasmettono il documento e il materia- le di supporto previsto ad un organismo specifico denominato CSR Forum. Ha cosı̀ avvio la procedura di esame/valutazione del documento, che porta all’iscrizione dell’impresa, nel caso di validazione del SS, in un apposito data base. Questa fase corrisponde al livello CSR del progetto. Per quanto riguarda il processo di verifica, la prima fase dell’iter di validazione si basa su una valutazione interna, effettuata dal CSR Forum e sulla raccolta di commenti, pareri ed, eventualmente, reclami delle parti sociali o, più in generale, degli stakeholder, che dovranno essere esaminati sempre dal CSR Forum. Dopo questa attività si procede alla comunicazione della valutazione e, nel caso di parere positivo, si procede all’iscrizione nel già menzionato data base. L’impresa socialmente responsabile può decidere di andare oltre il livello CSR e partecipare in maniera attiva alle priorità di intervento sociale finanziando un apposito fondo SC, costituito nell’ambito del bilancio di Stato; quest’ultimo supporta i progetti nelle priorità contenute nel Piano di azione nazionale ed individuate dalla Conferenza unificata e dalle organizzazioni non governative. Questa seconda fase corrisponde al successivo livello SC del progetto, con possibilità di accedere a finanziamenti e sgravi fiscali per investimenti in CSR. Conclusioni sulla CSR Dal profilo precedentemente esaminato, si può concludere che, principalmente per gli indicatori aventi ad oggetto obblighi a forte valenza pubblicistica, come quello riguardante la sicurezza e la salute sul lavoro, la validazione CSR complessivamente ottenuta sull’intero percorso o su parte di esso non avrebbe certamente alcun valore adempitivo, ma nemmeno alcun valore di presunzione di correttezza o adeguatezza normativa. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 L’ottenimento dell’iscrizione nel data base, ovvero la validazione del SS non ha, pertanto, alcun valore legale e non prova nulla di tutto ciò che è oggetto della stessa, posto che la documentazione degli adempimenti in essa richiamati dai vari indicatori risulta tutt’altro che sostanzialmente provata e provabile; essa costituisce, pertanto, uno strumento per sensibilizzare il mondo economico e il mercato dei beni e dei servizi all’importanza dei temi etici, sociali, ambientali anche al di là, o meglio, proprio al di là dell’adempimento normativo. In conclusione, è possibile sottolineare come il progetto CSR-SC, indubbiamente ispirato alla struttura del Forum multi-stakeholder operante in sede europea, con rappresentanza delle parti sociali (imprese e sindacati), del Governo (Ministero del lavoro e delle politiche sociali) e delle ONG, non possa, di per se stesso, costituire prova di effettiva pratica socialmente responsabile d’impresa. SA 8000 L’approccio pubblicistico sopra descritto non è, tuttavia, l’unico a porsi come elemento discriminante e documentale per la dimostrazione della effettiva vocazione sociale dell’impresa. Di un qualche rilievo nel panorama delle fonti normative volontaristiche, questa volta di natura privata, deve essere annoverata la certificazione SA 8000 (9). La norma nasce nel 1997 dal Nota: (9) In Italia sono 52 le imprese certificate Social Accountability 8000 (SA 8000), su un totale di 285 certificazioni a livello globale. Questo rende l’Italia il primo Paese al mondo per numero di organizzazioni certificate; negli ultimi anni sono aumentate in maniera significativa certificazioni ISO 14001 (oltre 2.400), OHSAS 18001, registrazioni EMAS (146), marchi di qualità ecologica di prodotto - Ecolabel (rilasciati per oltre 60 tipologie di prodotto), certificazioni biologiche (+23% di vendite nel 2002 nella moderna distribuzione), social label (TransFair), altri marchi ambientali (Forest Stewardship Council - FSC), ecc. Un altro aspetto interessante riguarda la partecipazione allargata dei cittadini e delle loro organizzazioni; infatti la SA 8000 prevede il coinvolgimento di tutta la società civile nel processo di monitoraggio dei comportamenti tenuti dall’azienda. In particolare, il processo di monitoraggio avviene mediante interviste alle ONG locali e ai rappresentanti sindacali nel corso dell’auditing per la certificazione e impegnando l’azienda a comunicare pubblicamente la politica, gli impegni assunti e i risultati del riesame periodico della direzione. Ciononostante, i parametri di valutazione della catena produttiva, in termini di responsabilità sociale da certificare, sono ancora una volta elementi di natura normativa cogente, ovvero doveri inderogabili di tutela del lavoratore, imposti per l’esercizio lecito dell’impresa: lavoro infantile, lavoro obbligato, salute e sicurezza, libertà di associazione e di contrattazione collettiva, discriminazione, pratiche disciplinari, orario di lavoro, retribuzione. Salute e sicurezza Al punto 3 dello schema di certificazione SA 8000 ci si occupa di salute e sicurezza. I criteri che descrivono la prova dell’eticità dell’impresa sull’argomento sono: «3.1 L’azienda, tenendo presente lo stato delle conoscenze prevalenti riguardo all’industria e a tutti i relativi rischi, deve garantire un luogo di lavoro sicuro e salubre e deve adottare le misure adeguate per prevenire incidenti e danni alla salute che possono verificarsi durante lo svolgimento del lavoro o in conseguenza di esso, minimizzando, per quanto sia ragionevolmente praticabile, le cause di pericolo ascrivibili all’ambiente di lavoro; 3.2 L’azienda deve nominare un rappresentante della direzione che sia responsabile della salute e della sicurezza di tutto il personale e dell’imple- mentazione dei fattori di sicurezza e salute previsti nella presente norma; 3.3 L’azienda deve assicurare che il personale riceva una regolare e documentata formazione in materia di sicurezza e salute, e che tale formazione sia ripetuta per il personale nuovo e riassegnato; 3.4 L’azienda deve stabilire sistemi per individuare, evitare o fronteggiare potenziali rischi alla salute e alla sicurezza di tutto il personale; 3.5 L’azienda deve garantire, per l’utilizzo di tutto il personale, bagni puliti, accesso ad acqua potabile e, se appropriate, strutture igieniche per la conservazione degli alimenti; 3.6 L’azienda deve garantire che i dormitori, se eventualmente forniti al personale, siano puliti, sicuri e rispondano ai bisogni essenziali del personale». La genericità delle prescrizioni da documentare è più che evidente, come si conviene ad una norma volontaristica statunitense. Tuttavia, la materia e, conseguentemente, ogni sua documentazione adempitiva, deve, nel nostro ordinamento giuridico, essere conforme alle previsioni della vasta legislazione, caratterizzata, come tutti sanno, da una non marginale rilevanza penale che impone specifiche misure di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali di natura tecnica, organizzativa e procedurale. L’incolmabile distanza fra l’approccio volontaristico di cui sopra e la disciplina cogente propria del nostro sistema giuridico si può, immediatamente, ricondurre a due passaggi dell’articolato di cui alla SA 8000. Il primo è relativo alla minimizzazione delle cause di pericolo ascrivibili all’ambiente di lavoro «per quanto sia ragionevolmente praticabile» (punto 3.1); il secondo alla nomina di un «rappresentante della direzione che sia responsabile della salute e della sicurezza di tutto il personale e dell’implementazione dei fattori di si- ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Dalle Università CEPAA, Council of Economical Priorities Accreditation Agency, istituto statunitense fondato nel 1969 per fornire agli investitori ed ai consumatori strumenti informativi per analizzare le performance sociali delle aziende. La SA 8000, abbreviazione di Social Accountability 8000, prima certificazione sociale limitata al controllo del rispetto delle condizioni di lavoro minime lungo tutta la catena della fornitura, è stata aggiornata nel 2001 ed è stata pensata per essere adottata in ogni tipo di azienda. Com’è noto, il tema della gestione della catena della fornitura sta assumendo sempre più rilevanza nella struttura produttiva moderna; i fenomeni di disgregazione del processo produttivo e la tendenza alla specializzazione (subfornitura) e all’esternalizzazione (outsourcing) stanno provocando un allungamento della catena del valore. Le implicazioni in termini di responsabilità sociale sono ben visibili quando questi processi comportano cambiamenti di garanzie per i lavoratori, oppure la possibilità che il committente non sia in grado di individuare in maniera chiara la presenza di una catena più o meno lunga di sub-fornitori e sub-appaltatori. Una gestione accurata della catena della fornitura, incentrata su specifiche di qualità ambientale e sociale, si ritiene possa superare le problematiche sopra richiamate, permettendo alle grandi imprese acquirenti di influenzare, attraverso la forza contrattuale che esercitano, tutto il sistema produttivo attraverso un positivo «effetto domino». Questo principio dell’influenza del cliente sul fornitore è uno dei cardini della normativa SA 8000: in particolare ogni anello della catena produttiva deve impegnarsi per la tutela dei diritti dei lavoratori informando e stimolando l’adeguamento allo standard dei propri fornitori, sub-fornitori, sub-appaltatori; in sostanza, tutta la filiera deve garantire il rispetto dei requisiti stabiliti nelle norme. 37 Dalle Università 38 curezza e salute previsti nella presente norma» (3.2). Non vi è dubbio che il limite della tutela della salute e della sicurezza nella legislazione antinfortunistica italiana non sia la «ragionevole praticabilità» bensı̀ la «tecnologica praticabilità». Il principio più volte sancito dalla Corte costituzionale è, com’è noto quello della «massima sicurezza tecnologicamente possibile o fattibile» e non quello della «sicurezza ragionevolmente praticabile». Allo stesso modo il dovere, l’obbligo di salute e sicurezza non si rivolge ad un non meglio identificato «rappresentante della direzione che sia responsabile della salute e della sicurezza di tutto il personale e dell’implementazione dei fattori di sicurezza e salute previsti nella presente norma» bensı̀ pro quota a tutti i protagonisti dell’organizzazione di lavoro, datore di lavoro, dirigenti, preposti, lavoratori, in ragione delle proprie attribuzioni e competenze. Pertanto, chi dimostrasse di aver minimizzato le cause di pericolo ascrivibili all’ambiente di lavoro «per quanto sia ragionevolmente praticabile» e di aver nominato un «rappresentante della direzione che sia responsabile della salute e della sicurezza di tutto il personale e dell’implementazione dei fattori di sicurezza e salute previsti nella presente norma», magari il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, potrebbe certamente ottenere la certificazione SA 8000, ma di certo sarebbe ben lungi dall’aver adempiuto all’obbligo derivante dall’art. 2087 cod. civ. e dall’art. 4, comma 4, lett. a) e comma 5, lett. b), del D.Lgs. n. 626/ 1994. Ma la stessa genericità prescrittiva si riscontra relativamente ai punti 3.3, 3.4, 3.5, 3.6, nei quali si richiede, rispettivamente, che l’azienda assicuri «che il personale riceva una regolare e documentata formazione in materia di sicurezza e salute, e che tale formazione sia ripetuta per il personale nuovo e rassegnato» (laddove il combinato disposto degli artt. 21 e 22 del D.Lgs. n. 626/1994 impone un ben più ampio e penetrante obbligo di informazione e formazione da realizzarsi, il secondo, in occasione: dell’assunzione; del trasferimento o cambiamento di mansioni; dell’introduzione di nuove sostanze e preparati pericolosi; nonché, periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di rischi nuovi); che l’azienda stabilisca i «sistemi per individuare, evitare o fronteggiare potenziali rischi alla salute e alla sicurezza di tutto il personale» (laddove l’art. 4, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 626/1994, impone l’obbligo di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza, la redazione di un documento, l’individuazione delle misure per eliminarli o ridurli, il programma di miglioramento nel tempo delle misure adottate); che l’azienda garantisca, «per l’utilizzo di tutto il personale, bagni puliti, accesso ad acqua potabile e, se appropriate, strutture igieniche per la conservazione degli alimenti», nonché che «i dormitori, se eventualmente forniti al personale, siano puliti, sicuri e rispondano ai bisogni essenziali del personale» (laddove la normativa di igiene del lavoro impone ben altri obblighi che le indicazioni qui impartite). A parere di chi scrive, non questo deve essere documentato da parte di chi vuole risultare in regola ed ottenere la certificazione SA 8000, ovviamente non solo per quel che riguarda la voce salute e sicurezza, giacché lo stesso discorso può farsi per tutte le altre voci dello schema di certificazione, ma l’adempimento di tutti gli obblighi previsti dalla legislazione vigente nel nostro paese. Diversamente la certificazione non avrà alcun valore giuridico, nemmeno privatistico e volontario, in termini etico-sociali; sarà una forma, uno strumento, una trovata di marketing. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Conclusioni Come si è potuto notare, tanto nello schema del forum CSRSC del Ministero del lavoro, che nella SA 8000, gli elementi, principali, di ammissione o certificazione, risorse umane su tutti, ma lo stesso potrebbe dirsi anche per l’ambiente, sono, comunque, nient’altro che obblighi di legge, posti a presidio, a limite, dell’esercizio lecito dell’impresa. In questo senso il concetto di responsabilità sociale dell’impresa in senso ampio, finisce per coincidere con quello in senso stretto o giuridico. Ci si domanda dov’è l’oltre, dov’è quel risultato etico-sociale ulteriore perseguito nell’esercizio dell’impresa, che solo può giustificare una responsabilità sociale nuova, seria, utile e legittimo strumento (anche di marketing) per le imprese effettivamente «buone» e non solo abili, ossia capaci di trasformare nient’altro che il loro dovere giuridico, nulla di più (spesso, purtroppo, molto di meno), ciò che consente loro il lecito esercizio dell’attività, in una livrea nuova, in una bella medaglia, in una rappresentazione colorata a festa, migliore e meno costosa del miglior spot del miglior testimonial. In collaborazione con INAIL WorkCongress 2004: prevenzione, riabilitazione ed indennizzo infortuni e malattie professionali Roma Palazzo dei Congressi, 1-3 dicembre Il WorkCongress è una manifestazione che si svolge ogni due anni in Paesi diversi ed è da quindici anni uno dei più accreditati eventi internazionali ed un momento di riflessione e di confronto per tutti coloro che nel mondo si occupano di salute e sicurezza sul lavoro. L’obiettivo del VI Congresso Internazionale, infatti, è quello di accrescere la sensibilità generale e stimolare possibili soluzioni concrete per rendere effettivo in tutto il mondo il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. L’obiettivo è quello di rilanciare a livello internazionale la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro in termini di rapporto salute/lavoro nell’ottica di attuare la tutela globale ed integrata del lavoratore infortunato o tecnopatico. Uno degli scopi del WorkCongress - VI Congresso Internazionale su prevenzione, riabilitazione ed indennizzo degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali è proprio quello di accrescere la sensibilità a livello internazionale sulle problematiche di interesse globale, attraverso una discussione sulla prevenzione e sul risarcimento degli infortuni sul lavoro, nonché sulla riabilitazione dei lavoratori infortunati. Secondo le ultime stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in media 5.000 persone ogni giorno muoiono nel mondo a seguito di incidenti o malattie legate al lavoro. Ogni anno 270 milioni di persone sono coinvolte in incidenti e circa 160 milioni sono affette da malattie correlate all’attività lavorativa. La prevenzione è lo strumento fondamentale per battere la piaga degli infortuni. Nel corso degli anni i paesi industrializzati hanno registrato una forte diminuzione degli infortuni gravi, dovuta proprio ai progressi compiuti nel rendere il luogo di lavoro più sano e sicuro. La progressiva globalizzazione dell’economia e lo sviluppo dell’information technology hanno creato grandi opportunità per migliorare in tutto il mondo non solo la salute e la sicurezza sul lavoro, ma anche la sicurezza sociale, al fine di ridurre le differenze tra coloro che hanno tutti i diritti e coloro che non ne hanno affatto. Significativi i numeri di questo WorkCongress, che ha visto la partecipazione di oltre 700 delegati di cui 300 provenienti dall’estero, in rappresentanza di tutti e cinque i Continenti, compresa una significativa rappresentanza sia dall’Africa che dal Sud America, Paesi che non avevano partecipanti all’ultimo WorkCongress tenutosi in Australia nel 2001. Nelle tre sessioni plenarie del Congresso sono stati impegnati circa 220 esperti, tra i quali: Hans-Horst Konkolewsky (Agenzia europea di Bilbao), Stephen Adler (Corte del Lavoro Israeliana), Jukka Takala e Alberto Lòpez Valcarcèl (Programma SafeWork ILO), Bernard Jansen (Commissione Europea), Peter Barth (Università del Connecticut). Sono inoltre gestiti più di 40 workshop coordinati dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, dallo IALI (Associazione Internazionale dell’Ispezione del Lavoro), dalle Regioni, dall’ISPESL, dall’ INAIL. «I lavori del WorkCongress 6», ha affermato nella manifestazione di apertura dei lavori Vincenzo Mungari, Presidente dell’INAIL e Presidente di turno dell’International Steering Committee (Comitato organizzatore del WorkCongress), «devono dare risposta a molte richieste che giungono da paesi nei quali stenta ad affermarsi una vera cultura della sicurezza. La sfida nella lotta contro gli infortuni sul lavoro è quella di costruire un modello vincente di prevenzione valido per qualsiasi realtà lavorativa, all’interno di ogni Paese del mondo. Ogni Nazione, anche quella economicamente e tecnologicamente più sviluppata, ha la necessità del confronto continuo, perché il lavoro si globalizza e si trasforma continuamente. Mutano pertanto le esigenze di tutela dei lavoratori ed è di conseguenza necessario essere pronti a fronteggiare con ogni mezzo rischi sempre diversi». «Che effetto ci fa - ha dichiarato Mungari nell’intervento di apertura - o ci dovrebbe fare, ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Notizie INAIL a cura di Francesco Facello e Alessandro Baldacconi 39 Notizie INAIL 40 la constatazione che ogni giorno, ripeto, ogni giorno almeno 3.000 persone muoiono nel mondo per cause collegate al lavoro? E oltre alla perdita di vite umane, o comunque, di danni alle persone c’è la dimensione economica del problema. In Italia il costo degli infortuni sul lavoro rappresenta il 3% del PIL, pari a 170 milioni di giornate lavorative perse. La stessa cosa avviene, in media, in Europa come ci ricorda l’Agenzia Europea di Bilbao. Come dire che se riuscissimo ad abbattere o quantomeno a ridurre il numero degli infortuni, ogni anno potremmo avere leggi finanziarie meno severe riducendo la spesa corrente a favore degli investimenti segnatamente in infrastrutture, ricerca ed innovazioni». Il Presidente Mungari, muovendo dal comune interesse di tutti i partecipanti del WorkCongress alla ricerca ed attuazione delle politiche più efficaci per la sicurezza del lavoro e per la tutela della salute, ha auspicato che il dibattito da svolgersi nei giorni successivi possa registrare un notevole passo avanti lungo queste direttrici di fondo. Questo avrà come suo effetto finale la progressiva riduzione dell’incidentalità da lavoro, che oggi registra livelli insopportabili, anche se in Italia meno che negli altri Paesi partner dell’Europa, ottenendosi con ciò una migliore tutela dei diritti fondamentali della persona e dei valori di solidarietà umana che sono alla base anche della Costituzione europea. Stephen Adler - Presidente della Corte Nazionale del Lavoro Israeliana - ha coordinato i lavori che hanno riguardato i «Modelli di tutela dei rischi professionali». Il Direttore del Programma SafeWork-ILO - Jukka Takala ha ricordato le parole di Kofi Annan, Segretario Generale dell’ONU, che di recente ha dichiarato che la salute e sicurezza sul lavoro non è solo una politica economicamente vantaggiosa ma anche un diritto umano. Bisogna potenziare un’alleanza globale tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo e l’ILO è in prima fila per promuovere la politica della sicurezza e del lavoro «decente». Takala ha poi ringraziato il Governo italiano, l’INAIL e gli organizzatori per aver ospitato questo convegno. Timothy Walker - Direttore Generale HSE Gran Bretagna - ha evidenziato l’importanza degli immigrati nel mondo del lavoro e la necessità di una stretta cooperazione tra tutti gli attori sociali - enti, parti sociali e datori di lavoro - affinché sia abbattuto il numero degli infortuni e delle malattie professionali che colpiscono in maniera rilevante questa categoria di lavoratori. Ximena Cecilia Rincòn Gonzàlez - Direttrice Generale dell’Istituto di sicurezza sociale del Cile - ha presentato un’analisi comparata delle differenti legislazioni vigenti in America Latina in materia di sicurezza, salute sul lavoro e copertura dei rischi lavorativi, con particolare riferimento all’esperienza del Cile, dell’Argentina, del Messico, della Colombia e del Costa Rica. Antonio Moccaldi - Presidente dell’ISPESL - nel suo intervento ha sottolineato l’importanza del ruolo dei network, sia a livello internazionale che all’interno dell’Unione Europea, per attuare nuove strategie di prevenzione degli infortuni. Infatti lo scorso anno, nel bacino del Mediterraneo, l’importanza dei network è stata confermata dalla creazione di una rete che unisce e mette in contatto tra di loro gli istituti che si occupano di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in Francia, Spagna, Portogallo e Italia. Con un interessante excursus dall’economia industriale all’economia della conoscenza, la giornata conclusiva del WorkCongress ha affrontato il tema della globalizzazione e delocalizzazione dei rischi in relazione all’innovazione, all’organizzazione del lavoro e all’esportazione della produzione. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Al riguardo il Direttore Generale dell’INAIL, Maurizio Castro, ha affermato che «la delocalizzazione, per essere virtuosa, deve comportare una omologazione degli standard di sicurezza ‘‘verso l’alto’’, al fine di favorire lo sviluppo armonico dei Paesi emergenti con quelli già industrializzati». Per Alberto Lòpez Valcarcel dell’ILO, lo sviluppo della salute e sicurezza sul lavoro riveste un ruolo centrale anche per la globalizzazione ed è ferma intenzione dell’ILO dare un contributo significativo, anche tramite la risoluzione sulla salute e sicurezza sul lavoro nei vari Paesi del mondo, già adottata lo scorso anno. Joachim Breuer, Direttore Generale dell’HVBG e Presidente della Commissione Tecnica infortuni dell’AISS (Associazione Internazionale di Sicurezza Sociale di cui l’INAIL, nella persona del suo Presidente Vincenzo Mungari, ha la vicepresidenza), ha messo in rilievo il ruolo svolto dalla Commissione stessa per ridurre il divario tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Secondo Michael Quinlan, dell’Università del New South Wales, Australia, alcuni studi dimostrano l’esistenza di un nesso tra lavoro precario ed aumento dei tassi infortunistici; questa situazione pone una sfida agli istituti di assicurazione infortuni, «abituati» a gestire forme di assicurazione che tutelano i lavori tradizionali. Anche Jean-Luc Marié, Direttore Generale dell’INRSFrancia e Presidente della Commissione Prevenzione dell’AISS, è un convinto assertore della necessità di un monitoraggio delle condizioni di salute e di lavoro a livello europeo, poiché la vera unificazione europea passa anche per la diffusione di una cultura comune della prevenzione ed il miglioramento della qualità del lavoro. Per Luise Vassie, ricercatrice dell’Università di Leicester, Gran Bretagna, gli effetti ne- sul lavoro di Bilbao, nel suo intervento «Diversità della forza lavoro: nuove sfide per la prevenzione», dopo aver rilevato che il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente e che con esso cambia l’organizzazione del tempo e cresce la percentuale della forza lavoro impiegata nel terziario - ha sottolineato che con l’aumento dell’immigrazione aumenta la diversità. A tutti questi mutamenti sono legati nuovi rischi professionali e la necessità di diversificare e adattare le azioni di prevenzione, la valutazione del rischio, il supporto ai lavoratori e alle imprese in tema di salute e sicurezza sul lavoro. Wolfang Zimmermann, Direttore esecutivo dell’Istituto nazionale di ricerca e management della disabilità del Canada, ha sottolineato come una strategia di gestione dei costi economici legati ai lavoratori disabili, se sviluppata adeguatamente, consenta di diminuire i costi e di mantenere l’impiegabilità. In Canada, ha detto Zimmermann, è stata realizzata al riguardo un’esperienza che ha prodotto un Codice delle pratiche e una serie di standard occupazionali, che possono essere facilmente trasferiti in ambito internazionale e la cui adozione ha generato consistenti miglioramenti. Il Presidente del CIV INAIL, Giovanni Guerisoli ha chiuso i lavori del WorkCongress evidenziando la necessità che si realizzi una tutela integrale del lavoratore. Secondo Guerisoli, «il processo di globalizzazione in atto rischia di sacrificare la tutela del lavoratore sull’altare della competitività, trasformandosi in forme di lavoro sempre più precarie, con le inevitabili conseguenze in termini di aumento degli infortuni sul lavoro, con particolare riferimento a quelli mortali. Per questo motivo il WorkCongress rappresenta e rappresenterà sempre un’opportunità di governo del contesto, al fine di evitare che la sicurezza costituisca il differenziale su cui i Paesi emergenti basano la loro competitività». L’appuntamento per il VII WorkCongress è stato fissato ad Hong Kong nel giugno 2006. Sottoscritto il contratto per il Polo pediatrico di Acerra Il Presidente della Giunta Regionale Antonio Bassolino e il Presidente dell’INAIL Vincenzo Mungari hanno sottoscritto il 10 novembre 2004 il contratto preliminare di locazione tra INAIL e Regione Campania che di fatto dà via libera all’acquisto dei terreni individuati, e già resi liberi dal proprietario, per la realizzazione del Polo pediatrico mediterraneo di Acerra. Dopo l’approvazione dell’Accordo di programma - sottoscritto nel 1998 tra il Ministero della Salute, la Regione Campania, la Provincia di Napoli, il Comune di Acerra, l’INAIL e la Fondazione S. Alfonso - con questo atto si avvia concretamente la realizzazione dell’opera. «Grazie all’impegno profuso dalla Regione - dichiara il Presidente della Giunta Regionale Antonio Bassolino - siamo riusciti a ricomporre le diverse posizioni fra gli Enti interessati, giungendo al perfezionamento del primo atto concreto che apre alla fattiva realizzazione del Polo pediatrico e ad una reale qualificazione del territorio acerrano». «Tale sottoscrizione è una tappa fondamentale - dichiara l’Assessore alla Sanità Rosalba Tufano - perché si dà avvio alla costruzione di un centro di riferimento sanitario importantissimo per l’alta specialità e non solo per la Campania ma per l’intero Mezzogiorno». «Con tale accordo - afferma il Presidente dell’INAIL Vincenzo Mungari - si è sbloccata una situazione che si trascinava ormai da tempo, superando cosı̀ le difficoltà di ordine burocratico che si erano ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Notizie INAIL gativi sulla salute e sicurezza sul lavoro sono stati provocati dalla deregulation e dalla competizione degli ultimi anni; gli organismi multinazionali possono svolgere un ruolo strategico dando vita a partnership e accordi per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Tra i workshop più significativi della giornata un’attenzione particolare hanno meritato quelli dedicati a «Globalizzazione e lavoro precario», «La comunicazione per la salute e sicurezza sul lavoro», «Focus sulle PMI», «Rischi psico-sociali», «Ergonomia», con puntuale attenzione ai principi ergonomici che devono accompagnare la progettazione o riprogettazione dei posti e degli ambienti di lavoro e di vita extralavorativa. «Rispondere ai bisogni specifici delle categorie vulnerabili di lavoratori» ha rappresentato uno dei temi che hanno interessato la platea dei delegati nella seconda giornata della manifestazione. John F. Burton, Preside della Scuola di Management e Relazioni Industriali presso la Rutgers University del New Jersey, ha coordinato in plenaria gli interventi dei vari relatori che si sono susseguiti. Alfredo Violante, Direttore Centrale Riabilitazione e Protesi dell’INAIL, ha evidenziato come negli ultimi anni la missione dell’INAIL si sia evoluta, aggiungendo alla compensazione economica iniziative volte a facilitare il reinserimento lavorativo, familiare e sociale. In questo quadro va letta l’esperienza di SuperAbile, contact center integrato (call center e web portal) che è diventato un network di supporto, informazione e condivisione di esperienze e soluzioni per il mondo della disabilità. Il call center gratuito ha fornito dall’apertura, nel marzo 2001, più di 200.000 risposte personalizzate. Il portale è interamente accessibile, e riceve circa 5.000 contatti al giorno. Hans-Horst Konkolewsky, Direttore dell’Agenzia Europea per la salute e la sicurezza 41 frapposte alla realizzazione di una iniziativa importante per tutti i paesi che si affacciano sulla Riva sud del Mediterraneo». Notizie INAIL Secondo bando INAIL-MIUR per borse di studio 42 «Stai avanti», «stai giusto ... ». È questo lo slogan che accompagnerà la campagna promozionale 2004 INAIL-MIUR presentata oggi presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nel corso della conferenza stampa che ha illustrato il secondo bando di concorso per borse di studio destinate agli studenti delle scuole secondarie superiori e universitari. L’iniziativa è inserita nell’ambito di un programma di collaborazione per la realizzazione di un progetto triennale destinato a promuovere forme di incentivazione allo sviluppo di professionalità in materia di sicurezza e salute negli ambienti di vita e di lavoro. Per quest’anno l’importo complessivo destinato all’iniziativa è di 942.000 euro, con un incremento di 250.000 euro rispetto a quanto stanziato lo scorso anno. In particolare, 696.000 euro sono destinati alle scuole secondarie superiori (465.000 euro di premi agli studenti e 231.000 per le scuole) e 246.000 agli studenti universitari. Infatti, a seguito del grande interesse dimostrato nella prima edizione da parte delle scuole e delle università, la sfera dei destinatari per questo secondo bando è stata ampliata, con la partecipazione non solo degli Istituti tecnici e professionali, ma di tutte le scuole secondarie superiori e di tutti i corsi di laurea. «I giovani, cittadini e lavoratori di domani», ha evidenziato il Sottosegretario Stefano Caldoro, «sono i destinatari privilegiati di un’attività educativa e preventiva sulla sicurezza, per dare origine ad un collegamento sempre più stretto tra la scuola e il mondo del lavoro, al fine non solo di acquisire conoscenze tecniche e specialistiche, ma anche di orientare e sostenere scelte professionali adeguate alle specifiche esigenze provenienti dal mercato del lavoro». «I punti di forza dell’iniziativa congiunta MIUR/INAIL», ha dichiarato il Presidente Mungari, «sono identificabili in un potenziamento della fase di «avvicinamento» dei giovani al mondo del lavoro e in una ampia e capillare campagna promozionale e divulgativa. Il tutto avendo sempre di mira le finalità che si intendono perseguire: far acquisire un bagaglio di conoscenza e di coscienza che porti i giovani a privilegiare la sicurezza e la salute negli ambienti di vita e di lavoro come valori «sociale» ed «etico» prioritari». Le borse di studio previste per la scuole secondarie superiori sono 300, individuali o collettive, del valore di 1.550 euro ciascuna. Il termine ultimo per la presentazione dei lavori è il 30 giugno 2005. Le borse di studio previste per l’Università sono 75, di cui: 20 riservate a studenti iscritti (3.000 euro ciascuna); 40 a laureandi (3.300 euro); 15 a laureati (3.600 euro). La domanda di partecipazione deve essere inviata, esclusivamente a mezzo di raccomandata a.r., entro il 20 dicembre 2004 e il termine ultimo per la presentazione dei lavori è il 30 giugno 2005. Tutto il materiale è disponibile presso le Segreterie degli istituti scolastici e presso le Facoltà interessate, nonché sul sito internet del MIUR www.miur.it, e sul sito dell’INAIL. COM-PA: workshop INAIL per l’e-government «20 milioni di lavoratori e 4 milioni di imprese (è questo il bacino d’utenza dell’INAIL) non possono più essere adeguatamente serviti soltanto attraverso i tradizionali canali ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 di contatto», ha di recente dichiarato il Presidente Mungari. L’Istituto sta spingendo sull’acceleratore dell’e-government per ridurre l’uso della carta nelle relazioni con il cittadino, esaltando la gestione elettronica del rapporto. Anche se non dimentica, peraltro, che è necessario un mix di comunicazione calda (face to face) e comunicazione tecnologica per assicurare davvero la qualità del servizio. L’INAIL è stata presente con lo stand istituzionale al tradizionale appuntamento del COM-PA (Salone europeo della comunicazione pubblica dei servizi al cittadino e alle imprese) nei giorni 3-5 novembre 2004 presso il padiglione 19 - Area B5, dove è stato allestito uno «spazio workshop», allo scopo di presentare ai datori di lavoro, Associazioni di categoria, consulenti e a tutti gli interlocutori istituzionali, sia la nuova versione dei servizi on line già in produzione (denuncia nominativa assicurati, denuncia di infortunio, sportello unico previdenziale), sia i servizi on line in sperimentazione, che andranno in produzione da gennaio 2005 (denuncia di esercizio, consultazione stato pratica, Documento unico di regolarità contributiva - DURC). Proprio a questi temi sono state dedicate la Tavola Rotonda del giorno 4 novembre, dal titolo «L’innovazione tecnologica al servizio dei cittadini», e quella del giorno 5, che si terrà alle ore 12.00, dal titolo «E-government: strumento per accelerare l’innovazione nella PA». Nella seconda tavola rotonda, in particolare, si è presentata l’esperienza dei servizi on line dell’INAIL e ci si è soffermati sul difficile equilibrio tra innovazione tecnologica e puntualità della relativa comunicazione ai pubblici di riferimento. Nuove alleanze per costruire il nuovo welfare Nella seconda e conclusiva consapevole che il tema della salute e della sicurezza è un bene troppo importante per essere sacrificato sull’altare delle ambizioni personali». INAIL, Lions Club e Asphi insieme per i disabili L’INAIL, il Lions Clubs International e la Fondazione Asphi Onlus il 26 novembre 2004 hanno firmato un protocollo di intesa per favorire, attraverso azioni comuni, il reinserimento delle persone disabili nel mondo del lavoro. Con questa intesa viene instaurato un rapporto di collaborazione per sviluppare, da un lato, le attività progettuali finalizzate alla riqualificazione professionale dei disabili e per facilitare, dall’altro, l’incontro fra domanda e offerta di lavoro per i disabili del lavoro non occupati. L’INAIL mette a disposizione la propria professionalità acquisita nel campo della riabilitazione e si impegna a collaborare, anche attraverso il Centro Protesi di Vigorso di Budrio, alla individuazione degli interventi specifici più adatti per la persona disabile in relazione alle sue potenzialità. Il Lions Clubs International, da parte sua, si impegna a promuovere ogni forma di pubblicizzazione per favorire l’occupazione dei disabili nelle piccole e medie imprese, anche attraverso indicazioni sulle specifiche competenze richieste dalle aziende da comunicare a INAIL e Asphi per la progettazione e realizzazione di percorsi formativi calibrati sulle esigenze del mercato del lavoro. «Questa sinergia tra pubblico e privato», ha affermato il Presidente dell’INAIL Vincenzo Mungari, «intende incentivare forme di collaborazione volte a migliorare la qualità della vita delle persone disabili attraverso lo sviluppo di attività progettuali per la loro riqualificazione professionale e il reinserimento nel mondo del lavoro. Ciò in linea con la mis- sion dell’Istituto, tesa a sviluppare i valori della persona anche nell’interesse della collettività». Malattie da stress: Convegno di medicina legale previdenziale Il 20 ottobre 2004 sono stati presentati presso il Centro Congressi Forte Village di S. Margherita di Pula i lavori del V Convegno nazionale di medicina legale previdenziale, con l’obiettivo di fare il punto sui progressi nel campo della medicina legata al lavoro e alla tutela della salute dei lavoratori con particolare attenzione a quello che sta accadendo in Europa. L’argomento centrale, le patologie stress-correlate, è di grande attualità: esamina anche il danno da mobbing e, più in generale, da costrizioni organizzative per mettere a fuoco le prospettive di tutela da parte dell’INAIL. Gli altri temi: a) le patologie da sovraccarico bio-meccanico; b) i tumori correlati al lavoro; c) l’esperienza dell’INAIL nella riabilitazione e nel reinserimento sociale del disabile; d) le novità introdotte dalla legge in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro e il ruolo svolto dall’Istituto. In apertura il prof. P.A. Bertazzi ha tenuto una lezione magistrale sul tema «L’esperienza europea nella definizione della associazione con il lavoro delle patologie stresscorrelate». Nei giorni seguenti il programma ha visto, con il coordinamento del Sovrintendente medico generale dell’INAIL Prof. G. Cimaglia, l’intervento di circa 40 esponenti del mondo accademico, scientifico e delle istituzioni; sono pervenuti oltre 80 contributi scientifici sui temi congressuali. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Notizie INAIL giornata del Seminario di Studio «l’INAIL e il nuovo welfare» organizzato dal Consiglio di indirizzo e di vigilanza nei giorni 25 e 26 novembre 2004 si è affrontato ed approfondito il tema «Nuove tutele per nuovi lavori: la legge n. 30/2003 e il ruolo dell’INAIL». Alla tavola rotonda, i cui lavori sono stati coordinati da Alessandro Vecchietti, Vice Presidente CIV, hanno partecipato: Maurizio Castro, Direttore Generale INAIL, Massimo Marchetti, Responsabile dei problemi giuridici del lavoro della Confindustria, Tiziano Treu, Componente la Commissione Parlamentare di Controllo Enti Previdenziali, Giovanni Battafarano, Commissione Lavoro del Senato, Domenico Benedetti Valentini, Presidente Commissione Lavoro della Camera, Fabio Canapa, Segretario Confederale UIL e Alessandro Brignone, Direttore Associazione Italiana Lavoro Temporaneo. Le conclusioni della «Tavola Rotonda», dopo gli interventi di numerosi presidenti dei comitati provinciali e regionali, sono state tratte dal Presidente del Consiglio di indirizzo e di Vigilanza, Giovanni Guerisoli, il quale ha tracciato l’itinerario da seguire nei prossimi mesi, sia a livello centrale che periferico, sottolineando in particolare «la necessità che tutte le strutture dell’Istituto condividano il progetto di valorizzazione dell’INAIL, partendo dall’affermazione del contributo fondamentale delle parti sociali che rappresentano i veri azionisti del tessuto produttivo della società e cioè le aziende e i lavoratori. Per realizzare questo obiettivo i prossimi appuntamenti normativi (Testo Unico sugli infortuni, Testo Unico sulla salute e sicurezza e riforma previdenziale) - ha aggiunto Guerisoli - costituiscono tappe fondamentali a condizione che l’INAIL arrivi unito alle scadenze legislative. A tal fine il Presidente del CIV ha proposto un patto tra tutti i soggetti, a vario titolo coinvolti, nel disegno riformatore 43 Notizie INAIL 44 Il Presidente dell’INAIL, Vincenzo Mungari, ha commentato: «Il Convegno è un appuntamento biennale che consente ai medici INAIL di confrontarsi con il mondo della Ricerca e della Sanità sui temi della prevenzione, della diagnosi medico-legale, delle malattie professionali, della riabilitazione e del reinserimento lavorativo. Temi che sono gli obiettivi stessi della mission istituzionale. Il ruolo dei medici è di fondamentale importanza perché coniugato con l’azione di tutte le professionalità dell’Istituto garantisce il raggiungimento dello scopo prioritario: la garanzia della qualità e della equità delle prestazioni». Il Presidente del CIV, Giovanni Guerisoli, ha dichiarato: «Le linee di indirizzo per l’anno 2005 approvate dal CIV ribadiscono l’obiettivo di una tutela integrata del lavoratore, che parte dalla prevenzione e si concretizza con il rafforzamento delle attribuzioni dell’Istituto in tema di riabilitazione e reinserimento sociale». In questo senso, ha poi affermato Guerisoli «il ruolo dei medici dell’INAIL è fondamentale anche allo scopo di favorire la necessaria evoluzione della normativa in materia di malattie professionali che, attualmente, vede prevalere le malattie non tabellate, a testimonianza della necessità, non ulteriormente procrastinabile, di adeguare le patologie alle trasformazioni del mercato del lavoro». Il Direttore Generale Maurizio Castro ha sottolineato che «il compito cui è chiamata la ‘‘scuola’’ di medicina legale dell’Istituto è di essere presidio avanzato contro i ‘‘nuovi rischi’’ collegati all’evoluzione tecnologica e organizzativa del lavoro; e che i medici dell’Istituto devono concentrarsi su un’azione concreta e integrata di prevenzione sui luoghi di lavoro insieme con i medici aziendali, dando corpo a quel- la ‘‘alleanza per la sicurezza’’ tanto più efficace quanto più modulata in prassi locali, comunitarie, flessibili». Incentivi alle imprese: 800 milioni di euro investiti nella prevenzione Sono circa 7.000 le piccole e medie imprese e le imprese dei settori agricolo e artigianale che hanno presentato all’INAIL la richiesta di finanziamento per adeguare le proprie strutture alle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sulla base del bando 2004 scaduto nel mese di luglio. Le domande contengono uno o più progetti finalizzati alla ristrutturazione o modifica strutturale degli ambienti di lavoro, l’implementazione di sistemi di gestione della sicurezza, la sostituzione di macchine prive di marcatura CE e l’acquisto e ristrutturazione di impianti. «Da una prima analisi delle domande pervenute» ha sottolineato il Presidente dell’INAIL Vincenzo Mungari «si stima che l’importo complessivo degli interventi di prevenzione ammonterà a circa 800 milioni di euro. Le aziende che hanno deciso di investire in sicurezza saranno sostenute dall’INAIL con finanziamenti in conto interessi pari a circa 107 milioni di euro, mentre saranno oltre 130.000 i lavoratori che beneficeranno di tali interventi nei luoghi di lavoro. L’Istituto, con precedenti analoghe iniziative, ha già finanziato 4588 programmi di adeguamento, con un contributo di circa 74 milioni di euro, dando luogo ad un investimento complessivo in prevenzione pari a circa 400 milioni di euro». Più di un milione fra lavoratori, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, datori di lavoro e responsabili dei servizi di prevenzione sono stati inoltre destinatari di progetti di formazione e informazione in materia di prevenzione degli ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 infortuni sui luoghi di lavoro, finanziati con altri precedenti bandi pubblicati dall’INAIL. Il Presidente Mungari ha infine rimarcato la valenza ed il successo dell’intera iniziativa, che contribuisce fortemente alla diffusione della cultura della prevenzione promossa dall’INAIL, che opera in linea con le azioni che Governo ed enti coinvolti mettono in campo per combattere la piaga degli infortuni sul posto di lavoro. 31 gennaio-28 febbraio 2005 Finanziamenti per la sicurezza a cura di Bruno Pagamici Studio Pagamici, Macerata Dalle Regioni Incentivi per il miglioramento delle condizioni di sicurezza delle infrastrutture produttive La misura A. 1 della L.R. n. 35/1996, articolo 2, comma 1, lettera a), disciplina la concessione di incentivi a favore di iniziative volte al miglioramento delle condizioni di sicurezza del sistema produttivo della Regione Lombardia. Le agevolazioni previste potranno essere fruite da consorzi, cooperative di imprese esercenti attività manifatturiera, purché ubicate in aree industriali esistenti. Il consorzio o la cooperativa dovranno essere composti da almeno 10 PMI del settore manifatturiero. Le imprese di altri settori, unitamente ad altre attività comprese nell’area industriale, non potranno superare il 20% delle PMI manifatturiere e la superficie lorda di pavimento non può essere maggiore di quella complessiva delle PMI del settore manifatturiero. Gli interventi agevolabili consistono nella realizzazione di studi di fattibilità e/o progetti relativi alla realizzazione di impianti tecnologici comuni, finalizzati a migliorare le condizioni di sicurezza degli impianti. In particolare la misura si propone di garantire al sistema produttivo la messa a disposizione di nuove aree per insediamenti con le connesse opere di diretta accessibilità, atte a realizzare un’articolazione delle reti di trasporto ed una mobilità di merci più sicura e sostenibile. Per le aree PIP (Piani per insediamenti produttivi) esistenti, cioè di contesti industriali appositamente individuati e delimitati con una presenza di almeno 10 PMI del settore manifatturiero, tale linea di intervento si applica ai soli casi di manifestato interesse, da parte delle imprese, alla realizzazione di uno o più progetti di intervento negli ambiti in questione. L’agevolazione consiste in un contributo in conto capitale non superiore al 50% delle spese ammissibili e comunque fino ad un massimo di 100.000 euro. Le domande devono essere presentate alla regione entro il 31 gennaio 2005. (L.R. 16 dicembre 1996, n. 35, articolo 2, comma 1, lettera a, Misura A.1; D.G.R. 9 maggio 2003, n. 7/12928, B.U.R. n. 22 del 26 maggio 2003: approvazione modalità attuative; D.G.R. 11 settembre 2003, n. 14481, B.U.R. n. 39 del 22 settembre 2003: approvazione linee guida) PIEMONTE 31 gennaio 2005 Incentivi per l’adeguamento delle strutture produttive piemontesi Le neoimprese del Piemonte potranno ottenere i finanziamenti per la sicurezza aziendale. Attraverso la L.R. 14 giugno 1993, n. 28, la regione sostiene, nell’ambito di interventi volti alla costituzione di nuove imprese, le iniziative finalizzate all’adeguamento delle strutture e degli impianti alla normativa in materia di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro. Le agevolazioni saranno concesse a favore di imprese individuali, società di persone e società di capitali costituite da: a) giovani di età compresa tra i 18 ed i 35 anni di età; b) lavoratori posti in mobilità; Nota: Finanziamenti LOMBARDIA 31 gennaio 2005 3 Bruno Pagamici è Dottore commercialista, Revisore contabile e Pubblicista. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 45 Finanziamenti 46 c) lavoratori provenienti da aziende in liquidazione o sottoposte a procedure concorsuali o da stabilimenti dimessi; d) soggetti in stato di disoccupazione da almeno sei mesi ai sensi del D.Lgs. n. 297/2002; e) donne; f) emigrati piemontesi compreso i lavoratori frontalieri. Le società di persone e di capitali dovranno essere costituite per il 60% da soci appartenenti alle categorie dei soggetti sopra indicate. In particolare tali soggetti dovranno sottoscrivere almeno il 60% del capitale sociale nelle società di persone ed almeno l’80% nelle società di capitali. Per le società di persone inoltre le donne dovranno costituire almeno l’80% dei soci e per le società di capitali queste devono aver sottoscritto l’80% del capitale da donne e dovranno essere in maggioranza nell’organo dirigente per avere diritto alla priorità nell’esame delle domande. Gli interventi per i quali è ammesso il finanziamento riguardano la costituzione e l’avvio di nuove imprese. In tale ambito saranno ammessi, oltre alle spese sostenute per l’adeguamento degli impianti tecnici e dei locali alla norme vigenti in materia di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, i seguenti costi: 1) le spese di costituzione dell’impresa: parcella professionale inerente la predisposizione del progetto d’impresa; consulenza e assistenza alla costituzione dell’impresa o della società; parcella notarile riguardante la costituzione della società e l’eventuale atto di acquisizione d’azienda (per l’impresa individuale solo l’eventuale atto di acquisizione di azienda); contratti per gli allacciamenti e i collegamenti necessari per l’avvio dell’impresa o società (per esempio i contratti per gli allacciamenti del telefono, dell’energia elettrica ecc., esclusi i canoni); spese di pubblicità e promozione (compresa la realizzazione del logo); 2) le spese per i servizi di assistenza tecnica e gestionale: studi di fattibilità e ricerche di mercato, corsi di formazione; - assistenza tecnica e gestionale (per esempio la tenuta della contabilità, ecc.); 3) le spese per l’acquisizione di macchine, attrezzature ed automezzi; sistemi informatici e i relativi programmi; licenze, marchi e brevetti; - attivazione o adeguamento degli impianti tecnici e dei locali. Sono previste tre tipologie di agevolazione: a) per gli investimenti di cui al punto 1): contributi a fondo perduto fino al 50% delle spese ammissibili. L’agevolazione non potrà comunque superare i 12.911,42 euro; b) per gli investimenti di cui al punto 2): contributi a fondo perduto, fino al 50% delle spese ammissibili. Il contributo massimo è di 5.164,57 euro; c) per gli investimenti di cui al punto 3) e per i costi di adeguamento delle strutture e dei locali: finanziamento a tasso agevolato di importo pari al 100% delle spese ammissibili, fino ad un massimo di 103.291,38 euro. Il finanziamento verrà erogato per il 50% con fondi regionali a tasso zero e per il restante 50% con fondi bancari alle migliori condizioni di mercato, tramite gli istituti di credito convenzionati con Finpiemente. Le domande di ammissione alle agevolazioni dovranno essere presentate alla regione entro il 31 gennaio 2005 e comunque entro 180 giorni dalla data di costituzione dell’impresa e della società. (L.R. 14 giugno 1993, n. 28; D.G.R. 23 marzo 2004, n. 54-12082, suppl. ord. n. 1 al B.U.R. n. 12 del 25 marzo 2004: approvazione criteri attuativi; Determinazione 21 luglio 2004, n. 538, B.U.R. n. 43 del 28 ottobre 2004: modifica criteri attuativi) UMBRIA 16 febbraio 2005 Contributi per l’acquisizione di servizi reali La Regione Umbria sostiene gli investimenti per la sicurezza degli ambienti di lavoro. L’obiettivo è di promuove l’acquisizione di servizi per il miglioramento e l’adeguamento delle strutture produttive. È quanto prevede il bando relativo alla misura 2.2, azione 2.2.1, tipologia b), del DOCUP 2000/2006, in scadenza il prossimo 16 febbraio 2005. Potranno accedere agli aiuti le piccole e medie imprese operanti nei settori dell’industria, dell’artigianato, del commercio e del turismo, ubicate nelle aree Obiettivo 2 e phasing out della Regione Umbria. Potranno inoltre beneficiare delle agevolazioni le imprese di servizi operanti in ambito ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 UMBRIA 16 febbraio 2005 Aiuti per la sicurezza dell’ambiente di lavoro La Regione Umbria incentiva l’acquisizione di consulenze finalizzate a tutelare la sicurezza negli ambienti di lavoro. Con determinazione 21 ottobre 2004, n. 9089, l’amministrazione regionale ha reso operativo il bando per la presentazione delle domande di contributo a favore di piccole e medie imprese, artigiane ed industriali, di produzione e servizi alla produzione, e loro forme associate, con unità locali ubicate nelle aree obiettivo 2 e Phasing out dei fondi strutturali. Saranno ammessi alle agevolazioni i programmi di investimento in immobilizzazioni integrati con l’acquisizione di consulenze specialistiche finalizzate alla tutela delle condizioni di lavoro. In relazione agli investimenti materiali ed immateriali saranno finanziabili le spese relative all’acquisto, all’acquisizione mediante locazione finanziaria e alla costruzione di immobili ed immobilizzazioni. Relativamente alle consulenze specialistiche le spese dovranno riferirsi a studi e consulenze in materia di sicurezza dell’ambiente di lavoro, degli impianti e delle lavorazioni, solo nel caso in cui si producano effetti migliorativi rispetto ai parametri minimali previsti dalla vigente normativa. Le consulenze dovranno essere rese da strutture specializzate organizzate in forma societaria o consortile, ovvero da professionisti singoli iscritti ad idonei albi professionali, la cui attività risulti compatibile con la consulenza offerta, dimostrando inoltre di possedere precedenti esperienze nella materia specifica oggetto dell’incarico, ovvero da strutture universitarie. Ai sensi della normativa saranno concedibili le seguenti agevolazioni: 1) per gli investimenti l’entità del contributo sarà pari al 15% in ESL (equivalente sovvenzione lorda) per le piccole imprese e del 7,5% ESL per le medie imprese. Per le imprese localizzate nelle aree 87.3.c. del Trattato, l’entità del contributo concesso sarà pari al 20% ESL per le piccole imprese ed al 15% ESL per le medie imprese. Su specifica richiesta del beneficiario gli investimenti ammessi alle agevolazioni possono fruire di un contributo a fondo perduto in regime de minimis pari al 30% della spesa ammissibile documentata, al netto dell’IVA e di qualsiasi altro onere accessorio; 2) per le spese sostenute per l’acquisizione di consulenze specialistiche sarà concesso un contributo pari al 50%. Le domande di contributo dovranno essere presentate entro e non oltre il 16 febbraio 2005 alla Regione ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Finanziamenti socio-assistenziale, le cooperative sociali, gli organismi di volontariato, gli enti e le associazioni di promozione sociale, le fondazioni non bancarie, le ONLUS, i patronati e enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese. Saranno ammesse agli incentivi le spese, sostenute successivamente alla data di presentazione della domanda, per studi e consulenze in materia di sicurezza dell’ambiente di lavoro, degli impianti e delle lavorazioni (solo nel caso in cui si producano effetti migliorativi rispetto ai parametri minimali previsti dalla vigente normativa). Le consulenze dovranno essere rese da istituti universitari e/o strutture specializzate organizzate in forma societaria o consortile, ovvero da professionisti singoli iscritti ad idonei albi professionali, la cui attività risulti compatibile con la consulenza offerta, dimostrando inoltre di possedere precedenti esperienze nella materia specifica oggetto dell’incarico. L’ammontare degli investimenti ammissibili non potranno essere inferiore a 8.000 euro, oppure a 5.000 euro per i progetti presentati da soggetti operanti nell’economia sociale. L’agevolazione consiste in un contributo concesso in misura pari al 50% del costo totale del servizio (al netto di IVA) ritenuto ammissibile, e comunque per un importo non superiore ad 30.000 euro per singola impresa beneficiaria. Le domande dovranno essere inviate, complete della documentazione richiesta, esclusivamente a mezzo posta, tramite raccomandata A.R. indirizzata a: Regione Umbria, Centro Direzionale Fontivegge, Via Mario Angeloni, n. 61, 06124 Perugia - Servizio X - Sezione I, entro e non oltre il 16 febbraio 2005. (DOCUP 2000/2006; Misura 2.2.1 - Tipologia b); D.G.R. 21 ottobre 2004, n. 9092, suppl. ord. n. 2 al B.U.R. n. 46 del 4 novembre 2004: approvazione bando) 47 Umbria - Giunta Regionale Servizio Politiche di Sostegno alle Imprese Via Mario Angeloni, n. 61, 06124 Perugia. (Bando PIA Industria; D.G.R. 21 ottobre 2004, n. 9089, suppl. ord. n. 2 al B.U.R. n. 46 del 4 novembre 2004: approvazione bando) Finanziamenti VENETO 28 febbraio 2005 48 Premi per la salute in azienda La Regione Veneto in collaborazione con l’INAIL concede premi per le imprese che investono in salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di mettere in atto misure di prevenzione degli incidenti sul lavoro, come previsto nel bando «Azienda sana - La salute in azienda 2004». L’Assessorato regionale alla sanità, l’INAIL, Unindustria di Venezia e l’ULSS 12 Veneziana intendono favorire ed accrescere la più ampia diffusione della cultura e delle buone pratiche per la sicurezza sul lavoro, di accrescere la tutela della salute e del benessere della comunità lavorativa e di sensibilizzare le organizzazioni d’impresa a migliorare i sistemi di gestione secondo criteri di qualità e di eticità. Sono autorizzate a presentare le domande per l’accesso al bando, tutte le imprese private e pubbliche ubicate nella Regione del Veneto. Gli aiuti possono essere assegnati per la realizzazione di progetti o iniziative di qualità in tema di: a) informazione e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro; b) sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro; c) promozione della salute sul lavoro per la prevenzione delle malattie, il miglioramento degli stili di vita, l’accrescimento del benessere del lavoratore; d) responsabilità sociale e certificazione etica d’impresa. Il progetto dovrà essere conforme ai seguenti documenti di riferimento in materia di salute e sicurezza sul lavoro: «Quale formazione per la sicurezza» redatto dal Comitato Fondatore; «Linee guida UNI per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL)»; «Criteri di qualità per la promozione della salute nei luoghi di lavoro» elaborato dall’European Network for Workplace Health Promotion; sistema SA 8000. I progetti inoltre devono: essere stati realizzati, con requisiti di qualità, nel corso dei 2 anni precedenti; avere un programma di realizzazione secondo tempi definiti; non devono essere già stati oggetto di presentazione al precedente concorso «Azienda sana - La salute in azienda 2002». Il sostegno consiste in premi, ciascuno di valore unitario pari a 6.000 euro, da assegnare uno alle grandi aziende con più di 250 dipendenti uno alle PMI e studi professionali ed infine uno alle aziende pubbliche. Il premio verrà erogato secondo le seguenti modalità: 1) erogazione in un’unica soluzione o mediante acconto iniziale pari al 50% del premio per iniziative già concluse; 2) erogazione del restante 50% del premio a conclusione su presentazione di un rapporto conclusivo dell’iniziativa per progetti in corso. Premi speciali verranno consegnati ai progetti di particolare pregio con riferimento ai temi oggetto del concorso, ai comparti produttivi e alle popolazioni lavorative a maggior rischio. Le aziende che intendono partecipare al concorso dovranno presentare la domanda, esclusivamente a mezzo di raccomandata a/r, entro il 28 febbraio 2005, alla segreteria organizzativa del concorso, «Azienda Sana - la salute in azienda 2004», c/o Un industria Venezia, via delle Industrie 19, 30175 Venezia Marghera. (Bando «Azienda sana - La salute in azienda 2004») ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Sicurezza antincendio Dispositivi per l’apertura manuale delle porte 3 Con il D.M. 3 novembre 2004 il Ministero dell’interno ha fissato i criteri da seguire per la scelta dei dispositivi di apertura manuale delle porte installate lungo le vie di esodo, nelle attività soggette al controllo dei Vigili del fuoco ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi, stabilendo che dovranno essere conformi alle norme UNI EN 179 o UNI EN 1125 o ad altre a queste equivalenti. D.M. (Interno) 3 novembre 2004 (G.U. 18 novembre 2004, n. 271) Legislazione Disposizioni relative all’installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l’apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d’incendio 50 IL MINISTRO DELL’INTERNO Visto il decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, recante «Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro»; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, recante «Approvazione del regolamento concernente l’espletamento dei servizi di prevenzione e vigilanza antincendio»; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 21 aprile 1993, n. 246, recante «Regolamento di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione»; Visto il decreto legislativo del 19 settembre 1994, n. 626, recante «Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/ 656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/ CEE, 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»; Visto il decreto legislativo del 19 marzo 1996, n. 242, recante «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, recante attuazione di direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37, recante «Regolamento per la disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi, a norma dell’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59»; Visto il decreto interministeriale 10 marzo 1998, recante «Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro»; Visto il proprio decreto 4 maggio 1998, recante «Disposizioni relative alle modalità di presentazione ed al contenuto delle domande per l’avvio ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 dei procedimenti di prevenzione incendi, nonché all’uniformità dei connessi servizi resi dai Comandi provinciali dei Vigili del fuoco»; Visto il parere favorevole espresso dal Comitato centrale tecnico scientifico per la prevenzione incendi di cui all’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, nella riunione n. 261 del 9 aprile 2003; Considerato che i dispositivi di apertura manuale posti sulle porte installate lungo le vie di esodo delle opere soggette al rispetto del requisito essenziale n. 2 «Sicurezza in caso di incendio» devono essere conformi a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 21 aprile 1993, n. 246; Ritenuta la necessità di provvedere all’emanazione di norme e criteri per l’installazione e la manutenzione dei dispositivi antipanico e dei dispositivi per le uscite di emergenza; Espletata, con notifica 2003/186/I la procedura di informazione di cui alla direttiva 98/34/CE, modificata dalla direttiva 98/48/CE; Decreta: Art. 1 (Oggetto - Campo di applicazione) Il presente decreto stabilisce i criteri da seguire per la scelta dei dispositivi di apertura manuale, di seguito denominati «dispositivi», delle porte installate lungo le vie di esodo nelle attività soggette al controllo dei Vigili del fuoco ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi, quando ne sia prevista l’installazione. I dispositivi di cui al comma precedente devono essere conformi alle norme UNI EN 179 o UNI EN 1125 o ad altre a queste equivalenti, secondo quanto disposto nel successivo art. 3. Art. 2 (Definizioni) Ai fini del presente decreto si riportano le defi- manutenzione dei dispositivi deve essere realizzata attraverso l’osservanza dei seguenti adempimenti: a) per il produttore: a.1) fornire le istruzioni per la scelta in relazione all’impiego per l’installazione e la manutenzione; b) per l’installatore: b.1) eseguire l’installazione osservando tutte le indicazioni per il montaggio fornite dal produttore del dispositivo; b.2) redigere, sottoscrivere e consegnare all’utilizzatore una dichiarazione di corretta installazione con esplicito riferimento alle indicazioni di cui al precedente punto b.1); c) per il titolare dell’attività: c.1) conservare la dichiarazione di corretta installazione; c.2) effettuare la corretta manutenzione del dispositivo osservando tutte le istruzioni per la manutenzione fornite dal produttore del dispositivo stesso; c.3) annotare le operazioni di manutenzione e controllo sul registro di cui all’art. 5, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37. Art. 3 (Criteri di installazione) Ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 21 aprile 1993, n. 246, i dispositivi di cui all’art. 1 devono essere muniti di marcatura CE. In particolare, fatti salvi gli adempimenti previsti da specifiche regole tecniche di prevenzione incendi, l’installazione dei dispositivi di cui all’art. 1 è prevista nei seguenti casi: a) sulle porte delle vie di esodo, qualora sia prevista l’installazione di dispositivi e fatto salvo il disposto di cui all’art. 5, devono essere installati dispositivi almeno conformi alla norma UNI EN 179 o ad altra a questa equivalente, qualora si verifichi una delle seguenti condizioni: a.1) l’attività è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da meno di 10 persone; a.2) l’attività non è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da un numero di persone superiore a 9 ed inferiore a 26; b) sulle porte delle vie di esodo, qualora sia prevista l’installazione di dispositivi e fatto salvo il disposto di cui all’art. 5, devono essere installati dispositivi conformi alla norma UNI EN 1125 o ad altra a questa equivalente, qualora si verifichi almeno una delle seguenti condizioni: b.1) l’attività è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da più di 9 persone; b.2) l’attività non è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da più di 25 persone; b.3) i locali con lavorazioni e materiali che comportino pericoli di esplosione e specifici rischi d’incendio con più di 5 lavoratori addetti. Art. 5 (Termini attuativi e disposizioni transitorie) I dispositivi non muniti di marcatura CE, già installati nelle attività di cui all’art. 3 del presente decreto, sono sostituiti a cura del titolare in caso di rottura del dispositivo o sostituzione della porta o modifiche dell’attività che comportino un’alterazione peggiorativa delle vie di esodo o entro sei anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. La manutenzione dei dispositivi di cui al comma precedente dovrà comunque garantire il mantenimento della loro funzionalità originaria e dovrà essere effettuato quanto prescritto al punto c. 3 dell’art. 4. Art. 4 (Commercializzazione, installazione e manutenzione dei dispositivi) La commercializzazione, l’installazione e la ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Legislazione nizioni di cui ai riferimenti in premessa, come segue: a) via di emergenza (o via di esodo, o di uscita, o di fuga): percorso senza ostacoli al deflusso che consente alle persone che occupano un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro; b) uscita di emergenza: passaggio che immette in un luogo sicuro; c) uscita di piano: uscita che consente alle persone di non essere ulteriormente esposte al rischio diretto degli effetti di un incendio e che può configurarsi come segue: c.1) uscita che immette direttamente in un luogo sicuro; c.2) uscita che immette in un percorso protetto attraverso il quale può essere raggiunta l’uscita che immette in un luogo sicuro; c.3) uscita che immette su di una scala esterna; d) luogo sicuro: luogo dove le persone possono ritenersi al sicuro dagli effetti di un incendio; e) percorso protetto: percorso caratterizzato da una adeguata protezione contro gli effetti di un incendio che può svilupparsi nella restante parte dell’edificio. Esso può essere costituito da un corridoio protetto, da una scala protetta o da una scala esterna. 51 Prevenzione incendi Stabilimenti costieri di lavorazione e depositi di oli minerali e sostanze esplosive 3 Con la lettera circolare 11 novembre 2004, n. 2600 il Ministero dell’interno ha fornito chiarimenti in merito alle procedure di prevenzione incendi relative: a) agli stabilimenti costieri di lavorazione e deposito di oli minerali soggetti alla presentazione del rapporto di sicurezza; b) agli stabilimenti costieri di lavorazione e deposito di oli minerali diversi da quelli di cui alla lettera a); c) agli stabilimenti e depositi costieri di sostanze esplosive. Prassi Ministero Interno - Lettera circolare 11 novembre 2004, n. 2600 52 Il Consiglio di Stato, con parere n. 4097/2003, formulato nella adunanza della Sezione prima del 10 dicembre 2003, ha espresso l’avviso che, ai fini del rilascio della concessione per l’impianto ed esercizio di stabilimenti e depositi costieri di sostanze infiammabili, il Ministero dell’interno esprima il proprio parere ai competenti organi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell’art. 47 del regolamento della navigazione marittima, tramite il Comitato tecnico regionale o interregionale per la prevenzione incendi, integrato da un funzionario del Dipartimento della pubblica sicurezza. L’integrazione del Comitato dovrà avvenire con un funzionario della Polizia di Stato in servizio presso le divisioni di polizia amministrativa e sociale, designato dalla Questura della provincia ove ha sede lo stabilimento costiero di lavorazione e deposito di oli minerali. Relativamente agli stabilimenti e depositi costieri di sostanze esplosive, il Consiglio di Stato, argomentando dal disposto dell’art. 26 del D.Lgs. n. 334/1999, chiarisce che permane l’obbligo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di acquisire il parere della Commissione consultiva centrale controllo armi, ai sensi dell’art. 47 del regolamento della navigazione marittima. L’intervenuto parere del Consiglio di Stato comporta l’individuazione di procedure semplificate ai fini dell’espressione del parere del Ministero dell’interno ai sensi dell’art. 47 del regolamento della navigazione marittima, le cui linee vengono di seguito illustrate. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 A) Stabilimenti costieri di lavorazione e deposito di oli minerali soggetti alla presentazione del rapporto di sicurezza ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 334/1999 Il competente organo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Autorità marittima o Autorità portuale) indirizza la richiesta di parere di cui all’art. 47 reg. nav. mar. alla Direzione regionale dei Vigili del fuoco, per l’avvio dell’istruttoria nell’ambito del procedimento di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 334/1999, informando per conoscenza il Comando provinciale dei Vigili del fuoco. Per opportuna conoscenza e per l’attività di monitoraggio, contestuale comunicazione viene fatta al Ministero dell’interno: Dipartimento dei Vigili del fuoco, Soccorso pubblico e Difesa civile - Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica - Area rischi industriali e al Dipartimento della pubblica sicurezza - Ufficio per gli Affari della Polizia amministrativa e sociale. Per quel che concerne la composizione del C.T.R. di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 334/ 1999, sempre integrato dal funzionario del Dipartimento della pubblica sicurezza designato dalla Questura competente per territorio, si rimanda alle disposizioni impartite con nota prot. NS 4962 del 17 luglio 2001. Al termine dell’istruttoria, il C.T.R. comunica l’esisto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Direzione generale per le infrastrutture della navigazione marittima e interna - e con tale adempimento si intende espresso il parere del Ministero dell’interno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 47, reg. nav. mar. B) Stabilimenti costieri di lavorazione e deposito di oli minerali diversi da quelli di cui alla lettera A) Per tali stabilimenti, ai fini dell’espressione del parere ex art. 47, reg. nav. mar., viene seguita la procedura sopra descritta per l’acquisizione del parere del Comitato tecnico regionale di prevenzione incendi di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 577/1982. In seno al Comitato, sempre integrato dal funzionario della Questura competente per territorio, potrà essere prevista la presenza dei rappresentanti delle istituzioni e degli enti locali indicati nell’art. 19 del D.Lgs. n. 334/1999 e dei rappresentanti dell’Autorità marittima e dell’Autorità portuale territorialmente competenti. Con l’occasione si rammenta che, ai fini del rilascio del Certificato di prevenzione incendi, prima dell’inizio delle opere, il titolare dell’attività deve richiedere il parere di conformità sul progetto al Comando provinciale del Vigili del fuoco, con istanza redatta nei modi e con i contenuti di cui al decreto del Ministero dell’interno 4 maggio 1998; tale parere di conformità dovrà essere rilasciato dal Comando provinciale dei Vigili del fuoco anche sulla base delle valu- tazioni espresse dal C.T.R. nella composizione sopra indicata. Nel caso di attività soggetta agli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 334/1999, si precisa che il titolare dovrà inoltre presentare, alla Direzione regionale e al Comando provinciale dei Vigili del fuoco, la notifica e la scheda di informazione di cui all’allegato V del D.Lgs. n. 334/1999 nei modi e nei tempi previsti dall’art. 6 dello stesso decreto legislativo, come già indicato nella nota prot. DCPST/A4/429 del 18 febbraio 2004. C) Stabilimenti e depositi costieri di sostanze esplosive Per gli stabilimenti e/o depositi costieri di sostanze esplosive, il parere ai sensi dell’art. 47 del regolamento della navigazione marittima continuerà ad essere reso dal Ministero dell’interno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Commissione consultiva centrale controllo armi. La presente lettera circolare apporta modifiche alla circolare n. 12 MI.SA. del 5 luglio 2000 e fa salve le disposizioni di cui alle note DCPST/A4/RS/3409 del 3 dicembre 2003, DCPST/A4/RS/3558 del 30 dicembre 2003, DCPST/A4/RS/209 del 23 gennaio 2004 e DCPST/A4/RS/429 del 18 febbraio 2004. Le prefetture - Uffici territoriali del Governo dei capoluoghi di regione sono pregate di volere trasmettere copia della presente circolare ai competenti uffici di ciascuna regione. Attesa l’importanza della materia, si confida nella consueta, fattiva collaborazione. Nota: (1) «Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose» in G.U. 5 aprile 2001, n. 80. Prassi Il parere del Comitato va altresı̀ comunicato al Comando provinciale dei Vigili del fuoco e, per conoscenza, al Ministero dell’interno: Dipartimento dei Vigili del fuoco, Soccorso pubblico e Difesa civile - Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica - Area rischi industriali e al Dipartimento della Pubblica sicurezza - Ufficio per gli Affari della Polizia amministrativa e sociale. Per le procedure di prevenzione incendi ai fini del rilascio del Certificato di prevenzione incendi, si fa riferimento al decreto del Ministro dell’interno 19 marzo 2001, emanato ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. n. 334/1999 (1). ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 53 Trasporto merci pericolose Attrezzature a pressione trasportabili: quadro normativo 3 Con la circolare 26 ottobre 2004, n. 3982, il Ministero dei trasporti ha fornito il quadro sintetico delle norme e procedure applicabili alle bombole, incastellature di bombole, tubi, recipienti criogenici per gas, fusti a pressione, cisterne e batterie di recipienti, in seguito al recepimento delle direttive comunitarie materia di trasporto di merci pericolose e di attrezzature a pressione trasportabili. Prassi Ministero Trasporti - Circolare 26 ottobre 2004, n. 3982 54 L’emanazione di alcuni provvedimenti legislativi, che hanno recepito direttive comunitarie in materia di trasporto di merci pericolose e di attrezzature a pressione trasportabili, ha innovato il quadro normativo che regola la progettazione e la fabbricazione, le verifiche per l’approvazione e la fabbricazione, l’utilizzo e le ispezioni periodiche di tali attrezzature. In particolare: il decreto del Ministero delle infrastrutture dei trasporti del 21 dicembre 2001, ha recepito la direttiva 2001/7/CE, che adegua al progresso tecnico la direttiva 94/55/CE, ed ha disposto che dal 1º luglio 2001 debbono essere applicate le disposizioni degli allegati A e B dell’accordo europeo sul trasporto internazionale di merci pericolose su strada (ADR); il D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, in attuazione della direttiva 1999/36/CE, ha stabilito nuovi requisiti per l’immissione in commercio, la messa in servizio, l’ispezione periodica e l’utilizzazione ripetuta delle attrezzature a pressione trasportabili ed ha introdotto delle nuove entità operative di ispezione denominate «organismi notificati ed autorizzati»; il decreto del Ministero delle infrastrutture dei trasporti 20 giugno 2003, ha recepito la direttiva 2003/28/CE che adegua ulteriormente la direttiva 94/55/CE. Allo scopo di evitare difformità di interpretazione, si ritiene opportuno diramare la presente circolare che fornisce il quadro sintetico delle norme e procedure applicabili alle bombole, alle incastellature di bombole, ai tubi, ai recipienti criogenici per gas, ai fusti a pressione, alle cisterne ed alle batterie di recipienti. 1) Definizioni «Bombola», un recipiente trasportabile a pressione, di capacità in acqua non superiore a 150 litri; «Tubo» (classe 2), una grande bombola a pres- ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 sione trasportabile, senza saldatura, di capacità in acqua superiore a 150 litri e non superiore a 5.000 litri; «Fusto a pressione», un recipiente a pressione, saldato e trasportabile, di capacità superiore a 150 litri e non superiore a 1000 litri (per esempio recipiente cilindrico munito di cerchi di rotolamento, sfere su pattini); «Recipiente criogenico», un recipiente trasportabile a pressione, isolato termicamente per i gas liquefatti refrigerati, di capacità in acqua non superiore a 1.000 litri; «Contenitore per gas ad elementi multipli (CGEM)», un mezzo di trasporto comprendente elementi collegati tra loro da un tubo collettore e montati in un telaio. I seguenti elementi sono considerati come elementi di un CGEM: le bombole, i tubi, i fusti a pressione e i pacchi di bombole, come pure le cisterne per i gas della classe 2 aventi una capacità superiore a 0,45 m3; «Cisterna», un serbatoio, munito dei suoi equipaggiamenti di servizio e di struttura. Quando il termine è impiegato da solo, comprende i contenitori-cisterna, le cisterne mobili, le cisterne smontabili e le cisterne fisse come definite nella presente sezione come pure le cisterne che costituiscono elementi di un veicolo batteria o di un CGEM; «Cisterna smontabile», una cisterna di capacità superiore a 0,45 m3, diversa da una cisterna fissa, una cisterna mobile, un contenitore-cisterna o un elemento di un veicolo-batteria o di un CGEM; che non è progettata per il trasporto delle merci senza rottura di carico e che, normalmente, può essere movimentata solo se vuota; «Contenitore-cisterna», un mezzo di trasporto rispondente alla definizione di contenitore e comprendente un serbatoio e degli equipaggiamenti, compresi quelli atti a consentire gli spostamenti del contenitore cisterna senza cambiamento d’assetto, utilizzato per il trasporto di 2) Normativa previgente alla entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23 Antecedentemente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, le norme applicabili per la progettazione, la costruzione, le prove e l’uso dei recipienti trasportabili per gas (classe 2) erano contenute: nel D.M. 12 settembre 1925 e successive serie di norme integrative e di aggiornamento; nel D.M. 7 aprile 1985 di recepimento delle direttive comunitarie 84/525/CEE, 84/526/ CEE è 84/527/CEE; negli allegati A e B all’ADR. (periodicamente aggiornato). 3) Nuovo quadro normativo Le direttive 1999/36/CE e 2001/2/CE e la decisione 2001/107/CE, recepite in Italia con D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, prescrivono che: le bombole, i tubi, i recipienti criogenici e i loro rubinetti ed accessori di nuova fabbricazione, immessi sul mercato a partire dal 1º luglio 2001; i fusti a pressione, le incastellature di bombole, le cisterne e i loro rubinetti ed accessori di nuova fabbricazione, immessi sul mercato a partire dal 10 luglio 2005; debbono rispettare le pertinenti disposizioni degli allegati alla direttiva 94/55CE (ADR). Per l’immissione sul mercato comunitario delle bombole, dei tubi, dei recipienti criogenici, dei fusti a pressione, delle incastellature di bombole, delle cisterne (e dei veicoli batteria) e dei loro rubinetti e accessori è previsto che la valutazione della conformità sia effettuata da un organismo, notificato. Il D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, inoltre: ha consentito fino al 30 giugno 2003 l’immissione sul mercato e la messa in servizio delle attrezzature a pressione trasportabili conformi alla normativa previgente alla data di entrata in vigore del decreto medesimo; consente fino al 1º luglio 2007 l’immissione sul mercato e la messa in servizio dei fusti a pressione delle incastellature di bombole e delle cisterne, conformi alla normativa previgente alla data del 1º luglio 2005 (secondo la modifica apportata dalla decisione 2003/525/CE). 3.1 Le attrezzature per trasporto di gas già immesse sul mercato, inclusi i loro rubinetti ed accessori, possono essere sottoposti ad una procedura di rivalutazione della conformità da parte di un organismo notificato. 3.2 L’ispezione periodica dei recipienti, compresi i loro rubinetti ad altri accessori può essere effettuata da un organismo notificato o da un organismo autorizzato con la procedura di cui al modulo I dell’allegato IV parte III della direttiva 1999/36/CE o, in alternativa, può essere effettuata dal fabbricante, dal suo mandatario stabilito nel territorio comunitario, o dal detentore che applichi per le ispezioni periodiche un sistema di qualità approvato e operi sotto la sor- veglianza di un organismo notificato, (nel rispetto della procedura di cui al modulo 2 dell’allegato IV parte III della direttiva 99/36/CE). 3.3 Per uniformare l’interpretazione della direttiva 1999/36/CE, l’Unione Europea mediante un apposito gruppo di esperti, ha diffuso 38 linee guida che sono consultabili al seguente indirizzo internet: http://europa.eu.int/comm/transport/tpe/index_en.html 4) Valutazione della conformità dei recipienti alle disposizioni della direttiva 94/55/CE Le prescrizioni inerenti la progettazione, la costruzione e le prove dei recipienti trasportabili per gas (classe 2), sono riportate nei pertinenti capitoli degli allegati alla direttiva 94/55/CE, a cui si rimanda. Si ritiene comunque opportuno evidenziare i seguenti punti: 4.1 per le bombole, i tubi, le incastellature di bombole e i recipienti criogenici: i capitoli 4.1 e 6.2 con particolare riferimento a: paragrafo 6.2.1 che riporta i requisiti generali per la progettazione, la costruzione e l’approvazione del recipienti nonché i tipi di materiali e gli accessori di servizio degli stessi; paragrafo 6.2.2 che definisce un elenco di norme che soddisfano i requisiti del precitato paragrafo 6.2.1. 4.2 per le cisterne, i veicoli batteria e i CGEM: capitoli 6.7 e 6.8 con particolare riferimento a: paragrafo 6.7.3 che riporta i requisiti generali per la progettazione, la costruzione e l’approvazione delle cisterne per gas liquefatti non refrigerati marcati UN; paragrafo 6.7.4 che indica i requisiti generali per la progettazione, la costruzione e l’approvazione delle cisterne per gas liquefatti refrigerati marcati UN; paragrafo 6.7.5 che riporta i requisiti generali per la progettazione, la costruzione e l’approvazione dei CGEM per gas non refrigerati marcati UN; paragrafo 6.8.2 che specifica i requisiti generali per la progettazione, la costruzione e l’approvazione; paragrafo 6.8.3 che indica i requisiti particolari applicabili alle cisterne, veicoli batteria e CGEM specificatamente idonei per il trasporto di gas; paragrafo 6.8.4 che elenca le disposizioni speciali applicabili; paragrafo 6.8.5 che specifica le prescrizioni concernenti i materiali per le cisterne saldate, aventi pressione di progetto maggiore di 10 bar e per le cisterne criogeniche. 5) Rivalutazione della conformità dei recipienti esistenti alle disposizioni della direttiva 94/55/CE 5.1 Disposizioni di carattere generale La rivalutazione di conformità è la procedura volta a valutare a posteriori, a richiesta del pro- ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Prassi materie gassose, liquide, polverulente o granulari, e avente una capacità superiore a 0,45 m3. 55 Prassi 56 prietario, del suo mandatario o del detentore, la conformità delle attrezzature a pressione trasportabili già esistenti e messe in funzione anteriormente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 23, alle relative disposizioni degli allegati alle direttiva 94/55/CE. È inoltre possibile trasformare, come previsto dalla linea guida n. 8 del comitato di esperti TPED, un’omologazione ottenuta secondo la normativa precedentemente in vigore (direttive 84/525/CEE, 84/526/CEE e 84/527/CEE) senza procedere ad ulteriori prove, quando l’organismo notificato verifica sotto la propria responsabilità che la normativa in questione offre lo stesso livello di sicurezza delle disposizioni ADR e delle norme ivi menzionale. Per la rivalutazione della conformità alle pertinenti disposizioni della direttiva 94/55/CE delle attrezzature per trasporto di gas, collaudati in base alle norme previgenti all’interno di uno Stato firmatario dell’accordo ADR, il proprietario o l’utilizzatore o, nel caso di rivalutazione della conformità di tipo, il fabbricante può presentare la richiesta ad un organismo notificato, allegando alla stessa la prescritta documentazione e seguire l’iter procedurale previsto per le varie categorie di apparecchiature a pressione trasportabili. la specifica originaria) o di collaudo di produzione relativi ad almeno due lotti di fabbricazione. L’organismo ispettivo, valuta i materiali, i processi di fabbricazione, la progettazione, le modalità di realizzazione, i limiti di lunghezza e di capacità, e le prove eseguite, per verificare che i recipienti del tipo previsto assicurino caratteristiche di sicurezza almeno equivalenti a quelle richieste della direttiva a riferimento. Qualora i dati forniti risultino incompleti, l’organismo ispettivo può richiedere delle integrazioni e può eseguire o fare eseguire prove integrative necessarie per completare il quadro di riferimento. Sulla base delle verifiche e delle eventuali prove di cui sopra, l’organismo ispettivo può emettere un rapporto di rivalutazione della conformità del tipo che deve riportare il nome e il numero di individuazione dello stesso organismo, il nome e la firma del responsabile della rivalutazione, l’identificazione del tipo di recipiente rivalutato e i riferimenti ai relativi disegni e specifiche. Al rapporto devono essere inoltre allegati copia dei certificati da cui sono stati ricavati i dati utilizzati per la rivalutazione, nonché le certificazioni delle eventuali prove integrative effettuate. 5.2 Rivalutazione della conformità di bombole, tubi, incastellature di bombole, fusti a pressione e recipienti criogenici A titolo esemplificativo si evidenziano alcune procedure che gli enti notificati debbono mettere in atto per procedere alla rivalutazione di conformità. 5.2.2 Rivalutazione di conformità del singolo recipiente Per la valutazione di conformità dei singoli recipienti, devono essere fornite, in aggiunta a quanto specificato al punto 5.2.1, le copie dei certificati di collaudo di fabbricazione, o una documentazione equivalente, che identifichi i singoli recipienti e le loro caratteristiche o le caratteristiche del lotto di cui fanno parte. Il proprietario o l’utilizzatore dei recipienti deve anche dichiarare se i recipienti sono stati impiegati in servizio per gas particolari (quali ossido di carbonio o sue miscele) e indicare le eventuale limitazioni all’uso e le notizie concernenti eventuali danni o riparazioni effettuate. L’organismo ispettivo deve anche verificare che: i recipienti non siano inclusi in alcuna lista di richiamo o prescrizione per ragioni di sicurezza; le eventuali bombole o tubi destinati a contenere idrogeno o gas fragilizzanti soddisfino le prescrizioni della norma EN 11114-1; Se la documentazione prodotta è incompleta o non vi è prova che siano soddisfatti tutti i requisiti prescritti, l’organismo ispettivo deve far eseguire le prove integrative ritenute necessarie. Tutte le bombole per cui è richiesta la rivalutazione di conformità devono essere sottoposte alla verifica periodica. Sulla base delle verifiche, delle eventuali prove integrative e dell’ispezione periodica, l’organismo notificato può emettere un attestato di rivalutazione della conformità dei recipienti, che deve riportare il nome e il numero di individuazione dell’organismo, il luogo e la data dell’i- 5.2.1 Rivalutazione di conformità del tipo Per la rivalutazione di conformità del tipo di recipiente devono essere fornite informazioni che consentano un’identificazione univoca delle caratteristiche del tipo oggetto della richiesta, quali: norme e indirizzo del fabbricante; norme di progettazione e costruzione; processo di fabbricazione e modalità di giunzione (ove applicabile); pressione di prova; pressione di esercizio; materiale utilizzato; valori minimi del carico di snervamento e della resistenza a trazione, e della resilienza; diametro nominale esterno e relativa tolleranza; lunghezza totale minima e massima; capacità in acqua minima e massima; spessore minimo della parete e dei fondi; disegno della sezione longitudinale; ammissione all’uso con idrogeno o altri gas fragilizzanti; per le bombole di acetilene, informazioni sul tipo ed eventuale approvazione della massa porosa; altri eventuali dati significativi; certificati di approvazione del tipo (secondo ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Documento di prova periodica successiva alla prima Ad ogni prova periodica successiva, il documento di prova precedente viene sostituito e allegato al documento di rivalutazione della conformità. Le certificazioni di cui sopra devono essere conservate presso il proprietario e, in copia, dall’organismo che li ha rilasciati. 5.3 Rivalutazione della conformità delle cisterne, cisterne smontabili, contenitori cisterna Rivalutazione di conformità del tipo Per la rivalutazione di conformità del tipo di cisterna devono essere fornite informazioni che consentano un’identificazione precisa delle caratteristiche del tipo oggetto della richiesta, quali: norme e indirizzo del fabbricante; norme di progettazione e costruzione; processo di fabbricazione e modalità di giunzione; pressione di prova; pressione di esercizio; materiale utilizzato; caratteristiche tecnologiche del materiale di costruzione con particolare riferimento ai valori minimi del carico di snervamento, della resistenza a trazione e della resilienza; diametro nominale esterno e relativa tolleranza; dimensioni esterne e interne (nel caso di recipienti criogenici isolati sotto vuoto le dimensio- ni interna ed esterne devono essere relative sia all’involucro esterno che al recipiente interno); elementi costruttivi dei frangiflutti; elementi di rinforzo contro il vuoto (se ricorre il caso); sostegni tra involucro interno ed esterno (se ricorre il caso); capacità in acqua minima e massima; spessore minimo della parete e dei fondi; calcoli di verifica strutturale secondo la norma di costruzione originaria (approvata presso uno Stato firmatario dell’ADR); calcoli di verifica strutturale secondo l’ADR; altri eventuali dati significativi. L’organismo ispettivo, valuta i materiali, i processi di fabbricazione, la progettazione, le modalità di saldatura, i limiti di lunghezza e di capacità, e le prove eseguite, per verificare che i recipienti del tipo previsto assicurino caratteristiche di sicurezza almeno equivalenti a quelle richieste della direttiva a riferimento. Qualora i dati forniti risultino incompleti, l’organismo ispettivo può richiedere delle integrazioni e può eseguire o fare eseguire prove integrative necessarie per completare il quadro di riferimento. Sulla base delle verifiche e delle eventuali prove di cui sopra, l’organismo ispettivo nel rapporto di rivalutazione della conformità del tipo che deve riportare il nome e il numero di individuazione dello stesso organismo, il nome e la firma del responsabile della rivalutazione, l’identificazione del tipo di recipiente rivalutato e i riferimenti ai relativi disegni e specifiche. Al rapporto devono essere inoltre allegati copia dei certificati da cui sono stati ricavati i dati utilizzati per la rivalutazione, nonché le certificazioni delle eventuali prove integrative effettuate. 5.3.2 Rivalutazione di conformità della singola cisterna Per la valutazione di conformità della singola cisterna, devono essere fornite, in aggiunta a quanto specificato al punto precedente le copie dei certificati di collaudo di fabbricazione, o una documentazione equivalente, che identifichi la singola cisterna e le sue caratteristiche. Il proprietario o l’utilizzatore dei recipienti deve anche indicare le eventuali limitazioni all’uso e le notizie concernenti eventuali danni subiti e riparazioni effettuate. Se la documentazione prodotta è incompleta o non vi è prova che siano soddisfatti tutti i requisiti prescritti, l’organismo ispettivo deve far eseguire le prove integrative ritenute necessarie. Sulla base delle verifiche, delle eventuali prove integrative e dell’ispezione periodica, l’organismo ispettivo può emettere un attestato di rivalutazione della conformità della cisterna che deve riportare il nome e il numero di individuazione dell’organismo, il luogo e la data dell’ispezione, il nome e la firma dell’ispettore, l’identificazione e le caratteristiche della cisterna, ricavate dalle certificazioni prodotte o dalle prove integrative eseguite. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Prassi spezione, il nome e la firma dell’ispettore, l’identificazione e le caratteristiche dei recipienti, ricavate dalle certificazioni prodotte o dalle prove integrative eseguite. Inoltre deve essere rilasciato il certificato della ispezione periodica. Nel caso in cui la rivalutazione di conformità dei recipienti venga effettuata da un organismo autorizzato, al sopraccitato attestato devono essere allegati anche copia del certificato di rivalutazione del tipo (effettuata da un organismo notificato) e del certificato di collaudo della produzione, nonché copia dei verbali delle eventuali prove integrative effettuate per la rivalutazione del tipo. Si rammenta che per le bombole fabbricate in conformità delle direttive 84/525/CEE, 84/ 526/CEE e 84/527/CEE ed immesse in commercio antecedentemente o entro due anni dalla data del 1º luglio 2001 il marchio garantisce la libera commercializzazione nell’Unione Europea, ma non la libera circolazione (riempimento, uso, ricarica e ispezione). Per tale circostanza le bombole soggette alle predette direttive sono espressamente menzionate nell’articolo 16 del decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 23, che prevede l’apposizione del marchio da parte di un organismo notificato o autorizzato unicamente a seguito di un’ispezione periodica (e non di una rivalutazione). 57 Inoltre deve essere rilasciato il certificato della ispezione periodica in cui vengono indicate le prove effettuate sulla cisterna e sui dispostivi di sicurezza. Documento di prova periodica successiva alla prima Ad ogni prova periodica successiva, il documento di prova precedente viene sostituito ed allegato al documento di rivalutazione della conformità. Le certificazioni di cui sopra devono essere conservate presso il proprietario e, in copia, dall’organismo che li ha rilasciate. 6) Elenco degli organismi notificati e autorizzati non dipendenti dallo Stato con sede sul territorio italiano Si fornisce di seguito l’elenco degli organismi notificati ed autorizzati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla data della presente circolare. CD-ROM Allegato Elenco degli organismi notificati ed autorizzati non dipendenti dallo Stato, con sede sul territorio italiano A. Organismi notificati 1) Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro - Dipartimento Omologazione e Certificazione (I.S.P.E.S.L.) - Via Urbana, 167 - Roma 2) Consorzio Europeo Certificazione (C.E.C.) Via Pisacane, 46 - Legnano (MI) 3) Certification of Safety Institute S.p.A. (C.S.I.) - Viale Lombardia, 20 - Bollate (MI) 4) European Certifying Organization S.p.A. (E.C.O.) - Via Mengolina, 31 - Faenza (RA) 5) Consorzio IITALCERT - Viale Sarca, 336 Milano B. Organismi autorizzati Isl - Igiene & Sicurezza del Lavoro Raccolta delle annate Prassi IPSOA, Banca dati su CD-ROM con aggiornamento Annuale Prezzo struttura base: E 108,00 + IVA 20% Prezzo aggiornamento: E 57,00 + IVA 20% Speciale offerta riservata agli abbonati alla rivista IGIENE & SICUREZZA DEL LAVORO Prezzo struttura base E 54,00 + IVA 20% 58 La banca dati ISL Igiene e Sicurezza del Lavoro - Raccolta delle Annate raccoglie tutto quanto è stato pubblicato sulla rivista dal primo anno di pubblicazione. Il CD-ROM riproduce struttura e contenuti della rivista, con articoli di commento, aspetti tecnici e giuridici, rubriche di adempimenti, interventi di esperti in settori particolarmente rilevanti, normativa di riferimento e giurisprudenza. La struttura della rivista è riprodotta integralmente rispettando la suddivisione in sezioni e proponendo approfondimenti d’autore, documentazione, rassegne di giurisprudenza e inserti. Attraverso i diversi metodi di ricerca, quali l’indice analitico, la ricerca per riferimento di pubblicazione o la ricerca a testo libero, l’utente può accedere in modo semplice e veloce a tutta la documentazione grazie all’immediatezza dell’interfaccia in ambiente Windows. Per informazioni Servizio Informazioni Commerciali (tel. 02.82476794 - fax 02.82476403) Agente Ipsoa di zona (www.ipsoa.it/agenzie) www.ipsoa.it ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 6 ottobre 2004 - 22 novembre 2004 Rassegna della Cassazione penale Leptospirosi del dipendente comunale, soggetti responsabili e carenza di fondi Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 39052 del 6 ottobre 2004 (u.p. 15 aprile 2004) - Pres. Olivieri - Est. Perna La Torre - P.M. (Conf.) Veneziani - Ric. De Lucia e altri Di grande interesse è il caso di patologia professionale affrontato da questa sentenza: un dipendente comunale addetto a mansioni di fognatore, durante lo spurgo di un tratto fognario pubblico, entrò in contatto attraverso la cute e le mucose con acqua contaminata da urine di animali infetti in quanto sprovvisto di mezzi di protezione personali adeguati ai rischi specifici per il capo, gli occhi, le mani e le vie respiratorie in violazione degli artt. 377, 381, 382, 383, 387, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547; e, quindi, contrasse la leptospirosi con esito mortale. Tre i soggetti dichiarati colpevoli del delitto di omicidio colposo: l’assessore alla vivibilità, il capo settore del servizio fognatura e il preposto ai lavori di spurgo presso il comune. La Sez. IV conferma le condanne. Con riguardo al capo settore del servizio fognatura (assolto in primo grado dal tribunale, ma condannato dalla Corte d’Appello), osserva che due note a sua firma indirizzate alla segreteria generale del comune a all’assessore alla vivibilità mettono in luce che egli «era perfettamente a conoscenza della concreta esposizione a rischi dei fognatori costretti a svolgere il loro servizio in condizioni di estremo pericolo per la salute, operando in ambienti malsani ed infetti senza l’ausilio dei più elementari mezzi di protezione», e aggiunge che «gli erano ben note le modalità di esecuzione dei lavori, avendoli disposti ed essendosi recato presso il cantiere per sollecitarne la veloce esecuzione». E ne desume che «il giudicabile, per le funzioni svolte, era destinatario delle norme antinfortunistiche ex D.P.R. n. 547/1955, onde su di lui gravava l’obbligo - che non ammette deroghe - di predisporre tutte le misure di sicurezza stabilite dalle norme a tutela dei lavoratori, con conseguente responsabilità in caso di inadempienza». Quanto al preposto, la Sez. IV ne ritiene la colpevolezza, avuto riguardo alla sua «funzione di preposto», alla «conoscenza da parte dello stesso dei lavori di fognatura da eseguirsi usando le mani», alla «carenza di idonei presidi antinfortunistici», alla «funzione di garanzia ricoperta dal prevenuto», alla «riferibilità del decesso alla leptospirosi contratta nel corso delle operazioni di espurgo della fogna». Nell’occuparsi infine dell’assessore (cui era demandata, tra l’altro, la cura del servizio fognatura della città), la Sez. IV sottolinea che egli «era stato informato delle carenze de quo dal dirigente del servizio fognatura». Afferma che, «in tema di norme per la prevenzione degli infortuni, non si può ascrivere al dirigente ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche, atteso che, sebbene l’art. 2, comma 1, lettera b), seconda parte, D.Lgs. n. 626/1994 individui la nozione di datore di lavoro pubblico nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione, l’art. 4, comma 12, D.Lgs. citato ribadisce il principio fondamentale in materia di delega di funzioni secondo cui, attesa la funzione di garanzia assunta dal sindaco e dagli assessori in materia di prevenzione, la delega in favore del dirigente assume valore solo ove gli organi elettivi e politici siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza» (per questa impostazione v., avanti, Cass. 7 ottobre 2004, Beltrami e altri, alla cui nota si rinvia per un quadro della giurisprudenza in materia). Ne ricava che «tanto basta per poter affermare la penale responsabilità dell’assessore in quanto lo stesso, sebbene puntualmente informato delle carenze in tema di misure di prevenzione infortuni dei fognatori, omise di provvedere tempestivamente alla acquisizione dei necessari ed idonei presidi antinfortunistici». Quanto poi all’assunto difensivo «secondo cui il comune era privo di fondi e, quindi, non era in grado di provvedere all’acquisto di guanti, tra l’altro dal costo del tutto modesto», chiarisce che un tale assunto «non esonera il prevenuto da responsabilità, atteso che in caso di violazione di norme antinfortunistiche le difficoltà economiche in cui versi l’impresa o la mancanza di fondi sufficienti per adottare le misure previste dalla legge non integrano alcuna ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, essendo prevedibili ed in qualche modo riparabili». Tanto è vero che «successivamente al decesso del fognatore vennero garantite le condizioni di sicurezza mi- ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Giurisprudenza a cura di Raffaele Guariniello 59 Giurisprudenza 60 nime per i lavoratori addetti al servizio delle fogne, anche con l’acquisto dei guanti di cui si discute». Analogamente, su quest’ultimo punto, Cass. 6 ottobre 1997, Chiappa, in ISL, 1997, 12, 675 - nell’esaminare un caso in cui il sindaco aveva sostenuto che «il comune non aveva provveduto ai relativi incombenti per mancanza di fondi» - anzitutto, osservò che «il caso fortuito consiste in un avvenimento non previsto e non prevedibile, che si inserisca all’improvviso nell’azione del soggetto, soverchiandone ogni possibilità di resistenza o contrasto, mentre per forza maggiore si intende la vis maior cui resisti non potest, cioé quell’evento che scaturisca dalla natura o dal fatto dell’uomo e che, pur se preveduto non può essere in alcun modo impedito»; aggiunse che «il principio di non esigibilità di una condotta diversa non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e di esclusione della colpevolezza codificate espressamente», e che «l’accadimento fortuito deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta dello stesso, sia dalla di lui colpa»; sottolineò che «la prova del caso fortuito o della forza maggiore deve essere fornita dall’imputato in modo rigoroso, allegando i fatti e le circostanze in cui si concretizzano»; e concluse che, «in caso di violazione di norme antinfortunistiche le difficoltà economiche in cui versi l’impresa o la mancanza di fondi sufficienti per adottare le misure previste dalla legge, non integrano alcuna ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, essendo prevedibili ed in qualche modo riparabili». In precedenza, la Cassazione aveva sostenuto che, «in caso di violazioni delle norme di prevenzione infortuni e igiene del lavoro in locali di proprietà comunale, ove non ricorra una specifica causa di non punibilità (come la forza maggiore ex art. 45 c.p. per mancanza assoluta di risorse di bilancio), incorre in responsabilità penale il sindaco che, per destinare le risorse a fini ritenuti prioritari, trascura di ottemperare agli obblighi inderogabili stabiliti dalla legge penale quali quelli relativi alla sicurezza del lavoro»: cosı̀, testualmente, Cass. 8 aprile 1993, Russo, in Guariniello, op. cit., 188; v., altresı̀, Cass. 27 settembre 1995, Aiello e altri, in Dir. prat. lav., 1995, 45, 2817; Cass. 4 maggio 1984, Barni e altri, in Giust. pen., 1985, II, 356. Datore di lavoro pubblico e prova della delega Cassazione penale, Sez. III - Sentenza n. 39268 del 7 ottobre 2004 (u.p. 13 luglio 2004) - Pres. Postiglione - Est. Novarese P.M. (Diff.) Febbraro - Ric. Beltrami e altro Questa sentenza in tema di identificazione del datore di lavoro nell’ambito delle pubbliche amministrazioni fa spicco per la molteplicità degli spunti offerti (sul tema v., tra le ultime, Cass. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 28 aprile 2003, Fortunato, in Dir. prat. lav., 2003, 23, 1542; Cass. 21 febbraio 2003, Giuliani, ibid., 2003, 11, 744; Cass. 9 gennaio 2003, Di Lena, ibid., 2003, 7, 508; Cass. 26 settembre 2002, Borreca, ibid., 2002, 45, 2954; Cass. 20 febbraio 2002, Mazzei, ibid., 2002, 12, 858; Cass. 15 gennaio 2001, Bonghi e altro, ibid., 2001, 32, 2188; Cass. 28 luglio 2000, Daverio, ibid., 2001, 32, 2191, alle cui note si rinvia per un panorama della giurisprudenza in argomento). Magistrale resta, a cinque anni di distanza, l’analisi condotta da Cass. 14 aprile 1999, Vannini, ibid., 1999, 42, 2994, ove si affermò che «la ‘‘individuazione del datore di lavoro’’, ai sensi dell’art. 2, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994, deve comportare che al medesimo - avente funzioni dirigenziali, ovvero che risulti essere preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale spettino ‘‘poteri (effettivi) di gestione’’ e, dunque, poteri autonomi di spesa» e che «la posizione del soggetto, quale ‘‘datore di lavoro’’, comporta in primo luogo una capacità gestionale di natura patrimoniale». Di non minore rilievo fu, successivamente, Cass. 28 aprile 2003, Fortunato, cit., la quale sottolineò che «in forza dell’art. 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/ 1994, nelle pubbliche amministrazioni - nel cui novero rientrano gli enti locali, secondo la precisazione contenuta nell’art. 1, comma 2, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, attualmente sostituito dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che ha abrogato il precedente testo normativo in materia - la qualifica di datore di lavoro può essere attribuita esclusivamente ai dirigenti, ai quali siano attribuiti poteri di ‘‘gestione’’, dovendosi intendere con tale termine, in analogia con quanto previsto dalla disposizione citata per il settore privato, la esistenza di autonomi poteri decisionali anche in materia di spesa». Nel riprendere alcuni concetti espressi dalle citate sentenze Mazzei, Bonghi, e Daverio per mano del medesimo estensore, la Sez. III torna ora sull’argomento (per un’applicazione concreta v., retro, Cass. 6 ottobre 2004, De Lucia e altri). Premette che, «secondo giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. Cass. sez. un. 14 ottobre 1992 n. 9874, Giuliani rv. 191185), la individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull’igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensı̀ sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale)», e che, «peraltro, sotto il profilo normativo, assume rilevanza la nozione, fornita dal D.Lgs. n. 626/ 1994, modificata dal D.Lgs. n. 242/1996, di datore di lavoro pubblico, individuato nel dirigente del settore». Subito precisa che «l’introduzione delle norme richiamate non comporta l’esclusione di ogni responsabilità dell’organo apicale, giacché questi precetti devono essere coordinati con il principio generale, non derogato in tema di responsabilità penale per l’ap- spesa, non consentite all’organo tecnico o al dirigente del settore». A questo punto, previa una ricognizione degli orientamenti non del tutto convergenti in materia, la Sez. III si preoccupa di fornire ulteriori chiarimenti in merito alla prova della delega. Pone in luce, anzitutto, «la necessità di una forma scritta nel settore pubblico, giacché nel diritto amministrativo vige l’esigenza di una formalizzazione dei rapporti organizzativi al fine di predicare all’esterno la posizione assunta all’interno della struttura»; e ritiene in generale che, «attesa la formula generica della forma ‘‘espressa’’ e del contenuto chiaro e considerato l’onere probatorio incombente sul soggetto titolare dell’obbligo di garanzia, ritenuto rigoroso dalla giurisprudenza prevalente, la predisposizione di ordini di servizio per iscritto, di norme interne, di organigrammi e di deleghe scritte facilitano la dimostrazione della sua esistenza prima della commissione del fatto criminoso e servono a semplificare la prova degli altri requisiti oggettivi, che si risolvono nell’individuazione delle condizioni che esprimono l’adempimento diligente dell’obbligo di protezione mediante l’apprestamento di una struttura e di un’organizzazione». (Sulla necessità della delega scritta, tra le più recenti, Cass. 17 ottobre 2003, D’Agostin, in ISL, 2003, 12, 720; quanto all’onere della prova circa il conferimento, i contenuti e i requisiti della delega, nello stesso senso, da ultimo, Cass. 11 giugno 2004, Deut e altro, ibid., 2004, 12, 753; Cass. 24 marzo 2003, Di Martino e altro, ibid., 2003, 8, 469). Impossibilità tecnica di mezzi protettivi e divieto assoluto di macchine insicure Cassazione penale, Sez. III - Sentenza n. 39852 del 12 ottobre 2004 (u.p. 13 luglio 2004) - Pres. Postiglione - Est. Piccialli L. P.M. (Parz. conf.) febbraio - Ric. Greco Condannato per il delitto di lesione personale colposa in rapporto a un infortunio occorso a un dipendente per «la mancata installazione su una macchina perforatrice deputata alla foratura di profili di alluminio di ripari o dispositivi atti ad evitare che le mani o altre parti del corpo dei lavoratori siano offese dal punzone o da altri organi mobili lavoratori» in violazione dell’art. 115, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, il datore di lavoro lamenta che «i dispositivi di sicurezza sulla macchina (erano) del tutto incompatibili con le modalità di funzionamento della stessa e non necessari, in caso di corretto impiego della medesima, non sussistendo alcuna situazione di intrinseca pericolosità del relativo funzionamento». La Sez. III replica che «le censure, con le quali ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Giurisprudenza plicazione e l’osservanza della normativa di prevenzione degli infortuni e sull’igiene del lavoro, dell’effettività della gestione del potere in considerazione della protezione accordata dalla Costituzione ai fondamentali diritti inerenti alla legislazione antinfortunistica». Assume come norma chiave l’art. 4, comma 12, D.Lgs. n. 626/1994, in forza del quale «gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare ... la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni ... ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative ... restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura o manutenzione» e «gli obblighi previsti ... relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico». Ricava da tale norma «il principio fondamentale in materia di delega di funzioni, secondo cui, attesa la posizione di garanzia assunta dai vertici dell’ente pubblico, la delega in favore di un soggetto che non può neppure rifiutarla, qual è il dirigente o il funzionario preposto, assume valore solo ove detti organi siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza». Precisa, inoltre, che «occorre distinguere, riguardo ad ogni ente, pubblico o privato, in piena armonia con i principi espressi dalle normative organizzatorie ed istituzionali, fra difetti strutturali e ordinario buon funzionamento delle strutture stesse, ulteriormente suddividendosi in questo caso fra quelle di carattere occasionale, in ogni caso non riferibili al soggetto apicale, e permanenti, giacché in detta ultima ipotesi si richiede la comunicazione espressa o, comunque, la conoscenza delle stesse da parte degli organi di vertice». Afferma che «tale impostazione, con riferimento ad ogni ente, lega indissolubilmente l’esercizio dei poteri gestionali, affidati ai dirigenti, all’attribuzione di ‘‘autonomi poteri di spesa’’, senza i quali non può esserci alcun esercizio di facoltà gestionali, e comporta la responsabilità del datore di lavoro pubblico nell’individuare dirigenti in possesso di attitudini e capacità adeguate, prospettando, indi, una responsabilità per culpa in eligendo oltre che in vigilando». Chiarisce, altresı̀ - qui evocando la sentenza Vannini - che «la posizione del dirigente quale datore di lavoro comporta una capacità gestionale di natura patrimoniale, poteri effettivi di gestione e l’esercizio di poteri non esauriti in attività riconducibili esclusivamente alla categoria degli obblighi e, quindi, anche a quello della sospensione del servizio, mentre l’organo apicale è sempre responsabile, alternativamente o cumulativamente, ove venga informato delle deficienze e non vi adempia ovvero nel caso in cui siano necessarie impegnative di 61 Giurisprudenza 62 si sostiene l’impossibilità tecnica, nella specie, di adozione dei dispositivi protettivi, oltre a contrastare con le risultanze di segno diverso evidenziate dal giudicante (che ha ritenuto compatibile con la manovra di punzonatura a pedale l’apposizione di uno schermo sulla parte superiore, atto ad impedire l’introduzione delle mani durante il movimento del punzone), partono da una premessa implicita palesemente infondata, secondo la quale l’incompatibilità con le modalità di funzionamento della macchina sarebbe di per sé scriminante, laddove, invece, situazioni del genere comporterebbero il divieto assoluto di impiego di siffatti macchinari, oggettivamente ed intrinsecamente pericolosi». Proprio con riguardo a un’ipotesi di applicazione dell’art. 115, D.P.R. n. 547/1995, in passato, Cass. 5 giugno 2002, Latini, in ISL, 2002, 9, 504, affermò che «il datore di lavoro che utilizzi una macchina che presenti all’inizio della lavorazione rischi per l’incolumità del lavoratore non può invocare a propria discolpa l’impossibilità pratica di applicazione del necessario presidio, poiché, nell’alternativa, è tenuto a mettere fuori servizio la macchina incompleta di sistema protettivo»; e, in particolare, rilevò che «l’art. 115, D.P.R. n. 547/1955 pone l’assoluto principio che durante la lavorazione le mani o le altre parti del corpo del lavoratore possano entrare in contatto diretto ed accidentale con organi mobili in moto della macchina presso cui egli opera»; e, «al fine di assicurare l’incolumità del lavoratore, ha portata generale e i dispositivi di sicurezza indicati specificatamente dalle norme successive hanno la strumentale funzione di evitare in assoluto il contatto fra l’addetto alle macchine e gli organi in movimento, il che vale per tutte le fasi della lavorazione». In termini parimente significativi, Cass. 9 luglio 2002, Baruffi e altri, ibid., 2002, 9, 504, attinente all’art. 72, D.P.R. n. 547/1955, sottolineò che, «in tema di sicurezza sul lavoro e, in particolare, di utilizzazione di macchine che presentino organi lavoratori, sia a movimento circolare che a percussione, o altrimenti, l’esigenza di protezione di tali organi in modo e misura tale da impedire che, durante il funzionamento, l’addetto possa comunque venire a contatto con una qualche parte del corpo (e ad uguale ragione con gli indumenti) con l’organo lavoratore in movimento, deve ritenersi assoluta». Osservò a supporto che «tale interpretazione si ricava dalla lettura dell’art. 72, D.P.R. n. 547/1955, il quale prevede che gli apparecchi di protezione amovibili degli organi lavoratori ... debbono essere provvisti di dispositivo di blocco collegati con gli organi di messa in moto e d movimento della macchina, in modo da realizzare almeno una delle condizioni di sicurezza come prescritte alle lettere a) e b) dello stesso articolo». Soggiunse che «dalla coordinata e costituzionalmente orientata lettura (in considerazione del valore primario ed elettivo della vita dell’uomo e della sua integrità e dignità) della disposizione si deduce che, di regola, i presidi di protezione degli organi lavoratori in movimento delle ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 macchine devono essere fissi e non amovibili», e che, «tuttavia, la norma prevede che, quando siano amovibili, debbano rispondere a requisiti di tutela specificamente indicati». Pertanto, criticò «la lettura fornita dai ricorrenti, secondo cui l’inciso ‘‘quando sia tecnicamente possibile’’ conduca alla conclusione che, ove tecnicamente non possibile, la macchina pericolosa per la incolumità fisica dell’addetto possa essere ugualmente utilizzata e tenuta in produzione, seppure a rischio», in quanto «l’inciso appena riportato va, invece, inteso nel senso che la protezione amovibile è consentita purché sia tecnicamente possibile realizzare la condizione di sicurezza descritta alle richiamate lettere a) e b) applicando il presidio ipotizzato dalla legge o altro, in ogni caso idoneo ad assicurare quella condizione». E ancora: «non può essere evidentemente accettata una interpretazione, che, nel privilegiare l’esigenza della produzione, consenta l’introduzione nel luogo di lavoro o il mantenimento in funzione di una macchina pericolosa per gli addetti, quando il rischio non sia eliminabile (ed eliminato) mediante apparecchi di protezione fissi o amovibili che rispondano ai requisiti tutori prescritti dalla legge». E concluse che, «in una, eventuale, simile situazione, appare evidente come l’introduzione e l’uso di una siffatta macchina debba ritenersi vietata, quale che possano essere le esigenze produttive, le quali mai potrebbero sopravanzare quelle della tutela della vita e dell’incolumità dell’addetto». Una conclusione scolpita con particolare efficacia: «si può produrre di più o di meno, non si può riprodurre la vita e l’integrità dell’uomo». (Sulla alternativa tra sicurezza assoluta e divieto d’uso delle macchine v. i precedenti richiamati in Guariniello, Sicurezza del lavoro e Corte di Cassazione, Milano, 1994, 37 s.). È da ricordare, infine, Cass. 5 novembre 2003, P.M. e Morra, ibid., 2004, 1, 57, che affrontò il problema dall’angolo visuale dell’imprenditore-costruttore, per giunta di macchine direttamente utilizzate dallo stesso acquirente. Il caso è quello dei legali rappresentanti di una s.n.c. accusati di omicidio colposo, per avere, in violazione degli artt. 7, 68, 69, 70, 71, 52, comma 3, D.P.R 27 aprile 1955, n. 547, «costruito e venduto al deceduto una macchina rotoimballatrice priva dei requisiti di sicurezza previsti dagli articoli di legge dianzi citati e, quindi, non dotata di adeguate protezioni a copertura degli organi lavoratori - della zona d’accesso alla bocca di alimentazione e della zona di raccolta del prodotto - e, comunque, priva di dispositivi supplementari per l’arresto di emergenza degli organi lavoratori - art. 69 - ovvero della macchina - art. 52, comma 3» e per «non avere provveduto ad informare adeguatamente l’acquirente, in sede di collaudo, dei rischi già ben noti connessi all’ingolfamento parziale della macchina». A propria discolpa, gli imputati affermarono «l’impossibilità tecnica» «almeno all’epoca dei fatti, di commercializzare macchine rotoimballatrici più sicure di quella in questione, im- Il coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori nei cantieri Cassazione penale, Sez. III - Sentenza n. 45054 del 22 novembre 2004 (u.p. 8 ottobre 2004) - Pres. Dell’Anno - Est. Onorato P.M. (Conf.) Fraticelli - Ric. Visentini Si susseguono con crescente frequenza le sentenze della Corte Suprema in merito a una figura basilare nel quadro della disciplina dettata dal D.Lgs. 14 agosto 1994, n. 494 in tema di sicurezza e salute nei cantieri temporanei o mobili: il coordinatore per la progettazione e/o per l’esecuzione dei lavori. Già Cass. 7 luglio 2003, Szulin (in ISL, 2003, 9, 547), nel richiamare l’attenzione su un obbligo centrale del committente o del responsabile dei lavori quale quello di designare i coordinatori per la progettazione e per la esecuzione dei lavori, ne delimitò il campo di applicabilità ai cantieri in cui «sono presenti più imprese, se la forza lavoro è pari o superiore a duecento uomini giorno e se vi siano rischi specifici, precisati nell’allegato II», e, dunque, esattamente pose in luce la necessità della presenza di più imprese (con ciò implicitamente escludendo la sussistenza dell’obbligo nell’ipotesi di mera presenza di più lavoratori autonomi). Inoltre, con riguardo agli obblighi elencati dagli artt. 4 e 5, D.Lgs. n. 494/1996 rispettivamente a carico del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione, utilmente precisò che, fra tali obblighi, «non è annoverato il controllo e la manutenzione degli impianti e dei dispositivi di sicurezza; tale obbligo, unito a quello di eliminare i difetti riscontrati, è di competenza del datore di lavoro delle imprese esecutrici a norma dell’art. 8 sub d)». Con l’avvertenza, beninteso, che spetta comunque al coordinatore per l’esecuzione dei lavori - tra il resto - «verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro» (secondo quanto recita l’art. 5, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 494/1996). Successivamente, Cass. 26 maggio 2004, Cunial e P.C. (in Dir. prat. lav., 2004, 28, 1932) esaminò il caso del contitolare di una ditta appaltatrice dei lavori di ristrutturazione di un edificio intento ad eseguire lavori di scanalatura e deceduto per le lesioni riportate nel crollo parziale di un muro perimetrale dell’edificio. I lavori erano stati svolti senza il rispetto del piano di sicurezza del cantiere, e, in particolare, con la rimozione, pochi giorni prima dell’infortunio mortale, dei puntelli precedentemente collocati sulla parete crollata. Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori fu dichiarato colpevole dei reati di omicidio colposo e di violazione dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 494/1996, per «essere venuto meno all’obbligo di modificare il piano di sicurezza in conseguenza della modifica dell’iter dei lavori e di sospendere, stante la gravità e l’imminenza del pericolo di crollo, l’operazione di scanalatura che il deceduto stava effettuando sul muro privo di qualsiasi puntellatura o ancoraggio». Nel confermare la condanna, la Sez. IV rilevò che il D.Lgs. n. 494/1996 «ha introdotto la figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori al fine di assicurare, nel corso della effettuazione dei lavori stessi, un collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di consentire al meglio l’organizzazione della sicurezza in cantiere», e che, in particolare, «l’art. 5 affida espressamente al coordinatore il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni». Prese atto che «l’ordine di esecuzione delle opere, previsto dal piano di sicurezza, era stato modificato mediante la decisione (e le successive attività operative) di demolire il tetto e il vecchio solaio prima di completare i lavori interessanti i muri perimetrali», e che «tale demolizione aveva fatto venir meno i sostegni materiali dei riferiti muri, privati fra l’altro degli originari puntelli». Ne ricavò che «in tale situazione l’imputato, presente quotidianamente in cantiere, avrebbe dovuto introdurre, prima della demolizione, le necessarie modifiche al piano di sicurezza e comunque, in caso di assenza di tali necessarie modifiche, disporre la sospensione dei lavori». Infine, negò che «possano essere in- ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Giurisprudenza possibilità di cui darebbero ampia testimonianza la mancanza di prescrizioni normative al riguardo e la conformità della macchina a tutte quelle presenti sul mercato nazionale e internazionale», «impossibilità che vuol dire che l’apprestamento di protezioni più efficaci degli organi lavoratori della macchina non era compatibile con la funzionalità della stessa, sia nel senso che non era possibile, pena appunto la non funzionalità della rotoimballatrice, progettare un aspo raccoglitore idoneo ad impedire in via assoluta la categoria di incidenti cui è riconducibile quello per cui è giudizio, sia nel senso che non era neppure possibile dotare la macchina di un dispositivo che ne consentisse in modo immediatamente sicuro l’arresto in ogni caso in cui il lavoratore si fosse avvicinato all’imbocco dell’infaldatore». La Sez. IV non fu d’accordo: «nel caso in esame, o era possibile dotare la macchina di quel dispositivo e, in questo caso, il costruttore avrebbe dovuto vendere la macchina solo dopo averla munita dello stesso, o non era assolutamente possibile fornirne la rotoimballatrice, e, in questo, diverso, caso, il costruttore si sarebbe dovuto astenere dal costruire e dal vendere la macchina nel doveroso rispetto della norma dell’art. 7 del citato D.P.R.». 63 Giurisprudenza 64 vocate le nuove disposizioni introdotte successivamente al fatto dal D.Lgs. n. 528/1999 e che, secondo l’imputato, avendo modificato la distribuzione delle competenze in tema di sicurezza dei cantieri di lavoro, imporrebbero l’applicazione dell’art. 2 c.p.», in quanto «quest’ultima disposizione, che regola la successione nel tempo della legge penale, riguarda le norme che definiscono la natura sostanziale e circostanziale del reato e quelle extrapenali richiamate espressamente dal precetto, ma non anche, in materia di cautela, le altre che modifichino le posizioni di garanzia trasferendo (totalmente o parzialmente) ad altri il dovere di porre in essere comportamenti diretti a salvaguardare l’incolumità delle persone». E concluse che «non può non rispondere delle riscontrate omissioni e delle conseguenze da queste determinate chi aveva l’obbligo, in base alla normativa vigente al momento del fatto, di porre in essere le prescritte cautele». Nell’ipotesi considerata da Cass. 12 ottobre 2004, Mirci (in ISL, 2004, 12, 756) il coordinatore in fase di esecuzione dei lavori fu condannato per il reato di cui all’art. 5, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 494/1996, «perché non assicurava tramite opportune azioni di coordinamento l’applicazione di quanto previsto nel piano di sicurezza, in quanto a carico della ditta esecutrice dei lavori sono state riscontrate violazioni alla normativa di cui al D.P.R. n. 164/1956». A sua discolpa, l’imputato sostenne che l’art. 5, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 494/1996 «stabilisce che il coordinatore del piano di sicurezza provvede a verificare l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici ..., delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e giammai, quindi, ad assicurare le stesse, che è compito precipuo delle imprese». La Sez. III non condivise l’argomentazione addotta dall’imputato. Affermò, infatti, che «la differenza tra i compiti normativamente imposti al coordinatore (verificare ... l’applicazione da parte delle imprese) e il mancato adempimento di cui alla contestazione (non assicurava ... l’applicazione di quanto previsto nel piano di sicurezza) concretizza una variazione puramente terminologica, in quanto il significato dell’addebito risulta chiarissimo e coincidente con il dato normativo (oltre che con il fatto ritenuto in sentenza); è stato cioè, per l’appunto, addebitato che il mancato assolvimento da parte del coordinatore del compito primario su di lui incombente di garantire la sicurezza del cantiere ha determinato le violazioni riscontrate a carico della ditta esecutrice (dal momento che l’espletamento delle opportune azioni di coordinamento avrebbero, per l’appunto, assicurato l’applicazione delle previsioni del piano di sicurezza)». Significativa, in questo quadro, è la fattispecie considerata dalla sentenza qui presentata. In primo grado, il Tribunale di Castiglione delle Stiviere (24 maggio 2002, est. Ardenghi) condannò il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione per il reato di cui all’art. 5, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 494/1996. ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Durante un sopralluogo presso un cantiere edile per la costruzione di alcune palazzine di civile abitazione, ispettori dell’ASL avevano accertato che «le rampe delle scale interne erano prive di parapetti, cosı̀ come i balconi o lastrici solari, e sorpreso un dipendente di una ditta edile, che aveva in subappalto alcuni lavori, intento a lavorare sul tetto del garage, ad un’altezza superiore ai due metri, in assenza di adeguate opere provvisionali atte ad evitare la caduta dall’alto. In particolare, il Tribunale prese atto che l’imputato, nominato dalla ditta committente coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione ai sensi del D.Lgs. n. 494/1996, aveva regolarmente redatto il piano di sicurezza e di coordinamento del cantiere, che prevedeva tra l’altro la corretta predisposizione delle misure di sicurezza di cui si era accertata la mancanza». Prese atto, altresı̀, che l’imputato aveva ammesso che «frequentava il cantiere, con una certa assiduità (almeno tre volte la settimana) e sapeva perfettamente che una parte dei lavori era stata affidata in sub-appalto ad altre imprese con lavoratori extracomunitari». Osservò che «il fatto che non avesse l’obbligo di una presenza continuativa, com’è certo, non significa che i doveri di controllo e coordinamento imposti per legge fossero da considerarsi meno pregnanti e puntuali». Rilevò che «la necessità di redigere un piano per la sicurezza trova il proprio completamento e la sua stessa ragion d’essere nella conseguente necessità di un rigoroso e continuo controllo in fase di esecuzione dei lavori in ordine all’esatto adempimento delle prescrizioni ivi contenute, il cui onere compete proprio al coordinatore della sicurezza». Ne ricavò che «il mancato rispetto di alcune prescrizioni inserite nel piano, accertato dagli ufficiali della ASL, non può che attribuirsi ad una condotta omissiva negligente dell’imputato, che integra a suo carico un addebito di colpa specifica (art. 21, comma 2, lettera a), del D.Lgs. n. 494/ 1996), norma finalizzata appunto a prevenire pericolose omissioni di controllo del tipo di quella accertata». Nel confermare la condanna, la Sez. III sottolinea tre punti: «a) l’imputato aveva redatto il piano di sicurezza del cantiere, che prevedeva tra l’altro alcune misure di sicurezza imposte dagli artt. 68 e 69 (parapetti e tavole fermapiede lungo le rampe delle scale in costruzione) e dall’art. 16, D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 (idonee opere provvisionali atte ad evitare cadute nei lavori eseguiti a un’altezza superiore ai due metri dal suolo); b) tutte queste misure non erano state rispettate dagli operai che lavoravano nel cantiere (uno dei quali, dipendente da una ditta subappaltatrice, fu sorpreso a lavorare sul tetto di un garage a più di due metri da terra, senza alcuna opera provvisionale anticaduta); c) l’imputato, pur frequentando il cantiere almeno tre volte la settimana, aveva tollerato queste infrazioni, sicché, come coordinatore per l’esecuzione dei lavori, si era reso responsabile, quanto meno per culpa in vigilando, del contestato reato p. e p. dagli artt. 5 e 21 D.Lgs. n. 494/1996». Casi e Questioni ISL risponde P Casi e Questioni er effettuare corsi di formazione, oggi, bisogna essere accreditati dalla regione oppure una qualsiasi struttura di medicina del lavoro può tranquillamente organizzare corsi per RSPP? 66 Il problema degli enti legittimati ad erogare formazione rilevante ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dal D.Lgs. n. 195/ 2003 per poter svolgere il compito di responsabili o addetto del servizio prevenzione e protezione, va affrontato in relazione alla disciplina transitoria (art. 3) ed alla disciplina definitiva (art. 2). Nel primo caso i corsi di formazione, «provvisori», laddove siano erogati da soggetti privati necessiteranno di un giudizio di idoneità rilasciato dalle regioni, laddove, invece, siano erogati da enti od organizzazioni pubbliche non c’è la necessità di alcuna idoneità regionale. Nel secondo caso, invece, i soggetti legittimati sono tassativamente individuati dal legislatore all’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 195/2003, quale afferma che «I corsi di formazione di cui al comma 2 sono organizzati dalle regioni e province autonome, dalle università, dall’ISPESL, dall’INAIL, dall’Istituto italiano di medicina sociale, dal Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dall’amministrazione della Difesa, dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori o dagli organismi paritetici». Tale elencazione è tassativa e non ammette deroghe, anche se, in prospettiva «altri formatori possono essere individuati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano». Francesco Bacchini (Docente universitario) L’ art. 7 del D.Lgs. n. 626/1994 sottolinea, tra le altre cose, l’obbligatorietà per il committente che intende affidare lavori in appalto all’interno della propria azienda, di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice anche attraverso l’iscrizione alla CCIAA. Ora, sia dia il caso - frequente nella prassi - che l’appalto sia affidato ad un’impresa (ad esempio di costruzioni edili) non in possesso dell’abilitazione tecnico-professionale per la progettazione, realizzazione e certificazione dell’impianto elettrico, richiesta dalla legge n. 46/1990: quid iuris per la successiva necessità di ricorrere al subappalto? Il committente può essere ritenuto responsabile per non avere imposto, nel contratto d’appalto, all’impresa appaltatrice non abilitata di sub-appaltare a ditta abilitata? ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 In linea generale, anche prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/1994, la Giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto sussistere un profilo di culpa in eligendo in capo al committente, nel caso di affidamento dell’appalto ad impresa tecnicamente inidonea a svolgerlo. In tema di subappalto è stato affermato, ad esempio, che «qualora il committente, accertandosi della capacità tecnica e professionale dell’appaltatore, apprenda che questi è tecnicamente affidabile, è senz’altro autorizzato a ritenere che l’adeguatezza tecnica sia anche adeguatezza dei presidi tecnici antinfortunistici richiesti dalla legge»; cosicché, ove l’appaltatore abbia agito in totale autonomia, il committente non risponde per la violazione delle norme antinfortunistiche (Cass. Pen., Sez. IV, 20 giugno 1997, La Maestra). Con l’avvento del D.Lgs. n. 626/1994, all’interno del meccanismo procedurale interattivo degli appalti interni, delineato dall’art. 7 del decreto, il principio dell’assenza di culpa in eligendo da parte del datore di lavoro committente, è divenuto parametro legale di carattere generale. Questo non significa che l’impresa appaltatrice dei lavori debba possedere in proprio tutte le competenze tecnico-professionali richieste per la fase esecutiva; è tuttavia imprescindibile, in tal caso, che il committente proceda alla selezione e verifica, in ingresso, di ciascuno dei subappaltatori. Ciò egli potrà fare o direttamente, ovvero affidando tale compito all’appaltatore principale, addossandogli in tal caso anche l’onere di assolvere ad una completa e tempestiva informazione nei suoi riguardi. Resta in ogni caso fermo il principio che, della violazione dell’obbligo di verifica previsto dall’art. 7, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 626/1994 il committente risponderà in ogni caso, in ragione del criterio di imputazione soggettiva dell’obbligo e del correlato profilo di responsabilità. Eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità tra committente e appaltatore non avranno dunque alcuna operatività agli effetti dell’osservanza delle norme di prevenzione antinfortunistica, giacché tali norme sono di diritto pubblico e non possono essere derogate da patti privati quando attengano ad obblighi di natura gestionale (in termini Cass. Pen., Sez. IV, 5 luglio 1990, Travaglini). La risposta al quesito proposto è nel senso che il datore di lavoro committente potrà essere ritenuto responsabile ex art. 7 del D.Lgs. n. 626/1994 per non avere imposto, nel contratto d’appalto, all’impresa appaltatrice non abilitata ai sensi della legge n. 46/1990 di sub-appaltare a ditta abilitata, giacché il requisito dell’abilitazione professionale è una condizione essenziale per l’esercizio delle attività previste dalla legge. Pierguido Soprani (Avvocato) Sommario Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali . . . . . . . Gli anestetici volatili: descrizione, uso, effetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Inquinamento ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Effetti tossici dei prodotti del metabolismo degli anestetici volatili . . . . . . . . . . . . . . . . L’esposizione a gas anestetici e i valori limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valutazione dell’esposizione: monitoraggio ambientale e biologico . . . . . . . . . . . . . . . . Sorveglianza sanitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prevenzione tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Requisiti degli impianti e degli apparecchi di anestesia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MILANOFIORI ASSAGO, Strada 1, Palazzo F6, Tel. 02.82476.023 III III V IX X X XII XIII XIV XV XVI Sicurezza e vivibilità nella chirurgia umana e veterinaria: assicurazione e prevenzione in sala operatoria Alessandro Baldacconi, Cristina Baldacconi, Roberto Buzzi, Paola Desiderio Premessa Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/1994 sono stati meglio razionalizzati gli aspetti igienico-ambientali delle strutture sanitarie ed è stata affrontata la problematica dell’esposizione a gas anestetici del personale medico e paramedico, che svolge le proprie funzioni nelle sale operatorie, sia nella sanità pubblica e privata, sia in campo veterinario. Anche se la circolare del Ministero della Sanità 14 marzo 1989, n. 5, avente per oggetto l’«identificazione dei valori limite di inquinamento da gas anestetici nell’aria nelle sale operatorie», aveva già affrontato una parte della problematica, il D.Lgs. n. 626/1994 affronta tale problematica nella sua globalità, con riferimento, soprattutto, ai protocolli diagnostici che il medico competente deve elaborare per una consona gestione del servizio di prevenzione e protezione interno. Le norme UNI 737-1, 2, 3, 4, e il D.P.R. n. 1401/1997 hanno, per loro conto, stabilito i requisiti minimi dell’impianto centralizzato di pertinenza delle strutture sanitarie e veterinarie preposto alla regolamentazione, lo stoccaggio e, quindi, l’utilizzo dei gas anestetici. Poiché l’argomento che qui si affronta riguarda le condizioni ambientali di sicurezza e di vivibilità nelle sale operatorie e negli ambienti direttamente coniugabili ad esse, si tralascia qualsiasi riferimento all’uso degli agenti anestetici somministrati per via endovenosa e, quindi, avulsi dalla valutazione di inquinamento amInserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 bientale e/o di esposizione diretta e/o indiretta delle professionalità che operano nelle sale operatorie. L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali L’inalazione di gas anestetici, con riferimento alla possibilità di interazione con l’apparato respiratorio, può causare, secondo quanto previsto dal Testo unico sulla assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, un evento dannoso qualificabile stante la natura eziologica del danno - come infortunio sul lavoro o come malattia professionale, a condizione che siano soddisfatte le seguenti tre condizioni. 1) Si è in presenza del cosiddetto rischio professionale: il rapporto tra lavoratore, macchina, ambiente e organizzazione del lavoro nella produzione di un bene e/o nella erogazione di un servizio per le finalità di impresa qualifica l’ambiente di lavoro che, per quanto or- Nota: 3 Alessandro Baldacconi: Ergonomist chartered, Safety auditor, Libera Università degli Studi di Urbino; Cristina Baldacconi: Medico Veterinario - Anestesista - Libero professionista; Roberto Buzzi: Safety Auditor, Responsabile del Processo Laboratorio di Sicurezza ed Igiene del Lavoro - INAIL - Direzione regionale per il Lazio; Paola Desiderio: Tecnico Specialista con funzioni di Chimico INAIL - Direzione regionale per il Lazio. III ganizzato, è fonte di pericolo associabile al rischio di danno, di infortunio e/o di malattia professionale. Siffatto rischio di danno legato ad un ambiente lavorativo organizzato rientra nella definizione di «rischio professionale», inteso intimamente correlato sia alle mansioni concretamente svolte per fini produttivi e/o di servizio, sia alle fonti di pericolo insite nella impiantistica e nella architettura dell’«involucro edilizio», dove si attua la finalità produttiva e/o di erogazione del servizio. Le fonti di pericolo e, quindi, i rischi di danno associabili, cui è eventualmente soggetto la persona assicurata al di fuori di quella particolare attività coniugabile al citato «rischio professionale» non sono coperti da assicurazione per cui danno diritto a prestazioni assicurative. 2) La fonte di pericolo è correlabile al rischio professionale: in proposito è opportuno precisare che: l’infortunio sul lavoro è originato da una causa violenta ovvero l’evento dannoso è conseguente ad una azione violenta generata dalla messa in atto di un’energia abnorme unitamente ad una conseguente abnorme intensità (ad es. caduta dall’alto, fulmine, investimento, crollo per incendio, ecc.). Per una più appropriata comprensione del concetto di causa violenta deve precisarsi che la conseguenza dell’azione violenta non necessariamente deve produrre il danno all’istante ovvero con repentinità - ad esempio morte o perdita di un arto - cioè il danno non necessariamente deve avere connotazioni legate ad istantaneità dell’effetto di causa ovvero subitaneità (ad esempio il crollo per esplosione di una galleria in miniera è determinato da una causa violenta, mentre il danno può essere prodotto nel tempo per una azione lenta, come la morte per asfissia del minatore, conseguente ai fattori che hanno determinato l’azione violenta, rappresentata dal crollo per esplosione); nella malattia professionale, invece, la causa lesiva o fonte di pericolo ha una connotazione energetica diversa dal divenire dell’infortunio, ovvero è a lento agire, cioè non concentrata nel tempo, ma diluita nel periodo utile a produrre gli effetti negativi; i momenti patologici non si evidenziano all’istante, ma insiti nella natura stessa della lavorazione morbigena, richiedono un periodo di attesa per manifestarsi, configurabile in arco di tempo superiore quantomeno ad un turno di lavoro. 3) L’evento generatore del danno, che costituisce la vera causa dell’infortunio o della malattia professionale, deve essere futuro, incerto, sia sull’an che sul quando, oppure certo sull’an e incerto sul quando, non dipendente esclusivamente dalla volontà dell’infortunato, valutabile a priori dal punto di vista statistico attuariale per quanto riguarda la sua frequenza e la sua gravità. Quest’ultimo requisito è indispensabile per valutare il costo della copertura assicurativa. 4) Perché l’evento dannoso venga coperto dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è necessario che lo stesso sia in un rapporto di causa ed effetto con lo svolgimento delle mansioni oggetto del rapporto di lavoro tra il prestatore d’opera e l’imprenditore: che sussista, cioè, il cosiddetto nesso etiologico tra mansioni concretamente svolte ed evento dannoso. L’assicurato, secondo i principi di diritto civile (art. 2697 c.c.), deve sempre fornire la prova del verificarsi della causa lesiva e della sussistenza del nesso etiologico tra attività lavorativa ed evento dannoso. IV Nella malattia professionale, poiché l’azione invalidante è diluita nel tempo ed insita nella natura stessa della lavorazione, e poiché, per di più, il danno si manifesta dopo un periodo di attesa, anche assai lungo, diviene pressoché impossibile per il lavoratore fornire la suddetta prova (cosiddetta probatio diabolica). Ciò anche perché, mentre nell’infortunio sul lavoro il nesso causale ha rilevanza nei termini di occasione di lavoro, nella malattia professionale la rilevanza è insita nella «diretta derivazione etiologica dalla causa patogena». In sostanza, per la tecnopatia, a differenza dell’infortunio, non è sufficiente un «rapporto di occasionalità» tra lavoro ed evento ma è necessario un «rapporto di causalità». Il legislatore, conscio di ciò, ha proceduto ad elencare una serie di malattie (contenute in tabelle allegate al D.P.R. n. 1124/65 e sue integrazioni e modificazioni), disponendo che, se contratte entro un certo lasso di tempo ed in presenza di determinate lavorazioni, le stesse sono da considerare, senza possibilità di prova contraria, prodottesi a causa e nell’esercizio dell’attività lavorativa (la cosiddetta presunzione legale di origine ovvero la presunzione juris et de jure). In conseguenza del suindicato sistema, tutte le malattie non «tabellate» (essendo, per costante giurisprudenza, l’elencazione tassativa e non suscettibile di interpretazione estensiva od applicazione analogica) erano, fino alla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988, prive di copertura assicurativa. In particolare venivano escluse tutte le malattie non tabellate contratte nell’esercizio ed a causa di lavorazioni che esponevano i lavoratori anche all’azione di fattori microbiotici e virali. Con la citata sentenza n. 179/1988, la Corte Costituzionale, tuttavia, ha superato l’illegittimità dell’art. 3, primo comma, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui non prevede che l’Assicurazione contro le Malattie professionali nell’Industria e nell’Agricoltura sia obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle specifiche; in sostanza ha statuito che tali malattie, purché contratte nell’esercizio ed a causa delle mansioni concretamente svolte, sono da considerarsi tutelate a condizione che l’assicurato fornisca gli elementi relativi ai fattori di nocività. È stato cosı̀ introdotto il cosiddetto «sistema misto» per cui, per le malattie tabellate, vige la presunzione juris et de jure della derivazione delle stesse dalla lavorazione effettuata ovvero sussiste la presunzione legale d’origine ex lege, mentre, per le malattie non tabellate, la copertura assicurativa sussiste una volta che è stata fornita la prova della esistenza del nesso etiologico. Come già detto ci si trova di fronte ad una probatio diabolica. Il lavoratore, ad esempio, esposto a contrarre malattie infettive, anche gravissime - quali l’epatite virale e l’AIDS - in quanto soggetto a rischio biologico, si trova, dunque, in una situazione di inferiorità assicurativa rispetto ad altri soggetti assicurati. In assenza ed in attesa di un intervento del legislatore si è comunque formato un orientamento giurisprudenziale che, ancora una volta, è venuto in soccorso di tali lavoratori. La Suprema Corte ha, infatti, affermato che, nei casi di infortunio sul lavoro derivanti dall’azione di fattori microbiotici e virali i quali, interagendo con l’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 anatomico-fisiologico, può essere raggiunta la prova del nesso etiologico una volta che si riesce ad argomentare in via presuntiva, ma sopratutto in termini probabilistici, che il rapporto di causa ed effetto abbia potuto verificarsi (Cassazione n. 8058/1991). Il Giudice di legittimità ha altresı̀ affermato il principio secondo cui, perché si abbia una presunzione giuridicamente valida, non occorre che i fatti su cui essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile del fatto noto, bastando che il primo possa essere desunto dal secondo come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile secondo un criterio di normalità (Cassazione n. 552/19982 e n. 8058/1991). È bene richiamare che la tutela assicurativa contro l’insorgenza di malattie professionali sussiste anche quando la presunta tecnopatia si manifesta entro un determinato periodo di tempo dopo l’abbandono della lavorazione morbigena. Pertanto in presenza di malattie infettive e parassitarie, in altre parole, la mancata dimostrazione dell’episodio specifico di interazione tra l’agente morbigeno e l’organismo umano non può ritenersi preclusiva dell’ ammissione alla tutela assicurativa, essendo sufficiente riuscire a stabilire, anche in via presuntiva, che l’evento infettante si sia verificato in relazione all’attività lavorativa. Di conseguenza, perché si formi la suddetta presunzione semplice, che ammette prova contraria (juris tantum), non è necessario che il fatto ignoto appaia come l’unica conseguenza possibile del fatto noto, ma è sufficiente che il primo possa essere desunto dal secondo in base al criterio di semplice normalità. Valgono, comunque, i principi fissati dall’art. 2729 c.c. che indica come giuridicamente rilevanti le presunzioni gravi, precise e concordanti. Gli anestetici volatili: descrizione, uso, effetti Attualmente è disponibile una gran varietà di tecniche anestesiologiche che vengono applicate dall’anestesista a seconda delle diverse condizioni cliniche del paziente, sia esso umano che animale. Tra queste l’anestesia gassosa viene usata frequentemente nelle procedure chirurgiche e talvolta in quelle diagnostiche, a cui pazienti sia umani che veterinari vengono sottoposti. Tale tecnica prevede l’impiego di anestetici volatili da somministrare per via inalatoria endotracheale, previa intubazione, o per via oronasale, mediante l’impiego di una maschera facciale. Gli anestetici gassosi usati comunemente comprendono un gas inorganico, il protossido d’azoto e liquidi volatili quali idrocarburi alogenati, l’alotano principalmente, ed eteri alogenati quali l’enfluorano, l’isofluorano, il desfluorano, il sevofluorano e il metossifluorano; quest’ultimo, seppure reperibile sul mercato è ormai in disuso. Tali liquidi volatili vengono somministrati al paziente da anestetizzare in forma di vapori successivamente alla loro evaporazione, avente luogo negli appositi dispositivi, i vaporizzatori, presenti nei circuiti dell’anestesia. L’anestetico gassoso inspirato, grazie a un vantaggioso sistema di gradienti pressori, oltrepassa il sistema respiratorio al liInserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 vello della membrana alveolo-capillare per distribuirsi, poi, alla circolazione sistemica più o meno velocemente, in funzione della propria solubilità nel sangue e dal sangue ai diversi tessuti corporei e al sistema nervoso centrale, dove si esplica la proprietà anestetica del composto impiegato. Al livello cerebrale infine viene mantenuta una pressione parziale del gas anestetico ottimale e costante (Pbr), in equilibrio con la rispettiva pressione parziale raggiunta negli alveoli polmonari (PA). L’equilibrio tra le due biofasi consente di mantenere il piano anestesiologico desiderato e raggiunto. La pressione parziale alveolare (PA) dell’anestetico inspirato è in equilibrio con le pressioni parziali dell’anestetico nel sangue arterioso (Pa) e nel cervello (Pbr): ? PA? / Pa / Pbr Per quanto riguarda la solubilità nel sangue del gas anestetico prescelto, questa, oltre a essere una caratteristica peculiare della molecola impiegata, influenza la velocità di incremento della pressione parziale dell’anestetico nel sangue arterioso (Pa) rispetto alla rispettiva pressione parziale inspirata (PI). Tale solubilità del gas anestetico nel sangue e nei tessuti viene espressa dal coefficiente di ripartizione (Eger, 1993; Yasuda et al., 1989). Il coefficiente di ripartizione esprime la distribuzione dell’anestetico tra le due biofasi all’equilibrio (ovvero quando le pressioni parziali del gas rispettivamente nel sangue arterioso e nei tessuti si eguagliano). In questo modo vengono ricavati i coefficienti di ripartizione sangue:gas, cervello:sangue, muscolo:sangue, grasso:sangue. In particolare, viene preso in considerazione il coefficiente di ripartizione (CR) sangue:gas (S:G) per classificare gli anestetici inalatori in solubili, mediamente solubili e scarsamente solubili (Tabella 1) (Eger, 1993; Yasuda et al., 1989). In pratica il sangue può essere considerato una riserva inattiva di gas anestetico, le cui dimensioni dipendono dalla solubilità dell’anestetico nel sangue. Quando il coefficiente S:G è elevato una notevole quantità di gas deve disciogliersi nel sangue prima che la pressione parziale raggiunta negli alveoli polmonari (PA) eguagli la pressione parziale dell’anestetico nel sangue arterioso (Pa). Ad esempio, l’elevata solubilità del metossifluorano nel sangue diminuisce la velocità d’incremento di PA e Pa a una data pressione parziale inspirata (PI), per cui l’induzione dell’anestesia risulta essere più lenta che non se si utilizzassero gas anestetici a solubilità inferiore. Inoltre l’impatto di un gas a elevata solubilità può portare l’operatore ad aumentare nella fase di induzione la PI al di sopra di quella necessaria al mantenimento della anestesia, con conseguente impiego di quantità maggiori di anestetico. Viceversa quando la solubilità dell’agente volatile è scarsa, sono necessarie piccole quantità di anestetico disciolto nel sangue perché sia raggiunto l’equilibrio delle due biofasi, per cui la velocità d’incremento di PA e Pa, la comparsa dell’effetto dell’anestetico e l’induzione dell’anestesia sono rapidi. I coefficienti di ripartizione, in generale, sono influenzati dalla temperatura, dal momento che la solubilità di un gas in un liquido aumenta quando aumenta la temperatura del liquido. In particolare, il coefficiente di ripartizione S:G subisce modificazioni in base a variazioni individuali del contenuto di acqua, lipidi e proteine V nonché dell’ematocrito dell’intero sangue del paziente (Laasberg e Hedley-White, 1970). Al termine dell’anestesia, quando, cioè, s’interrompe la somministrazione del gas anestetico, si assiste a un rapido decremento della Pbr e quindi della PA e passaggio dell’anestetico al fegato per la sua metabolizzazione o ai polmoni perché venga eliminato con la respirazione, con conseguente risveglio del paziente (Yasuda et al., 1991). Tuttavia, pur avendo caratteristiche simili, l’induzione e il risveglio presentano notevoli differenze farmacocinetiche. Al contrario dell’induzione, che può essere accelerata aumentando la concentrazione di anestetico inalato, durante il risveglio non è possibile con lo stesso meccanismo diminuire la PA. Al risveglio la diminuzione della PA è influenzata dalla variazione della concentrazione dell’anestetico nei tessuti, che dipende a sua volta dalla solubilità dell’anestetico e dalla durata dell’anestesia e dall’eventuale metabolismo di quest’ultimo. Ad esempio il risveglio è più lungo in proporzione alla durata dell’anestesia per gli anestetici solubili (alotano, isofluorano) rispetto a quanto si può riscontrare per gas scarsamente solubili (sevofluorano, desfluorano), in cui anche anestesie di lunga durata comportano un rapido risveglio (Eger, 1993). Inoltre se l’incremento della PA a partire dall’induzione è prevedibile in funzione del coefficiente S:G, la diminuzione della stessa al risveglio non è sempre in rapporto con tale coefficiente (Carpenter et al., 1986): infatti la PA nel caso dell’alotano diminuisce più rapidamente rispetto all’isofluorano e al desfluorano, anche se la solubilità dell’alotano è maggiore. Analogamente all’alotano si può dire del metossifluorano, la cui PA diminuisce più rapidamente di quella dell’enfluorano, nonostante abbia una solubilità sei volte quella dell’enfluorano. La maggior velocità di decremento della PA dell’alotano o del metossifluorano in fase di risveglio è giustificata dal metabolismo dei medesimi, che si verifica nel fegato, mentre in fase di induzione tale metabolismo non influenza minimamente la velocità della comparsa dell’effetto farmacologico dell’anestetico (Carpenter et al., 1986). I moderni anestetici inalatori permettono un rapido e preciso controllo della profondità della anestesia in virtù delle proprietà fisiche appena illustrate dei medesimi tali da minimizzare la solubilità del gas nel sangue e nella gomma dei dispositivi di somministrazione del principio e rendere la molecola scarsamente degradabile. Per quel che qui interessa, e con riferimento al personale delle sale operatorie, vengono di seguito presi in considerazione le diverse fonti di pericolo ed i fattori di rischio riconducibili all’impiego di anestetici volatili più comunemente in uso. Oggi giorno vengono utilizzati principalmente i sottoelencati gas anestetici. Il protossido d’azoto è un gas a basso peso molecolare, inodore, non infiammabile a bassa potenza anestetica e a scarsa solubilità nel sangue. Viene impiegato nell’anestesia generale in miscele gassose insieme ad altri anestetici inalatori e produce grazie alla sua scarsa solubilità un’induzione rapida. Possiede proprietà analgesiche, pur non producendo contemporaneamente un adeguato grado di miorilassamento. Tuttavia i potenziali effetti tossici sulle funzioni organiche e la sua capacità di inattivare la vitamina B12 comporterà un progressivo declino dell’impiego del protossido nelle anestesie chirurgiche (Deacon et al., 1980). L’alotano è stato il primo anestetico alogenato, introdotto negli anni ’50; esso si presenta in forma liquida trasparente, non infiammabile a temperatura ambiente, dall’odore dolciastro non pungente. È mediamente solubile nel sangue e presenta un’elevata potenza anestetica che consentono un’induzione e un risveglio rapidi dall’anestesia con alotano solamente o in combinazione col protossido d’azoto o altri anestetici iniettabili. Nonostante la sua stabilità chimica, il derivato alogenato è suscettibile di decomposizione, per cui deve essere conservato in bottiglie scure e deve essere protetto da conservanti aggiunti, quali il timololo, che ne impedisca la decomposizione ossidativa. Il timololo che per- Tabella 1 - Solubilità degli anestetici inalatori a confronto C.R. coefficiente di ripartizione sangue:gas C.R. coefficiente di ripartizione cervello:sangue C.R. coefficiente di ripartizione muscolo:sangue C.R. coefficiente di ripartizione grasso:sangue C.R. coefficiente di ripartizione olio:sangue 12 2 1,3 48,8 970 Alotano 2,54 1,9 3,4 51,1 224 Enfluorano 1,90 1,5 1,7 36,2 98 Isofluorano 1,46 1,6 2,9 44,9 98 Protossido d’azoto 0,46 1,1 1,2 2,3 1,4 Desfluorano 0,42 1,3 2 27,2 18,7 Sevofluorano 0,69 1,7 3,1 47,5 55 Anestestici Solubili Metossifluorano Mediamente solubili Scarsamente solubili VI Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 mane nel vaporizzatore dopo la vaporizzazione dell’alotano, tuttavia, può comportare un malfunzionamento della stessa apparecchiatura per la somministrazione dell’anestetico, la quale pertanto dovrà essere ispezionata più frequentemente e con maggior attenzione. Oggi, in definitiva, il suo impiego è in declino a favore di nuovi principi attivi, che hanno un migliore profilo di sicurezza per il paziente. Gli effetti collaterali legati all’azione aritmogena nonché epatotossica dell’alotano ne limitano l’utilizzo a favore di composti di più recente sintesi e soprattutto con meno controindicazioni. L’enfluorano è un etere alogenato, il cui impiego clinico risale al 1973. Esso si presenta in forma di liquido volatile, non infiammabile a temperatura ambiente, dall’odore pungente. Possedendo caratteristiche di media solubilità ed elevata potenza anestetica, permette un’induzione e un risveglio veloci dall’anestesia con enfluorano da solo, o in associazione a protossido d’azoto e/o anestetici iniettabili. Tale composto rispetto all’alotano, pur non presentando attività aritmogenica, dando luogo raramente a fenomeni di epatotossicità, non è privo di effetti collaterali, inclusi la liberazione di fluoruri inorganici, nonché la stimolazione del sistema nervoso centrale cosı̀ come evidenziato da tecniche elettroencefalo- grafiche in corso di anestesie con enfluorano ad elevate concentrazioni. L’isofluorano è il risultato della ricerca di un anestetico gassoso che avesse effetti collaterali ancora meno rilevanti rispetto a quelli dei precedenti anestetici vagliati. L’isofluorano è un isomero dell’enfluorano, introdotto a partire dal 1981; è un ottimo anestetico, correntemente impiegato e risulta resistente al metabolismo, pertanto previene la comparsa di lesioni da tossicità d’organo conseguenti. Esiste in forma liquida, chiara, non infiammabile a temperatura ambiente, dall’odore pungente. Consente un’induzione e un risveglio veloci dall’anestesia per via della sua media solubilità nel sangue nonché elevata potenza, da solo, o in associazione a protossido d’azoto e/o altri anestetici iniettabili. Il composto si caratterizza per la sua notevole stabilità chimica, che gli impedisce di deteriorarsi anche dopo cinque anni dal confezionamento del prodotto, o dopo la sua esposizione alla calce sodata o alla luce del sole. Per questi motivi non necessita l’aggiunta di conservanti quali il timololo. La ricerca di un anestetico inalatorio farmacologicamente «perfetto» non si era conclusa con l’introduzione e la diffusione dell’impiego dell’isofluorano; continuava quindi la ricerca di un liquido non infiammabile scarsamente liposolubile e as- Tabella 2 - Proprietà chimico-fisiche di alcuni anestetici volatili Composti inorganici Derivati alogenati Protossido di azoto N2O Alotano - (fluotano) 2-bromo-2-cloro-1,1,1-trifluoroetano BrCHClCF3 Cas n. [10024-97-2] Mr=44,01 Mp=-90,81 Bp760= -88,46 d(gas)=1,53 (aria =1) S/G=0,47 Cas n. [151-67-7] Mr=197,38 Bp760= 50,2 d(4) 20= 1,871 S/G=2,3 Derivati eteri alogenati Metossifluorano - (pentrano) 2,2-dicloro-1,1-difluoro-1-metossietano CH3OCF2CHCl2 Mr=164,97 Bp100= 51º Bp = 105º d(4) 20= 1,42 S/G=10,2 Enfluorano - (etrano) 2-cloro-1-(difluorometossi) -1,1,2-trifluoroetano CHF2OCF2CHClF Mr=184,49 Bp= 56,5º d(25) 25= 1,52 S/G=1,9 Isofluorano - (forano) 2-cloro -2 (difluorometossi) -1,1,1-trifluoroetano CF3CHClOCHF2 Mr=184,49 Bp = 48,5º d(4) 20= 1,42 S/G=1,48 Desfluorano 2-(difluorometossi) -1,1,1,2-tetrafluoroetano CHF2OCHFCF3 Mr=168,04 Bp760= 23,5º d(4) 20= 1,44 S/G=0,424 Sevofluorano 1,1,1,3,3,3-Hexafluoro -2-(fluorometossi) propano (CF3)2CHOCH2F Mr=200,06 Bp760= 58,5º d(4) 23= 1,44 S/G=0,69 Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 VII solutamente resistente al metabolismo. Cosı̀, a partire dal 1992 col desfluorano e dal 1994 col sevofluorano, è stato possibile ottenere un controllo sempre più preciso della concentrazione di anestetico, nonché risvegli rapidi, indipendentemente dalla durata complessiva dell’anestesia del paziente, grazie a tali composti a bassa solubilità nel sangue. Il desfluorano, simile chimicamente all’isofluorano dal quale si diversifica solo per la sostituzione di un atomo di cloro, con uno di fluoro al livello della componente alfa etilica, si presenta rispetto al precedente per via di tale atomo di fluoro con una maggior pressione di vapore, una notevole stabilità molecolare e una potenza anestetica inferiore. La maggior pressione di vapore che lo caratterizza comporta che il composto arrivi all’ebollizione alla temperatura ambiente di una sala operatoria per cui si rendono necessari vaporizzatori di nuova tecnologia, riscaldati e pressurizzati, alimentati a corrente elettrica, che eroghino una concentrazione controllata dell’alogenato in forma di gas, miscelato con un flusso di gas freschi diluenti. Il metabolismo del desfluorano da parte dell’organismo è minimo se non irrilevante: infatti, sono riscontrabili concentrazioni sieriche ed urinarie di trifluoracetato pari a un quinto, un decimo di quelle prodotte dal metabolismo dell’isofluorano. Per quanto riguarda la sua potenza anestetica come già premesso in partenza, questa risulta cinque volte inferiore rispetto a quella dell’isofluorano. Inoltre per il suo odore pungente, diversamente dall’alotano e dal sevofluorano, ne è sconsigliato l’impiego per una induzione in maschera. Tuttavia la sua scarsa solubilità nel sangue consente una induzione nonché un risveglio molto rapidi, diversamente dai primi anestetici gassosi sintetizzati. Il sevofluorano, quasi inodore, produce broncodilatazione e non irrita le vie respiratorie, per cui è possibile il suo vantaggioso impiego in induzione in maschera analogamente all’alotano. La sua pressione di vapore, simile a quella dell’alotano e dell’isofluorano, consente un’agevole somministrazione del gas, mediante un comune vaporizzatore. Il suo coefficiente di ripartizione S:G (0,69), simile a quello del desfluorano, garantisce un’induzione e un risveglio veloci. Tuttavia, rispetto al desfluorano risulta di gran lunga più suscettibile alle biodegradazioni metaboliche, che portano alla formazione di metaboliti, quali il fluoro inorganico e l’esafluoroisopropanolo. Nonostante ciò, il sevofluorano rispetto ad alotano, enfluorano, isofluorano e desfluorano presenta un notevole vantaggio: è il solo che non porta alla formazioni di proteine epatiche trifluoroacetilate, responsabili di effetti epatotossici. Il sevofluorano, poi, è suscettibile a degradazione con formazione di composti tossici per gli animali, in presenza di basi forti, come quelle che si trovano ad esempio nei comuni sistemi di assorbimento dell’anidride carbonica espirata (calce sodata), presenti nei circuiti dell’anestesia (Smith et al., 1996). Il principale prodotto di degradazione il fluorometile-2,2-difluoro-1-(trifluorometile) vinil-etere (composto A), è nel ratto una nefrotossina dose-dipendente, responsabile di un danno renale tubulare prossimale. Nonostante la presenza di tale nefrotossina susciti preoccupazione, nel corso delle comuni anestesie con sevofluorano, la concentrazione del composto A resta a livelli di gran lunga inferiori riVIII spetto a quelli responsabili di un eventuale danno tossico, anche utilizzando flussi di un litro al minuto (Bito et al., 1997; Kharasch et al., 1997). In mancanza di un anestetico ideale, le cui principali proprietà (Jones e Anaesth 1990; 65:527-36) dovrebbero essere quelle riportate in Tabella 3, di solito l’anestesia gassosa inalatoria viene attuata mediante somministrazione dell’alogenato e dell’ossigeno soltanto oppure miscelando un anestetico alogenato con il protossido di azoto e l’ossigeno a pressione parziale variabile, secondo il tipo di miscela prescelta. Tabella 3 - Proprietà di un anestetico inalatorio «ideale» Caratteristiche Requisiti Stabilità Non richiede conservanti Vita media lunga Non corrosivo nei confronti di metallo e gomma Stabile alla luce ed all’ambiente alcalino Non infiammabile Bassa solubilità nel sangue Rapida azione Rapido recupero Rapido aggiustamento del grado di anestesia Efficacia Consente l’impiego di un solo agente Consente elevate concentrazioni di ossigeno Non irritante per le vie aeree Consente l’uso di agente di induzione Minimi effetti collaterali Non produce stimolazioni del SNC Non produce depressione del sistema cardiovascolare/respiratorio Non produce danni ad organi specifici Non produce reazioni contrarie al farmaco Benefici aggiuntivi Non suscettibile al metabolismo Eliminazione per esclusiva via respiratoria Broncodilatatori Anticonvulsivo, antiemetico, analgesico La vaporizzazione dell’anestetico alogenato, che inizialmente è allo stato liquido, avviene in un apparecchio termocompensato, dove i vapori di alogenato vengono miscelati con ossigeno, la cui pressione parziale può variare dal 30% al 100% e/o con il protossido d’azoto a 50%-66%. La concentrazione dell’alogenato presente nella miscela varia in percentuale, in funzione della sostanza utilizzata e delle diverse fasi dell’intervento, con percentuali maggiori nel momento iniziale dell’intervento nella fase dell’induzione rispetto alla fase di mantenimento dell’anestesia. Inquinamento ambientale È noto come nel corso di interventi chirurgici in anestesia gassosa possa essere presente negli ambienti delle sale operatorie un inquinamento più o meno elevato, Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 e come conseguentemente possano sussistere problemi di esposizione nei confronti degli operatori. L’inquinamento ambientale è funzione del tipo dell’apparecchiatura di erogazione, della natura e delle qualità di gas erogati, delle caratteristiche dell’apparato di smaltimento dei gas, della cubatura delle sale operatorie, del numero di ricambi d’aria e della durata dell’intervento. Per quanto riguarda il grado di inquinamento delle sale operatorie, dai dati rinvenuti in letteratura, come anche dalle numerose indagini effettuate dal Dipartimento igiene del lavoro dell’ISPESL presso diversi ospedali italiani, si può affermare che durante gli interventi chirurgici è sempre presente un diffuso inquinamento ambientale, che può anche raggiungere valori superiori alle 1000 ppm di protossido di azoto ed alle 100 ppm di eteri alogenati in miscela (etrano, isofluorano, pentrano, alotano,ecc.). Le analisi hanno evidenziato inoltre la presenza di altre sostanze inquinanti, quali alcool etilico, alcool isopropilico e cloroformio, le cui concentrazioni sono risultate generalmente molto inferiori ai relativi valori limite di soglia. Nei locali adiacenti le sale operatorie (preparazione chirurghi, sterilizzazione, lavaggio strumenti, corridoi, ecc.) sono risultati presenti gas e vapori di anestetico, naturalmente in concentrazioni sensibilmente inferiori a quelle riscontrate nelle sale operatorie. Entrando nel merito degli aspetti dell’inquinamento ambientale si può affermare che durante l’intervento chirurgico si ravvisano tre fasi, cosı̀ specificate, durante le quali gli operatori risultano esposti al rischio chimico prodotto dai gas anestetici: preparazione e anestesia del paziente: in tale fase viene effettuata l’operazione di apertura del condotto di adduzione dei gas anestetici (gas alogenato e/o protossido d’azoto), per essere convogliato all’apparato respiratorio del paziente. Tale operazione è ad alta criticità quando l’anestesista non ha prontamente collegato il tubo dei gas da convogliare al paziente, e pertanto non si è raggiunta la chiusura del circuito determinando inquinamento nell’ambiente circostante; intervento chirurgico: durante l’intervento chirurgico può verificarsi l’esposizione a gas anestetici, con riferimento alla possibilità di perdite di esercizio, quali perdite delle valvole delle bombole, delle valvole ad alta e a bassa pressione della macchina dell’anestesia, dei raccordi del circuito respiratorio, tra cui difetti della gomma o della plastica di tubi, condotti, borse respiratorie, ventilatori automatici e raccordi a Y del circuito e delle valvole pop-off. Inoltre, in base al tipo di tecnica di anestesia impiegata, oltre al verificarsi di pratiche improprie, quali lasciare le valvole di controllo dei flussi dal vaporizzatore aperte, versare dell’anestetico inalatorio inavvertitamente al momento del riempimento del vaporizzatore, può anche verificarsi inquinamento ambientale a causa dell’impiego di maschere inadeguatamente aderenti o per insufficiente insufflazione della cuffia del tubo endotracheale; risveglio del paziente: in questa fase si può verificare un’inattesa nonché critica esposizione del personale all’agente anestetico inalatorio: infatti, successivamente alla chiusura del flusso dei gas quando il paziente è ancora intubato oppure anche successivamente, in seguito Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 alla rimozione del tracheotubo quando il paziente riprende a svegliarsi, elimina con l’espirato quantità di anestetico variabili, relative al tipo di anestetico impiegato e alla durata della anestesia. Inoltre, tale fase, da considerarsi critica per l’esposizione del lavoratore all’agente gassoso, ha luogo in apposite sale per il risveglio, in cui i ricambi d’aria possono essere inadeguati o comunque inferiori a quelli di una sala operatoria. A questo proposito, si ribadisce l’importanza di tutte quelle misure finalizzate al washout del paziente, nonché dei circuiti, prima che quest’ultimo sia scollegato dalla macchina dell’anestesia: utilizzare flussi di ossigeno elevati appena dopo la chiusura dei gas anestetici, mantenere il circuito collegato finché il paziente non venga estubato e svuotare la borsa respiratoria, qualora il circuito ne sia fornito, prima dell’allontanamento del tubo di adduzione dei gas. Diversi studi condotti negli ultimi anni hanno descritto numerosi effetti negativi sulla salute degli operatori, derivanti dall’esposizione cronica a gas anestetici, che però una successiva revisione critica della letteratura ha ridimensionato. Pertanto, allo stato attuale il danno atteso da esposizione a gas anestetici valutabile è il seguente: effetti neuro-comportamentali precoci: è stata ipotizzata un’azione sulle strutture neurologiche centrali deputate al controllo del ritmo sonno-veglia, sostanza reticolare tronco-encefalica, che comporta un’abolizione dello stato di vigilanza, effetto anestetico. In recenti studi, l’esame delle funzioni neurocomportamentali ha evidenziato una riduzione della performance anche a basse dosi di esposizione. I contributi di altri fattori quali lo stress e l’organizzazione del lavoro, non sono ancora stati chiariti, né è stata documentata l’esistenza di effetti cumulativi cronici; effetti sulla funzione riproduttiva: studi epidemiologici, condotti in paesi scandinavi ed in Gran Bretagna, non hanno consentito di affermare, con certezza, un nesso causale tra esiti sfavorevoli della gravidanza dovuti ad esposizione professionale ad anestetici per inalazione; effetti sulla funzione epatica: sono stati studiati i possibili danni epatici mediante sperimentazione su animali ed in particolare è stata studiata l’induzione enzimatica, nel tentativo d’identificare i meccanismi alla base dell’epatotossicità degli anestetici. Gli studi hanno evidenziato una relazione dose/dipendente tra concentrazione urinaria di isofluorano e acido D-glucarico. Sui lavoratori esposti a basse dosi di anestetici gli studi condotti hanno invece mostrato principalmente alterazioni bioumorali derivanti da agenti biologici o da consumo di alcolici. L’esposizione a metossifluorano ha prodotto alterazione di indici di nefrotossicità, proteinuria, azotemia; effetti sulla funzione emopoietica: numerosi studi concordano sulla capacità del protossido d’azoto di indurre un effetto mielotossico tramite inattivazione della vitamina B12, anche se queste conclusioni non sono attualmente comprovabili con sicurezza; effetti citogenetici: alcuni studi segnalano l’esistenza di aberrazioni cromosomiche. Possono comunque essere presenti fattori esterni, quali la contemporanea esposizione a radiazioni ionizzanti. IX Effetti tossici dei prodotti del metabolismo degli anestetici volatili I prodotti del metabolismo dell’alotano, trasformati a livello epatico, si ritrovano nelle urine, rispettivamente per il 18-20%, sotto forma di bromuro, e per il 12% sotto forma di acido trifluoroacetico. L’enfluorano viene eliminato per l’83%, immodificato, per via respiratoria, mentre la rimanente parte viene escreta per le urine, e solo il 2,4% della parte assorbita viene biotrasformata in acido metossidifluoroacetico, acido ossalico, fluoruri e cloruri. L’isofluorano sembra essere il meno tossico tra gli anestetici alogenati, viene per lo più eliminato per via respiratoria. Solo lo 0,2% si ritrova nelle urine come prodotti metabolici. Il protossido di azoto viene eliminato per via polmonare alla fine dell’esposizione, solo parzialmente metabolizzato, e solo una piccola parte viene escreta tal quale nelle urine. Nella Tabella 4 sono riportati alcuni parametri connessi con il metabolismo degli anestetici, espressi in termini percentuali, e precisamente le percentuali di metabolizzazione, di eliminazione della sostanza immodificata per via respiratoria, e l’indice di ritenzione della sostanza, ovvero la quantità di anestetico assorbita per via inalatoria rapportata alla quantità inalata. Si può valutare che circa il 10% del personale della sanità, addetto al blocco operatorio, comprendente anestesisti, ferristi, strumentisti, chirurghi, infermieri, siano esposti ai gas anestetici e che, soprattutto nel passato fino agli anni ’80, potessero esservi stati esposti anche ad elevate concentrazioni, fino a 7 volte gli attuali valori di accettabilità ambientale. L’esposizione a gas anestetici e i valori limite In sala operatoria gli operatori (chirurghi, strumentisti, personale infermieristico) possono essere esposti all’inalazione delle sostanze usate per l’anestesia gassosa, quali: – protossido di azoto; – forano (o isofluorano); – etrano (o enfluorano); – pentrano (metossifluorano); – alotano (fluotano). Il protossido di azoto appartiene alla famiglia chimica degli ossidi. Il forano, l’etrano, il pentrano e l’alotano a quella degli anestetici alogenati. La circolare n. 5/1989 fornisce indicazioni per ognuno dei gas citati, e precisa che i TLV-TWA e TLC-Ceiling stabiliti dalla ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), quali limiti di riferimento, devono avere valore indicativo e non costituiscono una linea di demarcazione fra concentrazione nociva e innocua. Circa il protossido di azoto viene consigliato un TLV-TWA di 100 ppm per le sale operatorie esistenti e di 50 ppm per quelle nuove o ristrutturate. La circolare fornisce inoltre indicazioni per il monitoraggio di tali gas, per le relative modalità di campionamento e analisi, fornisce anche indirizzi tecnici per la corretta installazione e gestione delle apparecchiature di anestesia gassosa. Secondo numerose ricerche, l’esposizione professionale ai gas anestetici può indurre epatopatie, aborti spontanei, alterazioni ematologiche, modificazioni del sistema nervoso centrale e periferico. Vengono riferiti anche casi di riduzione dei livelli di vigilanza e rallentamento dei processi percettivi e motori. La diffusione di gas anestetici nell’ambiente di sala operatoria può essere causata da: – perdite del sistema di canalizzazione dei gas (raccordi, collegamenti, circuito ad alta pressione del respiratore); – diffusione di gas anestetici nella fase di induzione dell’anestesia; – diffusione di gas anestetici attraverso le vie respiratorie del paziente. Il contenimento del rischio da esposizione a gas anestetici in sala operatoria, può avvenire, secondo la circolare ministeriale, nei seguenti modi: – evitare, se possibile, l’impiego di anestetici per inalazione prima dell’intubazione tracheale; – garantire la massima aderenza della maschera sul viso, in caso di impiego di gas anestetici in induzione; – verifica della tenuta dai circuiti ad alta pressione e bassa pressione; – adozione di evaporatori con sistema chiuso di caricamento, anziché a vaschetta; – ossigenazione prolungata del paziente prima dell’estubazione; – chiusura dei gas a fine anestesia; – adozione di sistemi di raccolta e di scarico dei gas all’esterno; – adeguato numero di ricambi d’aria in sala operatoria; – periodici controlli analitici (monitoraggio del protossido di azoto, cadenza almeno semestrale per il controllo dell’inquinamento ambientale di tutti i gas anestetici); Tabella 4 - Parametri del metabolismo degli anestetici Percentuale di metabolizzazione Percentuale di eliminazione della sostanza immodificata Indice di ritenzione - 90% 3% Alotano 10-20% 60-80% 20-40% Enfluorano 2-10% 83% 35% Isofluorano 0,2% >70% 40% Anestetico Protossido di azoto X Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 – l’istituzione di procedure operative con verifica mensile. Si forniscono altre indicazioni per il contenimento dei gas anestetici ricavate dalla più recente letteratura scientifica in materia: – efficace ricambio di aria, con almeno 10 ACH (volumi/ora di aria di rinnovo); – adozione di un sistema di evacuazione localizzato dei gas anestetici (gas scavengig); – manutenzione dell’impianto di climatizzazione e adozione di procedure di buona tecnica nell’uso del gruppo anestesiologico. Il campionamento dei gas anestetici varia in funzione delle finalità dell’indagine: – scelta del punto di campionamento: va individuato in prossimità delle vie respiratorie dell’operatore o dell’area di lavoro per valutazioni relative all’esposizione del personale; in prossimità del probabile punto di diffusione del gas nell’ambiente per il controllo delle eventuali perdite; – scelta della persona su cui effettuare il campionamento: operatore direttamente esposto, personale di sala operatoria; – durata del campionamento: l’intero ciclo di lavoro, tipo di intervento operatorio; – volume di aria ambientale campionato (in funzione della sensibilità del metodo di analisi, della stima di concentrazione del gas nell’ambiente, del TLV di quel gas); – numero di campionamenti: da stabilirsi in funzione della variabilità del carico di lavoro; Il personale esposto a gas anestetici è soggetto a sorveglianza sanitaria e visita medica periodica. Come già evidenziato in Italia la rischiosità da gas anestetici, in sala operatoria, è regolamentata dalla citata circolare n. 5/1989, sull’esposizione professionale, che stabilisce limiti tecnici per il controllo del protossido d’azoto come indice guida delle sale operatorie. La circolare distingue due situazioni specifiche, quella relativa alle camere operatorie esistenti antecedentemente al 1989, e quelle costruite o ristrutturate successivamente a questa data, per le quali rispettivamente nel primo caso il valore massimo di TWA (settimanale) di protossido accettato è di 100 ppm, con il progetto di ridurre tale livello a 50 ppm attraverso bonifiche, mentre nel secondo caso il valore massimo di TWA è di 50 ppm. Il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) ha previsto valori di riferimento più restrittivi rispetto a quelli in vigore nella normativa italiana, e precisamente per il protossido d’azoto: 25 ppm, nelle sale di chirurgia generale, 50 ppm nelle sale dentistiche, mentre per gli anestetici alogenati: 2 ppm, se utilizzati da soli, e 0,5 ppm se usati insieme al protossido d’azoto. Danimarca e Norvegia hanno fissato per il protossido d’azoto 100 ppm, come TLV-TWA, e 500 ppm come TLV-STEL. L’ACGIH propone invece i seguenti limiti: 50 ppm, come TWA, per il protossido di azoto, 50 ppm per l’ alotano, 75 ppm per l’etrano, nessun limite per isofluorano. La Svezia ha fissato per l’etrano il limite di 10 ppm. Per consentire una più agevole comparazione fra i limiti di esposizione riportati, relativi alle diverse normative, questi ultimi sono riepilogati in Tabella 5. L’esame dei valori riportati nella Tabella 5 conduce a far riferimento ai limiti che tutelano maggiormente la salute degli operatori. Tabella 5 - Normative a confronto Protossido di azoto Anestetici alogenati Anestetici alogenati in miscela con il protossido di azoto TLV-TWA TLV-TWA TLV-TWA 0,5 ppm Italia Sale chirurgiche antecedenti al 1989 100 ppm Sale chirurgiche successive al 1989 50 ppm NIOSH Sale chirurgiche 25 ppm 2 ppm Sale chirurgiche 50 ppm alotano, 50 ppm etrano 75 ppm ACGIH Svezia Sale chirurgiche etrano 10 ppm Danimarca e Norvegia Sale chirurgiche Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 100 ppm TLV-TWA, 500 ppm TLV-STEL. XI Valutazione dell’esposizione: monitoraggio ambientale e biologico Per valutare l’esposizione degli operatori si ricorre a due distinti tipi di monitoraggio: – ambientale, che consente di misurare la concentrazione delle sostanze chimiche, presenti nell’ambiente di lavoro, e quindi di valutarne l’esposizione, per via inalatoria, nel turno di lavoro; – biologico, che consente di valutare l’esposizione globale alle sostanze chimiche presenti nell’ambiente di lavoro, mediante la misura, alla fine del turno di lavoro, di idonei indicatori biologici, presenti nelle urine e/o nel sangue, per determinare la quantità di anestetico assorbito. Quantificare i livelli dell’inquinamento e valutare l’esposizione dei lavoratori ai gas anestetici, in oggetto, sono azioni preliminari, necessarie per consentire di attuare le iniziative di bonifica degli ambienti di lavoro. Per la valutazione dell’inquinamento del blocco operatorio, costituito dalla sala di anestesia, dalla sala di risveglio, dalle camere dei chirurghi, dalle stanze degli infermieri, dalla sala di lavaggio delle mani, dalla sala di vestizione, dal portello dei materiali sterili e dal relativo deposito, è opportuno effettuare campionamenti: – nella sala operatoria (zona anestesia, zona operatoria, zona periferica della sala); – nei locali adiacenti e direttamente comunicanti (preparazione paziente, sterilizzazione, sala risveglio, ecc.). Dovrebbero quindi essere eseguiti prelievi, di lunga durata, in corrispondenza, per quanto possibile, della zona respiratoria del soggetto esposto ovvero dell’anestesista, dello strumentista, del chirurgo, del personale infermieristico e tecnico, ed accertate eventuali fonti di inquinamento, a livello dei sistemi valvolari, degli evaporatori, dei raccordi di bombole, delle prese per il protossido di azoto, della borsa respiratoria, del punto di uscita dei gas espirati, mediante misure istantanee in prossimità delle apparecchiature di anestesia lungo l’intero circuito respiratorio. I campionamenti, nelle posizioni fisse, possono essere eseguiti ponendo l’apparecchiatura a circa 160 cm di altezza dal pavimento. Per il campionamento possono essere impiegati, a seconda della finalità del prelievo, campionatori: passivi a diffusione che consentono una grande semplicità di esecuzione del campionamento senza interferire con le attività operative, vedi ad esempio la necessità del monitoraggio di un chirurgo, sul quale ovviamente non si può posizionare una pompa; la raccolta contemporanea di vari campioni; di ottenere valori medi ponderati di esposizione individuale. Lo svantaggio del campionatore passivo è di non consentire misure di tipo istantaneo; l’uso di campionatori passivi, che non consentono di effettuare misure di tipo istantaneo, è stato proposto da diversi autori sia per il campionamento dei gas anestetici alogenati, per i quali viene impiegata una fase stazionaria a base di carbone attivo, che per il protossido per il quale la fase stazionaria comunemente impiegata è rappresentata da setacci molecolari; attivi, costituiti da pompe tarate a flusso controllato, XII che aspirano volumi di aria noti e collegate con sacche di tedlar o con fiale, contenenti opportuni adsorbenti. Ad esempio, alcuni autori riportano, per il campionamento degli anestetici alogenati, le seguenti condizioni: l’aria viene aspirata con una pompa, tarata in genere tra i 50 ed i 100 ml/min, su fiale adsorbenti di carbone attivo o di carbone e setacci molecolari, per determinare il TWA (time weight average), come media temporale del prelievo espressa in otto ore. Per determinare i valori di STEL (short term exposure level) come valore di campionamento rapportato ad un elevato volume di aria in un tempo breve, il flusso di aspirazione comunemente impiegato è quello di 200 ml per 15 min. Il valore STEL deve essere rapportato solamente ad un picco di concentrazione giornaliero e non utilizzato ripetutamente ricavandone un dato medio. Per il campionamento, invece, del protossido di azoto l’aria viene immessa, tramite una pompa, in sacche di tedlar, o in fiale contenenti setacci molecolari, in quest’ultimo caso con un flusso compreso tra 10 e 20 ml/min. Dal punto di vista dell’analisi delle sostanze campionate può essere impiegata la seguente catena di strumentazione: – spettroscopio a infrarosso o fotoacustico che consente misurazioni istantanee, con lettura diretta e contemporanea del risultato, sia del protossido di azoto che degli alogenati. Mediante lo spettroscopio a infrarosso è possibile eseguire una verifica immediata della situazione ambientale nonché correlare l’andamento delle concentrazioni degli anestetici con precise situazioni lavorative e quindi identificare eventuali sorgenti di inquinamento; è anche possibile mediante un collegamento con un apposito «campionatore multipunto» riuscire ad avere, contemporaneamente, più dati provenienti da diversi punti di campionamento. I principali svantaggi di questo tipo di strumentazione sono quelli di richiedere una taratura periodica, di non eliminare possibili interferenze fra sostanze con stesse bande di assorbimento e di non consentire prelievi, nella zona respiratoria degli operatori, per le mansioni che comportano spostamenti. Un esempio applicativo è il campionamento del protossido d’azoto, mediante spettrofotometro infrarosso portatile, alla lunghezza d’onda di 4,55 m; – gascromatografo o GC-MS: dopo aver eseguito il campionamento ambientale, l’adsorbente può essere desorbito con solfuro di carbonio e l’eluato analizzato mediante gascromatografia, oppure il materiale adsorbente potrebbe essere introdotto in vials (fialette), contenenti acqua demineralizzata e, dopo un opportuno condizionamento, introdotto, mediante spazio di testa, nel gascromatografo. Fase stazionaria della colonna e rivelatore, dello strumento, andranno scelti in funzione della natura dei prodotti da analizzare. Ad esempio per l’analisi dei gas anestetici alogenati potrà essere più utilmente impiegato come rivelatore un ECD (detector a cattura di elettroni). Possibili interferenze di altre sostanze campionate contemporaneamente possono essere eliminate se, durante l’analisi, si utilizza, come rilevatore del gascromatografo, lo spettrometro di massa (MS). Per una più puntuale descrizione delle metodiche di campionamento ed analisi si rimanda alle metodiche Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 OSHA (Occupational Safety e Health Administration) U.S. Department of Labor o ad altre metodiche validate descritte in letteratura quali quella proposta da Pezzagno et al.. Il monitoraggio biologico degli anestetici volatili viene eseguito rispettivamente sui compartimenti alveolareespiratorio medio, ematico-venoso, urinario, degli operatori esposti, sui quali le sostanze da ricercare possono essere sia i componenti tal quali, non metabolizzati, che alcuni prodotti noti di biotrasformazione. Il monitoraggio biologico, eseguito sui campioni di aria espirata e su campioni di sangue venoso, può essere eseguito in diversi momenti della giornata lavorativa, più comunemente durante: – l’esposizione; – al termine dell’esposizione; – alla fine della settimana lavorativa. Se i prelievi vengono eseguiti durante l’esposizione, i valori individuati sono valori di concentrazione istantanei e pertanto direttamente collegati ai valori di concentrazione esistente in quel momento nell’ambiente di lavoro. Viceversa se i prelievi vengono eseguiti dopo l’esposizione, i risultati di questi ultimi devono essere correlati al valor medio della concentrazione dell’inquinante presente, nell’ambiente di lavoro, nel corso della giornata o delle giornate antecedenti al prelievo. Per quanto riguarda i risultati dei prelievi eseguiti sul comparto urinario essi devono essere collegati ad un valore ponderato della concentrazione dell’anestetico presente nell’ambiente di lavoro. La circolare n. 5/1989 riporta i valori biologici di riferimento che devono essere utilizzati per verificare l’esposizione degli operatori agli anestetici inalatori. Questi ultimi sono riassunti nella Tabella 6. Tabella 6 - Indicatori biologici Anestetico Indicatore biologico Alotano Acido trifluoroacetico nel sangue 2,5 mg/l sangue prelevato alla fine della settimana lavorativa ed alla fine dell’esposizione Alotano Isofluorano Alotano alveolare 0,5 ppm misurato in sala operatoria alla fine dell’esposizione Isofluorano urinario 18 nm/l urina dosato nelle urine prodotte dopo 4h di esposizione e prelevate alla fine dell’esposizione Protossido di azoto Protossido di azoto urinario 27 g /l dosato nelle urine prodotte dopo 4 h di esposizione e prelevate alla fine dell’esposizione. Questo valore biologico è equivalente a 50 ppm di concentrazione ambientale media Protossido di azoto Protossido di azoto urinario 55 g/l dosato nelle urine prodotte dopo 4 h di esposizione e prelevate alla fine dell’esposizione. Questo valore biologico è equivalente a 100 ppm di concentrazione ambientale media Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Sorveglianza sanitaria Poiché non esistono indicatori sicuri di effetto precoce sulla salute del personale esposto agli anestetici inalatori, ma solo una serie di effetti biologici aspecifici, i parametri che la legge propone per un monitoraggio clinico e di laboratorio sono alquanto generici. Sulla base della normativa italiana, il personale esposto deve essere sottoposto a controlli sanitari da parte del medico competente. Le principali norme a cui si deve far riferimento sono la circolare n. 5/1989, gli articoli 24 e 92, del D.P.R. n. 384/1990, il D.Lgs. n. 626/1994 e il D.Lgs. n. 242/ 1996. Un apposita commissione, costituita nell’ambito della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale, ha stabilito i criteri da adottare nell’ambito dei controlli al fine di: – valutare lo stato di salute dell’operatore e la sua idoneità alla mansione. Bisogna eseguire un primo controllo sanitario, prima dell’esposizione, evidenziando l’eventuale presenza di patologie a carico del sistema emolinfopoietico ed altri sistemi implicati nella patologia professionale da anestetici. A questo scopo durante la visita andranno raccolti dati anamnestici e valutata la funzionalità del sistema nervoso centrale e periferico. Tra gli esami di laboratorio e biologici, condotti sui singoli soggetti esposti, deve essere eseguito un esame ematologico completo, (Tabella 7), l’elettrocardiogramma, e lo studio della funzionalità epatica; – individuare ulteriori controlli sanitari per la loro esecuzione con periodicità. La circolare n. 5/1989 propone una frequenza dei controlli trimestrale, ciò nondimeno si ritiene che una periodicità annuale possa essere più appropriata. Qualora durante la visita medica emergano eventuali alterazioni potranno essere prese in considerazione ulteriori procedure diagnostiche. Tabella 7 - Monitoraggio clinico e biologico Esami di laboratorio Emocromo con formula Monitoraggio biologico Protossido d’azoto urinario Creatininemia, azotemia Transaminasi, GGT Esame urine completo D’altro canto, poiché i dati ambientali e quelli biologici sono direttamente interdipendenti, le periodicità del monitoraggio biologico e della sorveglianza sanitaria devono essere fissate in relazione all’entità dell’esposizione, come riportato in Tabella 8. È da precisare che il superamento dei limiti di esposizione potrebbe essere imputabile a carenze strutturali o impiantistiche: in tal senso una frequenza di monitoraggio ambientale più ravvicinata acquista significato solo se conseguente ad interventi di bonifica, per verificarne l’efficacia. Non è infatti di alcuna utilità eseguire monitoraggi con una periodicità eccessivamente ravvicinata per verificare l’osservanza di norme e regolamenti; è invece più opportuno privilegiare l’attività di verifica periodica XIII delle apparecchiature, dell’impianto di distribuzione del protossido, dell’efficienza dell’impianto di ventilazione ed applicare correttamente le procedure operative, secondo standard di qualità. Quindi, in tal senso, il monitoraggio ambientale riesce ad assumere anche una funzione di verifica della corretta attuazione delle misure di prevenzione di tipo procedurale, e deve comunque essere sempre eseguito dopo una qualsiasi modifica tecnologica o ambientale significativa, o a seguito di eventuali evidenze segnalate dal monitoraggio biologico. Prevenzione tecnica La circolare n. 5/1989 riporta una serie di suggerimenti comportamentali e di interventi tecnici finalizzati al contenimento della diffusione dei gas anestetici e quindi, in base agli esiti dei campionamenti, per riportare i valori di concentrazione del protossido di azoto entro il valore di 100 ppm. In particolare tale circolare pone l’accento sulla necessità di: evitare, ove possibile, l’impiego di anestetici per inalazione prima dell’intubazione orotracheale; garantire la massima aderenza della maschera al viso del paziente, qualora sia necessaria l’induzione in maschera con l’impiego di anestetici per inalazione; eseguire un attento ed accurato controllo delle eventuali perdite di anestetico. Per adempiere a questa incombenza bisognerà differenziare le tipologie degli interventi da eseguire in base alla peculiarità del circuito stesso, e cioè se si ha a che fare con un circuito a bassa o ad alta pressione. Il controllo della tenuta del circuito di anestesia impiegato deve essere eseguito prima di ogni seduta operatoria; controllare attentamente le eventuali perdite del sistema nel caso dei circuiti a bassa pressione, che collegano i flussimetri con il paziente, e cioè: – le varie connessioni, connettori ad Y; – i tubi del circuito non integri o montati in modo sbagliato; – le cupole delle valvole non a tenuta; – le valvole di scarico dei gas in eccesso, l’aggancio degli evaporatori intercambiabili e palloni respiratori; – i sistemi di assorbimento; – il cestello della calce sodata. È importante effettuare la seguente verifica: dopo aver chiuso la valvola di scarico e del raccordo a Y il sistema è funzionante se il flusso di ossigeno, necessario per mantenere stabilmente, nel sistema, una pressione di 40 cm di H2O, non supera i 100 ml/min. Questo controllo dovrà essere eseguito quotidianamente e comunque ogni qualvolta venga sostituita la calce sodata; verificare la tenuta delle fascette stringitubo, delle filettature dei tubi e delle chiusure a molla in presenza di circuiti ad alta pressione, che collegano le prese dell’impianto di distribuzione centralizzato e l’apparecchio di anestesia. I più comuni punti di perdita risultano essere: – i tubi di collegamento con l’impianto centralizzato; – il circuito ad alta pressione del respiratore. Di non minore importanza è la seguente verifica, che consiste nel controllare la pressione sul manometro dell’apparecchio di anestesia, dopo l’apertura del collegamento con l’impianto centralizzato di erogazione del protossido di azoto e dopo un’ora dalla sua chiusura. Se dopo questo tempo si riscontrerà una caduta della pressione nel sistema potrebbe esservi una perdita. Allo scopo di ridurre l’inquinamento dell’ambiente sarà ancora opportuno adottare le seguenti misure precauzionali: è preferibile adottare ogni soluzione che riduca la perdita di anestetico durante il travaso nei vaporizzatori, quindi impiegare evaporatori con sistema di caricamento chiuso (pyn safety) non a vaschetta ed eseguirne il riempimento sotto cappa, all’esterno della sala operatoria; chiudere tutti flussometri allorquando sia terminato l’impiego dei gas per l’anestesia; eseguire un ossigenazione prolungata del paziente prima dell’estubazione, in modo da ridurre l’emissione di gas; adottare idonei sistemi di raccolta e di scarico, sia dei gas espirati che di quelli pervenuti dal circuito paziente, e prevederne la verifica periodica; utilizzare flussi di gas più bassi possibile; controllare periodicamente l’impianto di ventilazione verificandone i ricambi dell’aria e sostituendone i filtri; prevedere interventi di manutenzione programmata allo scopo di verificare l’efficienza delle macchine, in modo da prevenire l’insorgenza di guasti e le fonti di inquinamento; avere a disposizione le parti di ricambio del circuito di anestesia in modo da poterle sostituire rapidamente in caso di malfunzionamento. Tabella 8 - Correlazione tra livelli di esposizione e le periodicità dei monitoraggi e della sorveglianza sanitaria Livelli di esposizione * Protossido atmosferico. (ppm) Monitoraggi - periodicità Protossido urinario (g/l) ambientale Sorveglianza sanitaria - periodicità biologico <50 <27 triennale annuale 50 - 100 < 55 biennale annuale annuale 100 - 300 55 - 60 (?) semestrale semestrale > 300 > 160 (?) trimestrale trimestrale * (I valori devono essere interpretati come valori di media ponderata per turno di lavoro TLV-TWA) XIV Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 Anche alcuni modi di agire dell’anestesista, nella scelta e nella condotta dell’anestesia e del personale di sala potrebbero influenzare la dispersione o il contenimento dei gas anestetici nella sala operatoria. Infatti laddove possibile, compatibilmente con le condizioni del paziente, e con la tipologia dell’intervento, l’anestesista potrebbe fare uso di anestesia endovenosa e loco-regionale, mentre il personale di sala adottando comportamenti corretti, quali quelli di non ostruire le riprese dell’aria con attrezzature superflue all’intervento chirurgico, o di tenere chiuse le porte per non ridurre la ventilazione delle sale, favorirà il normale ricircolo dell’aria, ostacolando il ristagno dei contaminanti aerodispersi. Requisiti degli impianti e degli apparecchi di anestesia Il D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 37 stabilisce i parametri termoigrometrici, che devono essere presenti in una sala operatoria e che sono realizzabili mediante un idoneo impianto di climatizzazione. Una loro più rapida visualizzazione viene presentata nella Tabella n 9. Tabella 9 - Parametri termoigrometrici (D.P.R. n. 37/1997) Parametro Limiti di legge Temperatura dell’aria 20-24ºC Umidità relativa 40-60% Ricambi aria/ora (aria esterna senza ricircolo) >15 v/h Filtraggio dell’aria > 99,97% Nelle sale operatorie di nuova realizzazione è necessario garantire un ricambio con aria esterna, senza ricircolo, di circa 15 vol/amb/h, con un gradiente pressorio positivo. Il provvedimento è necessario e, unitamente alle altre soluzioni tecniche precedentemente proposte, consente di ridurre l’inquinamento ambientale dovuto alla diffusione dei gas anestetici. Nelle sale operatorie già esistenti, nelle quali il numero di ricambi d’aria è inferiore a quello riportato in tabella 9, in attesa di un’adeguata ristrutturazione, dovranno essere potenziate le altre misure di sicurezza già precedentemente richiamate. L’impianto di condizionamento oltre a costituire l’elemento di base della progettazione per il controllo della qualità dell’aria nella sala operatoria contribuisce a garantire le condizioni di benessere termico all’interno della sala operatoria. Le condizioni di benessere dipendono, secondo quanto previsto dalla ISO 7730, da quattro parametri fisici e due individuali: – temperatura dell’aria; – temperatura radiante; – umidità; – velocità dell’aria; – calore derivante dall’attività svolta; – resistenza termica del vestiario. Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005 L’impianto di condizionamento ne influenza tre: – velocità dell’aria; – umidità; – temperatura dell’aria. Le condizioni microclimatiche da impiegare in generale devono soddisfare le esigenze di seguito riportate che non sempre sono collimanti con: – benessere termico del personale; – benessere termico del paziente; – necessità chirurgiche; – necessità di sicurezza in riferimento alla presenza di gas infiammabili. La letteratura fornisce per le sale operatorie le seguenti indicazioni: – la velocità dell’aria all’interno delle sale, all’altezza delle persone, deve avere un valore di 0,15-0,20 m/ sec e non essere superiore a 0,4 m/sec, per evitare fastidi alle persone; – l’umidità relativa deve attestarsi intorno al 50-60 %, influendo anche sulla presenza di gas infiammabili; – la temperatura dell’aria deve essere compresa tra 21 e 24 ºC. È possibile controllare le condizioni microclimatiche installando un termoigrometro e controllare la portata dell’aria dell’impianto di condizionamento, in funzione della caduta di pressione a monte e a valle dei filtri, mediante l’installazione di strumenti automatici. Ove possibile sarà opportuno installare l’apparecchio di anestesia nel senso del flusso di mandata e sulla via di espulsione dell’aria. Come già anticipato, ogni apparecchio di anestesia esistente deve essere revisionato ed adeguato ai requisiti di sicurezza e di tenuta, mentre gli apparecchi di nuova fornitura devono essere in possesso della certificazione della casa costruttrice o di distribuzione che ne garantisca la perfetta tenuta e sia già configurato sulla base delle nuove normative CEN. Sarebbe auspicabile che ogni apparecchio di anestesia fosse provvisto di dispositivo accessorio per il monitoraggio dei gas espirati (% alogenato). È opportuno adottare opportuni sistemi di evacuazione del gas del tipo attivo, cosı̀ come dell’espirato del paziente, quando viene utilizzato un sistema del tipo senza respirazione (non rebreathing); in tal modo sussistono le condizioni di essere collegati con tutte le prese di scarico dei gas in eccesso nei circuiti di anestesia. Altro accorgimento è quello di convogliare il sistema dei gas anestetici all’esterno in una posizione opportuna, in modo tale da non creare inquinamento di altri ambienti. Relativamente all’esecuzione di controlli periodici su apparecchiature ed impianti, oltre a quelli già precedentemente richiamati per i circuiti a bassa ed a alta pressione, è opportuno procedere a: – controllare con periodicità annuale l’impianto di distribuzione del protossido d’azoto; – sottoporre a controllo periodico l’impianto di evacuazione dei gas anestetici, preferibilmente in concomitanza con i controlli relativi agli apparecchi di anestesia, relativamente alla portata di aspirazione raccomandata dalla ditta costruttrice, ed alle connessioni tra circuito di anestesia e sistema di evacuazione gas; – verificare con periodicità possibilmente semestrale, XV impiegando idonei strumenti di misura, l’effettivo numero di ricambi d’aria orari; – devono essere periodicamente verificati i parametri termoigrometrici. È buona norma istituire un registro di controllo e manutenzione. Quanto sopra riportato è rappresentativo di interventi che, senza gravose innovazioni, ed in coerenza con le indicazioni ministeriali, possono assicurare il miglioramento della tutela della salute del personale in sala operatoria. Un utile strumento di sorveglianza permanente del rischio anestesiologico da parte dei servizi di prevenzione e protezione è il monitoraggio del consumo dei gas nonché delle tecniche anestesiologiche impiegate. La conoscenza di tali dati dà infatti la possibilità di verificare nel tempo l’andamento dell’entità del problema. – Pezzagno et al., Giornale italiano di medicina del lavoro, 1987, 9, 111-118. – Smith I., Nathanson M., White P.F., Sevoflurane a long awaited volatile anesthetic. British Journal of Anaesthesia, 1996; 76 435-445. – Stoelting R. K., Pharmacology and Physiology in Anesthetic Practice, III ed. 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XVI Inserto di ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2005