La società ideale - Filosofia e Scienze umane

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La società ideale - Filosofia e Scienze umane
Filosofia – Educare alla cittadinanza
La società ideale
D Utopia e distopia in un possibile dibattito in classe
di Gianluca Caputo
Abstract
Provate a chiedere, in una classe, quale possa essere una società ideale. Fatelo magari al quinto anno,
dopo aver svolto le grandi scuole filosofiche dell'Ottocento: Socialismo, Marxismo, Idealismo e
Positivismo e delle loro previsioni sulle società ideali future. Chiedete di confrontare le loro utopie
con quelle conosciute in passato nei grandi modelli letterari e infine confrontate i loro modelli con
la società attuale. Se non altro una bella lezione di cittadinanza ne verrà fuori.
Quale società ideale
Accanto al genere filosofico dell'utopia, la descrizione della società felice e perfetta (quindi da non
modificare), nel nostro secolo è nato il genere letterario della distopia, nel quale viene presentata,
non più nel sogno ma nell'incubo, la società peggiore possibile.
Sembra facile distinguerle... una programma una società felice, l'altra no, ma a ben guardarle sono
molto più simili di quanto sembrano. Utopia e distopia possono essere considerate figlie dello
stesso progetto che tenta di costruire società, migliori o peggiori, senza tener conto del lato
imprevedibile della libertà umana.
Una società utopica, nelle migliori intenzioni possibili di un autore, è una società fondata su
determinati valori ai quali, necessariamente, ogni individuo della società dovrà adeguarsi. In una
società utopica l'adeguamento sembra essere qualcosa di naturale, un po' come il cittadino della
Repubblica platonica: non si deve fare altro che seguire la propria natura; in quella distopica
l'adeguamento sarà invece un po' più forzato. Ma questo adeguamento, nell'ipotesi migliore, si
trova nella natura umana o nell'immagine che di essa ha chi pensa, progetta e, a volte, tenta di
realizzare tale utopia?
Ripercorriamo un rapido riepilogo di quelle che sono state le grandi utopie letterarie del passato
(Moro1, Campanella2, Bacone3, Mercier4, etc), e un anticipo di quelle che sono le celebri distopie del
'900 che più o meno tutti conoscono (Orwell e Huxley su tutti) può aiutare a instaurare una
discussione/dibattito che possa portare a meglio comprendere non solo i contributi a questo
1
Tommaso Moro, Utopia
Tommaso Campanella, La città del Sole
3
Francesco Bacone, Nuova Atlantide
4
Louis-Sebastien Mercier, L'anno 2440. Quest'ultima, opera di un intellettuale illuminista, è interessante per essere
posta in un tempo futuro e non in uno spazio remoto. Un anticipo delle grandi ideologie ottocentesche che prevedevano
le società migliori come un naturale progresso della razionalità umana.
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dibattito di Spencer e Popper che immediatamente seguiranno e ad affrontare con qualche "arma"
in più i grandi totalirismi del '900.
Un bel paradosso
Posero questa domanda a un simpatizzante anarchico (il cui nome non è qui importante): "Quale
società hai in mente che sia priva di leggi e costrizioni?", alla quale lui rispose (prima parte della
risposta): "Se lo sapessi creerei subito una società fatta di leggi e costrizioni: le mie idee di come dovrebbe
essere la società in cui anche gli altri devono vivere!". Un bel paradosso!
La società migliore che possa immaginare, qualsiasi paradiso essa sia, è comunque una una prigione
per tutti coloro che vi dovranno vivere. Una società ideale è un'idea e come tale magari non tutti
riescono naturalmente ad adeguarsi. La società migliore dovrebbe allora essere quella in cui tutti
possono adeguarsi, una società dunque che cambia con il cambiare di coloro che la vivono. Ma
come si può definire società migliore una società che cambia? Se era migliore prima non può esserlo
dopo, o viceversa. Siamo sempre nello stesso paradosso.
Analizzando meglio le distopie letterarie novecentesche forse ci accorgiamo che essere in qualche
modo svelano il carattere perverso che si annida nelle Utopie: la pretesa di decidere un valore per la
società che debba essere assunto e seguito da tutti, necessariamente.
Totalitarismi: utopie o distopie?
Domanda banale? Non crediamo. Proviamo a ragionare con il nostro pubblico: cosa ha reso i regimi
totalitari del XX secolo così oppressivi e oggi (almeno ai più) disgustosi? In fondo le distopie del XX
secolo si ispirano in buona parte proprio a questi regimi. Il loro farsi costruttori di idee perverse?
Chi si fa portatore di una idea non la giudica certo perversa, bensì coerente con la propria immagine
di società ideale. Perverso può essere forse il credere di imporla ad una società alla quale chiunque
dovrà adeguarsi (non dico imporla ad altri, perché la società viene prima... è a priori rispetto alla sua
realizzazione materiale, che è quella appunto fatta dai cittadini che la inverano).
Insegniamo da sempre nei nostri corsi di storia che è totalitario un regime che pretende di dare un
valore alle leggi, perché in questo modo obbliga, con la forza di esse, chiunque a riconoscersi in qual
valore che dovrebbe, invece, essere a discrezione dei singoli individui. È totalitario cioè il
cosiddetto Stato Etico, ovvero proprio il contenuto che sta alla forma di ogni Utopia!
Società reali
Superare il paradosso di cui sopra non porta che ad eliminare la causa dello stesso, e cioè
l'affermazione che esista una società migliore. E forse anche ad eliminare la necessità di pensarla, una
società.
Le società si realizzano nel mondo, non nelle idee. Quelli che si incontrano sono sono gli interessi
dei singoli, spesso anche imprevedibili, prima che l'incontro si realizzi, realizzando la necessità di
una convivenza.
Tale società può realizzarsi, adesso, in molti modi e dopo di che "giustificarsi" (come la filosofia
bene sa fare) in altrettanti.
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Società aperte
Seconda parte della riposta del simpatizzante anarchico alla domanda di cui sopra: "La società in cui
vorrei vivere è quella che realizzeremo, insieme, quando ci saremo liberati dalle costrizioni in cui ci troviamo in
questa. Se regole dovremo darci (e ce le dovremo dare) saranno condivise tra chi le deve seguire e non
imposte da chi le crede giuste".
Ecco: un modo per realizzare questa necessità di ordine da dare a chi concretamente realizza la
società (cioè gli individui) è affidare a qualcuno la facoltà di decidere cosa sia giusto e imporlo con
la forza delle legge. Anche se più di qualcuno ha asserito che una cattiva legge è sempre meglio di
nessuna legge5, torneremmo in questo caso a una forma più liquida di distopia: qualcuno che
decide, in virtù dei propri valori, di deliberare con la forza delle leggi cosa siano il bene e il male
assoluti.
Ci aspetteremmo, alla fine di questo dibattito, che naturalmente si giunga alle stesse conclusioni di
un Popper, un Locke o un Jefferson, prima sottilmente citato: che se le società sono la
concretizzazione della necessità di una convivenza tra persone reali, con esigenze e interessi
materiali diversi, tale dovrà nello stesso tempo garantire una struttura solida a questa stessa
convivenza affinché nessun interesse prevarichi sugli altri (cioè garantisca la presenza di regole),
senza però allo stesso tempo cancellarli (sostituendoli come in una qualsiasi Utopia con gli interessi
e i valori di uno).
Questo può realizzarsi se il potere legiferante non si sostituisce alla volontà dei singoli pretendendo
di giudicare cosa sia giusto o meno ma si limiti a dare regole formali (leggi) di convivenza comune
(esigenza materiale).
Si potrebbe ovviamente ribattere, e lo faremo, che anche le regole formali sono regole e
potrebbero, nel loro essere applicate materialmente, non rispettare il valore che il singolo può dare
alle leggi. Ci risponderemo, senza convincerci però del tutto, che le regole sono date da coloro che
le rispettano e che come conseguenza saranno "liquide", cioè modificabili a seconda del loro
riuscire a rispettare anche nella forma, la sostanza del loro fine: "garantire una convivenza".
Conclusioni
Non abbiamo detto niente di straordinario, siamo arrivati alle stesse conclusioni di un liberale
qualsiasi (non approfondiremo qui tutti i significati che questo termine, comunque, può avere) ma
lo abbiamo fatto, forse, passando per alcuni fondamentali concetti: i termini etici non dovrebbero
far parte di una discussione politica o comunque non farne parte pretendendo di essere universali;
le leggi devono garantire la massima libertà, dunque, etica, possibile; chi pretende di avere la
società migliore in tasca, di dire agli altri cosa è buono e cattivo, di quale sia il limite del buon senso
(e cioè il suo), magari dalla tastiera di un PC, è verosimilmente un ingenuo o un "possibile"
dittatore.
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Possiamo attribuire l'affermazione al sofista Antifonte ma in un certo senso anche Jefferson nelle prime
affermazioni della Dichiarazione di Indipendenza. Si sostiene in tutti i casi che fa parte della natura umana il darsi leggi
(regole di convivenza), essendo l'uomo animale sociale, e che anzi le leggi sono l'inveramente della sua stessa natura.
Privarsene significa quidi negare la propria natura e per questo un uomo ci pensa bene prima di rivoltarsi contro di esse,
anche quando sono ingiuste.
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