analisi su spazi omogenei e coppie di gelfand fulvio ricci 1

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analisi su spazi omogenei e coppie di gelfand fulvio ricci 1
ANALISI SU SPAZI OMOGENEI
E COPPIE DI GELFAND
FULVIO RICCI
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Capitolo I
SPAZI OMOGENEI E
COPPIE DI GELFAND
1. Azioni di gruppi e spazi omogenei
Siano G un gruppo e M un insieme. Si dice che G agisce su M se è definita una
applicazione ϕ : G → M M tale che:
(1) ϕ(e) = iM ;
(2) ϕ(gh) = ϕ(g)ϕ(h) per ogni g, h ∈ G.
Questo implica in particolare che ϕ(g) è biiettiva per ogni g e ϕ(g)−1 = ϕ(g −1 ).
In modo equivalente, si può dire che un’azione di G su M è un’applicazione
ψ : G × M → M tale che
(1’) ψ(e, x) = x per
ogni x ∈ M ;
(2’) ψ g, ψ(h, m) = ψ(gh, m) per ogni g, h ∈ G e x ∈ M .
Esempi.
(1.a) Sia G = Sn il gruppo delle permutazioni di n elementi, e sia M = {1, 2, . . . , n}.
Ponendo ψ(σ, k) = σ(k), si ha un’azione di G su M .
(1.b) Sia G = GL(n, R) il gruppo delle matrici invertibili reali n × n, e sia M = Rn .
Allora ψ(g, x) = gx è un’azione. Più in generale, una rappresentazione di un gruppo
G su uno spazio di Banach X individua un’azione di G su X. Si dice in questo caso
che l’azione è lineare.
2
(1.c) Sia S 2 =C ∪ {∞}
la sfera di Riemann. Il gruppo GL(2, C) agisce su S come
a b
segue: se g =
∈ G, si pone
c d
ψ(g, z) =
az + b
.
cz + d
Useremo spesso la notazione g · x in luogo di ψ(g, x). Le condizioni (1’) e (2’) si
scrivono
(1”) e · x = x;
(2”) g · (h · x) = (gh) · x.
Se G è un gruppo localmente compatto e M è uno spazio topologico di Hausdorff
localmente compatto, si dice che un’azione di G su M è topologica se la corrispondente applicazione ψ : G × M → M è continua. Nel seguito considereremo solo
azioni topologiche, anche senza menzionare esplicitamente la continuità di ψ.
Definizione. Dato x ∈ M , si chiama orbita di x il sottoinsieme Ox = {g · x : g ∈
G} di M .
Si chiama stabilizzatore di x ∈ M il sottogruppo Gx = {g : g · x = x} di G.
3
Un’azione di G su M si dice effettiva se dall’ipotesi g · x = x per ogni x ∈ M
segue che g = e.
Un’azione si dice transitiva se, dati x, y ∈ M , esiste g ∈ G tale che g · x = y.
Un’azione si dice semplicemente transitiva se, dati x, y ∈ M , esiste uno e un
solo g ∈ G tale che g · x = y.
Un’azione non effettiva diventa tale se si sostituisce a G il suo quoziente modulo
il sottogruppo H = {h ∈ G : h · x = x ∀ x ∈ M }. H è chiuso e normale di G e
l’azione di G induce in modo naturale un’azione di quoziente G/H su M ponendo
(gH) · x = g · x. Questa nuova azione è effettiva.
Risulta evidente dalle definizioni quanto segue.
Lemma 1.1.
(1) Per ogni g ∈ G, l’applicazione x 7→ g · x è un omeomorfismo di M in sé;
(2) la relazione su X data da x ∼ y se esiste g ∈ G tale che y = g · x è di
equivalenza, e le sue classi di equivalenza sono le orbite dell’azione;
(3) l’azione è transitiva se e solo se M consiste di un’unica orbita;
(4) lo stabilizzatore di un punto x ∈ M è un sottogruppo chiuso di G;
(5) se x, y ∈ M appartengono alla stessa orbita, i loro stabilizzatori sono sottogruppi coniugati tra loro; precisamente se y = g · x, allora Gy = gGx g −1 .
Definizione. Si chiama spazio omogeneo di un gruppo localmente compatto G una
coppia (M, ψ), dove M è uno spazio topologico di Hausdorff localmente compatto e
ψ è un’azione transitiva di G su M .
Dati due spazi omogenei (M, ψ) e (M 0 , ψ 0 ) di uno stesso gruppo G, un’applica-
zione continua F : M → M 0 si dice G-equivariante se ψ 0 g, F (x) = F ψ(g, x)
per ogni g ∈ G e x ∈ M .
I due spazi omogenei si dicono equivalenti se esiste un omeomorfismo G-equivariante F di M su M 0 .
Teorema 1.2. Sia H un sottogruppo chiuso (non necessariamente normale) di G.
Allora lo spazio quoziente G/H è di Hausdorff localmente compatto. L’azione di G
su G/H data da g · (g 0 H) = gg 0 H rende G/H uno spazio omogeneo.
Viceversa, sia M uno spazio omogeneo di G. Fissato x0 ∈ M , l’applicazione di
G su M che associa a un elemento g ∈ G il punto g · x0 ∈ M passa al quoziente
modulo lo stabilizzatore Gx0 di x0 e induce un’applicazione continua G-equivariante
Fx0 di G/Gx0 su M .
Dimostrazione. Per il Corollario 1.3 (4) del Cap. II, G/H è di Hausdorff. Poiché
le proiezioni canoniche su spazi quoziente sono aperte, se U è un intorno compatto
si g ∈ G, la sua proiezione sul quoziente è un intorno compatto di gH.
Poiché il prodotto è continuo da G × G in G, lo è anche la sua composizione
con la proiezione canonica del codominio G su G/H. Questa applicazione passa al
quoziente modulo H sul secondo fattore in G × G, per cui induce un’applicazione
continua da G × (G/H) su G/H, che è proprio l’azione indicata. Questa azione è
transitiva, perché (g 0 g −1 ) · gH = g 0 H per ogni g, g 0 ∈ G.
Sia ora (M, ψ) uno spazio omogeneo di G, e sia x0 ∈ M . L’applicazione ϕx0
da G in M data da ϕx0 (g) = g · x0 è continua
e suriettiva. Sia x = g · x0 un
−1
−1
0
−1
generico elemento di M . Allora g ∈ ϕx0 {x} se e solo se (g 0 g) · x0 = g 0 · x =
x0 , ossia se e solo se g 0 ∈ gGx0 . Quindi ϕx0 passa al quoziente modulo Gx0 , e
4
induce un’applicazione continua e biiettiva Fx0 di G/Gx0 su M . Tale applicazione
è chiaramente G-equivariante. In generale Fx0 non è un omeomorfismo. Consideriamo per esempio G = Rd , la
retta reale con la topologia discreta, M = R con la topologia euclidea, e l’azione
ψ(g, x) = g +x. Allora M è omogeneo; scegliendo x0 = 0, si ha G0 = {0}, e F0 = ϕ0
è l’applicazione identica da Rd in R.
Imponendo un’ipotesi topologica su G, precisamente che abbia una base numerabile, si può concludere che Fx0 è un omeomorfismo. La dimostrazione è basata sul
seguente teorema di categoria.
Lemma 1.3. Sia X uno spazio di Hausdorff localmente compatto, e sia {Cn }n≥1
un ricoprimento chiuso numerabile di X. Allora almeno uno dei Cn ha parte interna
non vuota.
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che ogni Cn abbia interno vuoto.
Sia U0 ⊂ X un aperto relativamente compatto. Poiché C1 non contiene U , esiste
x1 ∈ U0 \ C1 . Sia U1 un intorno aperto e relativamente compatto di x1 tale che
U1 ⊂ U0 e U1 ∩ C1 = ∅.
Procedendo induttivamente, si costruiscono una successione di punti xn e di
intorni Un di xn , aperti e relativamente compatti, tali che xn ∈ Un−1 \ Cn , Un ⊂
Un−1 e Un ∩ Cn = ∅.T
Esiste allora x̄ ∈ n≥0 Un . Ma allora x̄ 6∈ Cn per ogni n, il che è assurdo. Corollario 1.4. Se G ha una base numerabile e M è un suo spazio omogeneo,
allora, dato x0 ∈ M , l’applicazione Fx0 è un omeomorfismo di G/H su M .
In particolare, se in aggiunta l’azione di G su M è semplicemente transitiva,
allora Fx0 è un omeomorfismo di G su M .
Dimostrazione. Per dimostrare che Fx0 è un omeomorfismo, basta far vedere che
ϕx0 è aperta.
Sia {An } una base numerabile di G. Dato U , intorno compatto di e, sia V intorno
2
simmetrico
S di e tale che V ⊂ U . Per ogni n, sia poi gn tale che gn U ∩ An 6= ∅.
Allora n gn V è denso in G. Dato h ∈ G, sia n tale che hV ∩ gn V 6= ∅. Allora
h ∈ gn U , e dunque {gn U } è un ricoprimento di G.
Poniamo allora Cn = (gn U ) · x0 = ϕx0 (gn U ) ⊂ M . Poiché ogni Cn è compatto,
per il Lemma 1.3, esiste n tale che Cn ha un punto interno x = g · x0 .
Sia ora A un aperto di G. Dato h ∈ A, sia U intorno relativamente compatto di
e tale che hU ⊂ A. Se i Cn sono gli insiemi costruiti ora a partire da U 0 simmetrico
2
take che U 0 ⊂ U , esistono n e x interno a Cn = (gn U 0 ) · x0 .
Sia x = (gn u) · x0 , con u ∈ U 0 . Allora h · x0 = (hu−1 gn−1 ) · (gn u) · x0 è interno
a
(hu−1 gn−1 ) · Cn = (hu−1 U 0 ) · x0 ⊂ (hU ) · x0 ⊂ ϕx0 (A) .
Quindi ϕx0 (A) è aperto.
Esempi.
(1.d) Sia G = U (n) e M = S 2n−1 ⊂ Cn , con l’azione naturale data da g · z = gz.
Per verificare che M è uno spazio omogeneo, basta ripetere le osservazioni svolte
nell’Esempio 1.a del Cap. IV.
5
Fissiamo il punto e1 = (1, 0, . . . , 0) di S 2n−1 . Il suo stabilizzatore consiste delle
matrici g ∈ U (n) tali che ge1 = 1. Quindi deve essere
1
0
g=
 ...
∗
∗
..
.
···
···
..
.

∗
∗
.
.. 
.
0
∗
···
∗

Dall’identità g ∗ g = In si deduce che gli elementi sulla prima riga sono nulli
tranne il primo, per cui G si rappresenta a blocchi come
g=
1
0
0
h
,
con h matrice unitaria di dimensione (n − 1) × (n − 1). Quindi lo stabilizzatore di
e1 è un sottogruppo di U (n) isomorfo a U (n − 1). Con abuso di linguaggio, si scrive
S 2n−1 ∼ U (n)/U (n − 1). Questa identificazione è un omeomorfismo, perché U (n),
2
con la topologia indotta da C n , ha sicuramente base numerabile.
L’azione su S 2n−1 rimane transitiva se ci si restringe al sottogruppo SU (n) con
U (n). In tal caso S 2n−1 ∼ SU (n)/SU (n − 1).
Risultati analoghi valgono per la sfera S n−1 ⊂ Rn , con G = O(n), oppure
G = SO(n).
(1.e) Sia M il semipiano superiore {z = x + iy : y > 0} ⊂ C. Sia G = SL(2, R)
il gruppo delle matrici 2 × 2 reali con
uguale a 1. G agisce su M per
detrminante
a b
trasformazioni lineari fratte: se g =
,
c d
g·z =
az + b
.
cz + d
Bisogna osservare in proposito che, se z = x + iy ∈ M , allora
az + b
=m(g · z) = =m
cz + d
=
=m (az + b)(cz + d)
(ad − bc)y
=
>0,
2
|cz + d|
|cz + d|2
per cui anche g · z ∈ M . L’azione non è effettiva, in quanto g = −I lascia fisso ogni
punto di M .
Fissato il punto i ∈ M , il suo stabilizzatore è costituito dalle matrici
g=
cos θ
− sin θ
sin θ
cos θ
,
ossia il gruppo SO(2) delle matrici ortogonali 2 × 2 con determinante uguale a 1.
Quindi M ∼ SL(2, R)/SO(2).
(1.f) In geometria differenziale, una varietà Riemanniana M si dice omogenea se
per ogni coppia di punti x, y ∈ M esiste una isometria di M in sé che applichi x in
y.
6
Le isometrie di una varietà omogenea1 formano un gruppo per composizione.
Tale gruppo G ha una naturale struttura di gruppo localmente compatto (più precisamente di gruppo di Lie). Si ha un’azione di G su M ponendo g · x = g(x), e M
risulta quindi uno spazio omogeneo.
Lo stabilizzatore di un generico punto di M è compatto. Questo è dovuto a
una serie di fatti, cui accenniamo brevemente. Ogni isometria g : M → M è
un’applicazione C ∞ tra varietà. Come tale, è ben definita la nozione di differenziale
dgx come applicazione lineare tra lo spazio tangente Tx M a M in x nello spazio
tangente Tg(x) M in g(x). Vale inoltre la regola di composizione d(gh)x = dgh(x) dhx .
Se un’isometria g lascia fisso il punto x0 ∈ M , il suo differenziale dgx0 nel punto
x0 applica Tx0 M in sé. Per al regola di composizione dei differenziali, l’insieme
{dgx0 : g ∈ Gx0 } è un sottogruppo di GL(Tx0 M ), il gruppo delle trasformazioni
lineari invertibili di Tx0 M in sé. Inoltre l’applicazione g 7→ dgx0 è iniettiva.
La struttura di varietà Riemanniana presuppone poi che ogni spazio tangente
Tx M sia dotato di un prodotto scalare h , ix , che consente di definire una “lunghezza”, kvkx , per i vettori tangenti in x. Le isometrie di M hanno la proprietà
che i loro differenziali conservano la norma dei vattori tangenti: kdgx vkg(x) = kvkx
(o equivalentemente conservano il prodotto scalare tra vettori tangenti).
In particolare, se g ∈ Gx0 , dgx0 è una trasformazione ortogonale di Tx0 M in sé.
Quindi Gx0 è isomorfo a un sottogruppo del gruppo ortogonale O(Tx0 M ), che si
dimostra essere chiuso. Poiché i gruppi ortogonali sono compatti, si conclude che
Gx0 è compatto.
(1.g) L’Esempio 1.e si ricollega direttamente alla situazione generale descritta ora.
La metrica di Poincaré sul semipiano superiore M , per cui la lunghezza di un
vettore u + iv ∈ C applicato nel punto z = x + iy ∈ M è data da
ku +
ivk2z
u2 + v 2
,
=
y2
2
2
o, come si scrive abitualmente, ds2 = dx y+dy
, è tale che le trasformazioni lineari
2
a b
∈ SL(2, R) sono isometrie.
fratte g(z) = az+b
cz+d con
c d
Queste trasformazioni descrivono tutte le isometrie di M di tipo olomorfo. Vi
sono poi isometrie antiolomorfe, ottenute componendo quelle olomorfe con l’applicazione z 7→ −z̄, che pure è un’isometria di M .
Da un punto di vista topologico, il gruppo G delle isometrie di M è costituito da
due componenti connesse, quella delle isometrie olomorfe e quella delle isometrie
antiolomorfe.
2. Misure e operatori G-invarianti
Sia M uno spazio omogeneo di G. Da questo momento supporremo che
(1) lo stabilizzatore Gx di un generico elemento x ∈ M è compatto;
(2) posto K = Gx0 , con x0 ∈ M arbitrariamente scelto, M è omeomorfo a
G/K.
1 Per
tutto quanto non definito o dimostrato in questo esempio si rinvia a S. Helgason, Differential Geometry, Lie Groups and Symmetric Spaces.
7
Lemma 2.1. Sia M = G/K con K sottogruppo compatto di G, e sia Λ la proiezione canonica di G su G/K. L’applicazione Λ∗ che a f ∈ Cc (G/K) associa la
funzione Λ∗ f = f ◦ Λ su G è un isomorfismo tra Cc (G/K) e lo spazio Cc (G; K)
delle funzioni in Cc (G) invarianti per traslazioni destre per elementi di K (ossia
tali che Rk f = f per ogni k ∈ K).
Se dk è la misura di Haar normalizzata su K, l’applicazione che a f ∈ Cc (G)
associa la funzione
]
(2.1)
Z
f (g) =
f (gk) dk
K
ha come immagine Cc (G; K) e (f ] )] = f ] .
Dimostrazione. Chiaramente se f è una funzione definita su G/K,
f ◦ Λ(gk) = f ◦ Λ(g) ,
in quanto Λ(gk) = Λ(g). Viceversa se F è una funzione definita su G e F (gk) = F (g)
per ogni g ∈ G e ogni k ∈ K, allora F passa al quoziente modulo K, dando luogo
a una funzione F̃ su G/K tale che F = F̃ ◦ Λ. Inoltre F è continua se e solo se lo
è F̃ .
Meno evidente è che se f ha supporto compatto su G/K, allora f ◦Λ ha supporto
compatto in G. Mostriamo quindi che se C è compatto in G/K, allora Λ−1 (C) è
compatto in G.
Sia A = {Ai } un ricoprimento aperto di Λ−1 (C). Fissato x0 = g0 K ∈ C,
Λ−1 (x0 ) = g0 K ⊂ G è compatto, essendo un traslato di K. Esistono dunque
A1 , . . . , An ∈ A che ricoprono g0 K. Vogliamo vedere che gli stessi aperti ricoprono
gK se g è in un opportuno intorno di g0 .
Consideriamo l’applicazione prodotto da G × K in G. Dato k ∈ K esistono un
intorno Uk di g0 in G e un intorno Vk di k in K tali che Uk Vk ⊂ A1 ∪ · · · ∪ An .
Siano k1 , . . . , km ∈ K tali che Vk1 ∪ · · · ∪ Vkm = K, e sia U = Uk1 ∩ · · · ∩ Ukm . Allora
U K ⊂ A1 ∪ · · · ∪ An . Poiché U K è aperto, W (x0 ) = Λ(U K) è un intorno aperto
di x0 .
Questo vale per ogni x0 ∈ C. Esistono allora un numero finito di tali intorni
W (xj ) di punti x1 , . . . , xp ∈ C che ricoprono C. Per costruzione, Λ−1 (Wj ) è ricopribile con un numero finito di elementi di A. Essendo Λ−1 (C) contenuto nell’unione
dei Λ−1 (Wj ), esso ammette un sottoricoprimento finito.
L’ultima affermazione segue facilmente dalle proprietà della misura di Haar su
K. Una misura di Borel regolare µ su uno spazio omogeneo M si dice G-invariante
se µ(g · B) = µ(B) per ogni Boreliano B in M e ogni g ∈ G. La G-invarianza
equivale alla condizione
Z
Z
f (g · x) dµ(x) =
M
per ogni f ∈ Cc (M ) e ogni g ∈ G.
f (x) dµ(x)
M
8
Proposizione 2.2. Sia M = G/K con K sottogruppo compatto di G. Esiste su
M una misura di Borel regolare e positiva G-invariante, unica a meno di moltiplicazione per costanti positive.
Dimostrazione. Sia dg una misura di Haar
R sinistra su G. Consideriamo il funzionale
λ definito su C(G/K) dato da λ(f ) = G (Λ∗ f )(g) dg. Esso è ben definito perché
Λ∗ f ∈ Cc (G) e positivo. Per il Teorema di rappresentazione di Riesz, esiste una e
una sola misura di Borel regolare e positiva µ su G/K, tale che
Z
Z
Λ∗ f (g) dg .
f (x) dµ(x) =
G/K
G
Se h ∈ G, poniamo τh f (x) = f (h−1 · x). Allora Λ∗ τh = Lh Λ∗ , per cui
Z
−1
f (h
Z
· x) dµ(x) =
τh f (x) dµ(x)
G/K
G/K
Z
Λ∗ τh f (g) dg
=
ZG
=
ZG
=
Lh Λ∗ f (g) dg
Λ∗ f (g) dg
ZG
=
f (x) dµ(x) .
G/K
Dunque µ è G-invariante. Viceversa, sia ν una misura di Borel regolare, positiva
e G-invariante su G/K. Data f ∈ Cc (G), sia f ] ∈ Cc (G; K) definita dalla (2.1). Per
il Lemma 2.1, f ] = ψ ◦ Λ, con ψ ∈ Cc (G/K) univocamente determinata. Poniamo
allora
Z
Z
Z
λ(f ) =
ψ(x) dν(x) =
f (gk) dk dν(gK) .
G/K
G/K
K
Se x = gK e h ∈ G,
ψ(h
−1
−1
· x) = ψ(h
gK) = ϕ(h
−1
Z
g) =
Lh f (gk) dk .
K
Quindi
Z
λ(Lh f ) =
G/K
Z
−1
f (h
Z
gk) dk dν(gK) =
K
ψ h−1 (gK) dν(gK) = λ(f ) .
G/K
La misura positiva m su G corrispondente al funzionale positivo λ per il Teorema
di rappresentazione di Riesz è dunque
una misura di Haar. Esiste quindi una
R
costante c > 0 tale che λ(f ) = c G f (g) dg. Ma allora, data F ∈ Cc (G/K), sia
f = F ◦ Λ. Poiché f è K-invariante a destra, f ] = f e
Z
Z
F (x) dν(x) = λ(f ) = c
G/K
Z
f (g) dg = c
G
F (x) dµ(x) .
G/K
9
Quindi ν = cµ. In Lp (G) (rispetto a una misura di Haar sinistra) abbiamo dunque i sottospazi:
Lp (K; G), Lp (G; K), Lp (K; G; K) delle funzioni, rispettivamente, K-invarianti a
sinistra, K-invarianti a destra, bi-K-invarianti. Ciascuno di essi è chiuso e gli
operatori
Z
Z
Z
f 7−→
f (kg) dk ,
f 7−→
f (gk) dk ,
f 7−→
f (k1 gk2 ) dk1 dk2
K
K
K×K
sono proiettori di norma 1 di Lp (G) su ciascuno di tali sottospazi rispettivamente2 .
Per p = 2, essi sono i corrispondenti proiettori ortogonali.
Rispetto alla convoluzione, valgono le seguenti inclusioni (che scriviamo con p = 1
per semplictà):
(2.2)
L1 (K; G) ∗ L1 (G) ⊂ L1 (K; G) ,
L1 (G) ∗ L1 (G; K) ⊂ L1 (G; K) .
Da queste seguono altre ovvie conseguenze, per es. L1 (K; G) ∗ L1 (G; K) ⊂
L (K; G; K), ecc.
1
Esempi.
(2.a) La misura di Hausdorff (n−1)-dimensionale su S n−1 ⊂ Rn è invariante rispetto
all’azione di O(n). Questo segue facilmente dal fatto che la misura di Lebesgue
su Rn è pure O(n)-invariante. Analogamente, la misura di Hausdorff (2n − 1)dimensionale su S 2n−1 ⊂ Cn è invariante rispetto all’azione di U (n). Un modo
semplice per rendersi conto di ciò consiste nell’osservare che U (n) è il gruppo delle
trasformazioni C-lineari che, viste come applicazioni di R2n in sé, sono ortogonali.
Con abuso di linguaggio si dice che U (n) ⊂ O(2n).
(2.b) Si verifica facilmente che la misura dµ(x+iy) =
di SL(2, R) sul semipiano superiore.
dx dy
x2 +y 2
è invariante per l’azione
Nel corso della dimostrazione precedente abbiamo introdotto la notazione
(2.3)
τg f (x) = f (g −1 · x) .
Fissata una misura di Borel positiva G-invariante dx su M , indichiamo con
Lp (M ) gli spazi di Lebesgue relativi a tale misura. Si vede facilmente che
kτg f kp = kf kp
per ogni p ∈ [1, ∞]. Inoltre, adattando la dimostrazione del Lemma 4.5 del Cap.II,
si vede pure facilmente che l’applicazione g 7→ τg f è continua da G in Lp (M ) per
ogni f ∈ Lp (M ) se p < ∞ e per ogni f ∈ C0 (M ) se p = ∞. In particolare τ
definisce una rappresentazione unitaria di G su L2 (M ).
Poiché
Λ∗ (τg f ) = Lg (Λ∗ f ) ,
2 Per
una verifica, bisogna tener conto che la funzione modulare di G è identicamente uguale a
1 su K per compattezza.
10
τ è equivalente alla sottorappresentazione della rappresentazione regolare L di G
sul sottospazio L2 (G; K) delle funzioni K-invarianti a destra.
Consideriamo ora un operatore integrale su M , definito su Cc (M ),
Z
(2.4)
T f (x) =
Φ(x, y)f (y) dy ,
M
con Φ continua su M × M .
Diciamo che T è G-invariante se
T (τg f ) = τg (T f )
per ogni funzione f e ogni g ∈ G.
Teorema 2.3. Sia x0 un punto fissato in M , e sia K = Gx0 . Le seguenti proprietà
sono equivalenti:
(1) T è G-invariante;
(2) Φ(g · x, g · y) = Φ(x, y) per ogni g ∈ G e ogni x, y ∈ M ;
(3) esiste una funzione ϕ continua su M e K-invariante ( soddisfacente cioè
l’identità ϕ(k · x) = ϕ(x)), tale che Φ(x, g · x0 ) = ϕ(g −1 · x);
(4) esiste una funzione ψ continua su G e bi-K-invariante (soddisfacente cioè
l’identità ψ(k1 gk2 ) = ψ(g)), tale che
Φ(g · x0 , h · x0 ) = ψ(h−1 g) .
(2.5)
Inoltre, se Φ e ψ son legate dalla (2.5), e Λ(g) = g · x0 , allora
Λ∗ (T f ) = (Λ∗ f ) ∗ ψ .
Dimostrazione. Se T è G-invariante,
Z
Φ(g −1 · x, y)f (y) dy = τg (T f )(x)
M
= T (τg f )(x)
Z
=
Φ(x, y)f (g −1 y) dy
ZM
=
Φ(x, g · y)f (y) dy .
M
Dall’arbitrarietà di f e di x segue l’identità Φ(g −1 ·x, y) = Φ(x, g·y). Procedendo
a ritroso, si conclude che (1) ⇔ (2).
Supponiamo ora che valga la (2). Posto ϕ(x) = Φ(x, x0 ), si ha per k ∈ K
ϕ(k · x) = Φ(k · x, x0 ) = Φ(x, k −1 · x0 ) = Φ(x, x0 ) = ϕ(x) .
Inoltre
Φ(x, g · x0 ) = Φ(g −1 · x, x0 ) = ϕ(g −1 · x) ,
per cui (2) ⇒ (3).
11
Per vedere che (3) ⇒ (4), basta prendere ψ = ϕ ◦ Λ.
Vediamo ora che (4) ⇒ (2). Se ψ è continua e bi-K-invariante su G, sia Φ data
dalla (2.5). Se x = h1 · x0 e y = h2 · x0 ,
Φ(g · x, g · y) = Φ (gh1 ) · x0 , (gh2 ) · x0
= ψ (gh2 )−1 gh1 ) = ψ(h−1
2 h1 )
= Φ(x, y) .
Si noti che una funzione K-invariante su M , come in (3), è una funzione costante
sulle orbite dell’azione di K. Le equivalenze stabilite nel Teorema 2.3 valgono anche
per nuclei Φ che siano semplicemente localmente integrabili.
Esempi.
(2.c) Sia G = O(n), M = S n−1 la sfera unitaria in Rn . Lo stabilizzatore di x0 = e1
è il sottogruppo K, isomorfo a O(n − 1), costituito dalle matrici
k̃ =
1
0
0
k
,
con k ∈ O(n − 1) (in questo c’è completa analogia con l’Esempio 1.d). L’elemento
k̃ ∈ K applica il punto x = (x1 , x2 , . . . , xn ) ∈ S n−1 nel punto
k̃ · x = x1 , k(x2 , . . . , xn ) .
Poiché O(n − 1) agisce in modo transitivo sulla sfera S n−2 , l’orbita di x sotto
l’azione di K è il “parallelo” (con polo e1 ) costituito dai punti di S n−1 aventi la
stessa coordinata x1 .
Una funzione K-invariante su S n−1 è dunque una funzione dipendente solo dalla
coordinata x1 (dalla “latitudine”). Una tale funzione si dice zonale.
Il gruppo O(n) può essere sostituito dal gruppo SO(n) delle matrici ortogonali
di determinante 1 (si noti che una matrice ortogonale ha determinante ±1). Le
conclusioni sono le stesse.
(2.d) Sia G il gruppo dei moti Euclidei su Rn , uguale al prodotto semidiretto di Rn
(sottogruppo delle traslazioni) con O(n) (sottogruppo delle rotazioni). Il prodotto
di (k, v) ∈ O(n)×Rn per (k 0 , v 0 ) è dato da (kk 0 , kv 0 +v) (v. Esempio 3.c del Cap.II).
G agisce in modo naturale su Rn :
(k, v) · x = kx + v ,
e l’azione è transitiva. Lo stabilizzatore del punto 0 è il sottogruppo K = O(n)
delle rotazioni. Una funzione K-invariante su Rn è una funzione costante su tutte
le sfere centrate nell’origine, ossia una funzione radiale.
(2.e) Sia H un gruppo compatto. Si prenda G uguale al prodotto diretto H × H,
e si consideri la sua azione su M = H data da
(h, h0 ) · x = hxh0
−1
.
12
L’azione è transitiva e lo stabilizzatore dell’elemento neutro e ∈ H è il sottogruppo “diagonale” K = {(h, h) : h ∈ H}, isomorfo a H. Una funzione f su
H = M è K-invariante se e solo se
f (h, h) · x = f (hxh−1 ) = f (x)
per ogni h, x ∈ H. Essa è dunque una funzione centrale.
Il Teorema 2.3R assume in questo caso la seguente formulazione: un operatore integrale T f (x) = H Φ(x, y)f (y) dy commuta con le traslazioni sia destre che sinistre
su H se e solo se Φ(x, y) = ϕ(y −1 x) con ϕ centrale, e di conseguenza T f = ϕ ∗ f .
3. Spazi omogenei compatti e armoniche sferiche
Sia G un gruppo compatto, K un suo sottogruppo chiuso, e M = G/K il corrispondente spazio omogeneo. Vogliamo utilizzare i risultati del Cap.V per ottenere
la decomposizione di L2 (M ) sotto l’azione di G, ossia le componenti irriducibili della
rappresentazione τ del paragrafo precedente.
Usando la corrispondenza tra funzioni su G/K e funzioni K-invarianti a destra su
G, stabilita nel Lemma 2.1, possiamo ricondurre il problema a quello di decomporre,
rispetto all’azione della rappresentazione L, il sottospazio L2 (G; K) delle funzioni
f ∈ L2 (G) tali che Rk f = f per ogni k ∈ K.
Per il Corollario 3.3 del Cap.V,
L2 (G; K) =
X
L2 (G; K) ∩ M π .
π∈P
Si tratta dunque di individuare le funzioni K-invarianti a destra in M π .
Definizione. Una rappresentazione π di G si dice di classe 1 rispetto a K se
esistono vettori v non nulli in Hπ tali che π(k)v = v per ogni k ∈ K.
Indichiamo con HπK il sottospazio di Hπ costituito dai vettori K-invarianti.
Lemma 3.1. L’intersezione L2 (G; K) ∩ M π è non banale se e solo se π è di classe
1 rispetto a K. Esso è generato dai coefficienti ϕπv,w con v ∈ Hπ e w ∈ HπK .
Dimostrazione. Chiaramente L2 (G; K) ∩ M π è un sottospazio L-invariante di M π .
Per il Lemma 2.3 (5), esso è la somma diretta di sottospazi di M π della forma v M π .
Se un tale sottospazio è costituito da funzioni K-invarianti a destra, vuol dire in
particolare che, per ogni w ∈ Hπ e ogni k ∈ K,
hπ(k)v, wi = ϕw,v (k) = ϕw,v (e) = hv, wi .
Quindi v ∈ HπK . Viceversa, è facile vedere che, se v ∈ HπK , allora v M π ⊂
L2 (G; K). Dal Teorema di Peter-Weyl si ricava a questo punto la seguente decomposizione
di L2 (M ). Le notazioni sono quelle del Cap.V.
13
Teorema 3.2. Sia PK il sottoinsieme di P costituito dalle rappresentazioni di
classe 1 rispetto a K. Per ogni π ∈ PK si fissi una base {eπi , . . . , eπdπ } di Hπ , tale
che {e1 , . . . , eπmπ }, con mπ ≤ dπ , sia una base di HπK . Allora il sistema
p
dπ ϕπj,k π∈P , j≤d , k≤m
π
K
π
forma una base ortonormale di L2 (G; K). Queste funzioni passano al quoziente
modulo K, dando luogo a una base ortonormale di L2 (G/K).
In modo analogo si ricava la seguente descrizione dello spazio L2 (K; G; K) delle
funzioni bi-K-invarianti su G, isomorfo allo spazio delle funzioni K-invarianti in
L2 (M ).
Teorema 3.3. Siano PK , ϕπj,k come sopra. Il sistema
p
dπ ϕπj,k π∈P , j,k≤m
K
π
forma una base ortonormale di L2 (K; G; K).
Nel resto di questo paragrafo analizziamo in dettaglio un caso particolare: G =
SO(n) e M = S n−1 .
Per il Teorema di Stone-Weierstrass, lo spazio P dei polimoni in n variabili è
uniformemente denso in C(S n−1 ), e dunque denso in L2 (S n−1 ). Indichiamo con Pk
il sottospazio dei polinomi omogenei di grado k,
X
p(x) =
cα x α .
|α|=k
Chiaramente
P=
∞
X
Pk ,
k=0
e se g ∈ SO(n) e p ∈ Pk , anche τg p = p ◦ g −1 è in Pk . Quindi
Vk = {p|Sn−1 : p ∈ Pk }
è un sottospazio invariante di dimensione finita di L2 (S n−1 ) e la somma dei Vk è
densa in L2 (S n−1 ). Tuttavia, l’operatore di restrizione alla sfera non è iniettivo,
per cui i Vk non sono a due a due disgiunti. Per esempio, |x|2 = x21 + · · · + x2n = 1
sulla sfera. Occorre quindi trovare una descrizione più precisa di tali spazi e delle
loro componenti SO(n)-invarianti.
Introduciamo su Pk il prodotto scalare di Riesz-Fischer
(3.1)
hhp, qii = p(∂x )q̄ ,
P
dove p(∂x ) = |α|=k cα ∂xα . Poiché p e q sono costituiti da monomi dello stesso
grado, il secondo membro della (3.1) è una costante. Precisamente, se |α| = |β| = k,
∂xα (xβ ) = ∂xα11 (xβ1 1 ) ∂xα22 (xβ2 2 ) · · · ∂xαnn (xβnn ) = δα,β α! ,
con α! = α1 !α2 ! · · · αn !. Da questa formula seguono facilmente le proprietà di
prodotto scalare.
Indichiamo inoltre con P0k ⊂ Pk lo spazio dei polinomi omogenei di grado k e
armonici, aventi cioè Laplaciano nullo.
14
Lemma 3.4. Pk si decompone come somma diretta
Pk = |x|2 Pk−2 ⊕ P0k ,
dove i due addendi sono ortogonali rispetto al prodotto scalare di Riesz-Fischer.
Dimostrazione. Consideriamo l’operatore T : Pk−2 → Pk dato dalla moltiplicazione
per |x|2 . Allora Pk = im T ⊕ker T ∗ come somma ortogonale. Dati p ∈ Pk , q ∈ Pk−2 ,
si ha allora
hhq, T ∗ pii = hhT q, pii
= q(∂x )∆p̄
= hhq, ∆pii ,
in quanto, se r(x) = |x|2 , r(∂x ) = ∆. Quindi ker T ∗ = Pk0 . Quindi ogni polinomio omogeneo di grado k si decompone in modo unico come
somma q(x) + |x|2 r(x), dove q è armonico e r ha grado k − 2.
Teorema 3.5. Un polinomio omogeneo p ∈ Pk si decompone in uno e un solo
modo come
(3.2)
p(x) = pk (x) + |x|2 pk−2 (x) + |x|4 pk−4 (x) + · · ·
con ogni pj armonico e omogeneo di grado j.
La restrizione a S n−1 di ogni polinomio coincide con la restrizione di uno e un
solo polinomio armonico. Posto
Hk = {p|Sn−1 : p ∈ P0k } ,
gli spazi Hk sono a due a due ortogonali in L2 (S n−1 ), SO(n)-invarianti, e la loro
somma è densa in L2 (S n−1 ).
Se n ≥ 3, la restrizione τk di τ a ogni Hk è irriducibile, e τk ∼ τk0 se e solo se
k = k0 .
Gli elementi di Hk si chiamano armoniche sferiche di grado k.
Prima di dare la dimostrazione, enunciamo due lemmi.
Lemma 3.6. Sia A una matrice n × n. Allora
∆(f ◦ A)(x) =
n
X
bj,k ∂j ∂k f (Ax) ,
j,k=1
dove (bj,k ) = A tA. In particolare, se A è ortogonale, ∆(f ◦ A)(x) = ∆f (Ax).
Dimostrazione. Sia A = (aj,k ). Allora
∂i (f ◦ A)(x) =
X
aj,i ∂j f (Ax) ,
j
e
∂i2 (f ◦ A)(x) =
X
j,k
aj,i ak,i ∂j ∂k f (Ax) .
15
Quindi
∆(f ◦ A)(x) =
X
=
X
∂i2 (f ◦ A)(x)
i
aj,i ak,i ∂j ∂k f (Ax)
i,j,k
=
XX
i
j,k
L’ultima affermazione è evidente.
aj,i ak,i ∂j ∂k f (Ax) .
Lemma 3.7. Sia V un sottospazio τ -invariante di L2 (S n−1 ) contenente, a meno
di moltiplicazione per scalari, una sola funzione K-invariante, dove K = SO(n − 1)
è lo stabilizzatore di e1 = (1, 0, . . . , 0). Allora la restrizione di τ a V è irriducibile.
Dimostrazione. Il sottospazio π ∗ V ⊂ L2 (G; K) ⊂ L2 (G) è L-invariante. Per il
Corollario 3.3 e il Lemma 2.3 del Cap.V, π ∗ V è la somma diretta di sottospazi
irriducibili vj M π , con {vj } sistema ortonormale in Hπ . Per il Lemma 3.1, deve
essere vj ∈ HπK . Per ognuno di tali sottospazi irriducibili, la funzione ϕπvj ,vj è in
π ∗ V ed è bi-K-invariante. Riportando tali funzioni su G/K = S n−1 , si ottengono
altrettante funzioni K-invarianti e linearmente indipendenti. Di conseguenza solo
uno di tali spazi può essere presente in π ∗ V , che è pertanto irriducibile. Allora
anche V è irriducibile rispetto a τ . Dimostrazione del Teorema 3.5. Si decomponga p ∈ Pk come p(x) = pk (x) +
|x|2 r(x), con q ∈ P0k e r ∈ Pk−2 . Si applichi quindi la stessa decomposizione a
r e cosı̀ via. Si giunge in tal modo alla (3.2). L’unicità della decomposizione è
conseguenza del Lemma 3.4.
Preso un generico polinomio p ∈ P, si decomponga prima p nella somma delle sue
componenti omogenee, e si applichi poi a ciascuna di esse la (3.2). Vale allora per
p la (3.2), con la differenza che i polinomi pj non sono più omogenei, pur restando
armonici. La restrizione di p a S n−1 coincide allora con quella di
p̃(x) = pk (x) + pk−2 (x) + pk−4 (x) + · · · ,
che è armonico.
Per vedere che p̃ è l’unico polinomio armonico tale che p̃|Sn−1 = p|Sn−1 , sia q un
altro polinomio con la stessa proprietà. Allora q − p̃ è armonico e nullo su tutta
la sfera. Per il principio del massimo, esso è nullo sulla palla unitaria Bn , da cui
q = p̃.
Siano ora p ∈ P0k e q ∈ P0j . Per la loro omogeneità,
∂
∂ k
p(rx) =
r p(x) = krk−1 p(x) ,
∂r
∂r
∂
e analogamente ∂r
q(rx) = krj−1 q(x). In particolare, se ω ∈ S n−1 e
lungo la normale uscente dalla sfera,
∂p
(ω) = kp(ω) ,
∂n
∂q
(ω) = jq(ω) .
∂n
∂
∂n
è la derivata
16
Per il Teorema di Gauss-Green,
Z
Z
∂p
∂ q̄
(j − k)
p(ω)q̄(ω) dω =
p(ω) (ω) − q̄(ω) (ω) dω
∂n
∂n
S n−1
S n−1
Z
=
p(ω)∆q̄(ω) − q̄(ω)∆p(ω) dω
Bn
=0.
Quindi, se j 6= k, Hj e Hk sono ortogonali in L2 (S n−1 ). Per il Lemma 3.6, Hk
è τ -invariante.
Per vedere che τk è irriducibile, basta far vedere, per il Lemma 3.7, che Hk
contiene, a meno di scalari, un’unica funzione K-invariante.
Sia allora p ∈ P0k un polinomio armonico omogeneo di grado k e K-invariante.
Indichiamo un punto x ∈ Rn come (x1 , x0 ), con x1 ∈ R e x0 = (x2 , . . . , xn ) ∈ Rn−1 .
Per ogni x1 fissato, p(x1 , ·) è una funzione su Rn−1 invariante rispetto all’azione di
SO(n − 1). Per l’Esempio (2.d), essa dipende solo da |x0 |. Quindi
p(x1 , x0 ) = c0 xk1 + c1 xk−2
|x0 |2 + · · · + xk−2j
|x0 |2j + · · · .
1
1
Imponiamo a tale funzione di essere armonica. Semplici calcoli danno
∂x21 xk−2j
|x0 |2j = (k − 2j)(k − 2j − 1)x1k−2j−2 |x0 |2j
1
∂x2` xk−2j
|x0 |2j = 2j(2j − 2)xk−2j
xe ll2 |x0 |2j−4 + 2jxk−2j
|x0 |2j−2 ,
1
1
1
se ` ≥ 2. Sommando si ottiene
∆ xk−2j
|x0 |2j = (k − 2j)(k − 2j − 1)xk−2j−2
|x0 |2j + 2j(2j − 2+ n − 1)xk−2j
|x0 |2j−2 .
1
1
1
Quindi
∆p(x1 , x0 ) = k(k − 1)c0 + 2(n − 1)c1 xk−2
1
+ (k − 2)(k − 3)c1 + 4(n + 1)c2 xn−4
|x0 |2 + · · ·
1
Perché p sia armonico, occorre che i singoli addendi siano nulli. Assegnato un
valore non nullo a c0 , si determinano ricorsivamente i valori degli altri coefficienti
in modo univoco.
La non equivalenza delle τk segue dal fatto che le dimensioni degli spazi Hk sono
tutte diverse. Per il Lemma 3.4,
dim Hk = dim P0k = dim Pk − dim Pk−2 .
La dimensione di Pk è uguale al numero di monomi xα di grado k. Dato t ∈ R,
si consideri la serie
X
X
t|α| xα =
(tx)α
α∈Nn
α∈Nn
=
X
∞
(tx1 )
α1 =0
=
α1
···
X
∞
(txn )
αn =0
1
,
(1 − tx1 ) · · · (1 − txn )
αn
17
in cui si ha convergenza se |txj | < 1 per ogni j. Posto xj = 1 per ogni j, si ottiene,
per |t| < 1, l’identità
X
α∈Nn
t
|α|
∞ X
1
n+k−1 k
=
=
t .
(1 − t)n
n−1
k=0
Ma il coefficiente di tk a primo membro è uguale al numero di multiindici α con
|α| = k. Quindi dim Pk = n+k−1
e infine
n−1
n+k−1
n+k−3
dim Hk =
−
n−1
n−1
(n + k − 3)(n + k − 4) · · · (k + 1)
,
= (n + 2k − 2)
(n − 2)!
quantità che è strettamente crescente in k. In dimensione n = 2, La decomposizione in armoniche sferiche si comprende
facilmente se si usa la variabile complessa z = x + iy in luogo delle due coordinate
reali. Un generico polinomio omogeneo di grado k ha la forma
p(z) = c0 z k + c1 z k−1 z̄ + · + cj z k−j z̄ j + · + ck z̄ k .
Il primo addendo è olomorfo, dunque armonico; l’ultimo è pure armonico perché
antiolomorfo. In ciascuno dei termini intermedi si può mettere in evidenza un
fattore z z̄ = |z|2 ottenendo p(z) = q(z) + |z|2 r(z), con
q(z) = c0 z k + ck z̄ k ,
r(x) =
k−1
X
cj z k−j−1 z̄ j−1 .
j=1
Ripetendo questa decomposizione su r e cosı̀ via, si giunge a scrivere
p(z) = c0 z k + ck z̄ k + |z|2 (c1 z k−2 + ck−1 z̄ k−2 ) + |z|4 (c2 z k−4 + ck−2 z̄ k−4 ) + · · · .
Quindi i polinomi omogenei armonici di grado k sono le combinazioni lineari di
z e z̄ k . Le loro restrizioni a S 1 = T sono i caratteri e±ikt . La decomposizione in
armoniche sferiche coincide dunque con lo sviluppo di Fourier sul toro. Si noti che
in questo caso gli spazi Hk hanno dimensione 2 (se k ≥ 1) e non sono irriducibili3 .
k
Corollario 3.8. Le rappresentazioni τk di G = SO(n) sono, a meno di equivalenza,
tutte e sole quelle di classe 1 rispetto a K = SO(n − 1). Per ogni k ∈ N, il
sottospazio HkK ha dimensione 1.
Le funzioni in HkK si chiamano armoniche zonali di grado k.
3 Diventano
però irriducibili sotto l’azione di O(2).
18
4. Coppie di Gelfand
La discussione svolta nel paragrafo 2 mostra il ruolo svolto dalle funzioni Kinvarianti a destra su G, ottenute “sollevando” tramite la proiezione canonica Λ le
funzioni su M = G/K, e quello svolto dalle funzioni bi-K-invarianti, che corrispondono, nel senso del Teorema 2.3, agli operatori integrali su M che commutano con
l’azione di G.
Nel paragrafo 3 abbiamo descritto, nel caso compatto, le funzioni K- e bi-Kinvarianti in L2 (G) in relazione alla decomposizione di L2 (G) data dal Teorema di
Peter-Weyl.
Rimuoviamo ora la condizione di compattezza su M , o equivalentemente su G.
Per la (2.2), L1 (K; G; K) è una sottoalgebra di Banach di L1 (G) rispetto alla
convoluzione, chiusa per involuzione.
Definizione. Si dice che (G, K) è una coppia di Gelfand se L1 (K; G; K) è commutativa.
La rilevanza di questa condizione è legata al fatto che la famiglia di operatori
discussi nel §2 (v. Teorema 2.3) è commutativa.
Lemma 4.1. Se (G, K) è una coppia di Gelfand, G è unimodulare.
Dimostrazione. Siano ϕ, ψ ∈ L1 (K; G; K). Indicando con dh una misura di Haar
sinistra su G,
Z
Z
−1
ϕ ∗ ψ(e) =
ϕ(h)ψ(h ) dh = ψ ∗ ϕ(e) =
ψ(h)ϕ(h−1 ) dh .
G
G
Se ∆ è la funzione modulare su G, per il Teorema 3.1 del Capitolo II si ha
Z
Z
−1
ϕ(h)ψ(h ) dh =
ϕ(h)ψ(h−1 )∆(h)−1 dh .
G
G
Se G non fosse unimodulare, esisterebbe h0 tale che ∆(h0 ) > 1. Per la compattezza di K, ∆ = 1 su K, e dunque ∆, essendo un omomorfismo di gruppi, è bi-Kinvariante. Per la continuità di ∆, esisterebbe un aperto A di G bi-K-invariante su
cui ∆ > m > 1. Prendendo ϕ = ψ̌ = χA , si otterrebbe una contraddizione. Indichiamo due criteri per determinare se una coppia (G, K) è di Gelfand. Il
primo è una condizione solo sufficiente, ma piuttosto elementare.
Proposizione 4.2. Supponiamo che esista un automorfismo θ di G tale che, per
ogni g ∈ G, g −1 ∈ K(θg)K. Allora (G, K) è una coppia di Gelfand.
Dimostrazione. Osserviamo preliminarmente che la funzione modulare di G soddisfa la condizione ∆(θg) = ∆(g) per ogni automorfismo θ. Infatti, detta m` una
misura di Haar sinistra, la funzione modulare è tale che m` (Ag) = ∆(g)m` (A) per
ogni Boreliano A. Si ha allora
m` θ(Ag) = m` (θAθg) = ∆(θg)m` (θA) .
Siccome mθ` (A) = m` (θA) è pure una misura di Haar sinistra, esiste una costante
cθ > 0 tale che m` (θA) = cθ m` (A). Allora si ha anche
m` θ(Ag) = cθ m` (Ag) = cθ ∆(g)m` (A) = ∆(g)m` (θA) ,
19
da cui segue l’asserto.
Essendo ∆ bi-K-invariante, l’ipotesi implica che ∆(g −1 ) = ∆(g) per ogni g, da
cui ∆ = 1 e G è dunque unimodulare.
Siano fˇ(g) = f (g −1 ) e f θ (g) = f (θg). L’ipotesi implica che, per ogni f ∈
L1 (K; G; K), allora fˇ = f θ .
Se f, f 0 ∈ L1 (K; G; K), si ha fˇ ∗ fˇ0 = (f 0 ∗ f )ˇ, mentre
0θ
θ
Z
f (θh)f 0 θ(h−1 g) dh
G
Z
−1
= cθ
f (h)f 0 (h−1 θg) dh
f ∗ f (g) =
=
G
−1
cθ (f ∗
f 0 )θ (g) .
Si ha dunque
θ
(f ∗ f 0 )θ = cθ f θ ∗ f 0 = cθ fˇ ∗ fˇ0 = cθ (f 0 ∗ f )ˇ= cθ (f 0 ∗ f )θ ,
cioè f ∗ f 0 = cθ f 0 ∗ f . Iterando la stessa identità, si conclude che c2θ = 1, ossia
cθ = 1. Il secondo criterio riguarda le rappresentazioni unitarie irriducibili di G.
Se π è una rappresentazione unitaria di G, indichiamo ancora con HπK il sottospazio chiuso di Hπ costituito dai vettori v tali che π(k)v = v per ogni k ∈ K. Si
dice che π è di classe 1 rispetto a K se HπK è non banale.
Lemma 4.3. L’operatore
PπK
Z
=
π(k) dk
K
è il proiettore ortogonale di Hπ su HπK . Una funzione f ∈ L1 (G) è
(i) K-invariante a destra se e solo se, per ogni rappresentazione unitaria irriducibile π di G, π(f ) = π(f )PπK ;
(ii) K-invariante a sinistra se e solo se, per ogni rappresentazione unitaria irriducibile π di G, π(f ) = PπK π(f );
(iii) bi-K-invariante se e solo se, per ogni rappresentazione unitaria irriducibile
π di G, π(f ) = PπK π(f )PπK .
Dimostrazione. Verifichiamo innanzitutto che PπK è il proiettore indicato. Dati
v ∈ Hπ e k ∈ K, si vede facilmente che
π(k)PπK v = PπK π(k)v = PπK v .
Quindi l’immagine di PπK è contenuta in HπK . Viceversa, se v ∈ HπK , PπK v = v.
Quindi (PπK )2 = PπK e im PπK = HπK . Infine
(PπK )∗
Z
=
∗
Z
π(k) dk =
K
K
π(k −1 ) dk = PπK .
20
Se ora f ∈ L1 (G; K), si ha
π(f )PπK
Z
Z
=
f (g)π(g)
π(k) dk dg
K
Z Z
=
f (g)π(gk) dg dk
K G
Z
=
π(f ) dk
G
K
= π(f ) .
Viceversa, se π(f ) = π(f )PπK per ogni π unitaria irriducibile, per ogni k ∈ K si
ha
Z
π(Rk f ) =
f (gk)π(g) dg = π(f )π(k) = π(f )PπK π(k) = π(f )PπK = π(f ) .
G
Per il Teorema di unicità (Corollario 4.3 del Cap.IV), Rk f = f , e dunque f è
K-invariante a destra.
Il caso bi-K-invariante si tratta in modo analogo. Premettiamo la seguente versione del Lemma di Schur per *-rappresentazioni di
algebre di Banach.
Lemma 4.4. Sia π una *-rappresentazione irriducibile di un’algebra con involuzione A su uno spazio di Hilbert H. Se T ∈ L(H) commuta con ogni operatore
π(a), con a ∈ A, allora T è un multiplo scalare dell’identità. In particolare, una
*-rappresentazione irriducibile di un’algebra commutativa con involuzione ha dimensione uno.
La dimostrazione è analoga a quella del Teorema 1.5 del Cap.IV.
Teorema 4.5. La coppia (G, K) è di Gelfand se e solo se per ogni rappresentazione
unitaria irriducibile π di G, di classe 1 rispetto a K, HπK ha dimensione uno.
Dimostrazione. Supponiamo che dim HπK ≤ 1 per ogni rappresentazione unitaria
irriducibile π di G. Per il Lemma 4.3, se f ∈ L1 (K; G; K), si ha π(f ) = 0, se π
non è di classe 1, oppure π(f ) = c(π)PπK , perché PπK è un proiettore di rango 1.
In ogni caso, date f, g ∈ L1 (K; G; K), π(f ) e π(g) commutano fra loro, e dunque
π(f ∗ g) = π(g ∗ f ). Per il Teorema di unicità, f ∗ g = g ∗ f .
Viceversa, supponiamo che (G, K) sia una coppia di Gelfand, e sia π una rappresentazione unitaria irriducibile di G, di classe 1 rispetto a K. Allora anche la corrispondente *-rappresentazione di L1 (G), che pure indichiamo con π, è irriducibile
(si lascia per esercizio la dimostrazione - si usino identità approssimate).
Per ogni f ∈ L1 (K; G; K), l’operatore π(f ) lascia invariato il sottospazio HπK ,
per cui è ben definita la *-rappresentazione
π̃(f ) = π(f )|H K
π
di L1 (K; G; K) su HπK . Mostriamo che essa è irriducibile.
Sia HπK = X1 ⊕ X2 , con X1 , X2 ortogonali e π̃-invarianti. Supponendo X1 non
banale, sia H1 = span {π(f )v : f ∈ L1 (G) , v ∈ X1 } ⊂ Hπ . Poiché H1 è invariante
rispetto alla rappresentazione di L1 (G). Quindi H1 è denso in Hπ .
21
D’altra parte, H1 è ortogonale a X2 . Infatti, dati v ∈ X1 , w ∈ X2 e f ∈ L1 (G),
si ha
Z
hπ(f )v, wi =
f (g)hπ(g)v, wi dg
G
Z
Z
=
f (g)hπ(g)π(k1 )v, π(k2 )wi dg dk1 , dk2
K×K G
Z Z
−1
f (k2 gk1 ) dk1 dk2 hπ(g)v, wi dg
=
G
K×K
= hπ̃(f˜)v, wi
=0,
R
dove f˜(g) = K×K f (k2−1 gk1 ) dk1 dk2 ∈ L1 (K; G; K).
Quindi X2 = {0} e π̃ è irriducibile. Per il Lemma 4.4, dim HπK = 1. Esempi.
(4.a) I risultati del paragrafo precedente mostrano che SO(n), SO(n − 1) è una
coppia di Gelfand, perché ogni spazio Hk contiene, a meno di scalari, un’unica
armonica zonale, in accordo con il Teorema 4.5.
D’altra parte, anche il primo criterio dà la stessa conclusione. La condizione
della Proposizione 4.2, con θ uguale all’applicazione identica, si traduce nel fatto
che, posto e1 = (1, 0, . . . , 0), per ogni g ∈ SO(n) esista k ∈ SO(n − 1) tale che
g −1 e1 = kge1 . Ma questo equivale a dire che la prima coordinata di g −1 e1 coincida
con quella di ge1 .
Se g = (aj,k ), la prima coordinata di ge1 è a1,1 , e quella di g −1 e1 = tge1 è ancora
a1,1 .
(4.b) Un argomento simile,
ma un po’ più elaborato, porta a concludere che la
coppia SU (n), SU (n − 1) è pure di Gelfand.
Due punti z, w ∈ S 2n−1 appartengono alla stessa orbita di K = SU (n − 1) se e
solo se z1 = w1 . Inoltre, dato g = (aj,k ) ∈ SU (n) = G, la prima componente di ge1
è a1,1 , mentre quella di g −1 e1 = g ∗ e1 è a1,1 . Come nel caso reale, si può applicare
la Proposizione 4.2, solo con θg = ḡ.
(4.c) Consideriamo la coppia SL(2, R), SO(2) , il cui spazio omogeneo è il semipiano superiore. Ad essa si può applicare il criterio della Proposizione 4.2: data
g ∈ SL(2, R), esistono k1 , k2 ∈ SO(2) tali che g −1 = k1 gk2 . Questo segue dal
seguente teorema di decomposizione per matrici quadrate invertibili: data una matrice n × n A invertibile, esistono una matrice diagonale D e due matrici ortogonali
U, V , tali che A = U DV .
Questo enunciato si dimostra come segue: consideriamo tAA, che è simmetrica
definita positiva. Essa si diagonalizza su una base ortonormale di Rn , per cui
esistono D0 diagonale, con coefficienti diagonali positivi, e V ∈ O(n) tali che tAA =
t
V D0 V . Sia D la matrice diagonale i cui coefficienti diagonali sono le radici quadrate
positive dei corrispondenti coefficienti di D0 . Allora tAA = tV D2 V . Sia U =
AV −1 D−1 , in modo che A = U DV . Allora
U U = D−1 V tAA tV D−1 = D−1 D2 D−1 = I ,
t
22
per cui U ∈ O(n).
In particolare, data g ∈ SL(2, R), si ha g = h1 dh2 , con h1 , h2 ∈ O(2) e d
diagonale con coefficenti diagonali positivi. Quindi det d > 0. Poiché det hj = ±1,
si ha anche det d = ±1. In definitiva, det d = 1, per cui
a
0
d=
,
0 a−1
con a > 0. Inoltre
det h1 det h2 = 1, da cui det h1 = det h2 . Se det hj = −1, posto
0 1
j=
, si ha
−1 0
−1
a
0
−1
jdj =
= d−1 .
0
a
Quindi
−1
−1 −1 −1
−1 −1
−1 −1
g −1 = h−1
h1 = (h−1
h1 ) = (h−1
h1 ) ,
2 d
2 j)d(j
2 jh1 )g(h2 j
dove i due termini in parentesi sono in SO(2).
(4.d) Dato H gruppo compatto, siano G = H × H e K = {(h, h) : h ∈ H}. Sulla
base dell’Esempio (2.e), l’applicazione Λ introdotta nel paragrafo 2 stabilisce una
corrispondenza biunivoca tra funzioni bi-K-invarianti su G e funzioni centrali su
H, in modo tale che la convoluzione su G delle prime corrisponda alla convoluzione
su H delle seconde. Poiché le funzioni centrali in L1 (H) formano un’algebra commutativa, segue che (G, K) è una coppia di Gelfand.
Per trovare la corrispondenza tra queste argomentazioni, basate sui risultati del
Cap. V, e quanto affermato nel Teorema 4.5, occorre premettere alcuni fatti sulle
rappresentazioni di H × H, le cui dimostrazioni sono lasciate per esercizio:
(1) date due rappresentazioni unitarie π1 , π2 di H, la rappresentazione di G su
Hπ1 ⊗ Hπ2 ,
(4.1)
(2)
(3)
(4)
(5)
π(h1 , h2 ) = (π1 ⊗ π2 )(h1 , h2 ) = π1 (h1 ) ⊗ π2 (h2 ) ,
è unitaria;
se π1 e π2 sono irriducibili, anche π è irriducibile (usare il Lemma di Schur:
se A ∈ I(π, π), allora, per ogni w ∈ Hπ2 , A|Hπ ⊗{w} ∈ I(π1 , π1 ); quindi
1
A(v ⊗ w) = λ(w)v ⊗ w, con λ(w) scalare; scambiando i ruoli di v e w, si
trova che λ è costante);
le rappresentazioni (4.1) danno, al variare di π1 , π2 ∈ P, tutte e sole le
rappresentazioni irriducibili di G, a meno di equivalenza (osservare che
tra i coefficienti di tali rappresentazioni vi sono le funzioni della forma
ϕ1 (h1 )ϕ2 (h2 ), con ϕ1 , ϕ2 coefficienti di π1 , π2 rispettivamente; per il Teorema 2.2 del Cap. V e il Teorema di Stone-Weierstrass, esse generano un
sottospazio denso di C(G));
se π2 ∼ π10 , la rappresentazione π in (4.1) è di classe 1 rispetto a K (si
Pd
prenda ξ ∈ Hπ1 ⊗ Hπ2 , ξ = j=1 ej ⊗ fj , con {ej } base ortonormale di Hπ1
e {fj } la sua base duale; il coefficiente diagonale hπ(h1 , h2 )ξ, ξi è uguale a
χπ (h−1
2 h1 ), che è bi-K-invariante);
al variare di π ∈ P, queste funzioni generano un sottospazio denso di
C(K; G; K) ∼ Cc (H).
23
5. Funzioni sferiche
Sia (G, K) una coppia di Gelfand. Vogliamo determinare i caratteri dell’algebra
commutativa L1 (K; G; K). Cominciamo con la caratterizzazione del duale di tale
spazio.
Lemma 5.1. I funzionali lineari continui su L1 (K; G; K) sono tutti e soli quelli
della forma
Z
λ(f ) =
f (g)ϕ(g) dg ,
G
∞
con ϕ ∈ L (K; G; K). Inoltre kλk = kϕk∞ .
Dimostrazione. Sia λ un funzionale continuo su L1 (K; G; K). Per il Teorema di
Hahn-Banach,
esso si estende a L1 (G), per cui esiste ψ ∈ L∞ (G) tale che λ(f ) =
R
f ψ dg e kψk∞ = kλk. Poniamo
G
ZZ
ϕ(g) =
ψ(k1 gk2 ) dk1 dk2 ∈ L∞ (K; G; K) .
K×K
Se f ∈ L1 (K; G; K),
Z
Z
ZZ
f (g)ϕ(g) dg =
f (g)
ψ(k1 gk2 ) dk1 dk2 dg
G
G
K×K
ZZ
Z
=
f (k1−1 gk2−1 )ψ(g) dg dk1 dk2
K×K
G
= λ(f ) .
Inoltre, |λ(f )| ≤ kϕk∞ kf k1 . D’altra parte, dalla definizione di ϕ segue che
kϕk∞ ≤ kψk∞ , per cui kϕk∞ = kλk. Teorema 5.2. Una funzione ϕ ∈ L∞ (K; G; K) induce un carattere di L1 (K; G; K)
se e solo se essa coincide quasi ovunque con una funzione continua tale che
Z
(5.1)
ϕ(gkg 0 ) dk = ϕ(g)ϕ(g 0 ) .
K
Dimostrazione. Sia ϕ continua, limitata, bi-K-invariante e soddisfacente la (5.1).
Allora, date f, g ∈ L1 (K; G; K),
Z
Z
ZZ
Z
f (x)ϕ(x) dx
g(y)ϕ(y) dy =
f (x)g(y)ϕ(xky) dk dy dx
G
G
G×G K
ZZ
Z
=
f (xk −1 ) dk g(y)ϕ(xy) dy dx
Z ZG×G K
=
f (x)g(y)ϕ(xy) dy dx
G×G
ZZ
=
f (xy −1 )g(y)ϕ(x) dy dx
Z G×G
=
(f ∗ g)(x)ϕ(x) dx .
G
24
Il funzionale definito daR ϕ è dunque moltiplicativo.
Viceversa, sia λ(f ) = G f ϕ dx moltiplicativo, con ϕ ∈ L∞ (K; G; K). Allora,
per ogni g ∈ L1 (G), si ponga
ZZ
]
g (x) =
g(k1 xk2 ) dk1 dk2 .
K×K
Se f ∈ L1 (K; G; K),
Z
]
λ(f ∗ g ) =
(f ∗ g ] )(h)ϕ(h) dh
ZG
Z
ZZ
0 −1
=
f (hh )
g(kh0 k 0 ) dk dk 0 ϕ(h) dh0 dh
K×K
Z ZG×G
ZZ
=
f (h)
g(kh0 k 0 ) dk dk 0 ϕ(hh0 ) dh0 dh
K×K
Z ZG×G
Z
0
=
f (h)g(h )
ϕ(hkh0 ) dk dh0 dh
K
Z ZG×G
=
f (h)g(h0 )ϕ(hh0 ) dh0 dh .
G×G
Questa espressione deve essere uguale a
Z
Z
]
λ(f )λ(g ) =
f (h)ϕ(h) dh
g ] (h)ϕ(h) dh
G
G
Z
Z
=
f (h)ϕ(h) dh
g(h)ϕ(h) dh
G
G
ZZ
=
f (h)g(h0 )ϕ(h)ϕ(h0 ) dh dh0 .
G×G
Per l’arbitrarietà di g, si ha
Z
Z
0
(5.2)
f (h)ϕ(h) dh ϕ(h ) =
f (h)ϕ(hh0 ) dh = (fˇ ∗ ϕ)(h0 )
G
G
per quasi ogni h0 ∈ G. Il secondo membro è funzione continua di h0 , per cui,
scegliendo f in modo che l’integrale in parentesi sia diverso da zero, si deduce che
ϕ coincide quasi ovunque con una funzione continua.
Sia ora u ∈ L1 (G). Ponendo f = u] nella (5.2), si ottiene
Z
Z ZZ
0
ϕ(h )
u(h)ϕ(h) dh =
u(k1 hk2 )ϕ(hh0 ) dk1 dk2 dh
G
ZG K×K
Z
=
u(h)
ϕ(hk2−1 h0 ) dk2 dh .
G
Per l’arbitrarietà di u, segue la (5.1).
K
Definizione. Si chiamano funzioni sferiche della coppia (G, K) le funzioni continue su G che soddisfano la (5.1).
25
6. Trasformata di Fourier sferica
Teorema 6.1. Lo spettro di Gelfand ∆ dell’algebra L1 (K; G; K) è lo spazio delle
funzioni sferiche limitate con la topologia compatto-aperto, in cui un sistema fondamentale di intorni della funzione ϕ0 ∈ ∆ sono gli insiemi
Uϕ0 (ε, C) = ϕ ∈ ∆ : |ϕ(g) − ϕ0 (g)| < ε , ∀ g ∈ C ,
al variare di ε > 0 e C compatto in G.
Dimostrazione. Per definizione, la topologia di Gelfand è la restrizione a ∆ della
topologia debole* sul duale dell’algebra, identificato con L∞ (K; G; K) dal Lemma
5.1.
Sia
Z
Z
n
o
Vϕ0 (ε, f1 , . . . , fn ) = ϕ ∈ ∆ : fj ϕ −
fj ϕ0 < ε ∀ j = 1, . . . , n ,
G
G
un intorno di ϕ0 nella topologia di Gelfand. Possiamo supporre che kfj k1 = 1 per
ogni j.
R
Sia C compatto in G tale che G\C |fj | < ε/3 per ogni j. Se ϕ ∈ Uϕ0 (ε/3, C),
Z
Z
Z
|fj (g)| dg
fj (g)ϕ(g) dg −
fj (g)ϕ0 (g) dg ≤ 2
G\C
G
G
Z
+
|fj (g)|ϕ(g) − ϕ0 (g) dg
G
<ε.
Dunque Uϕ0 (ε/3, C) ⊂ Vϕ0 (ε, f1 , . . . , fn ).
Per dimostrare che ogni intorno di ϕ0 nella topologia compatto-aperto contiene
un intorno nella topologia debole*, adattiamo la dimostrazione della Proposizione
1.3 del Capitolo III.
Osserviamo innanzitutto che, se f ∈ L1 (K; G; K) e ϕ ∈ ∆, allora
Z
Z Z
Z Z
ϕ(g)
f (h)ϕ(h) dh =
f (h)ϕ(gkh) dk dh =
f (k −1 h)ϕ(gh) dk dh
G
G K
ZG K
=
f (h)ϕ(gh) dh
G
Z
=
Lg f (h)ϕ(h) dh .
G
Mostriamo quindi che la funzione (g, ϕ) 7→ ϕ(g) è continua su G
R × ∆, con ∆
1
dotato della topologia di Gelfand. Presa f ∈ L (K; G; K) tale che G f ϕ0 = 1, si
ha
Z
Z
ϕ(g) − ϕ0 (g0 ) = ϕ(g)
f (h)ϕ0 (h) dh −
Lg0 f (h)ϕ0 (h) dh
G
G
!
Z
Z
f (h)ϕ0 (h) dh −
= ϕ(g)
G
Z
+
ZG
+
G
f (h)ϕ(h) dh
G
Lg f (h) − Lg0 f (h) ϕ(h) dh
Lg0 f (h) ϕ(h) − ϕ0 (h) dh .
26
Quindi
Z
ϕ(g) − ϕ0 (g0 ) ≤ f (h) ϕ0 (h) − ϕ(h) dh
G
Z
Lg0 f (h) ϕ0 (h) − ϕ(h) dh ,
+ Lg f − Lg0 f 1 + G
da cui si deduce facilmente la conclusione.
Prendiamo dunque un intorno Uϕ0 (ε, C) di ϕ0 nella topologia compatto-aperto.
Per ogni h ∈ C esistono un intorno V (h) di ϕ0 nella topologia di Gelfand e B(h)
di h in G tali che |ϕ(g) − ϕ0 (h)| < ε/2 per ogni ϕ ∈ V (h) e g ∈ B(h). Scelti
h
T1n, . . . , hn ∈ C tali che {B(hj )}1≤j≤n sia un ricoprimento di C, e posto V =
j=1 V (hj ), si ottiene, per ϕ ∈ V e g ∈ B(hj ),
|ϕ(g) − ϕ0 (g)| ≤ |ϕ(g) − ϕ0 (hj )| + |ϕ0 (hj ) − ϕ0 (g)| < ε .
Quindi V ⊂ Uϕ0 (ε, C). Sia (G, K) una coppia di Gelfand. Si chiama trasformata di Fourier sferica la
trasformata di Gelfand relativa all’algebra L1 (K; G; K).
Precisamente, se f ∈ L1 (K; G; K), la sua trasformata è la funzione definita su ∆
Z
ˆ
f (ϕ) =
f (g)ϕ(g −1 ) dg .
G
Essa soddisfa le seguenti proprietà:
(1) è lineare;
(2) fˆ ∈ C0 (∆) e kfˆk∞ ≤ kf k1 ;
(3) f[
∗ g = fˆĝ;
(4) f ∗ ϕ = fˆ(ϕ)ϕ per ogni f ∈ L1 (K; G; K) e ϕ ∈ ∆.
Dimostreremo più avanti che L1 (K; G; K) è semisemplice, ossia che la trasformata di Fourier sferica è iniettiva.
Se ϕ è sferica, anche ϕ∗ (g) = ϕ(g −1 ) è sferica. Vale l’identità
(6.1)
fc∗ (ϕ) = fˆ(ϕ∗ )
per ogni f ∈ L1 (K; G; K). Per la Proposizione 4.3 del Capitolo I, L1 (K; G; K) è
simmetrica se e solo se ϕ∗ = ϕ per ogni ϕ ∈ ∆. Questo non è sempre vero, come
vedremo più avanti.
7. Funzioni sferiche di tipo positivo
Le funzioni di tipo positivo su un gruppo G localmente compatto unimodulare
sono state descritte nel Capitolo IV, paragrafi 3 e 4. Esse sono definite attraverso
una qualunque delle seguenti condizioni equivalenti:
(1) le funzioni ϕ continue tali che
n
X
j,k=1
ϕ(gk−1 gj )ζj ζ̄k ≥ 0
27
per ogni scelta di n e di g1 , . . . , gn ∈ G, ζ1 , . . . , ζn ∈ C;
(2) le funzioni ϕ ∈ L∞ (G) tali che
Z
ϕ(h−1 g)f (g)f (h) dg dh ≥ 0
G×G
per ogni f ∈ L1 (G);
(3) le funzioni ϕ(g) = hv, π(g)vi dove π è una rappresentazione unitaria di G
su uno spazio di Hilbert Hπ e v ∈ Hπ è un vettore ciclico4 ; in tal caso ϕ
determina π e v in modo unico a meno di operatori di intrallacciamento
tra rappresentazioni unitariamente equivalenti che applichino l’assegnato
vettore ciclico dell’una in quello dell’altra.
Indichiamo ora con P K e P0K rispettivamente il cono delle funzioni di tipo positivo bi-K-invarianti e la sua intersezione con P0 . Si ha la seguente caratterizzazione.
Lemma 7.1. Sia ϕ(g) = hv, π(g)vi, con π e v come in (3).
(i) ϕ è bi-K-invariante se e solo se π(k)v = v per ogni k ∈ K.
(ii) Se (G, K) è una coppia di Gelfand, ϕ è sferica se e solo se, in aggiunta, π
è irriducibile.
Dimostrazione. Se v è lasciato fisso da K,
ϕ(kgk 0 ) = hπ(k −1 )v, π(g)π(k 0 )vi = ϕ(g) ,
per ogni k, k 0 ∈ K.
Viceversa, se ϕ è bi-K-invariante e k ∈ K, si ha
hπ(k)v, π(g)vi = hv, π(g)vi
per ogni g ∈ G. Poiché v è ciclico, segue che hπ(k)v, wi = hv, wi per ogni w ∈ Hπ ,
da cui π(k)v = v.
Supponiamo ora che (G, K) sia una coppia di Gelfand e che π sia irriducibile e
di classe 1 rispetto a K. Per il Teorema 4.5, lo spazio HπK ha dimensione 1. Sia v
un suo elemento unitario.
Per il Lemma 4.3, se f ∈ L1 (K; G; K), π(f ) è un multiplo scalare del proiettore
ortogonale su Cv. Dunque
π(f )w = λ(f )hw, viv ,
dove
Z
λ(f ) = hπ(f )v, vi =
f (g)ϕ(g −1 ) dg .
G
Dall’identità π(f1 ∗ f2 ) = π(f1 )π(f2 ) segue che λ(f1 ∗ f2 ) = λ(f1 )λ(f2 ), per cui
ϕ è sferica.
4 Nel
cap. IV la condizione appare nella forma ϕ(g) = hπ(g)v, vi. L’equivalenza tra le due
condizioni dipende dal fatto che se ϕ è di tipo positivo, anche ϕ̄ lo è, o anche dal fatto che il
coniugato di un coefficiente della rappresentazione π è un coefficiente della sua controgradiente.
28
Supponiamo viceversa che ϕ sia sferica. Per ogni g ∈ G e f ∈ L1 (K; G; K),
Z
hπ(f )v, π(g)vi =
f (h)hπ(h)v, π(g)vi dh
G
Z
f (h)ϕ(h−1 g) dh
ZG Z
=
f (h)ϕ(h−1 kg) dk dh
G K
Z
= ϕ(g)
f (h)ϕ(h−1 ) dh
=
G
= fˆ(ϕ)hv, π(g)vi .
Poiché v è ciclico, segue che π(f )v =Rfˆ(ϕ)v.
Se ora f ∈ L1 (G), poniamo f ] (g) = K×K f (kgk 0 ) dk dk 0 ∈ L1 (K; G; K). Allora
π(f ] ) = PπK π(f )PπK ,
e dunque
(7.1)
PπK π(f )v = π(f ] )v = fb] (ϕ)v .
Sia X ⊂ Hπ il sottospazio dei vettori π(f )v con f ∈ L1 (G). Prendendo f =
Rg ψj , con {ψj } un’identità approssimata, si ottiene che la chiusura di X in Hπ
contiene i vettori π(g)v al variare di g in G. Siccome v è ciclico, X̄ = Hπ . Per la
(7.1), PπK X = Cv, e dunque HπK = Cv.
Per concludere la dimostrazione, dimostriamo che se dim HπK = 1, allora π è
irriducibile. Sia Y un sottospazio chiuso π-invariante di Hπ e sia PY il corrispondente proiettore ortogonale. Poiché PY commuta con π, il vettore PY v è K-fisso,
dunque PY v = λv. Se λ 6= 0, v ∈ Y e dunque Y = Hπ essendo v ciclico. Se λ = 0,
allora v ∈ Y ⊥ , e per lo stesso motivo Y è banale. Le funzioni di tipo positivo formano un cono convesso P. Posto P0 = {ϕ ∈
P : ϕ(e) ≤ 1}, esso è compatto nella topologia debole* di L∞ (G) e i suoi punti
estremali sono la funzione nulla e le funzioni hπ(g)v, vi, con π irriducibile e kvk = 1.
Teorema 7.2. Se (G, K) è una coppia di Gelfand, i punti estremali di P0K sono
la funzione nulla e le funzioni sferiche di tipo positivo.
Dimostrazione. Dimostriamo che se ϕ 6= 0 è estremale in P0K , essa è estremale
anche in P0 . Se cosı̀ non fosse, avremmo ϕ = θϕ1 + (1 − θ)ϕ2 , con 0 < θ < 1 e
ϕ1 , ϕ2 6= ϕ e in P0 .
Sia ϕj (g) = hπj (g)vj , vj i, con kvj k = 1. Posto
Z
ϕ̃j (g) =
ϕj (kgk 0 ) dk dk 0 ,
K×K
si vede facilmente che ϕ̃j (g) = hπj (g)PπKj vj , PπKj vj i, dove PπKj è il proiettore ortogonale sullo spazio dei vettori K-fissi in Hj introdotto nel Lemma 4.3. Ma
ϕ1 (e) = ϕ2 (e) = 1, e dunque lo stesso vale per ϕ̃1 e ϕ̃2 . Ne segue che kPπKj vj k = 1
29
e quindi PπKj vj = vj . In conclusione ϕ1 e ϕ2 sono in P0K , in contraddizione con
l’ipotesi.
Si ha allora che i punti estremali di P0K sono gli elementi estremali di P0 che
sono bi-K-invarianti. Essi sono dunque caratterizzati come le funzioni
ϕ(g) = hπ(g)v, vi ,
dove π è unitaria irriducibile e v è un vettore unitario e K-fisso in Hπ . Per il Lemma
7.1 esse sono le funzioni sferiche di tipo positivo. 8. I Teoremi fondamentali della trasformata di Fourier sferica
Da questo momento supponiamo che (G, K) sia una coppia di Gelfand.
Indichiamo con ∆+ il sottoinsieme di ∆ costituito dalle funzioni sferiche di tipo
positivo. Usando la caratterizzazione (1) delle funzioni di tipo positivo, si vede
facilmente che ∆+ è chiuso in ∆. Per il Lemma 7.1, gli elementi di ∆+ sono in
corrispondenza biunivoca con le classi di equivalenza delle rappresentazioni unitarie
irriducibili di G, di classe 1 rispetto a K.
Se π è di classe 1 rispetto a K e v è un vettore unitario K-fisso, indichiamo con
ϕπ (g) = hv, π(g)vi
la corrispondente funzione sferica5 . Poiché ϕπ = ϕ∗π , vale l’uguaglianza
∗ (ϕ ) = fˆ(ϕ ) ,
f\
π
π
(8.1)
per f ∈ L1 (K; G; K).
Lemma 8.1. Lo spazio {fˆ|∆+ : f ∈ L1 (K; G; K)} è denso in C0 (∆+ ) nella norma
uniforme.
Dimostrazione. Segue dalla (8.1) per il Teorema di Stone-Weierstrass.
Stabiliamo ora la corrispondenza tra la trasformata sferica di una funzione integrabile bi-K-invariante e la sua trasformata di Fourier operatoriale (v. §5 del
Cap. IV).
Lemma 8.2. Siano f ∈ L1 (K; G; K) e π una rappresentazione unitaria irriducibile
di G. Se π non è di classe 1 rispetto a K, allora π(f ) = 0. Se π è di classe 1
rispetto a K, allora π(f ) = fˆ(ϕπ )PπK .
Dimostrazione. Segue facilmente dal Lemma 4.3. Teorema 8.3 (di unicità della trasformata di Fourier sferica). Sia f ∈
L1 (K; G; K) tale che fˆ = 0 su ∆+ . Allora f = 0.
Dimostrazione. Per il Lemma 8.2, l’ipotesi implica che π(f ) = 0 per ogni rappresentazione unitaria irriducibile di G. La conclusione sgeue dal Corollario 4.3 del
Cap. IV. Il prossimo risultato è l’estensione del Teorema di Bochner per gruppi abeliani
(Teorema 3.2 del Capitolo III).
5 E’
K = 1, ϕ non dipende dalla scelta di v.
ovvio che, essendo dim Hπ
π
30
Teorema 8.4 (di Bochner-Godement). Sia ψ una funzione di tipo positivo
bi-K-invariante su G. Esiste una e una sola misura positiva µψ su ∆+ tale che
Z
(8.2)
ψ(g) =
ϕ(g) dµψ (ϕ) .
∆+
Dimostrazione. Siano M (∆+ ) lo spazio delle misure di Borel finite e regolari su
∆+ , con la topologia debole* indotta dalla dualità con C0 (∆+ ), M ilR cono delle
misure positive, e M0 il sottoinsieme delle misure positive µ tali che ∆+ dµ ≤ 1.
M0 è convesso e compatto nella topologia debole* e i suoi punti estremali sono la
misura nulla e le delta di Dirac dei punti di ∆+ .
Consideriamo l’applicazione T : M (∆+ ) → L∞ (K; G; K) definita da
Z
T µ(g) =
ϕ(g) dµ(ϕ) .
∆+
Essa è lineare e continua per le due topologie debole*. Basta osservare che, se
f ∈ L1 (K; G; K),
Z
Z
f (g)T µ(g) dg =
fˆ(ϕ) dµ(ϕ)
∆+
G
e che fˆ ∈ C0 (∆+ ).
Chiaramente T applica M0 in P0K e T δϕ = ϕ. Ma allora T (M0 ) contiene tutti
i punti estremali di P0K , e dunque il loro inviluppo convesso chiuso. Per il Teorema
di Krein-Milman, questo è tutto P0K .
Questo dimostra, per ψ ∈ P0K l’esistenza di una misura positiva µ per cui valga
la (8.2).
Supponiamo ora che µ1 e µ2 soddisfino entrambe la (8.2) con la stessa ψ. Se
f ∈ L1 (K; G; K),
Z
Z
Z
f (g)ψ(g) dg =
fˆ(ϕ) dµ1 (ϕ) =
fˆ(ϕ) dµ2 (ϕ) .
G
∆+
∆+
Per il Lemma 8.1, µ1 = µ2 . Passiamo ora alla costruzione della misura di Plancherel su ∆+ . Ci restringiamo
inizialmente a una classe particolare di funzioni di tipo positivo, quelle esprimibili
come somma finita
n
X
f=
uj ∗ u∗j ,
j=1
dove ogni uj è in Cc (K; G; K). Indichiamo con Q+ tale classe. Per la (8.1), fˆ ≥ 0
su ∆+ per ogni f ∈ Q+ .
Lemma 8.5. Esiste una unica misura di Borel regolare e positiva σ su ∆+ tale
che, se f ∈ Q+ , allora fˆ ∈ L1 (∆+ , σ), µf = fˆσ e vale la formula di inversione
Z
(8.3)
f (g) =
fˆ(ϕ)ϕ(g) dσ(ϕ) .
∆+
Dimostrazione. Siano f1 , f2 ∈ Q+ . Allora anche f3 = f1 ∗ f2 ∈ Q+
31
PerR il Teorema di Bochner-Godement esistono tre misure µ1 , µ2 , µ3 ∈ M tali che
fj = ∆+ ϕ dµj (ϕ). Per la (4) del §6,
Z
Z
f1 ∗ f2 (g) =
f1 ∗ ϕ(g) dµ2 (ϕ) =
∆+
fˆ1 (ϕ)ϕ(g) dµ2 (ϕ) .
∆+
Analogamente,
Z
fˆ2 (ϕ)ϕ(g) dµ1 (ϕ) .
f1 ∗ f2 (g) =
∆+
Per il Lemma 8.1, segue che
µ3 = fˆ1 µ2 = fˆ2 µ1 .
Sia Aj = {ϕ : fˆj (ϕ) 6= 0} ⊂ ∆+ . Su A3 = A1 ∩ A2 vale l’uguaglianza
1
1
µ1 = µ2 .
fˆ1
fˆ2
Osserviamo ora che per ogni ϕ0 ∈ ∆+ esiste f = u ∗ u∗ ∈ Q+ tale che fˆ(ϕ0 ) 6= 0.
Basta
infatti prendere u continua a supporto compatto e bi-K-invariante tale che
R
u(g)ϕ0 (g −1 ) dg 6= 0.
G
Dato dunque un boreliano B relativamente compatto in ∆+ , si può costruire una
funzione fB ∈ Q+ tale che fˆB > 0 su B̄. Poniamo
Z
σ(B) =
B
1
dµfB (ϕ)
ˆ
fB (ϕ)
(la definizione non dipende dalla scelta di fB ). Chiaramente σ è una misura regolare
positiva. L’identità µf = fˆσ è evidente, e da essa seguono la formula di inversione.
L’unicità di della misura µf garantita dal Teorema di Bochner-Godement assicura
l’unicità della misura σ soddisfacente la (8.3). Teorema 8.6 (di Plancherel-Godement). Se u ∈ Cc (K; G; K), allora û ∈
L2 (∆+ , σ) e
Z
2
Z
|u(g)| dg =
(8.4)
G
|û(ϕ)|2 dσ(ϕ) .
∆+
La trasformata di Fourier sferica si estende per continuità a un operatore unitario
da L2 (K; G; K) su L2 (∆+ , σ). La misura di Plancherel σ è l’unica misura su ∆+
per cui valga la (8.4) per ogni u ∈ Cc (K; G; K).
Dimostrazione. Per la prima affermazione, basta applicare la (8.3) a f = u ∗ u∗ , in
quanto fˆ = |û|2 su ∆+ e u ∗ u∗ (e) = kuk22 . Da questo segue anche l’unicità della
misura che soddisfi la (8.4).
Per densità, la (8.4) vale per ogni f ∈ L1 ∩ L2 (K; G; K) e la trasformata f 7→ fˆ
si estende per continuità a un operatore isometrico da L2 (K; G; K) a L2 (∆+ , σ).
Rimane da dimostrare che tale operatore è suriettivo. Poiché ha immagine chiusa,
basta dimostrare che l’immagine è densa. Più precisamente, dimostriamo che ogni
32
funzione in Cc (∆+ ) è approssimabile in norma L2 con trasformate di funzioni in
L1 ∩ L2 (K; G; K).
Data η ∈ Cc (∆+ ), esiste f ∈ Q+ tale che fˆ > 0 sul supporto di η. Esiste dunque
η 0 ∈ Cc (∆+ ) tale che η = η 0 fˆ su ∆+ .
Per il Lemma 8.1, esiste h ∈ Cc (K; G; K) tale che kη 0 − ĥk∞ < ε. Allora
f ∗ h ∈ Cc (K; G; K) e
f[
∗ h(ϕ) − η(ϕ) = |fˆ(ϕ)|ĥ(ϕ) − η 0 (ϕ) < ε|fˆ(ϕ)| .
Dunque
Z
∆+
2
f[
∗ h(ϕ) − η(ϕ) dσ(ϕ) < ε2 kfˆk22 = ε2 kf k22 .
Indicheremo con fˆ ∈ L2 (∆+ , σ) l’immagine, secondo il prolungamento per continuità della trasformata di Fourier sferica, di una generica funzione f in L2 (K; G; K).
A differenza della trasformata di una funzione L1 , si noti che fˆ è definita solo σ-q.o.
In generale, entrambe le inclusioni supp σ ⊂ ∆+ ⊂ ∆ possono essere proprie.
Il Teorema di unicità 8.3 ammette il seguente raffinamento.
Corollario 8.7. Se f ∈ L1 (K; G; K) e fˆ = 0 su supp σ, allora f = 0.
Dimostrazione. L’ipotesi implica che f ∗ u = 0 per ogni u ∈ L1 ∩ L2 (K; G; K) e
per continuità per ogni u ∈ L1 (K; G; K). Per il Lemma 8.1, fˆ = 0 su ∆+ e dunque
f = 0. Osserviamo infine che dalla (8.4) si ricava per polarizzazione l’identità
Z
(8.5)
Z
fˆ(ϕ)û(ϕ) dσ(ϕ) ,
f (g)u(g) dg =
∆+
G
per f, u ∈ L2 (K; G; K).
9. Formula di inversione e altre conseguenze
D’ora in poi scriveremo semplicemente Lp (∆+ ) sottintendendo la misura di
Plancherel σ. Indichiamo con ] l’operatore
Z
]
f (g) =
f (kgk 0 ) dk dk 0 .
K×K
Lemma 9.1. Sia {ηi } un’identità approssimata in L1 (G). Per ogni f ∈ Lp (G; K),
1 ≤ p < ∞, o f ∈ C0 (G; K) per p = ∞,
lim kf ∗ ηi] − f kp = 0 .
i
b
Inoltre ηi] → 1 uniformemente sui compatti di ∆.
33
Dimostrazione. Per ogni scelta di k1 , k2 , sia ηik1 ,k2 (g) = ηi (k1 gk2 ). Allora
Z
k1 ,k2
(g) = lim
f (gk2−1 h−1 k1−1 )ηi (h) dh
lim f ∗ ηi
i
i
ZG
= lim
f (gk2−1 h−1 )ηi (h) dh
i
=
G
−1
f (gk2 )
= f (g) ,
in norma Lp . Quindi
lim kf ∗
i
ηi]
Z
kf ∗ ηik1 ,k2 − f kp dk1 dk2 = 0 .
− f kp ≤ lim
i
K×K
1
In particolare, se f ∈ L (K; G; K),
b
lim fˆηi] = fˆ
i
uniformemente su ∆. Data ϕ0 ∈ ∆, esiste f tale che fˆ(ϕ0 ) = 1. Se U è un intorno
b
di ϕ0 su cui |fˆ| > 1/2, si ha allora che ηi] (ϕ) → 1 uniformemente su U . L’estensione
a ogni compatto è ovvia. Si noti che proprietà come la continuità, il supporto compatto, la hermitianità6
si trasferiscono dalle ηi alle ηi] .
Lemma 9.2. Sia f ∈ Cc (K; G; K) e supponiamo che fˆ ∈ L1 (∆+ ). Allora
Z
(9.1)
f (g) =
fˆ(ϕ)ϕ(g) dσ(ϕ) .
∆+
Dimostrazione. Si prenda una famiglia {ηi] } come nel Lemma 9.1, hermitiana, continua e a supporto compatto. Posto u = ηi] nella (8.5), il primo membro è uguale a
ηi] ∗ f (e). Per convergenza dominata,
Z
Z
b]
ˆ
f (e) = lim
f (ϕ)ηi (ϕ) dσ(ϕ) =
fˆ(ϕ) dσ(ϕ) .
i
∆+
∆+
Per un generico g ∈ G abbiamo poi
Z
Z
]
]
−1
ηi ∗ f (g) =
ηi (h)f (h g) dh =
ηi] (h)f (hg) dh = hRg f, ηi] i = h(Rg f )] , ηi] i .
G
G
Si ha
\
]
(R
g f ) (ϕ) =
Z
]
Z
(Rg f ) (h)ϕ(h) dh =
Rg f (h)ϕ(h) dh
G
Z
Z Z
−1
=
f (h)ϕ(hg ) dh =
f (hk)ϕ(hg −1 ) dk dh
G K
ZG Z
=
f (h)ϕ(hk −1 g −1 ) dk dh
G K
Z
=
f (h)ϕ(h)ϕ(g −1 ) dh
G
G
= fˆ(ϕ)ϕ(g −1 ) .
6 Cioè
la condizione ηi∗ = ηi .
34
Dunque, per la (8.5)
ηi]
Z
∗ f (g) =
∆+
b
fˆ(ϕ)ϕ(g −1 )ηi] (ϕ) dσ(ϕ) ,
e passando al limite si ottiene la (9.1).
La (9.1) costituisce la formula di inversione della trasformata di Fourier sferica,
e con opportune cautele dovute a questioni di convergenza degli integrali coinvolti,
vale sotto ipotesi più ampie di quelle indicate. Per esempio, valgono i seguenti
enunciati.
Proposizione 9.3.
(i) Se f1 , f2 ∈ L2 (K; G; K),
Z
fˆ1 (ϕ)fˆ2 (ϕ)ϕ(g) dσ(ϕ) .
f1 ∗ f2 (g) =
∆+
(ii) Se η ∈ L1 (∆+ ), la funzione
Z
f (g) =
η(ϕ)ϕ(g) dσ(ϕ)
∆+
è in C0 (K; G; K) ed esistono f1 , f2 ∈ L2 (K; G; K) tali che f = f1 ∗ f2 e
η = fˆ1 fˆ2 .
(iii) Data f ∈ L2 (K; G; K), sia {Σn } una successione di compatti di ∆+ tali che
fˆ = 0 quali ovunque fuori dalla loro unione. Nella norma di L2 (G),
Z
f = lim
n→∞
fˆ(ϕ)ϕ dσ(ϕ) .
Σn
Dimostrazione. Per la (i), si approssimino f1 e f2 in L2 con funzioni in Cc (K; G; K)
e si applichi il Lemma 9.2.
Per la (ii), si scomponga η nel prodotto di due funzioni L2 , η1 , η2 , e si prenda
fj tale che fˆj = ηj . Si applichi quindi la (i). Per il Teorema 4.6 del Capitolo II, la
convoluzione di due funzioni L2 è in C0 .
La (iii) si ottiene per approssimazione. Vediamo ora altri tipi di conseguenze.
Se 1 < p < 2 e f ∈ Lp (K; G; K), si ponga f1 (g) = f (g) se |f (g)| > 1, f1 (g) = 0
altrimenti, e si ponga f2 (g) = f (g) se |f (g)| ≤ 1, f2 (g) = 0 altrimenti. Allora
f1 ∈ L1 (K; G; K), f2 ∈ L2 (K; G; K), e f = f1 + f2 . Definiamo fˆ = fˆ1 + fˆ2 .
Teorema 9.4 (di Hausdorff-Young). Se f ∈ Lp (K; G; K), con 1 ≤ p ≤ 2,
0
allora fˆ ∈ Lp (∆+ ) e kfˆkp0 ≤ kf kp .
Dimostrazione. Segue dal Teorema di interpolazione di Riesz-Thorin, valendo per
p = 1 e p = 2. 35
10. Coppie di Gelfand compatte
Sia (G, K) una coppia di Gelfand con G compatto (diremo semplicemente una
coppia di Gelfand compatta). Indichiamo con ΠK l’insieme delle (classi di equivalenza di) rappresentazioni di classe 1 rispetto a K). Se π ∈ ΠK , fissiamo un generatore unitario eπ dello spazio unidimensionale HπK . Le funzioni√ϕπ = heπ , π(g)eπ i
sono le funzioni sferiche di tipo positivo. Per il Teorema 3.3, { dπ eπ } è una base
ortonormale di L2 (K; G; K).
Lemma 10.1. Le ϕπ sono tutte le funzioni sferiche di (G, K).
Dimostrazione. Per la (4) del §6, per ogni f ∈ L1 (K; G; K),
f ∗ ϕ(g) = (f ∗ ϕ)(e)ϕ(g) .
Ne segue che, se ϕ1 e ϕ2 sono due funzioni sferiche,
ϕ1 ∗ ϕ2 = (ϕ1 ∗ ϕ2 )(e)ϕ1 = (ϕ1 ∗ ϕ2 )(e)ϕ2 .
Quindi, se (ϕ1 ∗ ϕ2 )(e) 6= 0, allora ϕ1 = ϕ2 . Altrimenti ϕ1 ∗ ϕ2 = 0. Se dunque
avessimo una funzione sferica ϕ non di tipo positivo, avremmo
hϕ, ϕπ i = ϕ ∗ ϕπ0 (e) = 0 ,
dove π 0 ∈ ΠK è la rappresentazione controgradiente di π. Ma allora avremmo
l’assurdo che ϕ = 0. Abbiamo dunque ∆+ = ∆, che può essere identificato con ΠK . Per l’ortogonalità
delle ϕπ , la topologia di ∆ è necessariamente discreta.
Se f ∈ L2 (K; G; K),
kf k22 =
X
dπ |hf, eπ i|2
π∈ΠK
=
X
dπ |fˆ(π 0 )|2
π∈ΠK
=
X
dπ |fˆ(π)|2 ,
π∈ΠK
da cui si deduce che σ {π} = dπ .
11. Algebre commutative di funzioni invarianti per automorfismi
Sia H un gruppo localmente compatto unimodulare, e sia K un gruppo compatto di automorfismi di H (indicheremo con k · h l’azione dell’automorfismo k
sull’elemento h). Indichiamo con L1K (H) il sottospazio di L1 (H) delle funzioni
invarianti sotto l’azione di K, cioè tali che
f ◦k =f ,
∀k ∈ K .
L1K (H) è chiusa per convoluzione e dunque è un’algebra di Banach.
36
Supporremo che L1K (H) sia commutativa. Questa situazione rientra nell’ambito
delle coppie di Gelfand attraverso la costruzione seguente.
Si consideri il gruppo G di applicazioni di H in sé ottenuto componendo gli
elementi di K con le traslazioni sinistre di H stesso.
Dati k ∈ K, h ∈ H, si consideri l’applicazione
ψh,k (h0 ) = h(k · h0 ) .
Allora
0
0
ψh1 ,k1 ◦ ψh2 ,k2 (h ) = h1 k1 · h2 (k2 · h )
= h1 (k1 · h2 ) (k1 k2 ) · h0
= ψh1 (k1 ·h2 ),k1 k2 (h0 ) .
Quindi G è il prodotto semidiretto H oK, identificabile con il prodotto cartesiano
H × K dotato del prodotto
(h1 , k1 )(h2 , k2 ) = h1 (k1 · h2 ), k1 k2 .
Si verifica facilmente che dh dk è una misura di Haar, sia destra che sinistra, di
G.
Il fattore H è normale, mentre K non lo è in generale. Lo spazio quoziente G/K
è comunque identificabile con H come spazio topologico, in quanto le classi laterali
destre modulo K sono gli insiemi
{(h0 , k : k ∈ K} = (h0 , e)K .
Seguendo le notazioni del paragrafo 2, poniamo dunque Λ(h, k) = h, e se f è una
funzione definita su H, poniamo Λ∗ (f )(h, k) = f (h).
Lemma 11.1. Una funzione f definita su H è K-invariante se e solo se Λ∗ (f ) è
bi-K-invariante su G. Se f1 , f2 ∈ L1K (H), si ha
Λ∗ (f1 ∗ f2 ) = Λ∗ (f1 ) ∗ Λ∗ (f2 ) .
Dimostrazione. Λ∗ (f ) è certamente K-invariante a destra. La K-invarianza a sinistra equivale alla proprietà
Λ∗ (f )(k 0 · h, k 0 k) = Λ∗ (f )(h, k)
per ogni k 0 ∈ K. Ma questo equivale alla K-invarianza di f .
Si ha poi
Z
∗
∗
Λ (f1 ) ∗ Λ (f2 )(h, k) =
Λ∗ (f1 )(h0 , k 0 )Λ∗ (f2 ) (h0 , k 0 )−1 (h, k) dh0 dk 0
ZH×K
−1
−1
−1
=
Λ∗ (f1 )(h0 , k 0 )Λ∗ (f2 ) (k 0 · h0 , k 0 )(h, k) dh0 dk 0
ZH×K
−1
−1
−1
=
f1 (h0 )f2 (k 0 · h0 )(k 0 · h) dh0 dk 0
ZH×K
−1
−1 =
f1 (h0 )f2 k 0 · (h0 h) dh0 dk 0
ZH×K
−1
=
f1 (h0 )f2 (h0 h) dh0 dk 0
H×K
= f1 ∗ f2 (h) .
37
Teorema 11.2. L1K (H) è commutativa se e solo se (G, K) è una coppia di Gelfand.
Per una funzione ϕ ∈ L∞
K (H) le seguenti proprietà sono equivalenti:
(i) ϕ definisce un funzionale moltiplicativo su L1K (H);
(ii) Λ∗ (ϕ) è una funzione sferica di (G, K);
(iii) ϕ soddisfa l’identità
Z
(11.1)
ϕ h(k · h0 ) dk = ϕ(h)ϕ(h0 ) .
K
La dimostrazione è semplice. Si tralascia la verifica che la (11.1) è equivalente
alla (5.1) per Λ∗ (ϕ).
Per abuso di linguaggio, anche le funzioni soddisfacenti la (11.1) si chiamano
funzioni sferiche.
Esempi.
(11.a) Prendiamo H = Rn e K un qualunque sottogruppo compatto di GL(n, R).
Essendo L1 (Rn ) commutativa di per sé, lo è certamente anche L1K (Rn ).
Sicuramente il funzionale
Z
λ(f ) =
f (x)e−ihξ,xi dx = Ff (ξ) ,
Rn
dove F indica la trasformata di Fourier in Rn , è moltiplicativo su L1K (Rn ). Per
rappresentarlo come integrazione contro una funzione K-invariante, basta mediare
sull’azione di K:
Z
λ(f ) =
f (k −1 · x)e−ihξ,xi dx
n
ZR Z
=
f (x)e−ihξ,k·xi dx dk
n
ZK R
=
f (x)ϕξ (x) dx ,
Rn
dove
Z
ϕξ (x) =
e
K
−ihξ,k·xi
Z
dk =
e−ih
t
k·ξ,xi
dk .
K
Si noti che ϕξ dipende solo dall’orbita di ξ sotto l’azione di tK = { tk : k ∈ K}.
Quelli cosı̀ determinati sono tutti i funzionali moltiplicativi di L1K (Rn ). Una
dimostrazione di ciò è la seguente. Si considerino le due algebre di Banach con
unità A = L1 (Rn ) + Cδ0 e AK = L1K (Rn ) + Cδ0 . Lo spettro di Gelfand di A è la
compattificazione di Aleksandroff di Rn , Rn ∪ {∞}, e la trasformata di Gelfand è
f\
+ cδ0 (ξ) = Ff (ξ) + c, f\
+ cδ0 (∞) = c.
Nello spettro di Gelfand di AK troviamo i funzionali moltiplicativi λξ (f + cδ0 ) =
Ff (ξ) + c, associati alle orbite Oξ di tK, e il funzionale λ∞ (f + cδ0 ) = c.
Supponiamo che λ sia un altro funzionale moltiplicativo, diverso da questi. Allora ker λ sarebbe un ideale massimale non contenuto in nessuno dei nuclei ker λξ ,
ker λ∞ . Quindi per ogni orbita Oξ si troverebbe µξ ∈ ker λ tale che Fµξ 6= 0 su Oξ ,
e analogamente ci sarebbe µ∞ ∈ ker λ tale che Fµ∞ (∞) 6= 0.
38
Scelti opportuni intorni Uξ , U∞ delle varie orbite e di ∞, su cui la corrispondente
trasformata sia diversa da 0, ed estratto da questi un sottoricoprimento finito di
Rn ∪ {∞}, U1 , . . . , Um , avremmo che
µ=
m
X
µj ∗ µ∗j
j=1
sarebbe in ker λ e avrebbe Fµ = j |Fµj |2 strettamente positiva su Rn ∪ {∞}, lo
spettro di Gelfand di A. Ma allora µ ammetterebbe un inverso ν = g + cδ0 in A e
si avrebbe
1
Fν = Fg + c =
.
Fµ
P
Ma la restrizione di 1/Fµ a Rn è tK-invariante, dunque anche Fg lo sarebbe.
In conclusione ν ∈ AK . Ma ciò contrasta con l’ipotesi che µ sia contenuta in un
ideale proprio di AK .
In conclusione, lo spettro di Gelfand ∆K di L1K (Rn ) si identifica con l’insieme
delle orbite dell’azione di tK su Rn . La topologia di Gelfand coincide con la topologia quoziente indotta dalla topologia euclidea di Rn .
In questo caso ∆K = ∆+
K . La misura di Plancherel σ su ∆K è il push-forward
della misura di Lebesgue di Rn tramite la proiezione P : ξ 7→ Oξ : se B è un
Boreliano in ∆K , σ(B) = |P −1 B|.
(11.b) Sia H un gruppo compatto, e sia K il gruppo degli automorfismi interni di
H. L’epimorfismo naturale di H su K, che all’elemento h associa l’automorfismo
τh (g) = hgh−1 ,
passa al quoziente modulo il centro ZH di H, per cui K ∼ H/ZH .
Le funzioni K-invarianti su H sono le funzioni centrali introdotte nel paragrafo
3 del Capitolo V.
La condizione (11.1) coincide con la (3.3) del Capitolo V, per cui le funzioni
sferiche sono
1
χπ ,
dπ
al variare di χπ tra i caratteri delle rappresentazioni unitarie irriducibili di H.
La topologia di Gelfand è discreta (si noti che H o K è compatto) e la misura
di Plancherel associa a ogni π ∈ Π la misura d2π .
Tornando al caso generale, prendiamo in esame le funzioni sferiche di tipo positivo.
Lemma 11.3. Sia ϕ una funzione sferica su H. Allora ϕ è di tipo positivo se e
solo se Λ∗ (ϕ) è di tipo positivo su G.
Dimostrazione. Dalla caratterizzazione delle funzioni di tipo positivo nella (1) del
paragrafo 7, segue immediatamente che, se Λ∗ (f ) è di tipo positivo, lo è anche f .
Per l’implicazione inversa, siano gj = (hj , kj ), j = 1, . . . , n, elementi di G.
Essendo (hj , kj ) = (hj , e)(e, kj ), si ha
Λ∗ (ϕ)(gi−1 gj ) = Λ∗ (ϕ) (e, ki−1 )(h−1
i , e)(hj , e)(e, kj )
= Λ∗ (ϕ)(h−1
i hj , e)
= ϕ(h−1
i hj ) ,
39
da cui segue facilmente la conclusione.
E’ possibile discutere la commutatività di L1K (H) e descrivere le funzioni sferiche
di tipo positivo in termini di rappresentazioni, riferendosi alle rappresentazioni di
H, senza ricorrere a quelle di G.
Per far questo, consideriamo l’azione di K sulle rappresentazioni di H. Sia π
una rappresentazione unitaria irriducibile di H, e sia k ∈ K. Allora
π k (h) = π(k −1 · h)
definisce un’altra rappresentazione di H, sullo stesso spazio di Hilbert Hπ , ma non
necessariamente equivalente a π.
Lemma 11.4. Una funzione f ∈ L1 (H) è K-invariante se e solo se π k (f ) = π(f )
per ogni k ∈ K.
Si verifica facilmente che (k, π) 7→ π k è un’azione, e che, se π1 ∼ π2 , allora
π1k ∼ π2k .
Per passaggio al quoziente, K agisce sulle classi di equivalenza [π], cioè sugli
elementi dell’ oggetto duale Ĥ di H.
Fissata una rappresentazione π unitaria irriducibile, sia Kπ lo stabilizzatore di
[π]. Kπ è chiuso in K, dunque è compatto.
Per definizione, se k ∈ Kπ , π k ∼ π. Esiste dunque U è un operatore unitario
di intrallacciamento da π a π k e,per il Lemma di Schur, tutti gli altri operatori
di intrallacciamento sono i suoi multipli scalari. Quindi l’insieme degli operatori
unitari di intrallacciamento è il “toro unidimensionale” T k = TU = {eiθ U : θ ∈ T}.
Se k 0 è un altro elemento di Kπ , si verifica facilmente che
0
0
T k T k = T kk ,
e che l’applicazione T : k 7→ T k è fortemente continua nel senso che, dati k0 ∈ Kπ ,
v ∈ Hπ e ε > 0, esiste un intorno V di k0 tale che per ogni k ∈ V , T k v ⊂ {w :
d(w, T k0 v) < ε}.
In altri termini, introducendo il gruppo unitario proiettivo
P U (Hπ ) = U (Hπ )/{eiθ I; θ ∈ T} ,
T definisce un omomorfismo τ di Kπ in P U (Hπ ) continuo rispetto alla topologia
forte (passata al quoziente). Si dice che τ è una rappresentazione unitaria proiettiva
di Kπ su Hπ .
Vediamo ora che è possibile ampliare Kπ in un sovragruppo K̃π in modo tale
che τ sia sollevabile a una vera rappresentazione τ̃ di K̃π .
Sia τ ] : Kπ → U (Hπ ) un sollevamento continuo di τ , cioè una funzione continua
la cui composizione con la proiezione canonica di U (Hπ ) su P U (Hπ ) sia τ . A meno
di una moltiplicazione per un fattore costante, possiamo supporre che τ ] (e) sia
l’identità su Hπ .
Dati k, k 0 ∈ Kπ , esiste uno scalare ω(k, k 0 ) di modulo 1 tale che
τ ] (k)τ ] (k 0 ) = ω(k, k 0 )τ ] (kk 0 ) .
La funzione ω è un cociclo, cioè soddisfa la proprietà
(11.2)
ω(k, k 0 k 00 )ω(k 0 , k 00 ) = ω(k, k 0 )ω(kk 0 , k 00 ) ,
semplice conseguenza della proprietà associativa in Kπ . Inoltre ω è continua.
40
Lemma 11.5. Sia K̃π = Kπ × T con il prodotto
0
0
(k, eiθ )(k 0 , eiθ ) = kk 0 , ei(θ+θ ) ω(k, k 0 ) .
Allora K̃π è un gruppo compatto e
τ̃ (k, eiθ ) = eiθ τ ] (k)
è una rappresentazione unitaria su Hπ , tale che
τ̃ (k, eiθ )π(h) = π(k −1 · h)τ̃ (k, eiθ ) .
(11.3)
Inoltre {e} × T è un sottogruppo centrale di K̃π e K̃π /({e} × T) ∼ Kπ .
Dimostrazione. Ponendo nella (11.2) k 0 = e, si vede che ω(k, e) = ω(e, k 00 ) per ogni
k, k 00 . Ne segue che ω(e, k) = ω(k, e) = ω(e, e) = 1 per ogni k. Il resto sono semplici
verifiche. Coerentemente con la (11.3), si osservi che l’azione di Kπ su H si estende in
modo banale a K̃π , ponendo (k, eiθ ) · h = k · h.
Nella parte rimanente di questo paragrafo interverrà solo K̃π , per cui useremo
un unico simbolo, come k, k 0 , u ecc., per denotare suoi elementi.
In generale, la rappresentazione τ̃ è lungi dall’essere irriducibile. Utilizzando
la compattezza di K̃π , si può scomporre Hπ come somma diretta componenti irriducibili.
c̃ di K̃ . Se σ è un rappresentante di
Indichiamo con Pπ l’oggetto duale K
π
π
[σ] ∈ Pπ , indichiamo con dσ la sua dimensione, con χσ il suo carattere e con Pπσ
l’operatore
Z
σ
(11.4)
Pπ =
dσ χσ (k −1 )τ̃ (k) dk .
K̃π
Teorema 11.6. Pπσ è un proiettore ortogonale. La sua immagine Hπσ è un sottospazio τ̃ -invariante di Hπ . Se non è banale, Hπσ è decomponibile a sua volta nella
somma diretta (finita o infinita) di sottospazi irriducibili su cui l’azione di K̃π è
equivalente a σ.
Se f ∈ L1K (H), π(f ) commuta con τ̃ (k) per ogni k ∈ K̃π e applica ciascun Hπσ
in sé. L1K (H) è commutativa se e solo se, per ogni scelta di π e σ, Hπσ è banale o
irriducibile.
Il numero mσπ (con 0 ≤ mσπ ≤ ∞) si chiama la molteplicità di σ in τ̃ .
Dimostrazione. Poiché χσ (k) = χσ (k −1 ),
Z
Z
σ ∗
∗
(Pπ ) =
dσ χσ (k)τ̃ (k) dk =
K̃π
dσ χσ (k)τ̃ (k −1 ) dk = Pπσ .
K̃π
Inoltre, per la (3.1) del Capitolo V, (dσ χσ ) ∗ (dσ χσ ) = (dσ χσ ), per cui
Z Z
−1
σ 2
(Pπ ) =
d2σ χσ (k −1 )χσ (k 0 )τ̃ (kk 0 ) dk dk 0
K̃
K̃
Z πZ π
−1
=
d2σ χσ (k 0 k −1 )χσ (k 0 )τ̃ (k) dk dk 0
=
K̃π K̃π
Pπσ .
41
Quindi Pπσ è un proiettore ortogonale. Operando il cambiamento di variabile
u = kk 0 k −1 ,
Z
−1
σ
τ̃ (k)Pπ =
dσ χσ (k 0 )τ̃ (kk 0 ) dk 0
K̃
Z π
=
dσ χσ (k −1 u−1 k)τ̃ (uk) du
K̃
Z π
=
dσ χσ (u−1 )τ̃ (uk) du
=
K̃π
Pπσ τ̃ (k)
.
Hπσ
Da ciò segue che
è τ̃ -invariante. Se ρ ∈ Pπ è contenuta in τ̃|Hσ , esistono
π
σ
v, w ∈ Hπ non nulli tali che ϕw,v (k) = hτ̃ (k)v, wi sia uguale a ϕw,v ∗ (dρ χρ ). Ma
ϕw,v (k) = hτ̃ (k)Pπσ v, wi
Z
−1
=
dσ χσ (k 0 )hτ̃ (kk 0 )v, wi dk
K̃π
= ϕw,v ∗ (dσ χσ )(k) .
Siccome χρ ∗ χσ = 0 se ρ 6∼ σ per il Teorema 3.1 del Capitolo V, può solo essere
ρ ∼ σ. Per il Corollario 1.5 del Capitolo V, Hπσ si decompone nella somma diretta
di mσπ (con 0 ≤ mσπ ≤ ∞) sottospazi irriducibili, su ciascuno dei quali l’azione di
K̃π è equivalente a σ.
Per il Lemma 11.4,
(11.5)
τ̃ (k)π(f ) = π(f )τ̃ (k)
per ogni f ∈ L1K (H) e k ∈ K̃π .
Per la (11.4), segue facilmente che Pπσ π(f ) = π(f )Pπσ , per cui π(f ) applica Hπσ
in sé.
Supponiamo che Hπσ sia irriducibile per ogni π e σ. Segue dal Lemma di Schur
che, per f ∈ L1K (H), π(f ) agisce come un multiplo dell’identità su Hπσ . Quindi, se
f, g ∈ L1K (H), π(f )π(g) = π(g)π(f ) per ogni π. Per il Corollario 4.3 del Capitolo
IV, f ∗ g = g ∗ f .
Viceversa, supponiamo che L1K (H) sia commutativa. Gli operatori π(f )|Hσ , con
π
f ∈ L1K (H), formano una C ∗ -algebra, cui aggiungiamo l’identità, se necessario. Indichiamo con A la C ∗ -algebra con unità cosı̀ ottenuta e sia E la risoluzione regolare
dell’identità su ∆(A) ad essa associata, ai sensi del Teorema 5.5 del Capitolo I.
Se ∆(A) contenesse più di un punto, esisterebbe un proiettore spettrale E(ω) 6=
0, I. Per la (11.5), E(ω) commuterebbe con la restrizione di τ̃ a Hπσ e i sottospazi
V = ker E(ω), V ⊥ = im E(ω) sarebbero τ̃ -invarianti e π(f )-invarianti, per f ∈
L1K (H). Dati v ∈ V , w ∈ V ⊥ e g ∈ L1 (H), abbiamo
Z
Z Z
−1
hτ̃ (k )π(g)τ̃ (k)v, wi dk =
g(h)hτ̃ (k −1 )π(h)τ̃ (k)v, wi dh dk
K̃π
K̃
H
Z πZ
=
g(h)hπ(k −1 · h)v, wi dh dk
K̃
H
Z πZ
(11.6)
=
g(k · h)hπ(h)v, wi dh dk
K̃π
H
= hπ(g0 )v, wi
=0,
42
dove g0 (h) =
R
K̃π
g(k · h) dk ∈ L1K (H). Quindi l’operatore
Z
τ̃ (k −1 )π(f )τ̃ (k) dk
K̃π
applicherebbe V in sé per ogni f ∈ L1 (H).
Ma {π(f ) : f ∈ L1 (H)} è fortemente denso in L(Hπ ) e dunque {π(f )|Hσ : f ∈
π
L1 (H)} è fortemente denso in L(Hπσ ). Quindi avremmo che per ogni A ∈ L(Hπσ )
l’operatore
Z
τ̃ (k −1 )Aτ̃ (k) dk
à =
K̃π
applicherebbe V in sé. Siano allora V1 ⊂ V e V2 ⊂ V ⊥ sottospazi τ̃ -invarianti
irriducibili, e sia A : V1 → V2 un operatore di intrallacciamento non nullo. Estendiamo A a tutto Hπσ come l’operatore nullo su V1⊥ . Allora à = A, da cui l’assurdo.
Se quindi ∆(A) consiste di un unico punto, vuol dire che gli operatori π(f ),
con f ∈ L1K (H), agiscono su Hπσ come multipli scalari dell’identità. Supponiamo
allora che Hπσ non sia irriducibile rispetto a τ̃ . Esisterebbe allora un sottospazio
V proprio, non banale e τ̃ -invariante. Lo stesso argomento di prima porterebbe
all’assurdo. Corollario 11.7. Se L1K (H) è commutativa, e mσπ = 1, π(f )|Hσ è un multiplo
π
scalare λσπ (f ) dell’identità. Il funzionale λσπ è moltiplicativo e λσπk = λσπ per ogni
k ∈ K. La funzione sferica associata è
Z
1
σ
(11.7)
ϕπ (h) =
tr π k (h)|Hσ dk .
π
dσ K
Dimostrazione. La prima affermazione segue dal Teorema 11.6 e dal Lemma di
Schur. Ovviamente λσπ (f ∗ g) = λσπ (f )λσπ (g).
Dato k ∈ K, sia π 0 = π k . Siccome K agisce transitivamente su {[π k ] : k ∈ K} ⊂
Ĝ e lo stabilizzatore di [π] è Kπ , lo stabilizzatore di [π 0 ] è Kπ0 = kKπ k −1 .
u
Per u ∈ Kπ0 , il toro T u di operatori unitari di intrallacciamento da π 0 a π 0
0−1
0
]
coincide con T k uk . Il sollevamento τ 0 di τ 0 : u 7→ T u a Hπ può dunque essere
scelto come
]
−1
τ 0 (u) = τ ] (k 0 uk 0 ) ,
dando luogo al cociclo
ω 0 (u, u0 ) = ω 0 (k 0
−1
uk 0 , k 0
da cui risulta che l’applicazione (u, eiθ ) 7→ (k 0
su K̃π . Ne consegue che
τ̃ 0 (u, eiθ ) = τ̃ (k 0
−1
−1
−1 0 0
uk),
uk 0 , eiθ ) è un isomorfismo di K̃π0
uk 0 , eiθ ) .
Ma allora τ̃ 0 e τ̃ agiscono su Hπ attraverso gli stessi operatori, per cui7 Hπσ0 = Hπσ
per ogni k ∈ K e σ ∈ K̂π . Essendo poi π 0 (f ) = π(f ) per f ∈ L1K (H), concludiamo
che λσπ0 = λσπ .
7 L’isomorfismo
indicato sopra tra K̃π0 e K̃π induce un isomorfismo tra K̂π0 e K̂π . Per questo
motivo non distinguiamo tra rappresentazioni di Kπ e rappresentazioni di Kπ0 .
43
Inoltre,
λσπ (f )
1
1
=
tr π(f )|Hσ =
π
dσ
dσ
Z
f (h)tr π(h)|Hσ dh .
π
H
La funzione (dσ )−1 tr π(h)|Hσ non è K-invariante in generale. Tuttavia
π
λσπ (f )
Z
=
K
λσπk (f ) dk
Z
1
=
f (h)
dσ
H
Z
tr π k (h)|Hσ dk dh .
K
π
Corollario 11.8. Sia v ∈ Hπσ . Allora
Z
hπ(k −1 · h)v, vi dk = kvk2 ϕσπ (h) .
K
Dimostrazione. L’operatore
Z
(11.8)
π(k −1 · h) dk
B(h) =
K
commuta con τ̃ . Infatti, se u ∈ K̃π ,
Z
τ̃ (u)B(h) =
ZK
=
τ̃ (u)π(k −1 · h) dk
π (uk −1 ) · h τ̃ (u) dk
K
= B(h)τ̃ (u) .
Quindi B(h) applica ciascun Hπσ in sé, agendo su di esso come un multiplo scalare
b(h) dell’identità. Se {e1 , . . . , edσ } è una base ortonormale di Hπσ ,
dσ
1 X
hB(h)ej , ej i
b(h) =
dσ j=1
1
tr B(h) | σ
Hπ
dσ
σ
= ϕπ (h) .
=
Questo dimostra che
Z
K
hπ(k −1 · h)v, vi dk = hB(h)v, vi = kvk2 ϕσπ (h) .
44
Teorema 11.9. Le funzioni in (11.7) sono tutte e sole le funzioni sferiche di tipo
0
positivo. Inoltre ϕσπ = ϕσπ0 se e solo se [π 0 ] = [π k ] per qualche k ∈ K e [σ] = [σ 0 ].
Dimostrazione. Indichiamo con P, P0 rispettivamente il cono delle funzioni di tipo
positivo su H e il suo “tronco unitario” delle funzioni ϕ ∈ P tali che ϕ(e) ≤ 1.
Indichiamo poi con P K , P0K rispettivamente il sottocono delle funzioni K-invarianti
di tipo positivo e la sua intersezione con P0 . Per il Lemma 11.3, le funzioni sferiche
(intese come funzioni K-invarianti su H) sono i punti estremali non nulli di P0K . Il
proiettore
Z
f (k −1 · h) dk
P f (h) =
K
∞
L∞
K (H)
applica P su PK e P0 su P0K . Quindi P0K è l’inviluppo convesso
da L (H) a
chiuso delle proiezioni dei punti estremali di P0 . Pertanto ogni punto estremale di
P0K è la proiezione di un punto estremale di P0 .
Sia dunque ψ estremale in P0 e non nulla. Per il Teorema 4.1 del Capitolo IV,
ψ(h) = hπ(h)v, vi, dove π è irriducibile e v ∈ Hπ ha norma 1. Allora
Z
P ψ(h) =
hπ(k −1 · h)v, vi dk .
K
Mantenendo le notazioni precedenti, sia P
Σπ l’insieme delle rappresentazioni irriducibili di K̃π contenute in τ̃ . Allora v = σ∈Σπ tσ vσ , con vσ vettore unitario di
P
Hπσ , 0 ≤ tσ ≤ 1 e σ t2σ = 1.
Ma allora, se B(h) è l’operatore nella (11.8),
P ψ(h) = hB(h)v, vi
X
=
t2σ hB(h)vσ , vσ i
σ∈Σπ
X
=
t2σ ϕσπ (h) .
σ∈Σπ
Quindi P ψ è estremale se e solo se esiste σ tale che tσ = 1, cioè v ∈ Hπσ .
0
Supponiamo ora che ϕσπ = ϕσπ0 . Siano {e1 , . . . , edσ }, {e01 , . . . , e0dσ0 } basi ortonor0
mali di Hπσ e Hπσ0 rispettivamente. Allora
dσ ϕσπ (h)
=
dσ
X
hπ(h)ej , ej i
j=1
è un coefficiente diagonale della rappresentazione π ] = π⊗I di H su Hπ] = Hπ ⊗Hπσ ,
data da8
π ] (h)(v ⊗ w) = π(v) ⊗ w .
P
Infatti, se v ] = j ej ⊗ ej ,
hπ ] (h)v ] , v ] i =
dσ
dσ
X
X
hπ ] (h)(ej ⊗ ej ), ej ⊗ ej i =
hπ(h)ej , ej i .
j=1
8 Il
j=1
σ nel prodotto tensoriale potrebbe essere un qualunque spazio di dimensecondo fattore Hπ
σ è solo
sione dσ , in quanto su di esso non si effettua alcuna operazione non banale. La scelta di Hπ
per economia di notazioni.
45
Il vettore v ] è ciclico. Sia infatti w] ∈ Hπ] ortogonale a π ] (f )v ] per ogni f ∈
Pdσ
wj ⊗ ej , abbiamo
L1 (H). Posto w] = j=1
]
]
]
hπ (f )v , w i =
dσ
X
π(f )ej ⊗ ej , wk ⊗ ek
j,k=1
dσ
X
=
hπ(f )ej , wj i
j=1
=0.
Per la densità forte di {π(f )} in L(Hπ ),
dσ
X
hAej , wj i = 0
j=1
per ogni A ∈ L(Hπ ). Si prenda A tale che Aej = wj per concludere che w] = 0.
0
]
Allo stesso modo, ϕσπ0 è il coefficiente diagonale della rappresentazione π 0 = π 0 ⊗I
P
0
dσ0 0
]
di H su Hπ0 ] = Hπ0 ⊗ Hπσ0 associato al vettore ciclico v 0 = j=1
ej ⊗ e0j .
]
Per il Teorema 3.4 del Capitolo IV, π ] e π 0 sono equivalenti ed esiste un operatore
0
]
di intrallacciamento unitario U : Hπ ⊗ Hπσ → Hπ0 ⊗ Hπσ0 tale che U v ] = v 0 .
Sotto l’azione di π ] , Hπ ⊗ Hπσ si scompone nella somma di dσ copie di π. Infatti, ogni sottospazio della forma Hπ ⊗ (Cu0 ) è π ] -invariante e dà luogo a una
sottorappresentazione equivalente a π.
Più precisamente, questi sono i soli sottospazi π ] -invarianti irriducibili. Supponiamo infatti che un sottospazio chiuso π ] -invariante X contenga un elemento
Pk
x = j=1 vj ⊗ uj , con u1 , . . . , uk linearmente indipendenti e v1 , . . . , vk altrettanto.
Per la densità forte di {π(f ) : f ∈ L1 (H)} in L(Hπ ), X contiene allora ogni elePk
mento della forma j=1 Avj ⊗ uj , con A ∈ L(Hπ ). Scegliendo A tale che Avj 6= 0
solo per j = 1, si deduce che X contiene un elemento della forma v 0 ⊗ u1 6= 0, e
dunque tutto Hπ ⊗ (Cu1 ).
]
Lo stesso vale naturalmente per i sottospazi π 0 -invarianti di Hπ0 . Possiamo
allora dire che U applica il sottospazio irriducibile Hπ ⊗ (Ce1 ) in un sottospazio
]
π 0 -invariante irriducibile, dunque della forma Hπ0 ⊗ (Cu0 ). Questo mostra che π e
π 0 sono equivalenti.
0
Possiamo allora supporre che π 0 = π. Sia uj ∈ Hπσ di norma 1 tale che U :
Hπ ⊗ (Cej ) → Hπ ⊗ (Cuj ). Per il Lemma di Schur,
U (v ⊗ ej ) = eiθj v ⊗ uj .
Allora
]
v0 = U v] =
X
0
eiθj ej ⊗ uj ∈ Hπσ ⊗ Hπσ ,
j
]
0
0
mentre per definizione v 0 ∈ Hπσ ⊗ Hπσ . Dunque σ = σ 0 . 46
12. Analisi di Fourier di funzioni e operatori su G/K
Torniamo a una generica coppia di Gelfand (G, K). La formula di PlancherelGodement (8.4) conduce a un’analoga formula per funzioni in L2 (G; K), lo spazio
delle funzioni K-invarianti a destra su G (quindi, componendo con Λ, per generiche
funzioni in L2 (G/K)).
Se f ∈ L1 (G; K), per il Lemma 4.3, π(f ) = π(f )PπK per ogni rappresentazione
unitaria irriducibile π di G. Quindi
(1) π(f ) = 0 se π non è di classe 1 rispetto a K;
(2) se π è di classe 1, sia vπ un vettore unitario K-fisso; se wπ (f ) = π(f )vπ
allora π(f )v = hv, vπ iwπ (f );
(3) le funzioni in L1 (G; K) sono caratterizzate, all’interno di L1 (G) come quelle
per cui ker π(f ) ⊃ vπ⊥ se π è di classe 1, e π(f ) = 0 altrimenti.
Il vettore wπ (f ) dipende dalla scelta di vπ , e in tal senso è definito a meno di
coefficienti scalari di modulo 1. Tuttavia, quantità come hwπ (f ), vπ i, kwπ (f )k ecc.,
sono indipendenti da tale scelta.
Valgono le seguenti proprietà:
(i) se f ∈ L1 (K; G; K),
wπ (f ) = fˆ(π)vπ ;
(ii) se f ∈ L1 (K; G), allora f ∗ ∈ L1 (G; K) e
π(f )v = hv, wπ (f ∗ )ivπ ;
(iii) Se f1 ∈ L1 (K; G) e f2 ∈ L1 (G; K), allora f1 ∗ f2 ∈ L1 (K; G; K) e
∗
f\
1 ∗ f2 (π) = hwπ (f2 ), wπ (f1 )i ;
(iv) se f1 ∈ L1 (G; K) e f2 ∈ L1 (K; G; K), allora
wπ (f1 ∗ f2 ) = fˆ2 (π)wπ (f1 ) ,
ˆ
f\
2 ∗ f1 = f2 (π)hwπ (f1 ), vπ i .
Dato w ∈ Hπ , indichiamo con ψw la funzione
ψw (g) = hw, π(g)vπ i .
(12.1)
Si noti che
Z
f (h)hπ(h)vπ , π(g)vπ i dh = (f ∗ ϕπ )(g) .
ψwπ (f ) (g) =
G
Identifichiamo ∆+ con l’insieme delle (classi di equivalenza di) rappresentazioni
unitarie di classe 1 rispetto a K, tramite la corrispondenza π ↔ ϕπ .
Q
Teorema 12.1. Sia L2 il sottospazio di π∈∆+ Hπ , i cui elementi ω = (wπ )π∈∆+
soddisfano le seguenti condizioni:
R
(i) le applicazioni π 7→ kwπ k e π 7→ G s(g)ψwπ (g) dg, con s ∈ L1 (G; K), sono
misurabili;
R
(ii) ∆+ kwπ k2 dσ(π) = kωk2L2 < ∞.
47
Data f ∈ L1 ∩ L2 (G; K), ω(f ) = wπ (f ) ∈ L2 e
kω(f )kL2 = kf k2 .
(12.2)
L’operatore f 7→ ω(f ) si estende per continuità a una isometria di L2 (G; K) su
L2 .
Se π 7→ kwπ (f )k ∈ L1 (∆+ , σ), vale la formula di inversione
Z
Z
hwπ (f ), π(g)vπ i dσ(π) =
f (g) =
∆+
(12.3)
∆+
ψwπ (f ) (g) dσ(π)
Z
f ∗ ϕπ (g) dσ(π) .
=
∆+
Dimostrazione. Se f, s ∈ L1 (G; K),
Z
Z
Z
s(g)(f ∗ ϕπ )(g) dg =
s(g)ψwπ (f ) (g) dg =
G
G
ˇ ∗ s(π) ,
(fˇ ∗ s)(g)ϕπ (g) dg = f[
G
essendo fˇ ∗ s ∈ L1 (K; G; K). La dipendenza da π è dunque continua, quindi
misurabile.
Se f ∈ L1 ∩ L2 (G; K), sia
∗
Z
f (hg −1 )f (h) dh .
u(g) = f ∗ f (g) =
G
Allora u è bi-K-invariante e in L1 ∩ C0 per la disuguaglianza di Young. Inoltre,
per π ∈ ∆+ e v ∈ Hπ ,
π(u)v = π(f )∗ π(f )v = kwπ (f )k2 hv, vπ ivπ .
Per il Lemma 8.2, la trasformata di Fourier sferica di u è û(π) = kwπ (f )k2 , che
dunque è funzione continua di π. Per concludere che wπ (f ) ∈ L2 , occorre dunque
dimostrare che û è integrabile.
Prendiamo una identità approssimata {ηi } hermitiana, e sia {ηi] } come nel
Lemma 9.1.
b
Per la (8.5), notando che ηi] (π) ∈ R su ∆+ ,
(12.4)
u∗
ηi] (e)
Z
u(g)ηi] (g) dg
=
G
Z
=
∆+
b
kwπ (f )k2 ηi] (π) dσ(π) .
Fissato un compatto C ⊂ ∆+ , si puo scegliere una successione {ηi]n } tale che
(i) |u(e) − u ∗ ηi]n (e)| < n1 ;
c
(ii) |1 − ηi]n (π)| < n1 su C.
In particolare,
lim u ∗ ηi]n (e) = u(e) = kf k22 .
n→∞
48
Per il Lemma di Fatou,
Z
Z
\
2
kwπ (f )k dσ(π) ≤ lim inf
kwπ (f )k2 ηi]n (π) dσ(π)
n→∞
C
C
= lim u ∗ ηi]n (e)
=
n→∞
kf k22
.
Per l’arbitrarietà di C, ω(f ) ∈ L2 e kω(f )kL2 ≤ kf
R k2 .
Dato ε > 0, sia ora Cε un compatto tale che ∆+ \Cε kwπ (f )k2 dσ(π) < ε, e
si scelgano indici in in modo che {ηi]n } soddisfi (i) e (ii) relativamente a Cε . Se
supi kηi k1 ≤ M ,
kf k22 = u(e)
1
≤ + |u ∗ ηi]n (e)|
n Z
1
b
≤ +
kwπ (f )k2 |ηi] (π)| dσ(π)
n
+
Z∆
Z
1
b
2 b]
= +
kwπ (f )k |ηi (π)| dσ(π) +
kwπ (f )k2 |ηi] (π)| dσ(π)
n
∆+ \Cε
Cε
1
1
≤ + Mε + 1 +
kω(f )k2L2 .
n
n
Per l’arbitrarietà di ε e n, si ha kf k2 ≤ kω(f )k2L2 .
Dalla (12.4), per convergenza dominata, segue che
Z
u(g)ηi] (g) dg
u(e) =
G
Z
=
kwπ (f )k2 dσ(π) ,
∆+
che non è altro che la (12.2).
Segue che l’immagine di L2 (G; K) è chiusa in L2 . Mostriamo che è densa. Sia
ω = (wπ ) ortogonale a ogni ω(f ), con f ∈ L1 ∩ L2 (G; K). Se u ∈ L1 (K; G; K) si
ha ω(u ∗ f ) = ûω(f ), e dunque
Z
hω(u ∗ f ), ωi =
∆+
Z
=
∆+
û(π)hwπ (f ), wπ i dσ(π)
Z
f (g)û(π)hπ(g)vπ , wπ i dg dσ(π)
G
=0,
per ogni f e ogni u come sopra. Per l’arbitrarietà di f ,
Z
û(π)hπ(g)vπ , wπ i dσ(π) = 0
∆+
per ogni g ∈ G e ogni u. Per la densità delle trasformate û in C0 (∆+ ), si ottiene
che hπ(g)vπ , wπ i = 0 per ogni g e quasi ogni π. Siccome vπ è ciclico, wπ = 0 per
quasi ogni π.
49
Infine, per dimostrare la (12.3), è sufficente prendere g = e, usando l’identità
f ∗ ϕπ (g) = (Lg−1 f ) ∗ ϕ(e). Per polarizzazione, dalla (12.2) si ottiene che, date
f1 , f2 ∈ L2 (G; K), la funzione hwπ (f1 ), wπ (f2 )i è integrabile su ∆+ e
Z
Z
hwπ (f1 ), wπ (f2 )i dσ(π) .
f1 (g)f2 (g) dg =
∆+
G
b
Posto f2 = ηi] , wπ (f2 ) = ηi] (π)vπ . Se kwπ (f )k ∈ L1 , presa ψ = ηi] e con passaggio
al limite, si ha la (12.3) per g = e. Su uno spazio omogeneo M consideriamo l’algebra A degli operatori continui T
su L2 (M ) e G-invarianti, tali cioè che T τg = τg T per ogni g ∈ G, con τg definita
dalla (2.2).
Fissato x0 ∈ M , sia K lo stabilizzatore di x0 in G e identifichiamo M con
G/K. Grazie all’identificazione (unitaria) Λ∗ di L2 (M ) con L2 (G; K) che associa
a f ∈ L2 (M ) la funzione
Λ∗ f (g) = f (g · x0 ) ,
possiamo allora sostituire T con T 0 = Λ∗ T Λ∗ −1 su L2 (G; K). Ovviamente T 0
commuta con le traslazioni sinistre per elementi di G. Se u ∈ L1 (G) e f ∈ L2 (G; K),
allora u ∗ f ∈ L2 (G; K) e
Z
(12.5)
T (u ∗ f ) = T
u(h)Lh f dh
G
Z
Z
=
u(h)T Lh f dh =
u(h)Lh T f dh
G
G
= u ∗ (T f ) .
Inoltre T 0 applica L2 (K; G; K) in sé.
0 f = mfˆ per ogni
d
Lemma 12.2. Esiste una funzione m ∈ L∞ (∆+ ) tale che T
.
f ∈ L2 (K; G; K). Inoltre kmk∞ = kT 0 k
2
L L (K;G;K)
Dimostrazione. Coniugando T 0 , ristretto a L2 (K; G; K), con la trasformata di
Fourier sferica, si ottiene un operatore T̂ limitato su L2 (∆+ ), e la (12.5) corrisponde
alla proprietà
T̂ (ûη) = ûT̂ η
per ogni u ∈ L1 (K; G; K). Per densità, tale identità vale con una qualunque funzione in C0 (∆+ ) al posto di û.
Dato un aperto relativamente compatto A ⊂ ∆+ , si ponga mA (π) = T̂ χA (π) per
π ∈ A. Se η ∈ C0 (∆+ ) ha supporto contenuto in A, si ha
T̂ η = T̂ (ηχA ) = ηmA .
Per continuità, questa identità vale per ogni η ∈ L2 (A). Inoltre
kmA kL∞ (A) = sup kηmA k2 ≤ kT̂ k .
kηk2 ≤1
50
Siano A, A0 due aperti relativamente compatti. Su A ∩ A0 ,
mA∩A0 = T̂ (χA∩A0 ) = χA∩A0 mA = mA ,
e analogamente mA∩A0 = mA0 . Quindi mA = mA0 su A ∩ A0 . Le funzioni mA si
incollano dando dunque luogo a una funzione m definita su tutto ∆+ , con kmk∞ ≤
kT̂ k, e tale che
T̂ η = ηm
per ogni η. La disuaglianza kT̂ k ≤ kmk∞ è quindi ovvia. La funzione m si chiama il moltiplicatore di Fourier sferico dell’operatore T .
Teorema 12.3. Per una generica f ∈ L2 (G; K), T 0 f è la funzione tale che
wπ (T 0 f ) = m(π)wπ (f )
(12.6)
quasi ovunque su ∆+ . Viceversa, data m ∈ L∞ (∆+ ), la (12.6) definisce un operatore T 0 G-invariante a sinistra su L2 (G; K), e dunque un operatore T G-invariante
su L2 (M ).
Dimostrazione. Sia u ∈ L1 (K; G; K). Allora T 0 (f ∗ u) = f ∗ T 0 u, per cui
wπ T 0 (f ∗ u) = m(π)û(π)wπ (f ) .
Ponendo u = ηi] , le funzioni introdotte nel Lemma 9.1, si ha
wπ (T 0 f ) = lim wπ T 0 (f ∗ ηi] )
i
b
= lim m(π)ηi] (π)wπ (f )
i
= m(π)wπ (f ) .
L’ultima parte è ovvia.
Data una funzione m misurabile su ∆ a valori in Cn , chiamiamo immagine
essenziale di m il complementare in Cn del più grande aperto Ω tale che m−1 (Ω)
abbia misura nulla. Un elemento ζ ∈ C n è nell’immagine essenziale di m se e solo
se m−1 (U ) ha misura positiva per ogni intorno U di ζ.
Corollario 12.4. L’algebra A degli operatori G-invarianti limitati su L2 (M ) è
una C ∗ -algebra
commutativa e isomorfa a L∞ (∆+ ). Lo spettro di un operatore T
in L L2 (M ) coincide con il suo spettro in A ed è uguale all’immagine essenziale
in C del suo moltiplicatore di Fourier sferico.
Dimostrazione. La prima affermazione segue dal Teorema 12.3, osservando che se
m1 , m2 sono i moliplicatori di Fourier sferici di T1 , T2 rispettivamente, allora il
moltiplicatore di T1 T2 è m1 m2 e che, se T ∈ A,
T ∗ τg = (τg−1 T )∗ = (T τg−1 )∗ = τg T ∗ ,
per cui T ∗ ∈ A. In modo analogo si verifica che, se T ∈ A ammette un inverso
T −1 in L L2 (M ) , allora T −1 ∈ A. Da questo segue l’uguaglianza degli spettri di
T nelle due algebre.
51
Infine, per il Teorema 12.3, un numero complesso ζ è nello spettro di T in A
se e solo se, detto m il moltiplicatore di Fourier sferico di T , esiste m0 ∈ L∞ (∆+ )
tale che (ζ − m)m0 = 1. Ma questo equivale all’esistenza di un δ > 0 tale che
|m(π) − ζ| > δ quasi ovunque su ∆+ . Più in generale, sia {T1 , · · · Tn } una famiglia finita di elementi di A. Si chiama
spettro congiunto 9 di {T1 , · · · Tn } in A, risp. in L L2 (M ) , l’insieme delle n-uple ζ =
(ζ1 , . . . , ζn ) ∈ Cn per cui non esistano elementi U1 , . . . Un ∈ A, risp. in L L2 (M ) ,
tali che
n
X
(12.7)
j=1
(ζj − Tj )Uj =
n
X
Uj (ζj − Tj ) = I .
j=1
Corollario 12.5. Sia mj il moltiplicatore di Fourier
sferico di Tj . Lo spettro
2
congiunto di T1 , · · · Tn , sia in A sia in L L (M ) , è l’immagine essenziale della
funzione m = (m1 , . . . , mn ).
Dimostrazione. Sia ζ nell’immagine
che
essenziale di m e supponiamo per assurdo
P
2
2
esistano U1 , . . . , Un ∈ L L (M ) per cui valga la (12.7). Posto C =
j kUj k ,
P
esiste un compatto B ⊂ ∆+ di misura positiva tale che j |ζj − mj (π)|2 < (2C)−1
su B. Sia f ∈ L2 (K; G; K) tale che fˆ = χB . Allora
X
2
2 X
Uj (ζj − Tj )f ≤
kUj kk(ζj − Tj )f k2
j
j
≤C
X
=C
X
k(ζj − Tj )f k22
j
k(ζj − mj )χB k22
j
2
= C |ζj − mj |χB 2
1
≤ kf k22 ,
2
da cui l’assurdo.
Supponiamo
viceversa che ζ non sia nell’immagine essenziale di m. Allora la
P
funzione j |ζj − mj (π)|2 è limitata dal basso da una costante positiva, per cui le
funzioni
ζ̄j − mj (π)
m0j (π) = P
2
j |ζj − mj (π)|
sono limitate.PSia Uj ∈ A l’operatore definito dal moltiplicatore di Fourier sferico
m0j . Siccome j (ζj − mj )m0j = 1, vale la (12.7). Risultati analoghi valgono per famiglie commutative di operatori illimitati chiusi
e G-invarianti.
9 La
nozione ha senso per una famiglia finita di elementi di un’algebra di Banach con unità che
commutino a due a due.
52
Capitolo II
GRUPPI DI LIE E VARIETA’ OMOGENEE
1. Gruppi di Lie: nozioni fondamentali
Un gruppo di Lie 10 è un gruppo dotato di una struttura di varietà differenziabile11 reale tale che le operazioni di gruppo (prodotto e inverso) siano differenziabili.
Se K indica R o C, sono gruppi di Lie:
(1) Kn in modo naturale;
(2) i gruppi lineari GL(n, K) = {A ∈ M n×n (K) : det A 6= 0} con la struttura
2
indotta dalla loro immersione come aperti densi in Kn ;
(3) i gruppi classici di matrici sono naturalmente immersi come sottovarietà
chiuse di un GL(n, K), in particolare:
(i) i gruppi lineari speciali SL(n, K), delle matrici tali che det A = 1;
(ii) i gruppi ortogonali O(n) ⊂ GL(n, R), delle matrici tali che A tA = I,
e SO(n) = O(n) ∩ SL(n, R);
(iii) i gruppi unitari U (n) ⊂ GL(n, C), delle matrici tali che AA∗ = I, e
SU (n) = U (n) ∩ SL(n, C);
(iv) i gruppi pseudo-ortogonali O(p, q) ⊂ GL(p + q, R), delle matrici tali
che AIp,q tA = Ip,q , dove
Ip,q =
Ip
0
0
−Iq
,
e le loro varianti SO(p, q), U (p, q), SU (p, q);
(v) i gruppi di matrici triangolari superiori Tn (K) ⊂ GL(n, K), delle matrici tali che aij = 0 se i > j.
Tra quelli indicati, i gruppi GL(n, C), SL(n, C), Tn (C) (e nessuno degli altri)
hanno una struttura di gruppo complesso, in quanto sono varietà complesse.
Altri gruppi di Lie non hanno immersioni altrettanto naturali in spazi euclidei,
per esempio:
(1) Spin(n), n ≥ 7, il rivestimento universale12 di SO(n) (a due fogli);
(2) il rivestimento universale di SL(2, R) (a infiniti fogli);
(3) i gruppi proiettivi P GL(n, K) = GL(n, K)/K∗ .
I gruppi di Lie sono gruppi topologici localmente compatti, e possiedono dunque
misure di Haar destre e misure di Haar sinistre.
10 Per
tutto quanto non dimostrato, si rinvia a S. Helgason, Differential Geometry, Lie Groups
and Symmetric Spaces.
11 Con differenziabile si intende C ∞ .
12 In dimensioni basse (n ≤ 6) i gruppi Spin sono isomorfi a gruppi di matrici, e dunque
immergibili in modo naturale: Spin(3) ∼
= SU (2), Spin(4) ∼
= SU (2) × SU (2), Spin(5) ∼
= Sp(2),
∼
Spin(6) = SU (4). Per n = 2, il rivestimento universale di SO(2) ∼
= T è isomorfo a R, con infiniti
fogli.
53
Sia G un gruppo di Lie. Indichiamo con Tg G lo spazio tangente a G nell’elemento
g. Per h ∈ G, le traslazioni sinistre `h e destre rh sono differenziabili e i loro
differenziali (d`h )g : Tg G → Thg G, (drh )g : Tg G → Tgh−1 G in h sono invertibili per
ogni h ∈ G.
Un campo vettoriale X su G si dice invariante a sinistra13 se per ogni g, h ∈ G,
(d`h )g Xh = Xhg .
Un campo vettoriale X su G induce un operatore differenziale su G. Data f di
classe C 1 su G, poniamo
(1.1)
Xf (g) = (df )g (Xg ) .
Il campo X è invariante a sinistra se e solo se
(1.2)
X(f ◦ `h ) = (Xf ) ◦ `h ,
∀h ∈ G .
I campi vettoriali invarianti a sinistra formano un’algebra di Lie rispetto alle
operazioni di somma, prodotto per scalari e al commutatore
[X, Y ] = XY − Y X .
Tale algebra di Lie si chiama l’algebra di Lie di G, indicata con Lie(G) o con g.
Un campo vettoriale X è in g se e solo se, per ogni g ∈ G,
Xg = d`g (Xe ) .
Quindi ogni campo vettoriale invariante a sinistra è univocamente determinato
dal suo valore nell’identità. Ne consegue che dim g = dim G.
Diamo senza dimostrazione alcuni risultati di carattere generale.
Teorema 1.1. Data un’algebra di Lie astratta g di dimensione finita, esiste uno e
un solo gruppo di Lie G, connesso e semplicemente connesso, tale che Lie(G) = g.
Ogni altro gruppo di Lie connesso, la cui algebra di Lie sia isomorfa a g, è isomorfo
al quoziente di G modulo un sottogruppo discreto centrale.
Dato un campo vettoriale X ∈ g, il problema di Cauchy
·
γ(t) = Xγ(t)
(1.3)
γ(0) = e ,
dove e è l’identità di G, ammette una e una sola soluzione γX : R → G. Dato t0 ∈ R,
anche γX (t0 )−1 γX (t + t0 ) risolve (1.3). Da ciò si deduce la proprietà moltiplicativa
di γ:
(1.4)
γX (t + t0 ) = γX (t)γX (t0 ) .
L’immagine di γ in G è dunque un sottogruppo di G, non necessariamente
chiuso14 .
13 Considerazioni
analoghe valgono per i campi vettoriali invarianti a destra.
consideri per esempio la proiezione di una retta con coefficiente angolare irrazionale su
R2 /Z 2 = T2 .
14 Si
54
Una funzione C ∞ γ da R a G soddisfacente la (1.4) si chiama gruppo a un
parametro. La corrispondenza X 7→ γX è una corrispondenza biunivoca tra elementi
di g e gruppi a un parametro.
L’applicazione esponenziale exp : g → G data da
exp X = γX (1)
è un diffeomorfismo locale, il cui differenziale nell’origine (d exp)0 : g → Te G è
(d exp)0 (X) = Xe .
Inoltre, per X ∈ g, γX (t) = exp(tX) e la funzione Xf nella (1.1) è data da
(1.5)
Xf (g) =
d
f g exp(tX) .
dt |t=0
In generale, exp non è né iniettiva né suriettiva.
Dato g ∈ G, l’applicazione X 7→ g exp X è localmente invertibile nell’origine, e
la sua inversa definisce una carta locale ϕg in g.
Teorema 1.2. L’atlante {ϕg } definisce una struttura analitica su G. Le operazioni
di gruppo e l’applicazione esponenziale sono analitiche. Lo stesso vale per le inverse
delle funzioni X 7→ (exp X)g.
Concludiamo questo paragrafo con alcune proprietà dei campi vettoriali invarianti a sinistra. Supponiamo sempre che G sia unimodulare.
Lemma 1.3. Siano ϕ, ψ ∈ Cc∞ (G), e sia X ∈ g. Allora
X(ϕ ∗ ψ) = ϕ ∗ (Xψ) ,
Z
Z
Xϕ(g)ψ(g) dg = −
ϕ(g)Xψ(g) dg .
(1.6)
(1.7)
G
G
Dimostrazione. La (1.6) si ottiene derivando per t = 0 l’identità
Z
ϕ ∗ ψ g exp(tX) =
ϕ(h)ψ h−1 g exp(tX) dh .
G
Passando alla (1.7), per l’invarianza della misura di Haar per traslazioni destre
si ha
Z
Z
ϕ(g)ψ(g) dg .
ϕ (g exp(tX) ψ (g exp(tX) dg =
G
G
Derivando in t per t = 0, si ottiene la conclusione.
2. Omomorfismi e sottogruppi di Lie
Continuiamo a presentare senza dimostrazione proprietà generali dei gruppi di
Lie.
55
Teorema 2.1. Sia ψ un omomorfismo di un gruppo di Lie G in un gruppo di Lie
G0 . Il suo differenziale 15 dψ applica campi vettoriali invarianti a sinistra su G
in campi vettoriali invarianti a sinistra su G0 , inducendo cosı̀ un omomorfismo di
algebre di Lie da g a g0 .
Viceversa, siano g, g0 due algebre di Lie e siano G il gruppo connesso e semplicemente connesso con Lie(G) = g, G0 un qualunque gruppo di Lie con Lie(G0 ) = g0 .
Ogni omomorfismo di g in g0 è allora il differenziale di un unico omomorfismo di
G in G0 .
Gli omomorfismi di gruppi di Lie sono analitici.
Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Sia poi h una sottoalgebra di Lie
di g, e indichiamo con H0 il gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso con
algebra di Lie h. Indichiamo inoltre con expG e expH0 le applicazioni esponenziali
dei due gruppi.
Proposizione 2.2. L’applicazione ψ : expH0 X 7→ expG X, inizialmente definita
su un intorno sufficientemente piccolo di eH0 , si prolunga analiticamente a un omomorfismo regolare 16 di H0 in G.
L’immagine H = ψ(H0 ) in G è dunque un sottogruppo di G, algebricamente
isomorfo a H0 /D, dove D è un sottogruppo discreto centrale di H0 . Inoltre H
eredita, attraverso la ψ, una struttura di sottovarietà di G.
Si chiama sottogruppo di Lie di G un sottogruppo la cui componente connessa
dell’identità sia descrivibile come sopra17 . Se H è un sottogruppo di Lie di G, il suo
spazio tangente nell’identità è dunque una sottoalgebra di Lie di g e expG (X) ∈ H
per ogni X ∈ h.
Teorema 2.3. L’applicazione H 7→ Lie(H) stabilisce una corrispondenza biunivoca
tra i sottogruppi di Lie connessi di G e le sottoalgebre di Lie di g. Se H è un
sottogruppo di Lie connesso, H è normale se e solo se h = Lie(H) è un ideale 18
in g.
C’e’ un semplice punto di incontro tra la nozione di sottogruppo di Lie e quella,
puramente topologica, di sottogruppo chiuso.
Teorema 2.4. Ogni sottogruppo chiuso di G è una sottovarietà immersa, e dunque
un sottogruppo di Lie. Se H è un sottogruppo chiuso di G e G/H è lo spazio
quoziente con la struttura di varietà indotta, l’applicazione (g, g 0 H) 7→ gg 0 H da
G × G/H a G/H è analitica.
In particolare, se H è normale e chiuso, G/H è un gruppo di Lie e la sua algebra
di Lie è isomorfa a g/h.
15 Nella
categoria dei gruppi di Lie gli omomorfismi sono differenziabili per ipotesi.
applicazione differenziabile.
17 Si confronti la definizione di sottogruppo di Lie con quella di gruppo a un parametro. I
sottogruppi di Lie connessi di dimensione 1 sono le immagini in G dei sottogruppi a un parametro,
o anche, le classi di equivalenza dei gruppi a un parametro modulo cambiamenti lineari della
variabile.
18 Un ideale in un’algebra di Lie g è un sottospazio h tale che [g, h] ⊂ h.
16 Come
56
3. Spazi omogenei di gruppi di Lie, operatori
differenziali invarianti e struttura analitica
La nozione di operatore differenziale lineare su una varietà M può essere data
in due modi. Usando carte locali, si può dire che un tale operatore è un operatore
lineare D : C ∞ (M ) → C ∞ (M ) che, in una qualunque sistema di coordinate locali,
si esprima come operatore differenziale con coefficienti C ∞ . In modo equivalente, si
può anche dire che un operatore differenziale è un operatore lineare D : C ∞ (M ) →
C ∞ (M ) che conserva i supporti, cioè
supp (Df ) ⊂ supp f ,
∀ f ∈ C ∞ (M ) .
Gli operatori differenziali19 su M formano un’algebra associativa per composizione.
Consideriamo ora un’azione differenziabile ψ : G × M → M di G su una varietà
differenziabile M . Dicendo che M è uno spazio omogeneo di un gruppo di Lie G,
intenderemo sempre che M è una varietà e che l’azione di G su M è differenziabile.
Siccome lo stabilizzatore H = Gx0 di un dato punto x0 ∈ M è chiuso, esso è un
sottogruppo di Lie, G/H è una varietà differenziabile e l’applicazione gH 7→ g·x0 da
G/H a M è differenziabile e biiettiva. Ciò implica che essa è un diffeomorfismo. A
sua volta, ciò implica che M ha una struttura analitica che rende l’azione analitica.
Inoltre
dim M = dim G − dim H .
Diremo che un operatore differenziale D su M è G-invariante se Dτg f = τg Df
per ogni f ∈ C ∞ (M ) e ogni g ∈ G, dove τg f (x) = f (g −1 · x). Indichiamo con D(M )
l’algebra di tali operatori.
Supporremo d’ora in poi che H sia compatto, e lo denoteremo con K. Supporremo anche che M = G/K, senza perdere con questo in generalità. Per funzioni
definite su G/K,
τg f (hK) = f (g −1 hK) .
Lemma 3.1. Un operatore differenziale D ∈ D(G/K) applica funzioni analitiche
in funzioni analitiche.
Dimostrazione. Dato x̄ ∈ G/K, sia ϕ : U → Ω ⊂ Rn una carta locale analitica in
x̄ con ϕ(x̄) = 0. Esistono allora coefficienti aα (t) su Ω tali che
X
(Df ) ◦ ϕ−1 (t) =
aα (t)∂ α (f ◦ ϕ−1 )(t) .
α
Sia σ : U → S un sollevamento analitico di U in G. Per la (3.1), posto g = σ(x),
X
Df (x) =
aα (0)∂ α (τg−1 f ) ◦ ϕ−1 (0) .
α
Se f è analitica, τg−1 f dipende analiticamente da g e dunque da x. Questo risultato vale in particolare nel caso K = {e}, cioè per operatori differenziali su G invarianti a sinistra. Consideriamo una base {X1 , . . . , Xn } dell’algebra
di Lie g di G e poniamo
n
X
∆=
Xj2 .
j=1
19 D’ora
in poi è sottinteso che gli operatori differenziali si intendono lineari.
57
Lemma 3.2. L’operatore ∆ è invariante per traslazioni sinistre ed ellittico. Posto
dom (∆) = Cc∞ (G), la chiusura è autoaggiunta e negativa.
Dimostrazione. L’invarianza di ∆ è ovvia.
Usando exp−1 : Ue → g come carta locale definita in un intorno dell’identità,
e introdotte coordinate lineari (t1 , . . . , tn ) su g adattate alla base {X1 , . . . , Xn }, si
ha, per definizione
∂(f ◦ exp)
(Xj f ) ◦ exp(0) =
(0) .
∂tj
Quindi
n
(Xj f ) ◦ exp(t) =
(3.1)
X
∂(f ◦ exp)
∂(f ◦ exp)
(t) +
ajk (t)
(t) ,
∂tj
∂tk
k=1
con ajk (0) = 0 per ogni j, k, per cui
(∆f ) ◦ exp(0) =
n
X
∂ 2 (f ◦ exp)
(0) + termini di ordine inferiore .
∂t2j
j,k=1
Questo dimostra l’ellitticità di ∆ in e, e negli altri punti segue per invarianza.
Per la (1.7), ogni Xj è antisimmetrico, e quindi ∆ è simmetrico. Inoltre
h∆f, f i =
n
n
X
X
kXj f k22 ≤ 0 ,
hXj2 f, f i = −
j=1
j=1
per cui ∆ è negativo.
Un criterio per verificare che la chiusura di ∆ è autoaggiunta consiste nel verificare che ∆−I ha immagine densa20 . Sia dunque f ∈ L2 (G) ortogonale all’immagine
di ∆−I. Questo implica che ∆f = f nel senso delle distribuzioni. Per l’ellitticità di
∆, questo implica a sua volta che f è C 2 (addirittura analitica) e l’uguaglianza vale
puntualmente. Se ϕ ∈ Cc2 (G), u = ϕ ∗ f è di classe C 2 e ∆(ϕ ∗ f ) = ϕ ∗ ∆f = ϕ ∗ f .
Approssimando opportunamente f ∗ con funzioni di classe C 2 a supporto compatto (per es. applicando a f ∗ troncamenti C 2 su compatti che invadono G)
si conclude che ∆(f ∗ ∗ f ) = f ∗ ∗ f . Ma f ∗ ∗ f è di tipo positivo, e dunque
max <e(f ∗ ∗ f ) = f ∗ ∗ f (e) = kf k22 . Questo è compatibile con la condizione
∆ <e(f ∗ ∗ f ) (e) = kf k22 ≥ 0 solo se f = 0. Sia {et∆ }t>0 il semigruppo di contrazioni su L2 (G) generato da ∆. Diamo a
questo punto senza dimostrazione il seguente teorema21 .
Teorema 3.3 (E. Nelson). Per t > 0, et∆ f = f ∗ pt , con pt ∈ L1 (G), positiva e
analitica. Inoltre {pt } è un’identità approssimata per t → 0.
Dimostriamo invece come da questa proprietà segue che le funzioni analitiche
sono dense negli spazi funzionali che ci interessano maggiormente.
20 Vedi
M. Reed, B. Simon, Methods of Modern Mathematical Physics. I. Functional Analysis,
p. 313.
21 Vedi E. Nelson, Analytic vectors, Ann. Math. 70 (1959), pp. 572-615, sez. 8.
58
Corollario 3.4. Le funzioni analitiche sono dense in ciascuno dei seguenti spazi:
Lp (G)
(1 ≤ p < ∞) ,
C0 (G) ,
L (G; K)
(1 ≤ p < ∞) ,
C0 (G; K) ,
Lp (K; G; K)
(1 ≤ p < ∞) ,
C0 (K; G; K) .
p
Dimostrazione. E’ sufficiente dimostrare che se f ∈ Cc (G), allora f ∗ pt e pt ∗ f
sono analitiche per ogni t > 0. Questo infatti dimostra direttamente la densità delle
funzioni analitiche in Lp (G), C0 (G), Lp (G; K), C0 (G; K).
Se f ∈ Lp (K; G; K) o C0 (K; G; K), le funzioni
Z
]
(f ∗ pt ) (g) =
f ∗ pt (gk) dk
K
sono pure analitiche e convergono a f . Inoltre esse sono bi-K-invarianti.
Sia U un intorno dell’origine in g tale che exp sia un diffeomorfismo su U . Sia
2
poi U0 ⊂ U un intorno simmetrico dell’origine tale che exp(U ) ⊂ U .
Esiste allora una funzione analitica η : U0 × U0 → U tale che
exp X exp Y = exp η(X, Y )
per X, Y ∈ U0 .
Fissiamo t > 0 e g0 ∈ G. Sia V ⊂ U0 tale che pt exp(η(−Y, X))g0 sia sviluppabile in serie di potenze in X e Y convergente su V × V . Allora, indicando con
X α i monomi in X in un dato sistema di coordinate lineari su g,
X
pt exp(η(−Y, X))g0 =
aα (Y )X α ,
α
dove le funzioni aα sono analitiche, e la serie converge uniformemente sui compatti
di V × V .
Supponiamo inizialmente che supp f ⊂ exp(V ). Fissato g0 ∈ G,
Z
f ∗ pt (exp X g0 ) =
f (exp Y )pt exp(−Y ) exp X g0 d(exp Y )
ZV
=
f (exp Y )pt exp(η(−Y, X))g0 d(exp Y )
V
Z
X
α
=
X
aα (Y )f (exp Y ) d(exp Y ) .
α
V
Per f con supporto compatto arbitrario, per ogni h ∈
supp f fissiamo un intorno
−1
dell’identità Vh ⊂ U0 tale che pt exp(η(−Y, X)) h g0 sia sviluppabile in serie di
potenze in X e Y convergente su Vh × Vh .
Siano h1 , . . . , hm tali che {hj exp(Vhj )}j≤m sia un ricoprimento di supp f . Tramite una partizione continua dell’unità, si può scomporre f come
m
X
f (h) =
fj (h) ,
j=1
con supp fj ⊂ hj exp(Vhj ). Allora
Z
fj ∗ pt (exp X g0 ) =
fj (hj exp Y )pt exp(−Y ) exp X h−1
j g0 d(exp Y ) ,
Vhj
e si procede come sopra.
59
4. Struttura dell’algebra D(G/K)
Consideriamo un automorfismo interno g 7→ hgh−1 di G. Per il Teorema 2.1, esso
induce un automorfismo di g, indicato con Ad(h). Si usa anche la notazione abbreviata Ad(h)X = X h . Concretamente, il gruppo a un parametro generato da Ad(h)X
è il coniugato, attraverso l’automorfismo interno, del gruppo a un parametro generato da X, cioè
exp sAd(h)X = h exp(sX)h−1 .
Per la (1.5),
Ad(h)Xf (g) =
d
f (gh exp(sX)h−1 ) = X(Rh−1 f )(gh) = Rh X(Rh−1 f )(g) .
ds |s=0
Abbiamo dunque l’identità
Ad(h)X = Rh XRh−1 .
(4.1)
Analogamente, per D ∈ D(G), poniamo Ad(h)D = Rh DRh−1 , notando che
Ad(h)(D1 D2 ) = Ad(h)D1 Ad(h)D2 .
Indichiamo con DK (G) la sottoalgebra di D(G)
DK (G) = {D : Ad(k)D = D , ∀ k ∈ K} .
Lemma 4.1. Un operatore D ∈ DK (G) applica C ∞ (G; K) in sé e induce dunque
un operatore D̃ ∈ D(G/K) dato da
Λ∗ (D̃f ) = D(Λ∗ f ) .
(4.2)
Dimostrazione. Se f ∈ C ∞ (G; K),
Df (gk) = Rk (Df )(g) = D(Rk f )(g) = Df (g) .
Il resto è ovvio.
Vogliamo ora discutere iniettività e suriettività dell’applicazione D 7→ D̃ da
DK (G) a D(G/K).
Per far questo consideriamo l’azione Ad di K su g. Questa è una rappresentazione22 di K, in quanto Ad(kk 0 ) = Ad(k)Ad(k 0 ).
La dimostrazione del Teorema 1.1 del Capitolo V si adatta facilmente a dimostrare l’esistenza su g di un prodotto scalare Ad(K)-invariante. Indichiamo con
p il complemento ortogonale di k in g rispetto a un tale prodotto scalare fissato23 .
Abbiamo dunque la decomposizione ortogonale
g=k⊕p .
22 Su
uno spazio vettoriale reale. L’azione Ad di tutto G su g si chiama rappresentazione
aggiunta di G.
23 Il sottospazio p dipende dalla scelta del prodotto scalare Ad(K)-invariante, che in generale
non è unico.
60
Siccome k è un sottospazio Ad(K)-invariante, anche p lo è. In generale, p non è
una sottoalgebra.
Risulta del tutto naturale, una volta fissato il prodotto scalare su g, identificare p
con lo spazio tangente a G/K nel punto x0 = eK. Si noti infatti che l’applicazione
(4.3)
X 7−→ (exp X) · x0 ,
X∈p
è un diffeomorfismo di un intorno dell’origine in p su un intorno di x0 e dunque la
sua inversa ψx0 è una carta locale in x0 . Si noti anche che, posto ψx0 (x) = X,
ψx0 (k · x) = ψx0 k(exp X) · x0
(4.4)
= ψx0 exp Ad(k)X k · x0
= Ad(k) ψx0 (x) ,
per ogni k ∈ K. Cioè Ad(k) descrive in queste coordinate locali l’azione di k su un
intorno di x0 . Allo stesso modo si vede facilmente che, rispetto all’identificazione di
p con Tx0 (G/K), Ad(k) corrisponde al differenziale in x0 dell’azione di k su G/K.
Considerazioni analoghe valgono, in un generico punto x0 = g · x0 ∈ G/K, per
l’inversa ψx0 dell’applicazione
X 7−→ g(exp X) · x0 ,
X∈p.
In questo caso, per ogni k ∈ K, in luogo della (4.4) si ha
ψx0 (gkg −1 · x) = Ad(k) ψx0 (x) .
Si prenda ora D ∈ D(G/K). Per la sua invarianza, D è univocamente determinato dal funzionale lineare λD (f ) = Df (x0 ). Infatti, se x = g −1 · x0 ,
Df (x) = τg (Df )(x0 ) = D(τg f )(x0 ) = λD (τg f ) .
Nelle coordinate locali (t1 , . . . ts ) indotte dall’applicazione (4.3), riferite a una
fissata base ortonormale di p,
λD (f ) = PD (∂t )(f ◦ ψx−1
)(0) ,
0
per un opportuno polinomio PD .
Teorema 4.2. La corrispondenza che associa all’operatore D ∈ D(G/K) il polinomio PD su p è lineare e biiettiva a valori nello spazio dei polinomi Ad(K)invarianti su p. Inoltre
PD1 D2 = PD1 PD2 + polinomi di grado inferiore a deg D1 + deg D2 .
Dimostrazione. Sia {X1 , . . . , Xs } la base ortonormale fissata di p. Per semplicità
di notazioni, indichiamo con X la colonna t(X1 , . . . , Xs ), in modo che, se t indica
la riga (t1 , . . . , ts ), allora tX = t1 X1 + · · · + ts Xs . Sia Ak la matrice ortogonale tale
61
def
che Ad(k)X = t(Ad(k)X1 , . . . , Ad(k)Xs ) sia uguale ad Ak X. Quindi Ad(k)(tX) =
(tAk )X. In queste notazioni,
λD (f ) = PD (∂t ) f (exp(tX) · x0 ) |t=0 .
Poiché D(τk f )(x0 ) = Df (x0 ) per ogni k ∈ K, si ha
λD (f ) = PD (∂t ) f (k −1 exp(tX) · x0 ) |t=0
= PD (∂t ) f exp(Ad(k)−1 (tX)) · x0 |
t=0
−1
= PD (∂t ) f exp((tAk )X) · x0 |t=0 .
t −1
0
Il cambiamento di variabile t0 = tA−1
k induce la trasformazione ∂t = ∂t Ak =
∂t0 Ak . Quindi si ha anche
λD (f ) = PD (∂t0 Ak ) f exp(t0 X) · x0 | 0 .
t =0
Per l’arbitrarietà di f , PD (∂t ) = PD (∂t Ak ). Riportandosi alla variabile tX ∈ p,
PD (tX) = PD (tAk X) = PD Ad(k)(tX) ,
cioè PD è Ad(K)-invariante.
Viceversa, dato un polinomio Ad(K)-invariante P su p, si definisca D come
.
(4.5)
Df (g · x0 ) = P (∂t ) f g exp(tX) · x0 |
t=0
Per verificare che questa è una buona definizione, supponiamo che g · x0 = g 0 · x0 ,
cioè g 0 = gk con k ∈ K.
Sostituendo dunque g con gk a secondo membro della (4.5), si ha
P (∂t ) f gk exp(tX) · x0 |t=0 = P (∂t ) f g exp Ad(k)(tX) · x0 |t=0
= P (∂t ) f g exp((tAk )X) · x0 |t=0
0
= P (∂t0 A−1
)
f
g
exp(t
X)
·
x
0
k
|t0 =0
0
= P (∂t0 ) f g exp(t X) · x0 | 0
t =0
A questo punto D è chiaramente G-invariante e PD = P .
Si osservi poi che, posto mj = deg PDj ,
X
D2 f exp(tX) · x0 = PD2 (∂t ) f (exp(tX) · x0 ) +
aα (t)∂tα f (exp(tX) · x0 ) ,
|α|<m2
dove i coefficienti aα si annullano per t = 0. Quindi
D1 D2 f (x0 ) = PD1 (∂t )PD2 (∂t ) f (exp(tX) · x0 ) |t=0
X
+
PD1 (∂t ) aα (t)∂tα f (exp(tX) · x0 )
|α|<m2
|t=0
.
62
Corollario 4.3. L’algebra D(G/K) è finitamente generata.
Dimostrazione. Mostriamo per prima cosa che l’algebra PK dei polinomi Ad(K)invarianti su p.
Nell’algebra P di tutti i polinomi su p si consideri l’ideale I generato dalla sottoalgebra P0K dei polinomi in PK privi di termine di grado 0. Per il Teorema della
base di Hilbert, I è finitamente generato. Inoltre esso ammette un sistema finito di
generatori omogenei e in P0K . Infatti, se Q1 , . . . , Qs ∈ I generano I, basta rappreP
)
sentare ciascun Qj nella forma Qj = ` Pj` Rj` con Pj` ∈ P e Rj` ∈ PK . L’insieme
delle componenti omogenee degli Rj` cosı̀ ottenuti genera I.
)
Sia dunque {B1 , . . . , Bm } ⊂ PK un tale sistema di generatori, con Bi omogeneo
di grado di > 0. Mostriamo allora che ogni P ∈ PK è un polinomio neiP
Bi . Possiamo
m
limitarci a polinomi P omogenei di grado d > 0. Essendo P ∈ I, P = i=1 Si Bi per
opportuni polinomi Si ∈ P. Per motivi di omogeneità, la stessa identità continua a
valere se di Si si considera solo la componente omogenea di grado d − di .
Per la Ad(K)-invarianza di P e dei Bi ,
P =
m
X
Si ◦ Ad(k) Bi =
i=1
m Z
X
i=1
Si ◦ Ad(k) dk
Bi =
K
m
X
Si] Bi ,
i=1
dove ora Si] è in PK e omogeneo di grado d − di < d. La conclusione segue per
induzione.
Passando a D(G/K), sia Di tale che PDi = Bi . E’ sufficiente procedere per
induzione sull’ordine dell’operatore D ∈ D(G/K).
Per operatori di ordine 0 non c’è nulla da dire. Preso un operatore
D di ordine
P
α1
αm
d > 0, si esprima
il
corrispondente
polinomio
P
come
P
=
c
B
D
D
α α 1 · · · Bm .
P
αm
Posto D0 = α cα D1α1 · · · Dm
,
PD0 = PD + polinomi di grado inferiore a d ,
per il Teorema 4.2. Quindi D − D0 ha ordine minore di d e ad esso si può applicare
l’ipotesi induttiva. Sulla base del Teorema 4.2, si può formulare lo sviluppo di Taylor in x0 di una
funzione K-invariante su G/K in termini di operatori G-invarianti.
Sia f una funzione analitica su un intorno di x0 in G/K, e sia F = f ◦ ψx−1
.
0
Allora F è analitica e Ad(K)-invariante su un intorno di 0 in g. Nelle coordinate t
introdotte nella dimostrazione del Teorema 4.2, abbiamo lo sviluppo di Taylor
∞
X
X 1
α
α
∂ F (0)t =
Pj (t) ,
F (t) =
α!
n
j=0
α∈N
con Pj (t) =
1 α
α
|α|=j α! ∂ F (0)t
P
polinomio omogeneo di grado j. Se k ∈ K,
∞
X
F (t) = F Ad(k)t =
Pj Ad(k)t .
j=0
Per l’unicità dello sviluppo di Taylor, Pj Ad(k)t = Pj (t), per cui ogni Pj è
Ad(K)-invariante.
63
Sullo spazio dei polinomi a valori complessi su p introduciamo il prodotto scalare
di Fischer
hP, Qi = Q̄(∂)P (0) .
I sottospazi Pj dei polinomi omogenei di grado j sono a due a due ortogonali. Per
ogni j si prenda una base ortonormale {Qj1 , . . . , Qjdj } del sottospazio di Pj costituito
dai polinomi Ad(K)-invarianti. Ogni termine Pj dello sviluppo di Taylor di F si
sviluppa nella data base come
Pj =
dj
X
aj` Qj` ,
`=1
con
aj` = hPj , Qj` i = Q̄j` (∂)Pj (0) = Q̄j` (∂)F (0) .
Quindi
F (t) =
dj
∞ X
X
Q̄j` (∂)F (0)Qj` (t) .
j=0 `=1
In termini di f , si ha allora il seguente enunciato.
Corollario 4.4. Sia D`j ∈ D(G/K) l’operatore tale che PDj = Q̄j` . Se f è analitica
`
in x0 e K-invariante, allora
(4.6)
f (x) =
dj
∞ X
X
D`j f (x0 )Qj` ψx0 (x) .
j=0 `=1
5. Coppie di Gelfand
Data una funzione f integrabile su uno spazio omogeneo M del gruppo G, e una
funzione u ∈ L1 (G), definiamo la funzione u ? f su M come
Z
(5.1)
u ? f (x) =
u(h)f (h−1 · x) dh .
G
Si verifica facilmente che
Λ∗ (u ? f ) = u ∗ (Λ∗ f ) .
(5.2)
Molte proprietà della convoluzione su G si trasferiscono in altrettante proprietà
di ?, tra cui
(u ∗ v) ? f = u ? (v ? f ) ,
ku ? f kp ≤ kuk1 kf kp ,
ecc.
Se D ∈ D(M ) e f ∈ Cc∞ (M ),
Z
Z
(5.3) D(u ? f )(x) = D
u(h)τh f (x) dx =
u(h)τh Df (x) dx = u ? (Df )(x) .
G
G
64
Lemma 5.1. Se (G, K) è una coppia di Gelfand, l’algebra D(G/K) è commutativa.
Dimostrazione. Siano f, g ∈ Cc∞ (G/K) K-invarianti, di modo che Λ∗ f, Λ∗ g ∈
Cc∞ (K; G; K). Per la (5.2),
Λ∗ (Λ∗ f ) ? g = (Λ∗ f ) ∗ (Λ∗ g)
= (Λ∗ g) ∗ (Λ∗ f )
= Λ∗ (Λ∗ g) ? f ,
per cui
(Λ∗ f ) ? g = (Λ∗ g) ? f .
Se D1 , D2 ∈ D(G/K), anche D1 f, D2 g sono K-invarianti e dunque
D1 D2 (Λ∗ f ) ? g = D1 (Λ∗ f ) ? D2 g = D1 Λ∗ (D2 g) ? f
= Λ∗ (D2 g) ? D1 f = Λ∗ (D1 f ) ? D2 g
= D2 Λ∗ (D1 f ) ? g = D2 Λ∗ (D1 f ) ? g
= D2 (Λ∗ g) ? D1 f = D2 D1 (Λ∗ g) ? f
= D2 D1 (Λ∗ f ) ? g .
Data u ∈ Cc∞ (G), sia
Z
]
u (h) =
u(khk 0 ) dk dk 0 .
K×K
Allora, se g è come sopra,
D1 D2 (u] ? g)(x0 ) = u] ? (D1 D2 g)(x0 )
Z Z
u(khk 0 )(D1 D2 g)(h−1 · x0 ) dk dk 0 dh
ZG ZK×K
u(h)(D1 D2 g)(k 0 h−1 k · x0 ) dk dk 0 dh
G
K×K
= u ? (D1 D2 g)(x0 ) ,
e analogamente per il prodotto D2 D1 . Quindi
u ? (D1 D2 g)(x0 ) = u ? (D2 D1 g)(x0 ) .
Mettendo un’identità approssimata C ∞ a supporto compatto al posto di u e
passando al limite, si ottiene l’identità
2 g(x0 ) = D2 D1 g(x0 ).
R D1 D−1
∞
Sia ora g ∈ Cc (G/K). Se g̃(x) = K g(k · x) dk,
Z
Z
D1 D2 g̃(x0 ) =
(D1 D2 τk g)(x0 ) dk =
τk (D1 D2 g)(x0 ) dk = D1 D2 g(x0 ) .
K
K
Quindi D1 D2 g(x0 ) = D2 D1 g(x0 ) per ogni g ∈ Cc∞ (G/K). Sostituendo poi g con
τh g e usando la G-invarianza di D1 e D2 , si ottiene l’uguaglianza per ogni x. In
conclusione D1 D2 = D2 D1 . Vediamo ora come le funzioni sferiche su G/K si caratterizzino come autofunzioni
simultanee di tutti gli operatori in D(G/K).
65
Teorema 5.2. Sia ϕ una funzione continua non identicamente nulla su G/K, e
sia Φ = Λ∗ ϕ. Le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) Φ soddisfa l’equazione funzionale
Z
Φ(gkg 0 ) dk = Φ(g)Φ(g 0 ) ;
(5.4)
K
(ii) ϕ è C ∞ , K-invariante, ϕ(x0 ) = 1 e per ogni D ∈ D(G/K) esiste λD ∈ C
tale che Dϕ = λD ϕ.
Le funzioni sferiche sono analitiche.
Dimostrazione. Supponiamo che Φ = Λ∗ ϕ soddisfi la (5.4). Da essa segue facilmente l’identità
Φ(gk)Φ(g 0 ) = Φ(g)Φ(kg 0 ) = Φ(g)Φ(g 0 ) ,
per k ∈ K. Siccome Φ non è identicamente nulla, esiste g0 tale che Φ(g0 ) 6= 0.
Ponendo prima g = g0 e poi g 0 = g0 si ottiene che Φ(gk) = Φ(kg) = Φ(g) per ogni
g ∈ G, k ∈ K, e dunque Φ è bi-K-invariante. Ponendo g = g0 , g 0 = e nella (5.4) si
ottiene poi che Φ(e) = 1.
R
Mostriamo ora che Φ è C ∞ . Data f ∈ Cc∞ (G), sia f ] (g) = K (gk) dk. Allora
anche f ] e Φ ∗ f ] sono C ∞ . Ma
Z
−1
Φ(g)
Φ(h
Z Z
Φ(gkh−1 )f (h) dk dh
)f (h) dh =
G
ZG ZK
=
G
Φ(gh−1 )f (hk) dk dh
K
]
= Φ ∗ f (g) .
R
Basta allora scegliere f tale che G Φ(h−1 )f (h) dh 6= 0 per concludere che Φ è
C ∞ . Quindi ϕ è K-invariante su G/K e C ∞ . Si noti che la (5.4) equivale alla
condizione
Z
(5.5)
ϕ(gk · x) dk = ϕ(g · x0 )ϕ(x) ,
K
per g ∈ G e x ∈ G/K. Applicando D ∈ D(G/K) al primo membro (nella variabile x), si ottiene
D
Z
K
τk
−1 −1
g
Z
ϕ dk (x) =
τk
−1 −1
g
Z
Dϕ(gk · x) dk ,
Dϕ(x) dk =
K
K
mentre applicando D al secondo membro si ottiene ϕ(g · x0 )Dϕ(x). Ponendo allora
x = x0 e uguagliando le due espressioni, si ha
Dϕ(g · x0 ) = ϕ(g · x0 )Dϕ(x0 ) .
Posto λD = Dϕ(x0 ), si ha Dϕ(x) = λD ϕ(x) in ogni x ∈ G/K.
Viceversa, supponiamo che ϕ soddisfi la (ii). Introdotte coordinate
(t1 , . . . , tn )
Pn 2
su p come nel §4, si consideri l’operatore DP , dove P (t) = 1 tj è in PK . DP
66
è dunque ellittico e le sue autofunzioni sono analitiche. Essendo esso anche Kinvariante, segue che ϕ è analitica.
Fissato g ∈ G, si consideri la funzione
Z
(5.6)
Z
ϕ(gk · x) dk =
ϕg (x) =
K
τ (gk)−1 ϕ(x) dk .
K
Essa è analitica e K-invariante. Per il Corollario 4.4, essa ammette lo sviluppo
di Taylor
dj
∞ X
X
ϕg (x) =
D`j ϕg (0)Qj` ψx0 (x) ,
j=0 `=1
per x in un intorno di x0 . Se D ∈ D(G/K), λD = Dϕ(x0 ), per cui
Dϕg = D
Z
−1
τ (gk)
Z
ϕ dk =
K
τ (gk)−1 Dϕ dk = λD ϕg = Dϕ(x0 )ϕg .
K
Ma ϕg (x0 ) = ϕ(g · x0 ), per cui
ϕg (x) = ϕ(g · x0 )
dj
∞ X
X
D`j ϕ(x0 )Qj` ψx0 (x) = ϕ(g · x0 )ϕ(x) .
j=0 `=1
Vale dunque la (5.5) per x in un intorno di x0 . Per l’unicità del prolungamento
analitico, l’uguaglianza vale per ogni x. Infine, come si è già detto, la (5.5) è
equivalente alla (5.4). Sullo spazio C ∞ (G/K) = E(G/K) consideriamo la topologia in cui un sistema
fondamentale di intorni dell’origine è dato dagli insiemi
U0 (C, n, ε) = {f : kf kC n (C) < ε} ,
al variare di C tra i compatti di G/K, n ∈ N, ε > 0. La norma in C n (C) può essere
definita, attraverso una opportuna partizione dell’unità, in termini di derivate in
coordinate locali fino all’ordine n. Equivalentemente, si può rimontare su G e
utilizzare campi vettoriali invarianti a sinistra e loro composizioni di grado minore
o uguale a n.
Corollario 5.3. Dato D ∈ D(G/K), sia λD (ϕ) = Dϕ(x0 ) l’autovalore di ϕ relativo
a D. Allora la funzione λD è continua su ∆K . La topologia di Gelfand su ∆K
coincide con la topologia indotta da E(G/K).
Dimostrazione. Data Φ0 = Λ∗ ϕ0 ∈ ∆K , si fissi un intorno compatto V dell’identità
in G tale che <e Φ0 > 21 su V . Dato ε > 0, l’insieme U = {Φ ∈ ∆K : |Φ(x) −
Φ0 (x)| < ε ∀ x ∈ V } è un intorno di Φ0 nella topologia di Gelfand. Se ε < 41 ,
<e Φ > 14 su V per ogni Φ ∈ U .
Si fissi f = Λ∗ ψ ∈ Cc∞ (K; G; K) una funzione non negativa, con integrale uguale
a 1 e con supporto contenuto in un intorno simmetrico V 0 dell’identità tale che
2
V 0 ⊂ V . Per ogni Φ ∈ U , <e(f ∗ Φ) > 41 su V 0 . Ma per la (4) del §6, Capitolo VII,
f ∗ Φ = (f ∗ Φ)(e)Φ = cΦ Φ, con |cΦ | > 41 .
67
Riportandosi a G/K, dalla commutatività della convoluzione segue che, posto
Φ = Λ∗ ϕ,
−1
ϕ = c−1
Φ f ? ϕ = cΦ Φ ? ψ .
Allora, se D ∈ D(G/K),
−1 ∗
Dϕ = c−1
Φ Φ ? Dψ = cΦ Λ (Dψ) ? ϕ ,
e pertanto
λD (ϕ) − λD (ϕ0 ) < 4kDψk1 ε .
Questo dimostra la prima affermazione.
Per quanto riguarda il confronto tra le due topologie, siccome la topologia di
Gelfand coincide con la topologia compatto-aperto, essa è sicuramente meno fino
della topologia indotta da E(G/K).
Si prenda allora un intorno Uϕ0 (C, n, ε) = {ϕ ∈ ∆K : kϕ − ϕ0 kC n (C) < ε} nella
topologia indotta da E(G/K).
Dia DP ∈ D(G/K) l’operatore ellittico introdotto nella dimostrazione del Teorema 5.2. Se il compatto C è contenuto in un aperto coordinato A relativamente
compatto di G/K, e A0 è un altro aperto con C ⊂ A0 ⊂⊂ A, possiamo passare a
coordinate locali e utilizzare il Teorema di immersione di Sobolev e il Teorema di
regolarità per operatori ellittici. Se d = dim G/K e 2m > n + d2 , si ha il seguente
controllo in termini di norme di Sobolev:
(5.7)
kf kC n (C) ≤ Cn kf kH 2m (A0 ) ≤ Cm kDPm f kL2 (A) .
Introducendo partizioni dell’unità, questa disuguaglianza si estende a qualunque
compatto C, con gli stessi esponenti, ma con costanti dipendenti da C. Quindi
kϕ − ϕ0 kC n (C) ≤ Cm kDPm ϕ − DPm ϕ0 kL2 (A)
= Cm λDP (ϕ)m ϕ − λDP (ϕ0 )m ϕ0 L2 (A)
m
m
m
≤ Cm λDP (ϕ0 ) kϕ − ϕ0 kL2 (A) + λDP (ϕ) − λDP (ϕ0 ) kϕkL2 (A)
m
1
≤ Cm |A| 2 λDP (ϕ0 ) kϕ − ϕ0 kC(Ā) + λDP (ϕ)m − λDP (ϕ0 )m .
Utilizzando la prima parte della dimostrazione, si conclude allora che {ϕ : kϕ −
ϕ0 kC(Ā) < δ} ⊂ Uϕ0 (C, n, ε) se δ è sufficientemente piccolo. Usando la densità delle funzioni analitiche, mostriamo che il Lemma 5.1 ammette
un inverso, quando G è connesso.
Teorema 5.4. Sia K un sottogruppo compatto di G, con G/K connesso. Se
D(G/K) è commutativa, (G, K) è una coppia di Gelfand.
La dimostrazione è basata sul seguente lemma. Indichiamo con Dr , Qr una
rinumerazione degli operatori, e rispettivi polinomi, nella (4.6).
Lemma 5.5. Sia f una funzione analitica in un intorno di x0 e K-invariante su
G/K e, per x = g · x0 , sia
Z
F (x, y) =
f (gk · y) dk .
K
68
Allora F è K-invariante in ciascuna variabile e, per x, y in un intorno di x0 ,
F (x, y) =
X
Dr Ds f (x0 )Qr ψx0 (x) Qs ψx0 (y) .
r,s
Dimostrazione. La K-invarianza di F è evidente. Se U è un intorno di x0 su cui f
è analitica, sia V intorno bi-K-invariante di e in G tale che V 2 x0 ⊂ U . Per g ∈ V ,
la funzione
Z
Fg (y) = F (g · x0 , y) =
τ(gk)−1 f (y) dk
K
è analitica in V · x0 e K-invariante. Inoltre,
Z
Ds Fg (x0 ) =
τ(gk)−1 (Ds f )(x0 ) dk = Ds f (g · x0 ) ,
K
essendo Ds f K-invariante. Pertanto, posto x = g · x0 ∈ V · x0 ,
F (x, y) = Fg (y)
=
=
∞
X
Ds f (x)Qs ψx0 (y)
s=0
∞
X
Dr Ds f (x0 ) Qr ψx0 (x) Qs ψx0 (y) .
r,s=0
Dimostrazione del Teorema 5.4. Data f ∈ C0 (G/K) K-invariante e analitica, la
funzione F (x, y) è analitica su G/K ×G/K. Se D(G/K) è commutativa, dal Lemma
5.5 segue che F (x, y) = F (y, x) per x, y in un intorno di x0 , e dunque dappertutto,
essenso G/K connesso.
Siano ora u = Λ∗ ϕ, v = Λ∗ ψ ∈ L1 (K; G; K). Allora
Z
Z
∗
u ∗ v(g)Λ f (g) dg =
u(h)v(h−1 g)Λ∗ f (g) dh
G
ZG×G Z
=
u(h)v(k −1 h−1 g)Λ∗ f (g) dk dh
ZG×G ZK
=
u(h)v(g)Λ∗ f (hkg) dk dh
ZG×G K
=
ϕ(y)ψ(x)F (y, x) dy dx .
G/K×G/K
Poiché questa espressione è simmetrica in ϕ e ψ, usando la densità delle funzioni
analitiche in C0 (K; G; K) (Corollario 3.4), si conclude che ϕ ∗ ψ = ψ ∗ ϕ. 6. Immersioni dello spettro di Gelfand in Rn
Combinando i Corollari 4.3 e 4.4 con il Teorema 5.2 otteniamo il seguente enunciato.
69
Lemma 6.1. Sia (G, K) una coppia di Gelfand e sia G/K connesso. Le funzioni
sferiche su G/K sono univocamente determinate dai loro autovalori rispetto a un
qualunque sistema finito di generatori di D(G/K).
Indichiamo dunque con D = {D1 , . . . , Dr } un sistema finito di generatori di
D(G/K). Se G/K è connesso, l’applicazione
ρD : ϕ 7−→ λD1 (ϕ), . . . , λDr (ϕ)
dallo spettro di Gelfand ∆K di L1 (K; G; K) in Cr è iniettiva. Indichiamo con ΣD
l’immagine di ρD , con la topologia indotta da Cr .
Teorema 6.224 . ΣD è chiuso in Cr . Se G/K è connesso, l’applicazione ρD stabilisce un omeomorfismo tra ∆K e ΣD .
Dimostrazione. Il Corollario 5.3 mostra che ρD è continua.
Per le altre parti dell’enunciato, dimostriamo preliminarmente che, se G/K è
connesso, la topologia di Gelfand su ∆K soddisfa il primo assioma di numerabilità.
Sia V un intorno aperto,
S simmetrico, connesso, relativamente compatto dell’identità in G. Allora G0 = n≥1 V n è un sottogruppo aperto e connesso di G. Quindi il
complementare di G0 in G è pure aperto, essendo l’unione delle altre classi laterali
di G0 . Si conclude che G0 è la componente connessa dell’identità in G.
Consideriamo allora l’azione di G0 su G/K. Dato x ∈ G/K, l’applicazione
G0 3 g 7→ g · x è localmente suriettiva nell’intorno dell’identità, perché coincide
localmente con l’azione di G. Quindi le orbite dell’azione di G0 su G/K sono
aperte. Siccome G/K è connesso, l’azione deve esssere transitiva.
Quindi
[
G/K = G0 · x0 =
V n · x0 .
n≥1
Quindi, per ogni funzione sferica ϕ0 , gli insiemi Un = {ϕ : kϕ−ϕ0 kC(V n ·x0 ) < n1 }
costituiscono un sistema fondamentale di intorni di ϕ0 nella topologia di Gelfand.
Dimostriamo dunque che, se {ζn } è una successione di punti di ΣD convergente
a ζ ∈ Cr , allora le funzioni sferiche ϕn = ρ−1
D (ζn ) convergono a una funzione sferica
ϕ tale che ρD (ϕ) = ζ. Cosı̀ facendo dimostriamo contemporaneamente che ρ−1
D è
continua e che ΣD è chiuso.
Sia DP l’operatore ellittico già usato più volte. Esiste un polinomio Q tale che
Dp = Q(D1 , . . . , Dr ). Per ogni n e m, DPm (ϕn ) = Q(ζn )m ϕn . Siccome gli ζn
sono limitati, segue dalla (5.7) che le norme C 1 delle ϕn sono equilimitate su ogni
compatto.
Sia allora {ζnk } una sottosuccessione di {ζn }. Per il Teorema di Ascoli-Arzelà,
esiste una ulteriore sottosuccessione {ζnkj } tale che {ϕnkj } converge uniformemente
sui compatti di G/K. Se ϕ è la funzione limite, Φ = Λ∗ ϕ soddisfa la (5.4), è limitata
e Φ(e) = 1. Pertanto, ϕ è sferica e ρD (ϕ) = ζ.
Per l’iniettività di ρD , la funzione limite non dipende dalla scelta della sottosuccessione {ζnk }, e dunque ϕ = limn ϕn uniformemente sui compatti. 24 Questo
teorema è dovuto a F. Ferrari Ruffino, The topology of the spectrum for Gelfand
pairs on Lie groups, Boll. UMI (2007), 569-580.
70
Capitolo III
COPPIE DI GELFAND
IN GEOMETRIA RIEMANNIANA
1. Gruppi di isometrie di varietà riemanniane
Sia M una varietà riemanniana completa e sia G = I(M ) il gruppo delle sue
isometrie. Indichiamo con (g, p) 7→ g · p l’azione di I(M ) su M . Introducendo su
I(M ) la topologia della convergenza uniforme sui compatti, l’azione è continua.
Indichiamo con dgp : Tp M → Tg·p M il differenziale di g ∈ I(M ) in p.
Lemma 1.1. Siano g, g 0 ∈ I(M ) due isometrie di M , e sia p ∈ M tale che g · p =
g 0 · p e dgp = dgp0 . Se M è connessa, g = g 0 .
Dimostrazione. Consideriamo h = g −1 g 0 . Allora h · p = p e dhp = I. Se γ è una
geodetica uscente da p, h · γ è pure una geodetica, avente lo stesso vettore tangente
in p. Dunque h è l’identità su γ. Siccome le geodetiche uscenti da p coprono un
intero intorno U di p, h è l’identità su U .
Segue facilmente che l’insieme dei punti di M fissati da h è aperto e chiuso.
Dunque h è l’identità su M . Diamo senza dimostrazione il seguente teorema25 .
Teorema 1.2. Sia M una varietà riemanniana connessa. Allora I(M ) ammette
una struttura di gruppo di Lie tale che l’azione di I(M ) su M sia analitica. Dato
p ∈ M , lo stabilizzatore di p in I(M ) è compatto.
D’ora in poi supporremo M connessa.
Si dice che M è una varietà riemanniana omogenea se l’azione di I(M ) è transitiva. Una varietà riemanniana omogenea si dice uno spazio commutativo se la
coppia (G, K), con G = I(M ) e K lo stabilizzatore di un dato punto x0 in I(M ),
è di Gelfand.
Osservazione. Le nozioni di coppia di Gelfand (per gruppi di Lie) e di spazio
commutativo si sovrappongono parzialmente, ma sono di natura diversa.
Se (G, K) è una coppia di Gelfand (con G, K gruppi di Lie), è sempre possibile
introdurre su G/K una metrica riemanniana rispetto alla quale G agisca per isometrie. Sia infatti g = k ⊕ p una decomposizione Ad(K)-invariante dell’algebra di Lie
g di G. Su p introduciamo un prodotto scalare h , ip che sia Ad(K)-invariante.
Sia x0 = eK ∈ G/K = M . L’identificazione di Tx0 M con p (cfr. Cap. VIII, §4)
fornisce un prodotto scalare h , ix0 su Tx0 M invariante rispetto a (dk)x0 per ogni
k ∈ K.
Se x = gK, definiamo un prodotto scalare su Tx M come segue. Dati v1 , v2 ∈
Tx M , siano w1 , w2 ∈ Tx0 M tali che (dg)x0 wj = vj , j = 1, 2. Poniamo
hv1 , v2 ix = hw1 , w2 ix0 .
25 v.
S. Helgason, Differential geometry, Lie Groups and Symmetric Spaces, Chap. IV, §2.
71
Questa è una buona definizione perché se gK = g 0 K, allora g = g 0 k con k ∈ K
0
e (dg)x0 = (dg 0 )x0 (dk)x0 . Se wj0 = (dg 0 )−1
x0 vj , allora wj = (dk)x0 wj , e dunque
0
0
hw1 , w2 ix0 = hw1 , w2 ix0 .
Per costruzione, l’azione di G conserva la metrica, dunque G ⊂ I(M ). Va notato
tuttavia che la scelta del prodotto scalare su p (e dunque della metrica su M ) non
è unica, e che G può risultare un sottogruppo proprio di I(M ).
2. Spazi simmetrici
Una varietà riemanniana connessa M si dice uno spazio simmetrico se per ogni
punto x ∈ M esiste un’isometria sx ∈ I(M ) tale che sx · x = x e (dsx )x = −I.
Supponiamo che M sia uno spazio simmetrico. Se γ(t) è una geodetica parametrizzata in modo che γ(0) = x, allora sx · γ(t) è pure una geodetica, e il suo vettore
·
tangente in x è uguale a −γ(0). Pertanto, sx · γ(t) = γ(−t), ossia sx è l’inversione
geodetica centrata in x.
Su una varietà generica, l’inversione geodetica di centro x è definita sicuramente
in un intorno geodetico26 di x, ma non necessariamente su tutta la varietà. Inoltre
non è vero in generale che essa sia un’isometria sull’intorno. La condizione di
simmetria è dunque molto forte.
Un modo equivalente di definire la condizione di simmetria è la seguente27 : per
ogni x ∈ M esiste un’isometria sx involutiva (tale cioè che s2x sia l’identità) e per
la quale x sia un punto fisso isolato.
Proposizione 2.1. Uno spazio simmetrico è omogeneo.
Dimostrazione. Sia x ∈ M , con M spazio simmetrico. Se y è in un intorno geodetico
U di x, si consideri la geodetica γ uscente da x = γ(0), contenuta in U e passante
per y = γ(d) (con d = d(x, y)). Se z = γ(d/2), l’inversione geodetica sz scambia x
con y.
Da ciò segue che, per ogni x0 ∈ M , l’orbita di x0 rispetto a I(M ) è aperta.
Siccome M è connesso, consiste di una sola orbita. Fissiamo dunque un punto x0 ∈ M e chiamiamo K lo stabilizzatore di x0 in
G = I(M ). Indichiamo poi con σ l’automorfismo interno σ(g) = sx0 gsx0 di G, e
con
θ = Ad(sx0 ) : g → g ,
il suo differenziale nell’identità. Poiché sx0 è involutivo, si ha θ2 = I. Quindi g
si scompone nella somma diretta dei due autospazi V+ = {X ∈ g : θX = X} e
V− = {X ∈ g : θX = −X}.
Proposizione 2.2. (1) L’autospazio V+ coincide con l’algebra di Lie k di K. Posto
p = V− , si ha allora g = k ⊕ p. Inoltre,
(2.1)
26 Se
[k, k] ⊂ k ,
[k, p] ⊂ p ,
[p, p] ⊂ k .
M è una varietà riemanniana e x ∈ M , si definisce l’applicazione Expx : Tx M → M
·
come segue: dato un vettore unitario v ∈ Tx M , si consideri la geodetica γv tale che γ v (0) = v.
Si pone Expx (tv) = γv (t). Se r < rmax (detto raggio di iniettività), l’applicazione Expx è un
diffeomorfismo della palla Br su un intorno di x. Un tale intorno si chiama intorno geodetico di x.
27 v. S. Helgason, Differential geometry, Lie Groups and Symmetric Spaces, p. 205.
72
(2) Se U è un intorno sufficientemente piccolo di 0 in p, l’applicazione (k, X) 7→
k expG (X) è un diffeomorfismo di K × U su un intorno di K in G, e l’applicazione
X 7→ expG (X) · x0 è un diffeomorfismo di U su un intorno di x0 in M .
Dimostrazione. Se θX = X, la curva γX (t) = expG (tX) · x0 è lasciata fissa da sx0 .
Infatti,
sx0 · γX (t) = (sx0 expG (tX)sx0 ) · x0 = σ expG (tX) · x0 = expG (tθX) · x0 = γX (t) .
Poiché x0 è un punto fisso isolato di sx0 , deve essere γX (t) = x0 per t piccolo, e
dunque per ogni t. Quindi expG (tX) ∈ K, da cui X ∈ k.
Per dimostrare il viceversa, è sufficiente far vedere28 che σ(k) = k per ogni
k ∈ K. Confrontando i differenziali delle isometrie k e σ(k) = sx0 ksx0 nel punto
x0 , si ha
dσ(k) x0 = (dsx0 )x0 (dk)x0 (dsx0 )x0 = (dk)x0 .
Per il Lemma 1.1, σ(k) = k.
Le inclusioni (2.1) seguono dal fatto che θ è un automorfismo di algebre di Lie.
Dalla relazione
θ[X, Y ] = [θX, θY ]
si ottiene che, se θX = εX e θY = δY , allora θ[X, Y ] = εδ[X, Y ].
La parte (2) dell’enunciato è conseguenza diretta delle considerazioni svolte nel
§4 del Cap. VIII. Teorema 2.3. (G, K) è una coppia di Gelfand.
Dimostrazione. Sia V l’intorno di K in G i cui elementi sono i prodotti g =
k expG (X), con k ∈ K e X nell’intorno U dell’origine in p del Teorema 2.2. Se
g ∈V,
g −1 = expG (−X)k −1 = expG (θX)k −1
= sx0 expG (X)sx0 k −1
= (sx0 k −1 )g(sx0 k −1 ) ∈ KgK .
Per la seconda delle (2.1), K agisce su p tramite la rappresentazione aggiunta.
Si può dunque supporre che U sia Ad(K)-invariante, da cui segue che se g ∈ V ,
anche kgk 0 ∈ V per ogni k, k 0 ∈ K. Sia ora W un intorno di e tale che kW k −1 = W
2
per ogni k ∈ K e W 2 ⊂ V . Posto V 0 = KW K, anche V 0 ⊂ V . R
Per la bi-K-invarianza di V 0 , se f ha supporto in V 0 , anche f ] = K×K f (kgk 0 ) dk dk 0
ha supporto in V 0 .
Siano dunque f1 , f2 bi-K-invarianti con supporto in V 0 . Allora, con le notazioni
della Proposizione 4.2 del Cap. VII, fˇj = fjσ . Lo stesso vale per f1 ∗ f2 , che ha
supporto in V . Come nella dimostrazione della Proposizione 4.2 del Cap. VII, si
conclude che f1 e f2 commutano.
Si osservi ora che la dimostrazione del Lemma 5.1 del Cap. VIII continua a
valere nell’ipotesi più debole che la convoluzione sia commutativa sulle funzioni
28 La
condizione θX = X per ogni X ∈ k è equivalente alla condizione σ(k) = k per ogni k nella
componente connessa dell’identità in K. Stiamo dunque dimostrando una proprietà più forte, nel
caso che K non sia connesso.
73
bi-K-invarianti con supporto sufficientemente piccolo. Si ottiene cosı̀ che l’algebra
D(G/K) degli operatori differenziali G-invarianti su G/K ∼
= M è commutativa.
La conclusione segue allora dal Teorema 5.4 del Capitolo VIII. 3. Spazi doppiamente omogenei
Una varietà riemanniana connessa M si dice uno spazio doppiamente omogeneo
(in inglese: two-point homogeneous space) se, date due coppie di punti (x, y), (x0 , y 0 )
di punti di M , con d(x, y) = d(x0 , y 0 ), esiste una isometria di M che manda x in x0
e y in y 0 .
Uno spazio doppiamente omogeneo è sicuramente omogeneo. Per es. dalla
definizione segue che, dati comunque x, y ∈ M esiste una isometria che scambia
x con y.
Lemma 3.1. Una varietà riemanniana connessa M è doppiamente omogenea se
e solo se, per ogni x ∈ M , lo stabilizzatore di x in Iso(M ) agisce transitivamente
sulle sfere geodetiche di centro x.
Dimostrazione. Se M è doppiamente omogenea, dati due punti y, y 0 equidistanti
da x, esiste una isometria che fissa x e manda y in y 0 . Questo dimostra una
implicazione.
Viceversa, si supponga che, dati x, y, y 0 con d(x, y) = d(x, y 0 ), esista una isometria che fissi x e mandi y in y 0 . Siano ora (x, y), (x0 , y 0 ) due coppie di punti con
d(x, y) = d(x0 , y 0 ). Si consideri un arco geodetico γ congiungente x con x0 e di
lunghezza uguale alla distanza tra x e x0 . Se z è il punto medio di γ, esiste una
isometria g che fissa z e manda x in x0 . Sia y 00 = g · y. Allora
d(x0 , y 00 ) = d(x, y) = d(x0 , y 0 ) .
Esiste per ipotesi un’isometria h che fissa x0 e manda y 00 in y 0 . Allora hg manda
x in x0 e y in y 0 . Teorema 3.2. Una varietà riemanniana connessa M è doppiamente omogenea se
e solo se, per ogni x ∈ M , lo stabilizzatore di x in Iso(M ) agisce transitivamente
sulla sfera unitaria in Tx M .
Dimostrazione. Si supponga M doppiamente omogenea e sia x ∈ M . Dati v, v 0 ∈
Tx M di norma 1, si considerino le geodetiche γ, γ 0 uscenti da x e con vettore tangente rispettivamente v e v 0 in x. Se r > 0 è un numero fissato sufficientemente
piccolo, i punti yr = γ(r), yr0 = γ 0 (r) hanno distanza r da x. Sia g ∈ Iso(M ) tale
che g · x = x e g · yr = yr0 . Allora g · γ è una geodetica γ̃ uscente da x e tale
che γ̃(r) = yr0 . Se r è sufficientemente piccolo, la geodetica di lunghezza minima
congiungente x a yr0 è unica. Dunque γ̃ = γ 0 e allora (dg)x v = v 0 .
Viceversa, si supponga che lo stabilizzatore di x in Iso(M ) agisca transitivamente
sulla sfera unitaria in Tx M . Siano y, y 0 a uguale distanza r da x, e siano γ, γ 0 archi
geodetici uscenti da x e aventi come secondo estremo y e y 0 rispettivamente. Se
·
·
v = γ(0), v 0 = γ 0 (0) sia g ∈ Iso(M ) tale che (dg)x v = v 0 . Allora g · γ = γ 0 e dunque
g · y = y 0 . Per il Lemma 3.1, M è doppiamente omogenea. 74
Il Teorema 3.2 fornisce una caratterizzazione degli spazi doppiamente omogenei
di tipo geometrico-differenziale. Una terza condizione equivalente si ha in termini
di operatori differenziali su M invarianti per isometrie.
Sia M una varietà riemanniana omogenea. Posto G = Iso(M ), si identifichi M
con G/K, K essendo lo stabilizzatore di un punto fissato x0 ∈ M . Un elemento
di D(G/K) è sicuramente l’operatore di Laplace-Beltrami ∆. Di conseguenza, ogni
polinomio in ∆ è in D(G/K).
Riprendendo le notazioni del §4 del Cap. VIII, sia g = k ⊕ p una decomposizione
dell’algebra di Lie di G, con p Ad(K)-invariante, e si identifichi p con Tx0 M . Attraverso questa identificazione, la metrica su Tx0 M si trasporta su p introducendovi
un prodotto scalare Ad(K)-invariante, che indichiamo con h , ip .
Il polinomio Ad(K)-invariante P∆ su p che corrisponde all’operatore ∆ nel senso
del Teorema 4.2 del Cap. VIII, è
P∆ (X) = −kXk2p .
Teorema 3.3. Uno spazio omogeneo M è doppiamente omogeneo se e solo se gli
unici operatori in D(G/K) sono i polinomi in ∆.
Dimostrazione. Se M è doppiamente omogenea, per il Teorema 3.2, i polinomi
Ad(K)-invarianti su p sono costanti sulle sfere di centro l’origine. Gli unici polinomi
con questa proprietà sono i polinomi in kXk2p . Segue per induzione sul grado che
la corrispondenza q − kXk2p ↔ q(∆) è biunivoca tra lo spazio dei polinomi radiali
su p e D(G/K).
Viceversa, se D(G/K) è costituito dai soli polinomi in ∆, segue che gli unici
polinomi Ad(K)-invarianti su p sono quelli radiali. Se Ad(K) non agisse transitivamente sulla sfera unitaria, questa si decomporrebbe in orbite, e dovrebbero esistere
sufficienti polinomi Ad(K)-invarianti da separarle. Quindi K agisce transitivamnete
sulla sfera unitaria di Tx0 M . Siccome M è omogenea per ipotesi, lo stesso vale in
ogni spazio tangente. Gli spazi doppiamente omogenei costituiscono una sottoclasse propria degli spazi
simmetrici, precisamente essi sono gli spazi simmetrici di rango uno 29 .
Essi sono relativamente pochi, precisamente: gli spazi euclidei Rn , le sfere reali,
gli spazi proiettivi reali, complessi e quaternionici, gli spazi iperbolici reali, complessi e quaternionici, più due spazi “eccezionali”, assimilabili rispettivamente al
piano proiettivo bidimensionale e al piano iperbolico bidimensionale sull’algebra
dei numeri di Cayley.
4. Spazi debolmente simmetrici
Una varietà riemanniana connessa M si dice uno spazio debolmente simmetrico
se, dati due punti x, y ∈ M , esiste una isometria g tale che g · x = y e g · y = x.
Il termine è giustificato dal seguente enunciato.
29 Si
veda S. Helgason, Differential geometry, Lie groups and symmetric spaces.
75
Proposizione 4.1. Uno spazio simmetrico è debolmente simmetrico.
Dimostrazione. Sia M simmetrica. Dati x, y ∈ M sia γ un arco geodetico tale che
γ(−1) = x e γ(1) = y. Se z = γ(0), l’inversione geodetica di centro z inverte
l’orientamento di γ e dunque scambia x con y. Uno spazio debolmente simmetrico è ovviamente omogeneo.
Lemma 4.2. Le seguenti proprietà sono equivalenti per una varietà connessa M :
(1) M è debolmente simmetrica;
(2) per ogni geodetica γ e ogni punto x ∈ γ, esiste un’isometria che fissa x e
applica γ in sé invertendone l’orientamento;
(3) per ogni x ∈ M e ogni v ∈ Tx M , esiste una isometria g tale che g · x = x e
(dg)x v = −v;
(4) M è omogenea e g −1 ∈ KgK per ogni g ∈ G.
Dimostrazione. La (2) e la (3) sono chiaramente equivalenti.
L’implicazione (2) ⇒ (1) si dimostra come per la Proposizione 4.1, sostituendo
l’inversione geodetica con l’isometria che fissa z e ribalta la geodetica. Mostriamo
ora che (1) ⇒ (2). Dati x ∈ M e una geodetica γ con x = γ(0), sia U un intorno di
x, sufficientemente piccolo perché ogni coppia di punti di U sia congiungibile con
un unico arco geodetico contenuto in U . Sia δ > 0 tale che l’arco γ [−δ, δ] sia
interamente contenuto in U e siano y = γ(δ/2), y 0 = γ(−δ/2). Allora γ è l’unico
arco geodetico di lunghezza minima congiungente y a y 0 . Pertanto, se l’isometria g
scambia y con y 0 , essa applica γ in sé invertendone l’orientamento.
Mostriamo ora che (1) ⇒ (4). Sia M debolmente simmetrico e sia g ∈ G. Posto
y = g · x0 , sia h ∈ G tale che h · x0 = y e h · y = x0 . Allora g −1 h = k ∈ K e
hg = k 0 ∈ K. Pertanto
g −1 = kh−1 = kgk 0
−1
∈ KgK .
Per l’implicazione (4) ⇒ (1), supponiamo che M sia omogenea e che g −1 ∈ KgK
per ogni g ∈ G. Indicando sempre con x0 il punto fissato di cui K è lo stabilizzatore,
fissiamo due punti in M , che possiamo supporre essere x0 e x = g·x0 . Se g −1 = kgk 0 ,
poniamo h = gk 0 . Si ha allora
h · x0 = g · x0 = x ,
h · x = (gk 0 ) · x = (k −1 g −1 ) · x = x0 .
Confrontando la (4) con la Proposizione 4.2 del Capitolo VII, si ottiene il seguente
risultato.
Teorema 4.3 (di Selberg). Uno spazio debolmente simmetrico è commutativo.
5. Il piano iperbolico reale:
il gruppo conforme del semipiano e SL(2, R)
vediamo ora in dettaglio come si sviluppa l’analisi sferica nel caso più semplice
(ma non compatto né euclideo) tra quelli considerati sopra30 .
30 Per
una trattazione approfondita dell’analisi sferica sul piano iperbolico, si veda il libro di
S. Lang dal titolo “SL2 (R)”.
76
Sia M il semipiano superiore nel piano complesso,
M = {z = x + iy : y > 0} .
Su M costruiamo una metrica invariante per trasformazioni conformi. Iniziamo
con la descrizione del gruppo conforme di M . Per definizione, una mappa conforme
tra due aperti connessi di Rn è un diffeomorfismo il cui differenziale in ogni punto è
un multiplo scalare non nullo di una trasformazione ortogonale (equivalentemente,
un diffeomorfismo che conserva gli angoli). In due variabili, le mappe conformi sono
necessariamente olomorfe, oppure antiolomorfe.
Lemma 5.1. Le trasformazioni biolomorfe di M in sé sono tutte e sole le trasformazioni lineari fratte
(5.1)
F (z) =
az + b
,
cz + d
a, b, c, d ∈ R ,
ad − bc > 0 .
Di conseguenza, le mappe conformi di M in sé sono quelle descritte sopra e le
loro composizioni con la coniugazione σ(z) = −z̄.
Prima di dare la dimostrazione, osserviamo che la famiglia di trasformazioni
a b
(5.1) è chiusa per composizione e che, associando a F la matrice
, la comc d
posizione corrisponde al prodotto di matrici. In particolare, alla matrice identica
corrisponde l’apllicazione identica di M in sé.
Dimostrazione. Se z = x + iy ∈ M e F è data dalla (5.1), cz + d 6= 0 e
=mF (z) = =m
(az + b)(cz + d) |cz + d|2
=m (az + b)(cz̄ + d)
(ad − bc)y
=
>0.
=
|cz + d|2
|cz + d|2
Dunque F applica M in sé. Siccome F −1 è rappresentato dalla matrice inversa,
si conclude che F è un biolomorfismo di M in sé.
Dato ora un biolomorfismo F di M in sé, vogliamo ora vedere che F è rappresentabile nella forma (5.1).
Sia F (i) = s + it, e poniamo H(z) = tz + s. Si vede facilmente che anche h ha
la forma (5.1) e che H(i) = F (i). Basta dunque vedere che ogni biolomorfismo di
M che lasci fisso il punto i ha la forma (5.1).
Consideriamo la mappa di Cayley
u(z) =
Siccome
1 − |u(z)|2 =
z−i
.
z+i
|z + i|2 − |z − i|2
4=mz
=
,
2
|z + i|
|z + i|2
si ha che z ∈ M se e solo se u(z) ∈ D, il disco unitario. Dunque u è un biolomorfismo
di M su D.
Siccome u(i) = 0, F è un’applicazione biolomorfa di M in sé che fissa il punto i
se e solo se
F̃ = u ◦ F ◦ u−1
77
è un’applicazione biolomorfa di D in sé che fissa l’origine.
Dunque F̃ (0) = 0. Inoltre, per r < 1,
1 I
1
F̃ (w)
0
|F̃ (0)| = dw
≤ ,
2πi |w|=r w2
r
da cui segue, per l’arbitrarietà di r, che |F̃ 0 (0)| ≤ 1. Poiché la stessa conclusione
vale per F̃ −1 , si ha |F̃ 0 (0)| = 1.
La funzione ϕ(w) = F̃ (w)/w è olomorfa in D e ϕ(0) = F̃ 0 (0) = eiθ con θ reale.
Per il principio del massimo,
sup |ϕ(w)| =
|w|<1
sup
1−δ<|w|<1
|ϕ(w)| =
1
|F̃ (w)|
≤
.
|w|
1−δ
1−δ<|w|<1
sup
Per l’arbitrarietà di δ, |ϕ(w)| ≤ 1 per ogni w ∈ D. Segue allora dal principio del
massimo forte che ϕ è costante, e pertanto F̃ (w) = eiθ w.
Coniugando F̃ con u si ottiene che
z − i
F (z) = u−1 ◦ F̃ u(z) = u−1 eiθ
.
z+i
1+w
Ma u−1 (w) = i 1−w
, per cui
(5.2)
F (z) = i
z + i + eiθ (z − i)
cos(θ/2)z + sin(θ/2)
=
.
z + i − eiθ (z − i)
− sin(θ/2)z + cos(θ/2)
In conclusione, F ha la forma (5.1), come da dimostrarsi. Indichiamo con GL+ (2, R) il gruppo delle matrici reali 2 × 2 con determinante
positivo. Per la prima partedel Lemma
5.1, abbiamo dunque definito un’azione
a b
di GL+ (2, R) su M . Se g =
∈ GL+ (2, R), indicheremo con g · z il valore
c d
F (z) nella (5.1).
L’azione non è fedele, in quanto due matrici g e cg, con c 6= 0, danno la stessa
funzione lineare fratta. E’ dunque sufficiente restringersi a SL(2, R), il gruppo
delle matrici reali con determinante uguale a 1. L’azione ristretta a G continua a
non essere fedele, in quanto g e −g hanno la stessa azione. Tuttavia si ha meno
ridondanza ed è preferibile lavorare con un gruppo di matrici, come SL(2, R), che
con il suo quoziente P SL(2, R) = SL(2, R)/{±I}.
Nel corso della dimostrazione del Lemma 5.1 abbiamo individuato due importanti
sottogruppi del gruppo dei biolomorfismi di M :
(1) il sottogruppo affine, costituito dalle trasformazioni z 7→ tz + s, con s ∈ R e
t > 0, che agisce in modo semplicemente transitivo su M ;
(2) lo stabilizzatore di i, costituito dalle trasformazioni (5.2).
La dimostrazione del Lemma mostra che ogni biolomorfismo F di M si scompone
in modo unico come composizione F = F1 ◦F2 , con F1 affine e F2 nello stabilizzatore
di i.
A sua volta, il sottogruppo affine si può scomporre in
(1a) il gruppo delle traslazioni orizzontali, z 7→ z + s, on s ∈ R;
(1b) il gruppo delle dilatazioni, z 7→ tz, con t > 0.
78
Risulta evidente che ogni trasformazione affine di M si scompone in modo unico
come composizione di una traslazione, seguita da una dilatazione, oppure di una
dilatazione, seguita da una traslazione.
I corrispondenti sottogruppi di SL(2, R) sono:
1 s
(1a) il gruppo N delle matrici ns =
;
0 1 1
t2
0
31
(1b) il gruppo A delle matrici at =
;
− 21
0
t
cos θ
sin θ
(2) il gruppo K delle matrici kθ =
.
− sin θ cos θ
Si noti che A normalizza N , in quanto, come si verifica facilmente,
(5.3)
at ns a−1
t = nts .
Questo implica che AN = N A è un sottogruppo (il sottogruppo affine). Da
quanto detto si ottiene facilmente il seguente enunciato.
Proposizione 5.2 (Decomposizione di Iwasawa). SL(2, R) = AN K, nel senso che ogni elemento g di SL(2, R) si decompone in modo unico come prodotto
(5.4)
g = at ns kθ ,
e l’applicazione (at , ns , kθ ) 7→ at ns kθ è un diffeomorfismo di A×N ×K su SL(2, R).
Per la (5.3), vale anche la decomposizione N AK. Scomponendo g −1 e invertendo
i fattori, si ottengono poi le decomposizioni KAN e KN A.
Ciascun sottogruppo N, A, K ha dimensione 1, e dunque è abeliano. Precisamente
(1) N ∼
= (R, +); usando s ∈ R come parametro per n ∈ N , dn = ds è ovviamente una misura di Haar;
(2) A ∼
= (R+ , ·); in termini del parametro t > 0, da = dt
t è una misura di
32
Haar ;
1
(3) K ∼
dθ è la misura di Haar normalizzata.
= T; dk = 2π
Teorema 5.3. Il gruppo G = SL(2, R) è unimodulare. Rispetto alla decomposizone
g = ank, la misura
dg = da dn dk
è una misura di Haar.
Dimostrazione. Mostriamo che dg è invariante a sinistra. Basta vederlo separatamente per elementi di A, N, K rispettivamente. Questo equivale a mostrare che il
funzionale
Z
f 7−→
f (ank) da dn dk
A×N ×K
rimane invariato se a f si sostituiscono rispettivamente La0 f , Ln0 f , Lk0 f .
31 Si
noti la distribuzione delle potenze di t tra il coefficiente a numeratore e quello a denominatore, necessaria per avere una matrice con determinante 1.
32 Ovviamente, cambiando parametro t = eτ , si ottiene che A ∼ (R, +) e da = dτ .
=
79
La cosa è ovvia per La0 f . Passando a n0 , si ha
Ln0 f (ank) = f (n0
−1
ank) = f a(a−1 n0 a)−1 nk) .
Siccome (a−1 n0 a)−1 ∈ N per la (5.3), integrando prima in dn si elimina questo
fattore e si ottiene la conclusione.
L’invarianza rispetto a K richiede un argomento indiretto.
Consideriamo lo spazio omogeneo G/K. Per l’unicità nella decomposizone di
Iwasawa, ogni elemento di G/K è rappresentabile in modo unico come classe laterale
anK, il che consente di identificare, come varietà, G/K con AN . In questo senso,
la restrizione ad AN dell’azione di G corrisponde alla moltiplicazione a sinistra sul
gruppo AN .
Per la Proposizione 2.2 del Capitolo VII, G/K ammette una misura G-invariante,
unica a meno di costanti moltiplicative. Poiché tale misura deve essere in particolare
AN -invariante, essa non può essere altro che d(anK) = da dn, per quanto visto
sopra33 .
R
Data f ∈ Cc (G), poniamo f [ (gK) = K f (gk) dk ∈ Cc (G/K). Allora, indicando
con τ l’azione di G sulle funzioni definite su G/K,
(Lk0 f )[ = τk0 (f [ ) ,
e dunque
Z
Z
(Lk0 f )[ (anK) da dn
L f (ank) da dn dk =
k0
G
ZA×N
=
τk0 (f [ )(anK) d(anK)
G/K
Z
f [ (anK) d(anK)
=
G/K
Z
=
f (ank) da dn dk .
G
Per mostrare l’unimodularità, supponiamo per assurdo che G abbia una funzione
modulare ∆ : G → R+ non banale. Allora ker ∆ sarebbe un sottogruppo normale
proprio e non banale. Di conseguenza, l’algebra di Lie g ammetterebbe un ideale
proprio non banale. Mostriamo che ciò è falso34 .
L’algebra di Lie gdi SL(2,R) consiste delle matrici reali di traccia nulla, cioè le
a b
matrici della forma
. Fissiamo la base
c −a
H=
1
0
0
−1
,
X=
0
0
1
0
,
Y =
0 0
1 0
.
Le regole di commutazione sono
[H, X] = 2X ,
33 Con
34 In
[H, Y ] = −2Y ,
[X, Y ] = H .
opportune modifiche formali, perchè si sta integrando su G/K e non su G.
altri termini, mostriamo che g è un’algebra di Lie semplice.
80
Sia h un ideale non banale di g. Esso contiene allora un elemento V = aH +bX +
cY 6= 0. Supponiamo a 6= 0. Allora h contiene anche [X, V ] = −2aX +cH, e dunque
anche [H, −2aX + cH] = −4aX. Quindi X ∈ h, e per le regole di commutazione,
anche Y, H ∈ h. Dunque h = g. In modo analogo si procede se a = 0 ma b 6= 0,
ecc. Il gruppo affine AN agisce in modo semplicemente transitivo su M , e ogni punto
z = x + iy si rappresenta in modo unico come at ns · i, con
x
(5.5)
z = at ns · i ,
t=y , s= .
y
Data una funzione f su M , definiamo f˜ su AN come f˜(an) = f (an · i). Per la
funzione Λ∗ f (g) = f (g · i) su SL(2, R) si ha allora l’identità
(5.6)
Λ∗ f (ank) = f˜(an) .
Il gruppo AN non è unimodulare. La misura da dn è invariante a sinistra ma
non a destra. Infatti, fissato aτ nσ ∈ AN ,
Z ∞Z ∞
Z ∞Z ∞
dt
dt
g(aτ nσ at ns ) ds =
g(aτ at nt−1 σ ns ) ds
t
t
0
−∞
0
−∞
Z ∞Z ∞
dt
=
g(aτ t nt−1 σ+s ) ds
t
0
−∞
Z ∞Z ∞
dt
=
g(at ns ) ds ,
t
0
−∞
mentre35
Z
0
∞
Z
∞
dt
g(at ns aτ nσ ) ds =
t
−∞
∞
Z
Z
∞
g(atτ nτ −1 s+σ )
0
∞
Z
−∞
Z ∞
=τ
g(at ns )
0
−∞
dt
ds
t
dt
ds .
t
Corollario 5.4.
(1) La misura su M
(5.7)
dm(z) =
dx dy
y2
è G-invariante.
(2) Date f, g ∈ L1 (M, dm), con g K-invariante, si ha
Z
∗
∗
˜
(Λ f ) ∗G (Λ g)(ank) = f ∗AN g̃(an) =
f (a0 n0 )g (a0 n0 )−1 an da0 dn0 .
AN
Dimostrazione. Attraverso l’identificazione (5.5) di M con AN , una misura Ginvariante su M deve corrispondere a una misura di Haar sinistra su AN . A meno
di multipli scalari, nelle coordinate z = ts + it si deve dunque avere
ds dt
dm(z) =
,
t
da cui segue la (5.7). La (2) è ovvia.
35 La
misura dt ds è invece invariante a destra.
81
6. Il piano iperbolico reale: la metrica invariante
Costruiamo su M una metrica riemanniana invariante rispetto a SL(2, R), la
parte olomorfa del gruppo conforme. Vedremo quindi che essa è invariante anche
rispetto alla coniugazione, e dunque rispetto all’intero gruppo conforme.
Lemma 6.1. Sia M = G/K una varietà omogenea. Sia h , i un prodotto scalare
sullo spazio tangente Tx0 M in x0 = eK, che sia invariante rispetto all’azione di K
data dai differenziali (dk)x0 , con k ∈ K. Esiste allora un’unica metrica riemanniana g su M , G-invariante e tale che, gx0 = h , i.
Viceversa, se g è una metrica riemanniana G-invariante su M , gx0 è K-invariante.
Dimostrazione. Sia h , i un prodotto scalare K-invariante su Tx0 M . Dato x =
g · x0 ∈ M , (dg)x0 applica Tx0 M biiettivamente su Tx M . Si definisca, per v, v 0 ∈
Tx0 M ,
gx (dgx0 )v, (dgx0 )v 0 = hv, v 0 i .
Per la K-invarianza del prodotto scalare iniziale, questa è una buona definizione,
e fornisce l’unica metrica G-invariante coincidente con il prodotto scalare dato in
x0 .
L’ultima parte dell’enunciato è ovvia. Sia dunque Ti M il piano tangente a M nel punto i. Identifichiamo in modo
naturale Ti M con C. Il differenziale (dkθ )i è la moltiplicazione per la derivata
complessa in i della funzione z 7→ kθ · z, cioè
(6.1)
cos θz + sin θ
d
= e2iθ .
dz |z=i − sin θz + cos θ
A meno di fattori costanti, l’unica scelta è dunque il prodotto scalare euclideo
hζ, ζ 0 ii = <e(ζ ζ̄ 0 ) .
Esso è anche invariante rispetto al differenziale della coniugazione σ.
Usiamo ora l’azione del gruppo affine (ossia di AN ) per portare questo prodotto
scalare negli altri punti di M . Identifichiamo ancora con C il piano tangente Tz0 M
in un generico punto z0 .
Se z0 = s + it, poniamo Fz0 (z) = tz + s. Una metrica invariante deve necessariamente soddisfare, per ζ, ζ 0 ∈ C,
Fz00 (i)ζ, Fz00 (i)ζ 0
z0
= hζ, ζ 0 ii .
Si ottiene quindi
(6.2)
hζ, ζ 0 iz0 = t−2 <e(ζ ζ̄ 0 ) = (=mz0 )−2 <e(ζ ζ̄ 0 ) .
Lemma 6.2. La metrica (6.2) su M è invariante rispetto all’azione del gruppo
conforme, ed è l’unica con tale proprietà a meno di costanti moltiplicative. Le
trasformazioni conformi sono tutte e sole le isometrie di M rispetto a tale metrica.
Dimostrazione. L’invarianza rispetto a G e lunicità seguono dal Lemma 6.1.
82
Sia ora F una isometria di M . Se g è la trasformazione affine che manda i
in F (i), scomponiamo F come F = F1 ◦ g, con F1 (i) = i. Quindi (dF1 )i è una
trasformazione ortogonale di Ti M ∼
= C. Essa può essere di due tipi: (dF1 )i ζ = eiθ ζ,
oppure (dF1 )i ζ = eiθ ζ̄ (secondo che il determinante reale della trasformazione sia
±1).
Nel secondo caso, σ ◦ F1 rientra nel primo caso.
Nel primo caso, esiste k ∈ K tale che (dk)i = (dF1 )i . Per il Lemma 1.1, F1 = k,
e dunque F ∈ SL(2, R). Nel secondo caso, F ∈ σSL(2, R). Corollario 6.3. M è doppiamente omogeneo. Le orbite di K in M sono i cerchi
geodetici di centro i.
Il cerchio geodetico di centro i e raggio r è la circonferenza di equazione
x2 + y 2 − 2y cosh r + 1 = 0 .
Dimostrazione. Segue dalla (6.1) che l’azione di K su Ti M è transitiva sul cerchio
unitario. A maggior ragione, ciò vale per lo stabilizzatore di i nel gruppo conforme, che contiene K. Siccome M è omogenea, lo stesso vale in ogni punto di M
per l’azione del suo stabilizzatore. Possiamo dunque applicare il Teorema 3.2 per
concludere che M è doppiamente omogeneo.
Dalla transitività dell’azione di K sul cerchio unitario nel piano tangente in i
segue la transitività sulle geodetiche uscenti da i. Questo implica che K agisce
transitivamente sulle sfere geodetiche di centro i.
Se u indica la mappa di Cayley u(z) = (z − i)/(z + i) introdotta nella dimostrazione del Lemma 5.1, le considerazioni svolte per giungere alla (5.2) mostrano
che
kθ (z) = u−1 e2iθ u(z) .
Poiché il gruppo di trasformazioni del disco unitario w 7→ e2iθ w hanno come
orbite i cerchi di centro l’origine, segue immediatamente che le orbite di K in M
sono le immagini inverse, secondo u, di tali cerchi, ovvero gli insiemi Cs descritti
dalle equazioni
(6.3)
Cs :
|z − i|
=s,
|z + i|
(s < 1) ,
che sono dunque i cerchi geodetici di centro i.
Per determinare il raggio in funzione di s, osserviamo che, per motivi di simmetria
rispetto alla coniugazione σ, il semiasse immaginario è la geodetica uscente da i con
vettore tangente puramente immaginario. Usando la (6.2), si verifica facilmente che
la parametrizzazione γ(r) = ier è isometrica. Basta dunque imporre che ier ∈ Cs
per ottenere il raggio di Cs . Dalla (6.3) si ricava
s=
r
er − 1
= tanh .
r
e +1
2
Riscrivendo poi la (6.3) in coordinate reali, si ottiene l’equazione
1 + s2
0=x +y −2
y + 1 = x2 + y 2 − 2y cosh r + 1 .
2
1−s
2
2
83
Abbiamo dunque due modi di realizzare M come spazio omogeneo, come M ∼
=
∼
SL(2, R)/K, oppure come M = Iso(M )/(K ∪ σK). Nel primo caso, si prende in
considerazione solo la componente connessa dell’identità nel gruppo delle isometrie.
Tuttavia, segue dal Corollario 6.3 che l’analisi sferica su M è indipendente da tale
scelta, perché le funzioni K-invarianti su M coincidono con quelle invarianti per
K ∪ σK.
D’ora in poi, terremo conto della sola azione di G = SL(2, R).
Le funzioni K-invarianti su M dipendono dunque solo dalla distanza del punto
da i. Abbiamo dunque la seguente proprietà.
Lemma 6.4. Una funzione K-invariante f su M è univocamente determinata
dalla sua restrizione
al semiasse immaginario e tale restrizione soddisfa la coni
dizione f (it) = f t .
Si ha anche la “decomposizione polare” di SL(2, R).
Proposizione 6.5 (Decomposizione di Cartan). Indichiamo con A+ il semigruppo delle matrici at con t ≥ 1. Ogni elemento g ∈ SL(2, R) si scompone nel
prodotto
(6.4)
g = k1 ak2 ,
+
con k1 , k2 ∈ K e a ∈ A . Se g 6∈ K, tale scomposizione è unica a meno di
moltiplicazione simultanea di k1 , k2 per −I.
Dimostrazione. Sia z = g · i, e sia τ = d(z, i). Esiste k1 ∈ K tale che k1 · (ieτ ) = z.
Dunque (k1 aeτ ) · i = z, e allora (k1 aeτ )−1 g ∈ K. Questo fornisce la scomposizione
(6.4) per g generico.
Naturalmente, se g ∈ K, si ha τ = 0 e dunque k1 , k2 sono indeterminati. Se
τ 6= 0, segue dalla (6.1) che l’argomento θ di k1 è determinato a meno di π, e
dunque k1 è unico a meno di ±I. Per il Teorema 3.3, gli operatori differenziali G-invarianti su M sono tutti e soli
i polinomi nell’operatore di Laplace-Beltrami ∆.
Lemma 6.6. Nelle coordinate z = x + iy su M , l’operatore di Laplace Beltrami è
∆ = −y 2 (∂x2 + ∂y2 ) .
Dimostrazione. Con formule standard di geometria differenziale, l’espressione si
calcola facilmente usando la (6.2). E’ anche possibile utilizzare il procedimento
indicato nel §4 del Capitolo VIII, in particolare la formula (4.5). Non sviluppiamo
i calcoli, che possono comunque costituire un utile esercizio. 7. Il piano iperbolico reale: le funzioni sferiche limitate
La forma particolarmente semplice di ∆ consente di trovarne facilmente delle
autofunzioni per ogni autovalore complesso. Per γ ∈ C, poniamo uγ (x + iy) = y γ .
Allora
∆uγ = γ(1 − γ)uγ .
Si noti che ogni numero complesso si scompone come γ(1−γ) per qualche γ, e che
uγ e u1−γ danno lo stesso autovalore. Integrando su K, si ottengono autofunzioni
K-invarianti.
84
Lemma 7.1. Le funzioni
Z
(7.1)
uγ (k · z) dk
ϕγ (z) =
K
sono funzioni sferiche di autovalore γ(1−γ) rispetto a ∆. Esse sono tutte le funzioni
sferiche (limitate e non). Inoltre
(1) ϕγ = ϕ1−γ ;
(2) la funzione sferica su G, Φγ (g) = ϕγ (g · i), soddisfa l’identità Φγ (g) =
Φγ (g −1 ).
Dimostrazione. Per la K-invarianza di ∆, ∆(τk uγ ) = γ(1 − γ)τk uγ . Quindi
Z
∆ϕγ =
∆(τk uγ ) dk = γ(1 − γ)ϕγ .
K
Inoltre ϕγ (i) = 1. Dunque le ϕγ sono sferiche. Dal Lemma 6.1 del Capitolo VIII
segue che esse sono tutte e che vale la (1).
Infine, la (2) segue dal fatto che M è debolmente simmetrico. Vogliamo ora individuare quali di tali funzioni sono limitate e quali sono autoaggiunte. Per rispondere a entrambe le domande è utile la seguente formula
asintotica.
Lemma 7.2. Se <eγ > 12 ,
lim y −(γ−1) ϕγ (iy) =
y→+∞
Γ(1/2)Γ(γ − 1/2)
6= 0 .
πΓ(γ)
Dimostrazione. Per la (2) del Lemma 7.1, possiamo supporre y ≥ 1.
Per k = kθ , si ha
iy cos θ + sin θ
−iy sin θ + cos θ
(iy cos θ + sin θ)(iy sin θ + cos θ)
=
cos2 θ + y 2 sin2 θ
(1 − y 2 ) sin θ cos θ + iy
=
.
cos2 θ + y 2 sin2 θ
kθ · (iy) =
Quindi
uγ kθ · (iy) =
yγ
,
(cos2 θ + y 2 sin2 θ)γ
e
1
ϕγ (iy) =
2π
Z
π
−π
yγ
yγ
dθ
=
π
(cos2 θ + y 2 sin2 θ)γ
Z
π
2
−π
2
(cos2
1
dθ ,
θ + y 2 sin2 θ)γ
essendo l’integrando periodico di periodo π. Con il cambio di variabile tan θ = t, si
ottiene
Z
Z
y γ ∞ (1 + t2 )γ−1
2y γ ∞ (1 + t2 )γ−1
ϕγ (iy) =
dt =
dt .
π −∞ (1 + y 2 t2 )γ
π 0 (1 + y 2 t2 )γ
85
Cambiando ancora variabile, yt = s, si ottiene
Z
2y γ−1 ∞ (1 + s2 /y 2 )γ−1
(7.2)
ϕγ (iy) =
ds .
π
(1 + s2 )γ
0
Per poter passare al limite, osserviamo che, se <eγ ≥ 1,
(1 + s2 /y 2 )γ−1 (1 + s2 /y 2 )<eγ−1
1
=
≤
∈ L1 (R+ ) ,
(1 + s2 )γ
(1 + s2 )<eγ
1 + s2
mentre, se 12 < <eγ ≤ 1.
(1 + s2 /y 2 )γ−1 1
1
≤
∈ L1 (R+ ) .
=
2
γ
2
2
1−<eγ
2
<eγ
2
<eγ
(1 + s )
(1 + s /y )
(1 + s )
(1 + s )
Otteniamo dunque per convergenza dominata che
Z
2 ∞ (1 + s2 /y 2 )γ−1
−(γ−1)
ds
lim y
ϕγ (iy) = lim
y→∞
y→∞ π 0
(1 + s2 )γ
Z
1
2 ∞
ds .
=
π 0 (1 + s2 )γ
√
Con il cambio di variabile s = u, si ottiene una delle forme dell’integrale Beta,
Z ∞
Z
1
1 ∞
1
1 1
1 Γ(1/2)Γ(γ − 1/2)
ds
=
du
=
B
,
γ
−
=
,
(1 + s2 )γ
2 0 u 21 (1 + u)γ
2
2
2
2Γ(γ)
0
e questa espressione è diversa da 0.
Teorema 7.3. La funzione Φγ è
(1) limitata se e solo se 0 ≤ <eγ ≤ 1;
(2) autoaggiunta se e solo se γ ∈ R ∪
1
2
+ iR .
Dimostrazione. Essendo ϕγ = ϕ1−γ , basta considerare il caso <eγ ≥ 12 . Se <eγ >
1
2 , la conclusione segue dal Lemma 7.2.
Se <eγ = 12 , |uγ |2 = u1 , e per la (7.1),
Z
12
1
1
2
|ϕγ (z)| ≤
|uγ (k · z)| dk
= ϕ1 (z) 2 = ϕ0 (z) 2 = 1 .
K
Per la (2) del Lemma 7.1, Φγ è autoaggiunta se e solo se è reale. Possiamo
dunque verificare ciò su ϕγ . Essendo ϕγ = ϕγ̄ , ϕγ è reale se e solo se γ̄ è uguale a
γ o a 1 − γ. Con riferimento al Teorema 6.2 del Capitolo VIII, consideriamo l’immersione Σ∆
in C dello spettro di Gelfand dell’algebra L1 (K; G; K), corrispondente alla scelta
di ∆ come unico generatore di D(G/K).
Corollario 7.4. Lo spettro di Gelfand dell’algebra L1 (K; G; K), immerso in C
come Σ∆ , è
Σ∆ = {γ(1 − γ) : 0 ≤ <eγ ≤ 1} = {u + iv : u ≥ v 2 } .
Inoltre Σ+
∆ ⊂ Σ∆ ∩ R.
La seconda parte dell’enunciato dipende dal fatto che le funzioni sferiche di tipo
positivo sono al tempo stesso limitate e autoaggiunte.
86
8. Il piano iperbolico reale: la trasformata di Fourier sferica
Continuiamo a indicare con ϕγ la funzione sferica (7.1), ricordando tuttavia che
ϕγ = ϕ1−γ . La trasformata di Fourier sferica di f ∈ L1K (M ), lo spazio delle funzioni
K-invarianti in L1 (M ), sarà indicata con36
Z
ˆ
f (γ) =
f (z)ϕγ (z) dm(z) .
M
Dalla (7.1) si ha
Z
fˆ(γ) =
∞
Z
f (z)uγ (z) dm(z) =
y
M
γ−2
Z
∞
f (x + iy) dx dy .
−∞
0
Ponendo y = et , si ha
(8.1)
fˆ(γ) =
Z
∞
e
(γ−1)t
−∞
Z
∞
f (x + iet ) dx dt .
−∞
Questa formula prevede la composizione di due operazioni. La prima è l’integrazione di f sulle rette orizzontali. Consideriamo dunque l’operatore che associa ad
f la funzione
Z
∞
f (x + iet ) dx .
t 7−→
−∞
Per motivi che vedremo tra breve, risulta conveniente formalizzare questa operazione introducendo l’operatore
Z ∞
− 2t
f (x + iet ) dx ,
(8.2)
Af (t) = e
−∞
detto la trasformata di Abel 37 di f .
36 A
livello di gruppo, questo equivale alla posizione generale,
Z
fˆ(γ) =
f (g · i)Φγ (g −1 ) dg ,
G
per la (2) del Lemma 7.1.
t
37 L’operatore A è (a parte il coefficiente e− 2
) un analogo “iperbolico” della trasformata di
Radon in R2 , che consiste nell’associare a una funzione i suoi integrali lungo tutte le rette del piano.
Dati un versore ω ∈ S 1 e u ∈ R, la trasformata di Radon di una funzione f è data dall’integrale
unidimensionale di f sulla retta hx, ωi = u,
Z
Rf (ω, u) =
f ,
hx,ωi=u
(naturalmente R(ω, u) = R(−ω, −u)). La proprietà fondamentale della trasformata di Radon è il
principio di unicità: conoscendo Rf si può ricostruire f .
A noi interessa applicare la trasformata di Abel a funzioni K-invarianti. L’analogo euclideo è la
trasformata di Radon applicata a funzioni radiali. Ovviamente, se f è radiale, Rf non dipende
da ω e, per poter ricostruire f , è sufficiente avere a disposizione gli integrali
Z ∞
f (x, y) dx = Rf (e1 , y) .
−∞
87
Una funzione K-invariante su M è una funzione che, per il Corollario 6.3, dipende
solo da
x2 + y 2 + 1
x2
y + y −1
cosh r =
=
+
≥1.
2y
2y
2
Possiamo dunque esprimere ogni funzione K-invariante f come
(8.3)
f (x + iy) = f0
x2
2y
y + y −1 ,
2
+
per cui
(8.4)
Af (t) = e
− 2t
Z
∞
f0
x2
Z
+ cosh t dx =
2et
−∞
∞
f0
−∞
s2
2
+ cosh t ds .
Lemma 8.1. Vale la seguente formula di inversione della trasformata di Abel di
una funzione f di classe C 1 , K-invariante e a supporto compatto:
Z ∞
1
1
f (i) = f0 (1) = −
(Af )0 (t)
dt .
2π 0
sinh 2t
Dimostrazione. Data g ∈ Cc1 [0, ∞) , poniamo, per u ≥ 1,
∞
Z
T g(u) =
g
s2
2
−∞
+ u ds .
Allora
Z
2
∞
∞
Z
T g(u) =
g
−∞
Z
= 2π
s2 + s2
1
2
−∞
∞ Z0 ∞
= 2π
2
+ u ds1 ds2
σ2
+ u σ dσ
g
2
g(v) dv ,
u
con un passaggio da coordinate cartesiane a polari nell’integrale doppio e successivi
cambiamenti di variabile. Quindi
d 2
T g(u) = −2πg(u) ,
du
cioè T −2 = −(1/2π)d/du. Pertanto
T
−1
1
1
g(u) = − T g 0 (u) = −
2π
2π
Z
∞
g0
s2
2
−∞
+ u ds ,
e, posto g = T f0 ,
(8.5)
1
f0 (u) = −
2π
Z
∞
(T f0 )
−∞
0
s2
1
+ u ds = −
2
π
Z
0
∞
(T f0 )0
s2
2
+ u ds .
88
Abbiamo ora la relazione Af (t) = T f0 (cosh t), per cui
(Af )0 (t) = sinh t (T f0 )0 (cosh t) .
2
Posto u = 1 nella (8.5), effettuiamo il cambiamento di variabile s2 + 1 = cosh t =
2 sinh2 (t/2) + 1, da cui s = 2 sinh(t/2) e ds = cosh(t/2) dt. Quindi
1
f0 (i) = −
π
∞
Z
(T f0 )0 (cosh t) cosh
0
t
dt
2
cosh 2t
1 ∞
dt
(Af )0 (t)
π 0
sinh t
Z ∞
1
1
=−
dt .
(Af )0 (t)
2π 0
sinh 2t
Z
=−
Dalla (8.1) si ricava che
1
Z ∞
fˆ + iξ =
eiξt Af (t) dt = FAf (ξ) ,
2
−∞
(8.6)
e questo ci consente di invertire la trasformata di Fourier sferica.
Teorema 8.2. Per f K-invariante, di classe C 2 e a supporto compatto, valgono
(1) la formula di inversione
1
f (i) =
2π
Z
∞
0
1
ˆ
+ iξ ξ tanh πξ dξ ;
f
2
(2) la formula di Plancherel
Z
Z
1
|f (z)| dm(z) =
2π
M
2
∞
0
1
2
ˆ
+ iξ ξ tanh πξ dξ .
f
2
Dimostrazione. Supponiamo f (e dunque anche f0 ) di classe C 2 e a supporto compatto. Per la (8.2), anche Af è C 2 a supporto compatto. Pertanto la sua trasformata di Fourier è integrabile38 . Per la (8.6),
1
Af (t) =
2π
38 Se
Z
∞
1
fˆ + iξ eiξt dξ ,
2
−∞
g, g 0 ∈ L2 , anche F g e F (g 0 )(ξ) = iξF g(ξ) sono in L2 e dunque
Z
∞
|F g(ξ)| dξ ≤
−∞
Z
∞
−∞
2
2
|F g(ξ)| (1 + ξ ) dξ
1 Z
2
∞
(1 + ξ 2 )−1 dξ
1
2
<∞.
−∞
Più avanti si utilizza il fatto che ξF (g 0 )(ξ) è pure integrabile se anche g 00 ∈ L2 . la dimostrazione
è analoga.
89
e dunque, per la parità di fˆ( 12 + iξ) in ξ,
Z
1
d ∞ ˆ 1
iξt
f
dt
+ iξ e dξ
dt −∞
2
sinh 2t
0
Z ∞ Z ∞ 1
1
d
1
=− 2
fˆ + iξ cos ξt dξ
dt
2π 0 dt 0
2
sinh 2t
Z ∞ Z ∞ sin ξt
1
1
ˆ
ξf
dt dξ
=
+ iξ
2π 2 0
2
sinh 2t
0
1
f (i) = − 2
4π
Z
∞
Ora,
t
∞
X
1
sin ξt
2e− 2 sin ξt
=2
e−(n+ 2 )t sin ξt ,
t =
−t
1−e
sinh 2
n=0
con convergenza dominata in L1 su R+ . Quindi
Z
0
∞
∞ Z ∞
X
1
sin ξt
e−(n+ 2 )t sin ξt dt
t dt = 2
sinh 2
n=0 0
Z ∞
∞
X
1
=2
=m
e−(n+ 2 −iξ) dt
=2
n=0
∞
X
0
=m
n=0
∞
X
= 2ξ
n=0
=
1
n+
1
2
− iξ
1
(n +
1 2
2)
∞
X
ξ
−∞
1 2
2)
(n +
+ ξ2
+ ξ2
.
Per ξ > 0 fissato,
ξ
(τ +
1 2
2)
1
+ ξ2
ξ + i(τ + 12 )
Z ∞
1
= <e
e−ξt−i(τ + 2 )t dt
Z 0
Z
1 ∞ −ξt−i(τ + 1 )t
1 ∞ −ξt+i(τ + 1 )t
2
2
=
e
dt +
e
dt
2 0
2 0
Z
1 ∞ −ξ|t|−i(τ + 1 )t
2
=
e
dt
2 −∞
t
1
= F(e−ξ|t|−i 2 ) .
2
= <e
Per la formula di sommazione di Poisson,
X
n∈Z
Fg(n) = 2π
X
n∈Z
g(2πn) ,
90
si ottiene l’identità
∞
X
∞
X
ξ
=
π
e−2πξ|n|−inπ
1 2
2
(n + 2 ) + ξ
−∞
−∞
= π + 2π
∞
X
(−1)n e−2πnξ
n=1
−2πξ
2e
1 + e−2πξ
1 − e−2πξ
=π
1 + e−2πξ
eπξ − e−πξ
= π πξ
e + e−πξ
= π tanh πξ .
=π−
Abbiamo allora la formula di inversione (1). La (2) segue applicando la (1) a
(Λ∗ f )∗ ? f . Nelle formule (1) e (2) interviene solo la restrizione
della
trasformata di Fourier
alla retta <eγ = 12 (corrispondente alla semiretta 14 , ∞ in Σ∆ ∩ R). Per poter dire
che la misura (2π)−1
è la misura di Plancherel, dovremmo verificare
1 ξ tanh
πξ dξ
+
che effettivamente 4 , ∞ ⊂ Σ∆ , ossia che le funzioni sferiche Φ 12 +iξ (= Φ 21 −iξ ),
con ξ ≥ 0, sono di tipo positivo.
Per far questo, costruiamo una famiglia di rappresentazioni unitarie {πξ }ξ≥0 di
SL(2, R), ciascuna dotata di un elemento vξ , K-invariante e tale che hvξ , π(g)vξ i =
Φξ (g) per ogni g ∈ SL(2, R).
Osserviamo dunque che SL(2, R) = G agisce sulla compattificazione di Aleksandroff R ∪ {∞} di R per mezzo delle trasformazioni lineari fratte x 7→ g · x = ax+b
cx+d ,
a b
se g =
(questo non è altro che il prolungamento al bordo dell’azione su
c d
M ).
Indichiamo con g 0 (x) la derivata della funzione x 7→ g · x, cioè
g 0 (x) =
1
,
(cx + d)2
e osserviamo che la formula di cambiamento di variabile
Z ∞
Z ∞
f (x) dx =
f (g · t)g 0 (t) dt
−∞
−∞
è valida per ogni f ∈ Cc (R) e g ∈ G. Se quindi poniamo
1
πξ (g)f (x) = (g −1 )0 (x) 2 +iξ f (g −1 · x) ,
abbiamo che
kπξ (g)f k2 = kf k2
per f ∈ Cc (R), e dunque πξ (g) si estende per continuità a L2 (R), dando luogo a
una rappresentazione unitaria di G.
91
Mostriamo ora che πξ ammette un vettore K-invariante. Una funzione f ∈ L2 (R)
è πξ (K)-invariante se
(x sin θ + cos θ)−1−2iξ f
x cos θ − sin θ x sin θ + cos θ
= f (x)
per ogni θ ∈ T. Supponiamo che f sia C 1 e deriviamo in θ. Abbiamo
x cos θ − sin θ x cos θ − sin θ
f
0 = −(1 + 2iξ)
(x sin θ + cos θ)2+2iξ
x sin θ + cos θ
2
−(x sin θ + cos θ) − (x cos θ − sin θ)2 0 x cos θ − sin θ +
f
(x sin θ + cos θ)3+2iξ
x sin θ + cos θ
E’ sufficiente considerare questa equazione per θ = 0, ottenendo
f 0 (x) = −(1 + 2iξ)
da cui
f (x) =
x2
x
f (x) ,
+1
c
1
(x2 + 1) 2 +iξ
.
Trascurando la normalizzazione in L2 , irrilevante a questo punto, poniamo per
1
comodità c = 1 e chiamiamo fξ (x) = (x2 + 1)− 2 −iξ .
Sapendo che il coefficente ψ(g) = hfξ , πξ (g)fξ i è bi-K-invariante, possiamo limitarci a calcolare Ψ(at ). Abbiamo
1
1
1
πξ (at )fξ (x) = t− 2 −iξ fξ (t−1 x) = t− 2 −iξ (t−2 x2 + 1)− 2 −iξ ,
per cui
Ψ(at ) = t
− 21 +iξ
Z
∞
−∞
1
(x2 + 1)
1
2 +iξ
Confrontando con la (7.2), si osserva che Ψ =
cludere quanto segue.
x2
t2
1
+ 1) 2 −iξ
π
1
2 Φ 2 +iξ .
dx .
Possiamo dunque con-
Teorema 8.3. Le funzioni sferiche Φ 12 +iξ sono di tipo positivo. La misura di
Plancherel per la coppia SL(2, R), SO(2) è la misura (2π)−1 ξ tanh πξ dξ.
Osservazione. Si dimostra che anche le funzioni sferiche Φγ con γ ∈ [−1, 1] sono di
tipo positivo39 . Tuttavia esse non rientrano nel supporto della misura di Plancherel.
Le rappresentazioni πξ che abbiamo costruito non sono irriducibili. Il sottospazio
L2+ = {f ∈ L2 (R) : supp Ff ⊂ [0, ∞)}
è invariante e la restrizione di πξ a L2+ è irriducibile. L’invarianza di H 2 rispetto a
πξ si comprende in termini della caratterizzazione di L2+ come spazio dei valori al
bordo delle funzioni olomorfe su M e appartenenti allo spazio di Hardy H 2 (M ).
Le rappresentazioni πξ , ristrette a L2+ , sono le rappresentazioni della cosiddetta
serie principale. Quelle associate alle Φγ con γ ∈ [−1, 1], costituiscono la cosiddetta
serie complementare.
39 Questo
è ovvio per Φ0 = Φ1 = 1.