principali linee guida per dare avvio concreto al progetto di eda rivista
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principali linee guida per dare avvio concreto al progetto di eda rivista
Dalla casa a patio ai tipi urbani del Foro e dell’Acropoli: analogia e riferimento nell’opera di James Stirling Renato Capozzi Università degli Studi di Napoli Federico II – Facoltà di Architettura Federica Visconti Università degli Studi di Napoli Federico II – Facoltà di Architettura The essay examines some of the James Stirling‟s projects and it tries to overcome the traditional location of his work in the field of the postmodern. The thesis is that James Stirling, in drawing on a repertoire of exempla from the European architectural tradition and in referring to the urban typologies of forum and acropolis for the construction of public urban spaces, is, despite his specificity, a rational architect. James Stirling – architectural composition – urban typologies La scoperta di una piccola opera giovanile di James Stirling è stata lo spunto per una riflessione, forse originale, certo tendenziosa, che a partire dalla casa a Cowes - questa l‟opera in questione che, oltre che giovanile, è definibile, per le ragioni che andremo a spiegare, “mediterranea” - ha poi investito una parte più consistente, per numero di opere e loro grado di complessità, della produzione dell‟architetto scozzese. La House a Cowes, nell‟Isola di Wight, progettata con James Gowan nel 1956 - negli stessi anni, è bene ricordarlo, la critica si allenava per lo più ad ascrivere l‟opera di James Stirling nel filone brutalista - è una piccola abitazione per una coppia di sposi con figli che, nella sua estrema elementarità, a partire dalla scelta tipologica della casa a patio mediterranea come riferimento, cela una tensione verso la ricerca di forme pure e concise che vengono ottenute con l‟uso sapiente di un numero ristretto di elementi: il setto, il patio - qui ripetuto due volte - la bucatura stretta. ridisegno della House a Cowes: composizione, geometria e tipologia EdA on.line 01/2012 1 La casa ci sembra definibile come un esercizio di bravura sul tema del quadrato, sulle sue possibilità di contenere altre figure omologhe che, di volta in volta, si materializzano nel patio grande aperto alla natura o nei due blocchi ciechi tangenti al percorso di accesso; sulla contaminazione/trasformazione in altre figure o sottomultipli che si ricompongono poi nella figura ad H, a sua volta contenuta in un quadrato. Che cosa lega questa piccola casa, che non abbiamo esitato a definire „elementare‟, alle opere più „complesse‟ della maturità di Stirling? La tesi che qui si propone è quella di rintracciare un tratto comune in questo come in altri progetti, semmai di maggiore impegno ma proprio per questo meno chiari dal punto di vista della perentorietà delle forme assunte, e quindi intravedere in quella stagione d‟esordio, a noi in qualche modo del tutto lontana, gli antecedenti conoscitivo/sperimentali, le prove d‟orchestra di un lavoro progettuale che porterà successivamente Stirling a lavorare selezionando una serie di elementi, di tipi o di forme „note‟ delle quali si servirà, attraverso una procedura in continua oscillazione tra la composizione ed il montaggio, per realizzare alcuni progetti di grandi edifici pubblici o collettivi. Così come nell‟affrontare il tema dello spazio domestico si era riferito alla casa a patio, così nell‟affrontare il tema dell‟edificio per la città Stirling sembra costruirsi una sorta di repertorio, a un tempo generale e personale, di forme note e lo fa, ovviamente ma non banalmente, attingendo a piene mani a quel corpus di esempi, di architetture e di spazi che la città della storia offre, guardando alla città come ad una sorta di trattato di architettura, di manuale di soluzioni progettuali dal quale procurarsi i materiali per il progetto. Ma un ulteriore elemento di arricchimento di questo ragionamento è che non solo è riconoscibile un riferimento a tipi architettonici consolidati in molte delle opere mature di Stirling ma anche quella operazione, apparentemente di meccanico montaggio di alcuni di essi a costituire il grande edificio collettivo - sorta di “edifici-mondo” -, è in realtà una composizione secondo tipi, stavolta urbani, altrettanto consolidati. In particolare ci pare di poter sostenere che la costituzione formale di tali “edifici-mondo” parta da due declinazioni differenti del tema del vuoto/spazio aperto che, nella casa a Cowes, sembrano sinteticamente compressi e sintetizzati nella figura generale. Il tema urbano individuato a proposito di questi edifici di impegno civile e rappresentativo non riguarda quindi tanto il rapporto che essi instaurano, all‟ „esterno‟, con la città o genericamente con il contesto, ma un particolare modo di determinare il loro „interno‟ come un pezzo di città, una piazza, un luogo aperto ben descrivibile, ricorrendo ad alcuni topoi riconoscibili, perché desunti dalla tradizione, che, in alcuni casi, definiscono il carattere del vuoto per giustapposizione mentre in altri appaiono piuttosto determinati dalla autorevolezza e perentorietà della figura del vuoto stesso. Il tema del vuoto centrale come elemento determinante la figura generale era presente, in nuce, già nel progetto della casa a due patii dell‟Isola di Wight: come gli elementi dello spazio domestico risultavano ordinati dalla corte interna, così nello spazio urbano, ampliandosi, gli elementi diventano veri e propri pezzi, si singolarizzano, acquistano autonomia ma, pur mantenendo questa loro finitezza della forma, riescono a ribaltare il rapporto vuoto/pieno e ad ordinare quello che li contorna, o che è da essi contenuto: il vuoto diventa così, come nella città, assieme ad altre architetture concise, uno dei protagonisti di una più complessa costruzione paratattica o additiva in cui lo spazio interno risulta connotato proprio dalla presenza articolata di vari personaggi/protagonisti. Tutto ciò è riscontrabile, secondo varie declinazioni, in molti progetti di James Stirling ma, seguendo la traccia di un ragionamento che dalla casa a patio come archetipo dello spazio domestico prova a riconoscere, negli edifici pubblici o collettivi, i tipi urbani classici, ci sembra di particolare interesse esplorare le diverse modalità compositive da lui utilizzate attraverso due suoi lavori - quello di Concorso per la Biblioteca di Francia a Parigi del 1989 e quello del Centro ricerche della Bayer a Monheim del 1978 - intesi come esempi paradigmatici riferiti ai due grandi modelli di costruzione dei luoghi rappresentativi per la città classica: quello dell‟Acropoli, che parte EdA on.line 01/2012 2 dalla composizione/montaggio di un ensemble di tipi individuali e definiti, e quello del Foro, che tende ad ordinare i vari manufatti secondo un principio unificante che definisce con estrema precisione il vuoto che li contiene (Monestiroli 2002). A questo punto ci sembra di poter affermare con sufficiente evidenza che l‟adesione o l‟utilizzo di forme desunte dalla tradizione classica della città è tutt‟altro che superficiale o solo di tipo linguistico ma si sostanzia nella selezione di alcune figure indiscutibili e riconosciute che vengono messe a contrasto o riunificate attraverso i due principi d‟ordine appena descritti. 3 lettura compositiva del progetto di concorso per la Biblioteca Nazionale di Francia In tal senso la chiave di lettura individuata per il concorso per la Biblioteca di Francia a Parigi tende a leggere in questo progetto una reinterpretazione originale del principio dell‟Acropoli: nella prima periferia parigina Stirling propone un vero e proprio abaco di architetture d‟eccellenza della tradizione francese e di quella colta dell‟architettura classica della città europea. Il grande spazio sistemato a giardino ed articolato su di una rampa a tenaglia è misurato da un basamento che definisce una corte aperta verso la Senna e sostiene vari episodi architettonici che si dispongono a definire una generica figura quadrata. Alla base del piano verde inclinato si dispongono due edifici a pianta centrale: il primo è a pianta ottagonale con coronamento loggiato e connesso ad una torre tronco-conica, il secondo è a base quadrata ed articolato in altezza attraverso la sovrapposizione di ulteriori volumi, sempre a base quadrata, rastremati o ruotati ed infine conclusi da una lanterna cilindrica. Tali „avamposti‟ costituiscono le testate urbane del basamento che, all‟interno della corte aperta, segue l‟andamento della rampa trapezoidale e accompagna verso il corpo trasversale che contiene un grande atrio tetrastilo con due ingressi opposti caratterizzati da portali triangolari. Su tale piedistallo si poggiano gli ulteriori volumi: quelli che, in maniera ancor più evidente, rimandano per citazione ad altrettanti edifici della memoria ai quali si richiamano nelle forme e nell‟organizzazione tipologica. Si tratta, ed appare quasi superfluo segnalarlo, di due celebri progetti di Étienne-Louis Boullée: il Cenotafio a Newton e la Biblioteca Nazionale, assunti come veri e propri paradigmi capaci di riassumere allegoricamente il tema dell‟edificio. EdA on.line 01/2012 La citazione degli edifici di Boullée non è aridamente linguistica e formale ma funzionale a costruire un „brano di città‟, un sorta di inedito ma auspicabile „nuovo paesaggio‟ fatto di natura e architettura, capace a un tempo di definire compiutamente il suo rapporto „retorico‟ ma necessario con la città e di ritrovare nel grande giardino terrazzato, nei corpi bassi e con la presenza di alcuni intrusi come la torre ottagonale disassata, quel “tumulto dell‟insieme” che tanto affascinava Le Corbusier nella sua scoperta dell‟acropoli. Qui il lavoro analogico rimanda quindi, ad un‟altra scala, anche al Campo dei Miracoli di Pisa dove edifici „certi‟ sono disposti topologicamente su un grande parterre naturale/artificiale. Il progetto di Parigi, forse anche perché successivo, appare una evoluzione ed un deciso avanzamento rispetto ad altri due lavori: il Wissenschaftszentrum di Berlino del 1979-87 e la sede della British Telecom a Milton Keynes del 1987. Nel primo, a partire da un principio agglutinante di tipi riconosciuti, sembra costruirsi una figura che rimanda direttamente alle cittadelle fortificate di età romanica o, come segnala Pierluigi Nicolin (Nicolin 1979), ai college/clusters ingelsi di Oxford e Cambridge; nel secondo, invece, il referente urbano sembra da ricercare più in alcune agorai ellenistiche delle quali viene riproposto il rapporto tra stoà e boulè. In entrambi i progetti tuttavia raccordi e connessioni tra i „pezzi‟ appaiono piuttosto forzati e alle forme evocate non corrisponde un chiaro assetto tipologico per cui la citazione, in questi casi, produce simulacri più che variazioni del tipo. 4 plastico del Wissenschaftszentrum di Berlino plastico della sede della British Telecom a Milton Keynes Nel caso della Biblioteca di Francia invece le architetture prese a prestito e ricollocate in un nuovo ed inedito rapporto, attraverso una tecnica simile allo straniamento quale procedimento narrativo ed al tempo stesso compositivo, sono appropriate per senso e per carattere al tema che devono svolgere. La Biblioteca di Boullée non è né forma esteriore né tanto meno mera figura planimetrica «…funzionale a dimostrare la inutile rinuncia della soluzione razionalista» (Nicolin 1979) ma a Parigi è invece possibile rintracciare una corrispondenza tra la forma generale e spaziale e l‟organizzazione interna in una citazione che si fa ritrovamento di forme elementari, per questo autorevoli e mai inventate. EdA on.line 01/2012 plastico del progetto di concorso per la Biblioteca Nazionale di Francia Mettendo dunque in sequenza questi tre progetti si può intravedere un progressivo processo di maturazione indirizzato alla graduale riduzione degli elementi e al chiarimento delle loro relazioni sintattiche: il tutto filtrato attraverso una ri-scoperta di modelli urbani e di luoghi della memoria fino ad approdare, come nei Capricci del Canaletto, alla costruzione di piccole città analoghe che usano, riconoscendone il valore, architetture fatte da altri in ri-composizioni sincroniche che restituiscono brani di „città possibili‟. Quanto detto fa singolarmente emergere una possibile vicinanza del lavoro di Stirling alle ricerche tipologiche di Ungers ed alle composizioni di pezzi e parti di Aldo Rossi e, di contro, lo allontana da operazioni tutte spostate sulla evocazione „virtuale‟ di forme o stilemi reperiti senza Krisis dal serbatoio infinito delle forme canonizzate della classicità dei coevi progetti di Robert Venturi o di Michael Graves. Il secondo principio d‟ordine, quello del Foro, informa il progetto del concorso ad inviti per il centro della Bayer a Monheim del 1978 che sembra inscriversi nella medesima traiettoria teorico/operativa individuata per la Biblioteca di Francia. A Monheim il tema del grande centro di ricerche viene per così dire rifondato su un nuovo rapporto con il paesaggio nel quale i diversi laboratori, cui si predispone il prevedibile ampliamento, ritrovano, attraverso la loro giustapposizione attorno ad un grande vuoto/parco semicircolare e la loro proiezione nelle profondità del bosco, un nuovo rapporto tra il luogo di lavoro e la natura circostante. Il riferimento assunto per la figura complessiva chiaramente rimanda alle Saline di Claude-Nicolas Ledoux a Chaux mentre i vari edifici che si affacciano sul grande invaso centrale assumono, di volta in volta, lo schema absidale delle terme romane o dell‟oikema dello stesso Ledoux o ancora gli schemi di Durand talvolta ibridati, come nel caso del Laboratorio di Chimica, con, ancora una volta, la Biblioteca di Boullée. Il modo in cui i vari laboratori si rapportano al vuoto centrale li vede tutti pensati con una tipologia a pettine su una spina lineare sulla quale si innesta una sequenza pronao/padiglioni/atrio/corte e il procedimento additivo appare adeguato come mai alla possibilità di ampliamento. EdA on.line 01/2012 5 plastico del progetto per il centro della Bayer a Monheim Il modo in cui i vari laboratori si rapportano al vuoto centrale li vede tutti pensati con una tipologia a pettine su una spina lineare sulla quale si innesta una sequenza pronao/padiglioni/atrio/corte e il procedimento additivo appare adeguato come mai alla possibilità di ampliamento. Non manca poi, nell‟edificio degli uffici che domina la composizione e che offre alla città il suo profilo concavo, ancora una volta il ricorso all‟analogia, qui con il rocco di colonna: ancora una volta non una semplice trasposizione ma, come in Loos, un riferimento ad una forma generale in grado di rappresentare l‟Istituzione. Così all‟estrema variabilità dei laboratori - nei quali vengono tuttavia sempre identificate con chiarezza le parti costitutive ricorrenti e quelle eccezionali - si contrappone l‟esigenza di uniformità dell‟invaso che, definito da filari di alberi in vece di colonne disposti lungo i bordi di un canale, diventa luogo di riassunzione e rispecchiamento dove è possibile riconoscere, nel dialogo tra natura e artificio, il valore di unico manufatto dotato di senso di questo insieme architettonico. lettura compositiva del progetto per il centro della Bayer a Monheim EdA on.line 01/2012 6 La conclusione „tendenziosa‟ di questo excursus tra i progetti di James Stirling, da quella prima casa antiqua ai progetti per Parigi e Monheim, è che l‟architetto scozzese sembra affiancarsi progressivamente, a partire dai primi anni ‟80, a quei “presupposti dell‟architettura urbana” (Nicolin 1979), intesi anche come patrimonio specifico della riflessione teorica prodotta dalla cultura architettonica italiana, e farsene a suo modo interprete in modo originale e per questo più interessante, valido tanto nei risultati che nelle premesse. Troppo spesso e spesso troppo frettolosamente l‟opera di Stirling, soprattutto quella „matura‟, è stata dalla critica architettonica etichettata con la categoria di postmodern. In realtà, a ben vedere, a noi pare che la sua ricerca non sia stata del tutto compresa dalla nostra generazione, alla quale sono stati presentati solo gli esiti più „tardi‟ ed una loro interpretazione ridotta ai termini linguistici di un relativo eclettismo storicista; se guardata con un occhio prospettico più ampio essa riflette ancora un modo di lavorare sulla composizione classica e presuppone quindi una teoria razionale posta a fondamento del progetto di architettura. In conclusione ci pare di poter affermare che il portato ancora attivo del lavoro di Stirling sia rintracciabile in una ricerca costellata anche talvolta di incertezze ma sempre interna ad una linea evolutiva caratterizzata da un principio di coerenza e che, quindi, vada sottratta all‟ansia definitoria di -ismi di afferenza ma piuttosto ricondotta e riletta come una grande lezione che si muove nell‟alveo di una certa classicità. Una classicità mai smarrita, da intendersi non come operazione superficialmente formale e di maniera bensì come selezione attenta di exempla da utilizzare sempre e di nuovo, ogni volta approfondendo la conoscenza e la necessarietà delle forme, recuperando la lezione di Seneca (Rossi 1968) quando affermava che: «lo stolto è colui che ricomincia sempre da capo e che si rifiuta di svolgere il filo della propria esperienza». 7 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Monestiroli, A. 2002. La metopa e il triglifo. Roma-Bari: Laterza Nicolin, P. 1979. Caratteri istituzionali e linguaggio metaforico. Due progetti di James Stirling in «Lotus International» n.25, Milano: Electa Rossi, A., 1968. Architettura per i Musei, in AA.VV., Teoria della progettazione architettonica, Bari: Dedalo EdA on.line 01/2012