santa giuseppina bakhita

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SANTA GIUSEPPINA BAKHITA
E I DISEGNI IMPERSCRUTABILI DI DIO PADRE
Santa Giuseppina Bakhita rappresenta mirabile esempio
della
presenza di Dio nelle vicende umane e della sua incondizionata paterna
bontà nel restituire la dignità di creatura umana anche all’esistenza più
bistrattata sulla quale il mondo terreno non avrebbe scommesso nulla.
Santa Giuseppina era una donna di colore e per di più schiava d’Africa essendo
vissuta nel periodo buio della tratta dei negri. Eppure Ella sradicata brutalmente dai
suoi cari e dalla sua terra natia, ha trovato Dio ad attenderla in Italia, precisamente nel
Veneto, percorrendo con Lui , il Paron, come ella soleva definirLo dolcemente, la via
della Santità riscattando così non solo se stessa ma anche le lacrime innocenti di tutte
le creature schiavizzate nel mondo. Ella nacque nel 1869 ad Olgossa, in un piccolo
villaggio nella regione del Darfur in Sudan occidentale. Nel 1874 la sorella maggiore
fu rapita dai mercanti arabi di schiavi e circa due anni dopo, nel 1876, all'età di circa
sette anni subì la stessa sorte. Si racconta che per il trauma subito, avesse dimenticato
sia il proprio nome che quello dei propri familiari e che il nome Bakhita, che in arabo
significa “ fortunata”, le fosse stato imposto dai suoi rapitori. Fu venduta più volte,
nei mercati di El Obeid e di Khartoum, conoscendo le umiliazioni e le sofferenze
fisiche e morali più atroci della schiavitù provando anche la penosa condizione delle
catene ai piedi. Fu anche sottoposta ad un cruento tatuaggio per incisione mentre era
a servizio di un generale turco; le furono disegnati circa 114 segni sul petto, sul
ventre e sul braccio destro che furono poi incisi con un rasoio e coperti di sale per
creare delle cicatrici permanenti. Nel 1882 venne comprata a Khartoum dal console
Italiano Calisto Legnani il quale aveva il proposito di renderLe la libertà. Questo
diplomatico già in precedenza aveva comprato bambini schiavi per restituirli alle loro
famiglie. Ma ciò non fu possibile per Bakhita a causa del vuoto di memoria della
bambina riguardo ai nomi del proprio villaggio e dei propri familiari. Nella casa del
console Bakhita per la prima volta indossò un vestito e ritrovò la serenità. Per due
anni lavorò decorosamente con gli altri domestici senza essere più considerata una
schiava. Quando nel 1884 il diplomatico italiano dovette fuggire da Khartoum in
seguito alla Guerra Mahdista, Bakhita lo implorò di non abbandonarLa e partì al suo
seguito
prima per Suakin sul Mar Rosso e poi per Genova. Qui fu affidata da
Legnani ai coniugi Augusto e Turina Michieli che risiedevano a Ziniago, frazione
di Mirano Veneto e, quando il 3 febbraio del 1886 nacque la piccola Alice, chiamata
Mimmina, Bakhita divenne la sua bambinaia. Dopo circa tre anni i coniugi Michieli
ritornarono a Suakin dove possedevano un albergo affidando temporaneamente la
figlia e Bakhita alle Suore Canossiane che gestivano l'Istituto dei Catecumeni di
Venezia. Qui Bakhita cominciò a ricevere un'istruzione religiosa cattolica. Quando la
signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima,
con molto coraggio e decisione, manifestò la sua intenzione di rimanere in Italia con
le suore Canossiane.
1 La signora Michieli fece intervenire persino il Procuratore del Re ed il cardinale
patriarca di Venezia Domenico Agostini per obbligare Bakhita a seguirla, ma costoro
insieme fecero presente alla signora che in Italia non erano consentite le leggi di
schiavitù e così il 29 novembre 1889 Ella fu dichiarata legalmente libera. Il 9 gennaio
1890 Bakhita ricevette battesimo, prima comunione e cresima prendendo il nome di
Giuseppina, Margherita, Fortunata (Bakhita). Il 7 dicembre 1893, dopo un intenso
cammino, decise di farsi suora canossiana per” servire Dio che le aveva dato tante
prove del suo amore” ed entrò in noviziato presso l’istituto dei Catacumeni. Il 21
giugno del 1895 durante la festa del Sacro Cuore, avvenne la vestizione religiosa di
Bakhita. L’8 dicembre del 1896 pronunciò i primi voti nelle mani della superiora
della casa madre di Verona Anna Previtali. Nel 1902 Ella fu trasferita da Venezia alla
casa di via Fusinaro a Schio dove la superiora madre Margherita Bonotto le assegnò
il ruolo di aiuto cuciniera e nel 1907 quello di prima cuciniera. Tuttavia qui Ella
lavorò anche come sagrestana ed aiuto infermiera durante la Prima guerra mondiale
quando parte del convento fu adibito ad ospedale militare. Nel 1922 dopo aver
superato una grave forma di broncopolmonite Le venne assegnato l'incarico di
portinaia, una mansione che gradì molto poiché Le consentiva di stare a contatto con
la popolazione locale che fu letteralmente conquistata da questa singolare suora di
colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente. In breve
tempo venne ribattezzata dagli abitanti di Schio o scledensi "Madre Moréta". Il suo
personale carisma e la sua fama di santità vennero constatati dai suoi superiori, che a
più riprese le chiesero di mettere per iscritto le sue memorie. Il primo racconto era già
stato dettato a suor Teresa Fabris nel 1910, che aveva realizzato un manoscritto di
circa 31 pagine in italiano sui racconti di Bakhita che parlava esclusivamente in
veneto. Nel 1929, Bakhita dettò ad un’altra consorella, suor Mariannina Turco
frammenti dei suoi ricordi di infanzia ma questo secondo manoscritto è andato
perduto. Su richiesta della superiora generale dell'Ordine, tra il 2 e il 4 novembre
1930 venne intervistata a Sant’Alvise in Venezia da Ida Zanolini, laica canossiana e
maestra elementare, la quale nel 1931 pubblicò il libro “Storia Meravigliosa” su Vita
Canossiana, anno v, n.1 che fu ristampato 4 volte nel giro di sei anni. Bakhita
divenne così popolare in tutta Italia e molte persone, comitive e scolaresche si
recavano a Schio per conoscerLa. Dal 1933, assieme ad una suora missionaria di
ritorno dalla Cina, suor Leopolda Benetti, iniziò a girare l'Italia per sostenere
conferenze di propaganda missionaria. Ma Bakhita, essendo timida e capace di
esprimersi solo in lingua veneta, si limitava a dire poche parole alla fine degli
incontri, ma malgrado ciò la sua presenza attirava sempre il tripudio di migliaia di
persone. L'11 dicembre 1936, Bakhita, con un gruppo di missionarie in partenza per
Addis Abeba, venne ricevuta da Benito Mussolini in Palazzo Venezia a Roma e, in
tale occasione, vide anche Pio XII. Tra il 1937 e il 1939 Bakhita visse nel noviziato
missionario di Vimercate come portinaia. Dal 1939 cominciò ad avere seri problemi
di salute e non si allontanò più da Schio. Nel 1942 dopo una caduta accidentale, fu
costretta prima all’uso costante del bastone e poi a quello della sedia a rotelle. Nel
1943 festeggiò il 50 anniversario di vita religiosa.
2 Nel 1946 si ammalò di una gravissima forma di broncopolmonite. Morì alle 20 e 10
dell’'8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia da insufficienza
cardiorespiratoria cronica complicata da miocardite. L’11 febbraio si celebrarono i
suoi funerali in una Schio vestita a lutto. La salma di Bakhita venne inizialmente
sepolta nella tomba della famiglia scledense Gasparella; nel 1969 fu traslata nel
Tempio della Sacra Famiglia del convento delle Canossiane di Schio dove atutt’oggi
riposa. Bakhita che conosceva solo il veneto, parlava di Dio come el Parón: «queło
che vołe el Parón», «quanto bon che xé el Parón», «come se fa a no vołerghe ben al
Parón» (quello che vuole il Signore, quanto buono è il Signore, come si fa a non
voler bene al Signore). Di se stessa: «Mi son on povero gnoco, come gai fato a
tegnerme in convento?» (Non valgo niente, come hanno fatto a tenermi in
convento?). Quando la gente la compiangeva per la sua storia: «Poareta mi? Mi no
son poareta perché son del Parón e neła so casa: quei che non xé del Parón i xé
poareti» (Povera io? Io non sono povera perché sono del Signore e nella sua casa:
quelli che non sono del Signore sono i veri poveri). Il processo di canonizzazione
iniziò nel 1959, a soli 12 anni dalla morte. Il 1 dicembre 1978 Papa Giovanni Paolo II
firmò il decreto dell'eroicità delle virtù della serva di Dio Giuseppina Bakhita.
Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio 1992 e
canonizzata il 1 ottobre 2000. La Chiesa ha ritenuto miracolosa la guarigione di Eva
da Costa Onishi, affetta da piaghe infette degli arti inferiori in corso di diabete
scompensato. Il 27 maggio del 1992, anno della beatificazione di Giuseppina
Bakhita, costei, partecipando alla riunione delle "Donne Anziane" nella cattedrale di
Santos, invocò l'aiuto della Beata Bakhita. Tornata a casa, si accorse che le ulcere,
una delle quali era arrivata sino all'osso, erano improvvisamente scomparse e la pelle
si era inspiegabilmente riformata. Il 21 dicembre 1998 la Congregazione per le
Cause dei Santi promulgò il decreto sul miracolo, dichiarando l'inspiegabilità della
guarigione, rapida, completa e duratura. Santa Giuseppina Bakhita è stata ricordata da
Papa Benedetto come esempio di speranza cristiana. Ed il suo messaggio di speranza
deve permeare le nostre esistenze a ricordarci ancora una volta che bisogna fidarsi di
Dio sempre ed incondizionatamente perché l’ultima parola di ogni esistenza spetta
sempre a Lui che pareggia sempre i conti.
dott.ssa Raffaella Mormile
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