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I Ced non possono trasmettere in via telematica all'Inps, per conto del datore di lavoro, le denunce contributive mensili.. E' legittima la riserva prevista a favore dei consulenti del lavoro dalla legge n. 12/1979 in materia di adempimenti di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti. E' quanto ha confermato il Tribunale Amministrativo del Lazio, con la sentenza n. 9236/2011. Il caso riguardava il ricorso proposto da un Centro di Elaborazione Dati contro una circolare dell'Inps (n. 28/2011) e una nota del ministero del Lavoro. Di seguito il testo integrale della sentenza N. 09236/2011 REG.PROV.COLL. N. 03343/2011 REG.RIC. R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3343 del 2011, proposto da: ADP GSI Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabio Cintioli e Luca G. Radicati di Brozolo, con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, via Salaria, 259; contro INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Sgroi, con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, via della Frezza, 17; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti di Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro, in persona del legale rappresentante p.t. dott.ssa Elvira Calderone, quest’ultima costituita in giudizio anche in proprio, rappresentati e difesi dagli avv.ti Antonio Maria Leozappa e Patrizio Leozappa, con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, via G. Antonelli, 15; e con l'intervento di ad opponendum: Dario Montanaro, rappresentato e difeso dagli avv.ti Biagio Francesco Leo e Fabio Patarnello, con domicilio eletto presso il dott. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; per l'annullamento in parte qua, della circolare INPS n. 28/11 avente ad oggetto: soggetti abilitati alla cura degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, ivi compresa la trasmissione telematica della documentazione previdenziale; nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale ed, in particolare, in parte qua, della nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 29.4.2010 n. 7857, pubblicata in allegato alla predetta circolare; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro e di Marina Elvira Calderone; Visto l’atto di intervento ad oppponendum di Dario Montanaro; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2011 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso indicato in epigrafe, la parte istante, precisato di essere una società leader nella fornitura dei servizi di trattamento paghe, comprendenti tutte le attività relative, evidenziava come la trasmissione telematica all’INPS per conto del datore di lavoro delle denunce contributive mensili elaborate informaticamente sulla base dei dati forniti da parte del datore medesimo costituisca elemento indispensabile del servizio svolto. La Società evidenziava, altresì, di aver esercitato tali adempimenti sino all’adozione dell’impugnata circolare, sulla base del disposto dalla precedente circolare INPS n. 32 del 17.2.2004 e della circolare n. 191 del 2001, che abilitavano, tramite PIN rilasciato dallo stesso Istituto, i soggetti - tra cui anche i Centri di elaborazione dati (CED) - all’invio all’INPS delle predette denunce. La Circolare gravata, invece, esclude i CED e, dunque, la ricorrente dal novero di coloro che sono abilitati alla trasmissione della documentazione suddetta, ai sensi dell’art. 1, comma 5 della legge n. 12 del 1979, essendo essi ammessi a trattare solo attività esecutive e di servizio quali quelle di mero calcolo e stampa dei dati retributivi e quelle accessorie e strumentali. Pertanto, la ricorrente impugnava la predetta circolare, affermandone il carattere provvedimentale e lesivo, con un unico articolato motivo. Denunziava, infatti la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, l. n. 12 del 1979 cit., degli artt. 49 e 56 TFUE e dell’art. 41 Cost., poiché l’interpretazione assunta nell’atto impugnato si pone in contrasto con il principio di libera circolazione dei servizi, sicchè laddove la riserva imposta dall’art. 1 richiamato sia da intendersi quale impedimento assoluto alla possibilità di accedere alla fornitura dei servizi di trattamento delle paghe sul mercato italiano, si dovrebbe procedere alla disapplicazione della norma nazionale. Precisava, del resto, che tale restrizione del principio europeo di libera circolazione non trova giustificazione nella tutela di interessi pubblici, come è dimostrato dal fatto che la stessa regola ammette una deroga consistente nella possibilità da parte dei datori di lavoro o delle associazioni di categoria degli stessi di svolgere direttamente le attività in questione, con la conseguenza che la restrizione dell’attività di trattamento delle paghe costituisce una misura protezionistica a favore dei professionisti abilitati. La ricorrente, pertanto, chiedeva l’annullamento della circolare gravata o la sua disapplicazione ed, in subordine, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267, secondo comma TFUE. Si costituivano il Ministero del lavoro e della Politiche sociali e l’INPS i quali evidenziavano come la stessa Corte di giustizia con la sentenza n. 79 del 2002 ha avuto modo di precisare che la restrizione ai sensi dell’art. 43 CE è giustificabile qualora risponda a motivi imperativi di interesse pubblico, la cui verifica spetta al giudice nazionale. Si costitutiva, altresì il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro che sottolineava come la questione della conformità della l. n. 12 del 1979 in esame è stata, da ultimo, oggetto della verifica da parte della Commissione europea nella procedura di infrazione 1999/4856, archiviata in data 3.4.2008, nell’ambito della quale il Ministero del lavoro aveva sostenuto che la scelta del legislatore trovava giustificazione nell’obiettivo di ridurre al minimo i rischi i errori o irregolarità nel calcolo delle retribuzioni e dei relativi oneri previdenziali e fiscali, al fine di tutelare il diritto fondamentale dei lavoratori. Infine, precisava che l’art. 5 della medesima l. n. 12 stabilisce che per lo svolgimento di operazioni di calcolo e stampa relative agli adempimenti e per le attività istruttorie, le imprese previste dal 4° comma della stessa norma possono avvalersi di CED che devono essere assistiti da uno o più soggetti iscritti agli albi. Inoltre, la parte resistente poneva in luce che la segnalazione dell’AGCM n. 16 del 21.9.2009, richiamata dalla ricorrente a favore della propria tesi, non ha trovato recepimento da parte del Parlamento. Con memoria difensiva depositata per l’udienza di trattazione della causa il Ministero rappresentava che gli atti impugnati hanno ribadito che gli adempimenti lavoristici devono essere interpretati alla luce dell’art. 1, l. n. 12 cit. , sicchè la predisposizione telematica e la trasmissione conseguente della documentazione previdenziale non può che essere effettuata esclusivamente da coloro che hanno titolo. L’interventore ad opponenudm, nella qualità di professionista, attualmente presidente del consiglio dell’Ordine dei consulenti del lavoro della provincia di Brindisi, insisteva sulla finalità pubblica della norma e sulla interpretazione datane dalla circolare impugnata. La causa era trattenuta in decisione all’udienza di discussione. DIRITTO 1 – La presente controversia ha sostanzialmente per oggetto la corretta interpretazione dell’art. 1, comma 1, della l. n. 12 del 1979 che demanda ai consulenti del lavoro “tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori”. Infatti, la parte ricorrente nell’impugnare la circolare e la nota indicate in epigrafe, attribuisce alle stesse valore provvedimentale, in quanto asserisce il carattere innovativo dell’interpretazione, che determinerebbe la preclusione per l’istante a trasmettere i dati telematicamente, privandola di una parte significativa del servizio offerto. 2 - Orbene, osserva il Collegio che la tesi prospettata non appare condivisibile. Infatti, come già affermato da questo Tribunale in una sentenza che aveva come oggetto la pubblicità ingannevole (Sez. I, sent. n. 4237 del 2003), “in presenza di un sempre maggiore sviluppo informatico, lo stesso Ministero del Lavoro, con due distinte e successive circolari del 1986, ha ammesso la legittimità dell’utilizzo, da parte dei consulenti del lavoro, dei centri elaborazione dati (CED) come mero supporto tecnico, ovvero per le operazioni di calcolo e stampa. In tal modo, non risulta minimamente intaccata la sfera di attribuzioni, comunque amplissima, dei consulenti del lavoro, così come configurata dalla legge n. 12/79”. Da cio’ discende che, per un verso deve escludersi la novità dell’interpretazione contenuta negli atti gravati, che ribadiscono quanto già più volte precisato in ordine alla portata della norma in esame, la quale prevede come unica eccezione alla regola lì contenuta quanto disposto dal successivo 4° comma dell’art. 1 cit., che consente alle imprese artigiane e alle altre piccole imprese di affidare i suddetti adempimenti a servizi o centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria. 3 - Nella medesima pronuncia del 2003, il Tribunale aveva esaminato, peraltro, le modificazioni previste dall’art. 58, comma 16, della legge 17 maggio 1999 n. 144, che ha aggiunto un ulteriore comma all’art. 1 della citata legge n. 12/79, precisando che tali innovazioni hanno “distinto le imprese in base alla loro dimensione, stabilendo che sia quelle piccole e medie, che quelle grandi, potessero demandare le (sole) operazioni di calcolo e stampa relative agli adempimenti di cui al primo comma, nonché “l’esecuzione delle attività strumentali ed accessorie” a centri di elaborazione dati, nei quali si presupponeva, in vario modo, il coinvolgimento dei consulenti del lavoro con la conseguenza che risulta evidente che un servizio che implichi un’attività ben più complessa di quella semplicemente strumentale e preparatoria è tuttora riservata direttamente agli esercenti l’attività professionale. 4 – Ciò premesso, devono essere esaminate le argomentazioni difensive della ricorrente rivolte direttamente nei confronti della disciplina contenuta nell’art. 1 della citata legge n. 12/79, del quale si assume il contrasto con il principio comunitario della libera circolazione dei servizi. Sul punto, questa Sezione non ha motivo di discostarsi da quanto già affermato dal Tribunale nella menzionata sentenza, richiamando i principi sanciti dalla decisione della Corte di Giustizia 17 ottobre 2002 nel procedimento C-79/01 (Payroll Data Service S.r.l. c. ADP GSI SA), “che, in linea con un precedente della stessa Corte (25 luglio 1999 Causa C-76/90 Saeger c. Dennemeyer), demanda al giudice interno la valutazione della legittimità della privativa in tema di libera prestazione dei servizi e delle professioni, affermando, in particolare, che non possono considerarsi incompatibili con il Trattato disposizioni nazionali che impongano il possesso di determinate caratteristiche – professionali, culturali e tecniche – ai prestatori, laddove ciò sia giustificato dall’interesse, pubblico, dei destinatari dei servizi stessi e risulti proporzionato all’obiettivo che si intende raggiungere.” Ne consegue che, nella specie, la disposizione contenuta nell’art. 1 della l. n. 12 del 1979 trova la propria ratio, come richiamato dalle parti resistenti, nella motivazione sostenuta dal Governo italiano davanti alla Commissione europea, ovvero nella necessità di tutela dei lavoratori, attraverso la garanzia della precisione del trattamento dei dati in questione. Né appare fondato il richiamo di parte ricorrente al principio di liberalizzazione, di cui al più recente decreto n. 138 del 2011, poiché nella specie non si tratta della questione della limitazione all’accesso ad una professione, ma della garanzia della sussistenza dei requisiti professionali nel compimento di una determinata attività, sì da renderla possibile unicamente a coloro che da un lato sono a ciò specificamente preparati e che, dall’altro, ne siano anche responsabili. Ne consegue che il ricorso deve essere respinto. In ragione della particolare complessità della fattispecie esaminata, sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese di lite tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati: Italo Riggio, Presidente Maria Luisa De Leoni, Consigliere Solveig Cogliani, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 24/11/2011 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)